L erede del milionario: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Elizabeth Lane
Nata e cresciuta nello Utah, ama riversare nei suoi romanzi le esperienze e le conoscenze acquisite nel corso di numerosi viaggi in tutto il mondo.
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Anteprima del libro
L erede del milionario - Elizabeth Lane
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Santana Heir
Harlequin Desire
© 2013 Elizabeth Lane
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-018-0
1
Urubamba, Perù, 21 gennaio
Emilio Santana fissò la cartelletta aperta sulla scrivania in mogano massiccio, scrivania che apparteneva al capo della famiglia Santana da sette generazioni. Fino a due settimane prima, quella scrivania era appartenuta a suo fratello. Ora era sua.
Emilio era ancora scosso per la morte di Arturo avvenuta in un tragico incidente stradale. Ma il vasto impero commerciale dei Santana non poteva aspettare l’elaborazione di nessun lutto. Catapultato nella posizione di nuovo jefe, Emilio aveva un sacco di cose da imparare... e non molto tempo per farlo. Non aveva mai aspirato a questo genere di responsabilità. Ma adesso gli toccava. Per tutta la vita.
Era sempre stato Arturo a occuparsi di tutto. Mentre Emilio girava il mondo in jet, partecipava a feste con rock star e usciva con donne da far girar la testa, Arturo aveva gestito la proprietà di famiglia a Urubamba, gli uffici aziendali a Lima e il portafoglio di investimenti globali e proprietà varie che costituivano l’invidiabile patrimonio dei Santana. Posato e competente, Arturo era sempre stato pronto a togliere dai guai il fratello minore più scapestrato. Emilio ancora non si capacitava della sua prematura dipartita.
Dal funerale, Emilio aveva dedicato parecchio del suo tempo a esaminare le pratiche nello studio di casa di Arturo. Fatture, contratti, corrispondenza d’affari. Era parecchio materiale da assimilare, ma non aveva trovato nulla fuori dall’ordinario.
Finora.
La cartelletta giallognola, contrassegnata dalla scritta Personale, era in uno dei cassetti del mobiletto classificatore. Dentro, Emilio aveva trovato la busta di una raccomandata indirizzata ad Arturo e inviata da Tucson, Arizona, dieci mesi prima. All’interno, su un foglio piegato in quattro, c’era una lettera su carta non intestata, vergata da una sicura mano femminile.
10 marzo
Egregio signor Santana,
mi rattrista doverla informare che la mia sorellastra, Cassidy Miller, è spirata il primo marzo di quest’anno a causa di un tumore al cervello...
Cassidy morta? Ma come poteva essere? Emilio fissò la pagina incredulo. Cassidy era così bella, così piena di vita e allegria. Modella con un debole per le feste, Cassidy Miller era impegnata in un servizio fotografico quando Emilio l’aveva conosciuta. Terminato di posare, lui l’aveva invitata insieme a diverse sue colleghe a trascorrere qualche giorno nella tenuta di Urubamba. Un’occhiata ad Arturo e la ragazza aveva annullato un incarico imminente per restare con lui. Durante le cinque settimane che avevano passato insieme, il fratello di Emilio era parso felice come non mai. Poi Cassidy era sparita dalla sua vita. Emilio gli aveva chiesto il perché, ma se anche lo sapeva, Arturo non glielo aveva mai detto.
Ricacciando indietro una certa emozione, Emilio continuò a leggere.
So che la notizia le giungerà come un fulmine a ciel sereno. Il fatto è che Cassidy mi aveva pregato di non dirle nulla della sua malattia. Ma ora che lei non c’è più, mi sento in dovere di scriverle per un altro motivo. Negli ultimi giorni della sua esistenza, Cassidy ha dato alla luce un bambino. Dato che è nato il ventisei febbraio, ovvero nove mesi da quando è stata sua ospite in Perù, ho ragione di credere che il figlio sia suo.
Stia tranquillo. Non sto scrivendo per accampare pretese sul suo patrimonio o sulle sue proprietà. Di fatto, se è d’accordo, vorrei prendermi cura io del bambino. Il piccolo Zac, così l’ha chiamato Cassidy, sarà accudito amorevolmente da me. L’ho portato a casa e mi piacerebbe tanto poterlo crescere come se fosse mio. Il mio avvocato mi ha suggerito di informarla della nascita del piccolo e di chiedere il suo consenso prima di intraprendere i vari passi per adottarlo.
