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Un San Valentino dal ricordare (eLit): eLit
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Un San Valentino dal ricordare (eLit): eLit
E-book153 pagine2 ore

Un San Valentino dal ricordare (eLit): eLit

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Info su questo ebook

L'amore non è bello se non è litigarello.

Solo che i battibecchi tra Stephanie Arnou e Justus Walker non si concludono con baci appassionati, ma con occhiate di fuoco! E lei non ne può davvero più. Prima ha scoperto che il favoloso ristorante ereditato dallo zio in realtà è una catapecchia, poi che la casa adiacente versa in una situazione ancora peggiore. Inoltre, dovrà dividere la gestione dell'attività con l'uomo più insopportabile di Crawford, in Louisiana. Sì, proprio con Justus, un tipo arrogante e presuntuoso che era convinto che lei fosse un uomo! Ma febbraio, si sa, è il mese degli innamorati e a San Valentino tutto può accadere, anche di sedurre il proprio peggior nemico!
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2017
ISBN9788858965962
Un San Valentino dal ricordare (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Un San Valentino dal ricordare (eLit) - Wendy Rosnau

    successivo.

    1

    Sull'insegna accanto al nome del locale c'era scritto a lettere cubitali TAVOLA CALDA e, sotto, BIRRERIA. Un cartello messo in diagonale sulla vetrata annunciava che la specialità della casa era l'hamburger alla Buzzard. Dio solo sapeva cosa ci mettevano dentro...

    Stephanie Arnou lesse l'insegna almeno tre volte dopo aver fermato la macchina nel parcheggio sterrato del Muddy Bar & Grill. Senza spegnere il motore, prese la lettera che aveva appoggiato sul sedile di fianco a sé e cercò per l'ennesima volta di decifrare le indicazioni che le aveva fornito suo cugino. Sicuramente, a un certo punto del tragitto, doveva aver imboccato una strada sbagliata. La scrittura di Arley era incomprensibile quanto la sua complicata descrizione del percorso da seguire. Era probabile che avesse oltrepassato la svolta giusta senza accorgersene.

    Dunque mise la retromarcia e tornò a Crawford.

    Era un tipico paesino di provincia della Louisiana e, quando l'aveva attraversato poco prima, aveva notato che in generale la popolazione era decisamente in là con gli anni. Si era fermata a fare benzina al distributore self service situato proprio alle porte della città, vicino all'unico supermercato, e c'era stato un attimo in cui aveva sospettato di essere finita all'interno di una grande casa di riposo per anziani. Poi, per fortuna, quando era andata alla cassa a pagare aveva notato due ragazze sulla ventina che servivano all'autogrill e abbassavano l'età media degli abitanti del posto. Erano gemelle, con grandi occhi castani, occhiali dalla montatura identica e un sorriso sghembo.

    Rientrata in paese, si fermò al posto di polizia, un palazzo vecchiotto che avrebbe avuto bisogno di una mano di vernice e qualche lavoretto di ristrutturazione. Le bastò dare una veloce occhiata a quello che veniva definito il corso principale, angusto ma pulito e dignitoso, per intuire all'istante che avrebbe trascorso tutto il suo tempo libero a New Orleans, che distava un centinaio di chilometri scarsi da Crawford. Dopotutto era nata e cresciuta in una grande città ed era abituata a determinate comodità, come comprare il latte alle due di notte oppure un paio di scarpe di domenica.

    Prima di scendere dalla macchina prese la lettera di Arley dal sedile. Non appena mise piede nell'edificio appurò che l'interno era malridotto come l'esterno. E in generale tutto lo stabile sembrava versare in stato di abbandono.

    Le pareti erano grigiastre, ma si intuiva che non doveva essere la tinta originale. Sembrava che nessuno si fosse preso la briga di passare una mano di bianco da almeno vent'anni. Il linoleum del pavimento, di un grigio più scuro, era rigato e nella stanza il disordine regnava sovrano. I cestini traboccavano di cartacce e sulla scrivania di metallo, anch'essa graffiata, erano appoggiate in equilibrio precario due pile di cartellette. Il classificatore, in un angolo, pendeva leggermente da un lato ed era ricoperto da una catasta di documenti ammonticchiati alla rinfusa, che sembrava sul punto di cadere per terra e di trovare così una degna sistemazione.

    Dietro il tavolo c'era una porta chiusa, che doveva essere quella dell'ufficio dello sceriffo. Stephanie si avvicinò e notò che la targa era stata tolta e sostituita con un foglietto di carta, appiccicato alla meglio con il nastro adesivo, su cui era scritto Sceriffo William Walker.

