Notte di paura (eLit): eLit
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Carla Cassidy
La produzione di Carla Cassidy è davvero ampia e il suo amore per la scrittura grande, tuttavia la sua prima vera passione è stata la musica. Prima di sposarsi e di dedicarsi ai libri, infatti, ha girato la East Coast degli Stati Uniti in tournée con un gruppo.
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Notte di paura (eLit) - Carla Cassidy
successivo.
Prologo
I giornalisti erano accalcati sulle scale del tribunale e i poliziotti presidiavano l'ingresso per tenerli indietro. Il sole di luglio batteva su quella folla frenetica.
Centinaia di cronisti erano confluiti a Kansas City, nel Missouri, per l'evento. Quella mattina era stata convocata in tribunale la testimone che avrebbe inchiodato il giovane assassino.
Ci fu un mormorio quando arrivò l'auto nera di Samantha Whitling, il procuratore distrettuale. Arrivava alla stessa ora ogni mattina da tre anni, ma era la prima volta che trovava tutto quel trambusto, perché non aveva mai accompagnato un testimone così importante.
Quando l'auto si fermò, Samantha scese e senza nemmeno un sorriso che addolcisse i suoi lineamenti, come se tutta quella folla non esistesse, andò ad aprire l'altra portiera. Camminava con rigore militare e indossava un abito blu molto sobrio.
L'agitazione aumentò quando la testimone uscì dalla macchina. In abito rosa, con fiocchi in tinta all'estremità delle trecce biondo cenere, la bambina sembrava diretta a una festa di compleanno. L'unico elemento che stonava era la mancanza di un sorriso. Seria, con le chiare sopracciglia aggrottate in un'espressione di ansietà, si lasciò condurre per mano dal procuratore distrettuale che le sorrise per infonderle un po' di coraggio mentre i flash scattavano.
In tribunale, rinchiuso in una piccola stanza, il prigioniero guardava fuori della finestra; i suoi occhi fiammeggiarono quando vide la testimone rivolgere un sorriso timido ai giornalisti.
Sì, sorridi, piccola, pensò. Sorridi finché puoi. Assalito dalla rabbia, chiuse gli occhi e respirò a fondo cercando di controllarsi. Doveva rimanere calmo.
Riaprì gli occhi e guardò di nuovo fuori della finestra mentre la donna e la ragazzina entravano nell'edificio. Sapeva che quella testimonianza l'avrebbe mandato in prigione. Ann Carson. Aveva visto troppo, lo aveva identificato da tre diversi confronti. Sì, quella piccola ficcanaso l'avrebbe spedito in prigione, ma probabilmente non per sempre.
La guardò attentamente, cercando di memorizzare i lineamenti del suo volto. Un giorno sarebbe uscito di prigione e sarebbe andato a cercarla...
1
Ventun anni dopo.
Auld lang syne. Posso averti quando voglio. Ann Carson rilesse accigliata il biglietto che aveva trovato sotto la bottiglia del vino in frigorifero. Come diavolo era finito lì?
Un brivido di paura le percorse la spina dorsale quando realizzò che qualcuno doveva essere entrato in casa mentre lei era al lavoro.
Lasciò cadere il biglietto e chiamò la polizia guardandosi intorno con il cuore che le martellava in petto.
C'era ancora qualcuno in casa? Si stava nascondendo dietro alle tende, nel ripostiglio? La fioca luce del tardo pomeriggio non riusciva a illuminare gli angoli più nascosti della casa.
«Forza, rispondete» mormorò sperando di poter parlare con qualcuno al più presto.
Rispose una voce femminile.
«Polizia? Penso che ci sia qualcuno in casa mia. Mi chiamo Ann Carson e abito al nove-due-uno di Evergreen Avenue. Sono appena tornata dal lavoro e ho trovato un biglietto nel frigorifero. Qualcuno è stato qui e non so se ci sia ancora» bisbigliò in fretta continuando a guardarsi intorno.
«Signora, la prego, si calmi. Un agente è in zona e sarà da lei in un batter d'occhio.»
«Grazie» sussurrò Ann cercando di calmare il furioso battito del cuore, quando un rumore improvviso la fece sobbalzare.
Era Twilight, che le era saltato in grembo per darle il benvenuto.
«Signora Carson, tutto bene?» chiese la donna dall'altro capo del telefono.