Allego il mio biglietto da visita. Se non dovessi sentirla, ne desumerò che non ha alcun interesse nel bambino e procederò con l’adozione.
Cordiali saluti,
Grace Chandler
Emilio rilesse la lettera incredulo. Cassidy se ne era andata per sempre. Ma Arturo aveva lasciato un figlio... un figlio che aveva tenuto segreto. Perché?
Cercando delle risposte, Emilio spiegò un secondo foglio di carta, che era una fotocopia della risposta di Arturo.
31 marzo
Gentile signorina Chandler,
le mie condoglianze per la perdita patita. Può adottare il bambino a condizione che non abbia alcun futuro contatto con la famiglia Santana, né che rivendichi alcun diritto riguardo al patrimonio dei Santana. Ho in programma di sposarmi presto e di mettere su una famiglia tutta mia. La comparsa di un figlio illegittimo causerebbe dolore e imbarazzo, entrambe cose che desidero evitare a tutti i costi.
Se posso confidare nel fatto che comprenderà la mia posizione e soddisferà le mie richieste, lascerò completamente la questione nelle sue mani.
Distinti saluti,
Arturo Rafael Santana y Morales
Emilio studiò la lettera. Il linguaggio suonava brusco, se non freddo e distaccato. Ma Arturo era spesso apparso freddo e distante dopo che Cassidy se ne era andata. E anche prima che lei entrasse nella sua vita, aveva sempre anteposto gli interessi di famiglia ai suoi sentimenti personali. Al momento in cui le aveva scritto la lettera, si era fidanzato con Mercedes Villanueva, figlia di un benestante vicino. Il matrimonio non aveva mai avuto luogo, ma ora Emilio comprendeva bene che, prima di fare il grande passo, Arturo aveva voluto mettersi al riparo da eventuali interferenze da parte di un figlio illegittimo.
Illegittimo. Che orribile termine per una creatura innocente. Voltandosi, Emilio guardò fuori dalla finestra, che offriva una vista privilegiata sulla tenuta dei Santana. Ubicata nella lussureggiante Valle Sacra degli Incas, la proprietà terriera apparteneva alla sua famiglia dal 1600 quando il conquistador spagnolo Miguel Santana l’aveva avuta quale concessione reale. Santana aveva sposato una principessa Inca e si era calato in una vita da gentiluomo di campagna. Le riforme terriere degli anni Sessanta del novecento avevano dato un bel taglio alla concessione originale, ma il cuore della tenuta era rimasto ai Santana, come pure l’enorme patrimonio da sempre oculatamente gestito.
Certo, la sventura pareva essersi accanita contro la loro famiglia. Il primo dei fratelli di Emilio era morto per una malattia infantile. Ora che era venuto a mancare anche Arturo, Emilio era l’ultimo maschio rimasto in famiglia. A meno che non si fosse sposato e avesse generato un erede, prospettiva che vedeva peggio di una condanna all’ergastolo, i beni di famiglia avrebbero potuto essere confiscati dal governo oppure suddivisi fra i suoi lontani parenti.
Emilio rilesse entrambe le lettere. Arturo non avrebbe mai voluto mettere al mondo un figlio al di fuori dal vincolo coniugale. L’impulsiva Cassidy doveva averlo colto alla sprovvista, senza contraccettivi. Ma ciò che contava adesso era che Arturo aveva lasciato un figlio... un maschietto che, ormai, doveva avere quasi un anno.
Legittimo o no, Emilio non avrebbe mai voltato le spalle al sangue del suo sangue. Specialmente quando quel bimbo avrebbe potuto essere la soluzione per preservare la stirpe dei Santana. Forse questa Grace Chandler era disponibile a qualche tipo di accordo. Diversamente, aveva tutti i mezzi per far valere i diritti della sua famiglia.
Scrivere e telefonare avrebbe solo complicato le cose. L’indomani sarebbe partito per l’Arizona.
Tucson, Arizona
«Sai che è l’ora della pappa, bel bambino?» Grace sollevò Zac dal passeggino e lo portò in casa. A undici mesi, cominciava a diventare pesante. Presto avrebbe imparato a camminare. Allora sì che sarebbero stati guai.
Dopo averlo messo sul seggiolone, Grace si lavò le mani, gli diede qualcosa da sgranocchiare e lo tenne d’occhio mentre mangiucchiava. Il figlio di Cassidy era un vero tesoro, con dei riccioli color ebano e un paio di vivaci occhietti castani da sciogliere il cuore. La carnagione olivastra l’aveva indubbiamente ereditata dal padre peruviano, ma quando Grace lo guardava, era Cassidy che le pareva di rivedere.