    Stephanie bussò alla porta e attese, non sapendo se ci fosse qualcuno nella sua stanza.

    «Ci sono, ci sono» le rispose una voce dall'interno. «Ho quasi finito la cena, entra pure.»

    Stephanie assunse un'espressione perplessa, sollevando un sopracciglio, sconcertata dall'invito decisamente informale e poco professionale. Ma, vista la situazione, non poteva permettersi di analizzare troppo certi dettagli, perciò aprì la porta ed entrò decisa nell'ufficio.

    Trovò lo sceriffo seduto su una sedia girevole dietro la scrivania, in una posa rilassata con le gambe stese e i piedi poggiati sul piano del tavolo, quasi fossero un fermacarte che puntellava una miriade di fogli e cartelle sparse qua e là.

    Vestito in maniera casual, in jeans e scarpe da tennis nere, lo sceriffo aveva capelli scuri e occhi castani. Sulla trentina, spalle ampie, gambe muscolose e un po' di pancetta.

    «Sceriffo Walker, scusi, sto cercando il...» esordì Stephanie, spostando lo sguardo sulla lettera di suo cugino per cercare il paragrafo cruciale. «Mondy Restaurant» lesse a fatica.

    Tornò a guardare lo sceriffo sempre più sorpresa e notò che in un angolo era abbandonato un involto di carta unta con gli avanzi della cena di quell'inconsueto tutore dell'ordine: un pezzetto di hamburger, qualche anello di cipolla fritta e un po' di patatine. In quell'istante un cane che sonnecchiava sdraiato sotto la finestra aprì un occhio, annusò l'aria, poi si alzò e si avvicinò sbadigliando, con sguardo interessato alla cena del padrone. Lo sceriffo prese il cartoccio e lo posò per terra.

    Sebbene la bestiola sembrasse gradire il pasto, Stephanie pensò che la salute degli abitanti di Crawford avrebbe decisamente ricavato qualche beneficio dalla sua cucina sana e genuina.

    Aveva lavorato al Café Lean di Minneapolis come responsabile di cucina per tre anni. E l'anno precedente aveva ricevuto un premio per le sue ricette saporite e al tempo stesso dietetiche. Il proprietario del ristorante ne era stato orgoglioso, e aveva insistito per appendere la targa in ottone con il suo nome nell'atrio del locale, dove aveva fatto bella mostra di sé fino a tre giorni prima.

    «Mondy, ha detto?» ripeté lo sceriffo, perplesso.

    «Mi pare che sia scritto così» rispose lei stringendosi nelle spalle e porgendo all'uomo la lettera del cugino.

    Lo sceriffo stese la mano per prenderla e urtò con il gomito una pila di fogli che cadde a terra, facendo spaventare il cane. Tuttavia l'animale doveva essere abituato a tutto quel caos, perché guardò il padrone con tranquillità, si leccò i baffi, e tornò a dedicare la sua attenzione alla cena.

    Anche lo sceriffo doveva avere un concetto particolare di ordine, lanciò infatti un'occhiata noncurante alle carte sparpagliate mentre si mise a leggere rapidamente la lettera.

    Stephanie si rese conto che l'uomo aveva cambiato espressione in modo repentino. Anzi, sembrava essere addirittura impallidito.

    «Che cosa c'è? Mi sono persa?» esclamò, allarmata. «Eppure c'è una sola città che si chiama Crawford in Louisiana, no?» Indicando la lettera, aggiunse: «Come può vedere, mio cugino scrive come un bambino di sette anni e storpia anche le parole come se non avesse fatto più della seconda elementare. Non ha neppure messo l'indirizzo del mittente, né sulla busta né nella lettera, perciò non sono sicura che abiti ancora qui a Crawford».

    «È sicura che questa lettera fosse indirizzata proprio a lei?»

    «Certo» rispose Stephanie, spazientita.

    «Quindi lei è la cugina di Arley?»

    «Esatto.»

    «Perciò sarebbe la figlia di Melvin?»

    «Sì, sono Stephanie Arnou, ma gli amici mi chiamano Stevie. Lei conosceva mio zio Clarence?»

    «Clarence? Ah, vuol dire Buzzard! Certo, tutti a Crawford conoscevano il vecchio Buz.»

    «E Arley? Conosce anche mio cugino?»lo incalzò Stephanie, sulle spine. «Sa per caso se abita ancora da queste parti?»

    «Sì, in una villetta marrone appena fuori città, circa un chilometro a sud del paese» confermò lo sceriffo.