«Sì, era solo il mio gatto.»
Mentre Ann rispondeva a un'infinità di domande, sperò che un agente arrivasse prima che il cuore le esplodesse per la paura. Lentamente, mentre i minuti passavano, il terrore si attenuava. Così almeno le parve finché non sentì bussare con insistenza alla porta. Abbassando il ricevitore, prese in braccio Twilight e andò ad aprire.
Non sembrava un poliziotto, pensò osservando l'uomo che si trovò davanti. Con i capelli neri che gli ricadevano sulla fronte e un'aria tenebrosa, pareva più un criminale che un difensore della giustizia, ma l'uniforme blu scuro e il distintivo la rassicurarono.
«Crede che un intruso sia entrato in casa?»
Lei annuì.
«Aspetti qui fuori mentre io do un'occhiata.»
Vedendolo entrare con la pistola in pugno, Ann ebbe il primo fremito di rabbia e d'impotenza. Qualcuno era stato in casa sua, aveva invaso la sua privacy. Lei aveva comprato quell'appartamento solo da un anno con i risparmi ottenuti vivendo in una sola stanza per molto tempo. Negli ultimi otto mesi quella casa era diventata un vero rifugio, un posto stabile e sicuro al riparo dal passato. E adesso qualcuno l'aveva violato.
Strinse con aria preoccupata la vestaglia che aveva indossato sopra al leggero pigiama di seta blu.
Qualcuno, nascosto da qualche parte, l'aveva spiata mentre si era spogliata e aveva indossato il pigiama? Quel pensiero la faceva sentire indifesa e impotente.
Si avvicinò al poliziotto che stava uscendo di casa, ma lui le segnalò di aspettare mentre andava a ispezionare il retro.
Nell'attesa la rabbia di Ann si trasformò di nuovo in terrore. Aveva scelto quella casa proprio per il boschetto che la circondava, ma ora aveva un'aria inquietante e spaventosa.
«Tutto a posto. Entriamo, così potrà dirmi perché qualcuno potrebbe essere entrato in casa.»
Si sedettero in cucina e lui prese un blocchetto e una penna dalla tasca. «Come si chiama?»
«Ann. Ann Carson» rispose. La luce artificiale della cucina sottolineava le linee aspre, quasi brutali, del viso dell'agente, un uomo che doveva aver vissuto appieno senza rimpianti. «E lei è...?»
«Clay Clinton» affermò con aria impassibile. «Vive qui da sola?»
Lei annuì. «Sola... a parte il mio gatto.» Clay Clinton. Il nome gli si addiceva: tutte consonanti dure.
Lui diede un'occhiata a Twilight. «Sembra che abbia avuto una vita dura.»
«È capitato sulle scale di casa mia circa due anni fa; aveva una parte dell'orecchio mozzata ed era quasi morto di fame.»
«Come mai pensa che qualcuno sia stato qui? Lo ha visto? Ha sentito dei rumori che indicavano la presenza di un intruso?» riprese lui.
«No, niente del genere. Sono tornata dal lavoro, mi sono cambiata d'abito, poi ho aperto il frigorifero per prendere un bicchiere di vino e ho trovato questo.» Si guardò intorno e si chinò a raccogliere il biglietto che aveva trovato. «Era sotto la bottiglia del vino, nel frigorifero.»
Lui lesse con espressione accigliata il biglietto scritto a mano.
«So che è strano» continuò lei, «ma chiunque abbia lasciato il biglietto ha anche bevuto il vino che era rimasto.»
«Dov'è la bottiglia?»
Lei indicò il frigorifero sperando di riuscire a leggere in quegli occhi scuri i suoi pensieri. Lui si alzò e andò ad aprire il frigorifero e Ann non poté fare a meno di notare che l'uniforme sottolineava i suoi fianchi stretti e le sue spalle larghe. L'agente Clay Clinton era senz'altro un uomo molto attraente. Sperava che fosse un poliziotto altrettanto bravo.
«Quanto vino c'era nella bottiglia, se lo ricorda?»
«Non lo so... Forse era a metà.»
«Ha guardato se in casa manca qualcosa?» chiese lui posando la bottiglia sul tavolo.
«In realtà non ci ho fatto caso, ma mi pare che non manchi niente.»