    Stephanie sospirò. «Grazie a Dio!» E sollevata, si mise una mano sul cuore. «Cominciavo a temere di non essere nel posto giusto. Avevo paura che Arley avesse scritto male il nome della città. Non starò a raccontarle che periodo tremendo ho trascorso nell'ultimo mese, ma le assicuro che sono convinta che voltare pagina e ricominciare da zero non potrà che farmi bene. Mi creda, mi è successo di tutto. Gennaio è stato un tale incubo che febbraio non potrebbe mai eguagliare la catastrofe che ho vissuto, neanche se ci fossero contemporaneamente un'inondazione, il terremoto, la peste bubbonica e le cavallette.»

    Agitata al solo ricordo di ciò che le era capitato, e all'improvviso accaldata, sbuffò e si fece aria con una mano, poi guardò il piccolo ventilatore in un angolo della stanza.

    «È normale tutto questo caldo? Pensavo di trovare al massimo venti gradi in questo periodo dell'anno e invece all'esterno ce ne saranno almeno trenta» osservò. «Non che mi lamenti, intendiamoci! Quando sono partita, a Minneapolis c'era una tormenta di neve ed eravamo sottozero.»

    «In certi giorni è caldo anche in questa stagione, ma mai come a luglio e agosto» replicò lo sceriffo. «Tornando alla lettera, vedo che è indirizzata a Stephan, non a Stephanie» puntualizzò indicando l'inizio della missiva.

    «Stephan o Stephanie, che differenza fa? Tanto sono io sicuramente» ribatté lei con una scrollata di spalle. «Se considera che nella lettera mio cugino ha fatto diversi errori di ortografia, non mi meraviglia che abbia tolto anche qualche vocale nel mio nome, giudicandola di troppo.»

    Lo sceriffo mugugnò qualcosa fra sé e sé e posò il foglio sulla scrivania. «Quello mi spella vivo» borbottò.

    «Chi? Parla di mio cugino Arley?»

    «No, di Justus. È bravo con il coltello. Nessuno sa pulire il pesce e spellare le rane più rapidamente di lui.»

    Stephanie non capiva cosa c'entrasse quel tizio con lei e suo cugino. «Chi è questo Justus?»

    «Il suo socio, Stephanie. È al ristorante.»

    Il colorito dello sceriffo era passato da bianco a verdognolo. E Stephanie sospettò che fosse l'effetto dell'hamburger che aveva mangiato. Non c'era da meravigliarsi; chiunque avesse avuto il coraggio di ingurgitare una simile bomba di colesterolo allo stato puro avrebbe dovuto aspettarsi un'esplosione, non appena avesse toccato lo stomaco.

    Guardò con occhio critico l'accenno di pancetta dell'uomo. Probabilmente le sue arterie gridavano vendetta e le sue analisi del sangue erano una catastrofe causata da scellerate abitudini alimentari.

    «Sono ansiosa di vedere il ristorante, ma se potesse gentilmente darmi indicazioni per arrivare a casa di mio zio le sarei ancora più grata. Data l'ora, è meglio che io aspetti domattina per recarmi al Mondy. Preferirei fare una doccia e sistemarmi. Sono stata in macchina tutto il giorno e sono davvero esausta.»

    Non avrebbe impiegato molto tempo a disfare i bagagli, considerò. La settimana precedente, infatti, un incendio dovuto a un corto circuito aveva praticamente raso al suolo il palazzo in cui si trovava il suo appartamentino. La lettera del cugino era arrivata solo due giorni prima del disastro in cui aveva perso quasi tutti i suoi averi. Per Stephanie era stata come una manna dal cielo anche se, in realtà nel momento in cui l'aveva letta, non poteva immaginare che si sarebbe rivelata una vera e propria fortuna. Venire a sapere che aveva ereditato la casa dello zio e metà della sua attività non le aveva fatto una grande impressione, ma adesso guardava quell'improvviso e inaspettato lascito con occhi diversi.

    Tutto accade per una ragione, aveva sentito dire da qualcuno. Fino ad allora non si era resa conto di quanto fosse vera quell'affermazione. Anzi, le sembrava quasi una presa in giro per giustificare i brutti scherzi che il destino era solito giocare alle persone. In particolare non era mai riuscita a capire il recondito motivo alla base degli avvenimenti principali che si erano susseguiti nella sua vita.

    I suoi genitori erano morti in un drammatico incidente quando lei aveva ventun anni e Stephanie si era chiesta spesso quale ragione avesse potuto mai avere Dio per strapparglieli in un modo così tragico. Essendo figlia unica, non aveva

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