«Guardi meglio. Il nostro intruso potrebbe essere stato un ladro.»
Facendo il giro delle varie stanze, nonostante la situazione, Ann non poté fare a meno di sentirsi orgogliosa dell'atmosfera calda e accogliente che si respirava in quella magnifica casetta. Aveva scelto l'arredamento con grande cura e la carta da parati verde era in tinta con i tessuti.
C'erano due camere da letto, la più piccola ancora un po' spoglia, ma l'altra completamente arredata, con le coperte e le tende dalle tinte accese e brillanti.
«No. Non manca niente, ne sono sicura» concluse Ann quando furono tornati nell'ampio soggiorno.
Lui si guardò intorno. «Nessuna finestra aperta? Non ha idea di come possa essere entrato?»
Lei scosse la testa, poi rifletté accigliata. «Forse ho lasciato la porta del patio aperta, ma non ne sono sicura. Non riesco a ricordare.»
«La porta principale non pare forzata. È un bel rebus.»
«Ma perché? Perché qualcuno ha fatto una cosa del genere?» chiese lei guardandolo negli occhi.
Lui sorrise per la prima volta, addolcendo le linee del viso e aumentando il proprio fascino. «Me lo chiedo ogni volta che mi trovo di fronte a un crimine.» Si sedette sul divano. «Ho ancora alcune domande da rivolgerle prima di finire il mio rapporto.»
Lei annuì e gli si sedette accanto, immediatamente sopraffatta dal suo profumo, un misto di colonia alle spezie, sapone alla menta e pura mascolinità.
«Qualcuno oltre a lei ha le chiavi di questo appartamento?»
Lei esitò, incerta se dire qualcosa di Greg. «Solo una persona, ma di sicuro non ha niente a che fare con questo.»
«Come si chiama?»
«Greg Thorton.»
«E che relazione ha con lei?»
Ann si sentì arrossire. «Nessuna, adesso. Siamo usciti insieme per un po' di tempo, ma non ha funzionato. Ci siamo lasciati circa due settimane fa.»
Lui alzò un sopracciglio. «Chi ha lasciato chi?»
Ann arrossì ancora. Era una persona molto riservata che non amava parlava di sé, specialmente con gli estranei. «L'ho lasciato io, ma sono sicura che Greg non è il tipo che faccia cose del genere.»
«Anche se l'intruso potrebbe essere entrato dalla porta posteriore, sarebbe bene che lei cambiasse le serrature al più presto.»
Lei annuì. «Potrebbe anche essere stato uno dei miei studenti» mormorò.
Lui la guardò di soppiatto. «Lei è un'insegnante?»
«Sì, insegno letteratura inglese al Northland Junior College, al primo anno, e tengo anche un corso privato di composizione letteraria.»
«Forse ha ragione. Può trattarsi di uno scherzo di qualche studente.» Si alzò, chiuse il blocchetto e andò alla porta. «Scriverò un rapporto su questo incidente e, se dovesse avere altri problemi, non esiti a chiamare la centrale.»
«Grazie per essere venuto così presto... anche se sono sicura di avere esagerato.» Ricordandosi del modo concitato con cui aveva chiamato la polizia, si sentì in imbarazzo.
L'agente, che aveva assunto un atteggiamento formale e freddo fino ad allora, la guardò con dolcezza e le toccò leggermente un braccio. «La sua è stata una reazione intelligente. Bisogna essere cauti in questi casi.»
Ann combatté l'impulso di avvicinarsi. Avrebbe avuto bisogno di un abbraccio per dissipare anche le ultime paure, ma capì che non era il caso. «Grazie ancora, agente.»
Lui la salutò, si girò e salì in macchina.
Quando la volante scomparve all'orizzonte, lei chiuse la porta a chiave. Appoggiata allo stipite, guardò la casa che aveva arredato con amore e di cui andava fiera.
In cucina rivide la bottiglia di vino. La prese e la gettò nella spazzatura. L'inquietante biglietto era ancora sul tavolo. Auld lang syne. Posso averti quando voglio.
Era strano che l'agente non avesse preso la bottiglia e il biglietto per analizzare le impronte, ma forse quelle erano procedure da utilizzare in casi più seri. Dopotutto non era stato rubato niente. Qualcuno era semplicemente entrato dalla porta che forse era aperta e