Fin da quando aveva appreso che Cassidy era incinta e che non avrebbe potuto crescere il figlioletto, Grace aveva pianificato di adottare il bimbo. Le scartoffie burocratiche avevano richiesto mesi, ma adesso l’attesa era quasi giunta al termine. Nel giro di qualche settimana avrebbe ultimato il processo che avrebbe reso Zac suo figlio a tutti gli effetti. L’unico figlio che avrebbe mai potuto avere.
Splat! Uno schizzo di carota cotta e frullata le atterrò sulla guancia, appiccicandosi lì. Zac sghignazzò, mostrando così i suoi nuovi dentini. Lanciare il cibo era la sua più recente scoperta, e lo sapeva fare bene.
«Questa sì che è mira, campione. Più avanti, dovresti darti al baseball.» Ridendo, lo sfilò dal seggiolone e gli slacciò il bavaglino. «È il momento di lavarci. Su, andiamo.»
Se una metà del cibo aveva trovato la via fino alla bocca di Zac, l’altra metà gli si era fermata sul viso e sulle mani. Passando davanti allo specchio del corridoio, Grace colse l’immagine riflessa di lei e del bimbo che teneva in braccio. Pareva che fossero reduci da una battaglia in cui si erano lanciati a vicenda passato di carote. Nei pochi istanti che le ci erano voluti per attraversare la modesta cucina, infatti, lui le aveva macchiato il davanti della maglietta bianca e impregnato di pappa una ciocca di capelli. Fra la consueta corsa mattutina e il pasto di Zac, era tutta sudata e appiccicosa. Non appena la piccola peste si fosse addormentata per il solito pisolino, si sarebbe ficcata sotto la doccia.
Grace stava giusto entrando in bagno con il bambino in braccio quando suonarono il campanello.
Che razza di tempismo... Probabilmente era un venditore porta a porta o qualche altro seccatore simile. Forse, se non rispondeva, se ne sarebbe andato.
Ma il campanello suonò di nuovo, stavolta con maggiore insistenza. Con un sospiro di rassegnazione, Grace si sistemò il bambino sul fianco sinistro, marciò verso la porta d’ingresso e la spalancò.
L’uomo alto e moro sotto al portico era un perfetto estraneo. Ma Grace indovinò la sua identità grazie alle fotografie che aveva visto sulle riviste di gossip del supermercato in cui era ritratto solitamente al fianco di attrici o modelle. Il Playboy Peruviano, lo aveva definito uno di quei periodici scandalistici.
Il fratello di Arturo Santana non doveva essere certo passato per salutarla. Grace accusò un nodo allo stomaco mentre incontrava i suoi occhi penetranti. Emilio Santana, intuì, era venuto per una ragione ben precisa. E quella ragione doveva avere a che fare con Zac.
Stringendo a sé il bambino, Grace si apprestò ad affrontare dei guai.
Lo sguardo di Emilio si posò prima sulla donna e poi sul bambino. Lei aveva un fisico atletico, delle gambe abbronzate che partivano dalle scarpe da jogging bianche per infilarsi in un paio di attillati shorts neri. Delle bionde ciocche di capelli le erano sfuggite dalla fascia tergisudore per penzolarle attorno al viso sporco di carote, e i suoi grandi occhi nocciola, che erano il lineamento che più spiccava in lei, tradivano una manifesta diffidenza. Con la sua pelle dorata e l’atteggiamento di sfida, gli ricordava una leonessa impegnata a difendere il suo cucciolo.
In quanto al bambinetto, be’, qualcosa gli toccò il cuore mentre lo studiava. La carnagione scura tipicamente sudamericana era uguale a quella di tutti i suoi familiari, ma scorgeva anche tracce di Cassidy. Seppur bisognoso di una ripulita, il bimbo era perfetto.
Dunque, era questo il figlio di Arturo.
Emilio ritrovò la voce. «Grace Chandler? Sono Emilio Santana.»
«So chi è.» Le braccia le si serrarono possessivamente attorno al piccolo. «La domanda è: cosa ci fa qui?»
«La risposta potrebbe richiedere un po’ di tempo. Posso entrare?»
«Certo.» Nonostante il tono cortese, lei era visibilmente nervosa mentre si faceva da parte per cedergli il passo. La casa era piccola ma arredata con gusto e tenuta bene. Emilio non vide nulla che testimoniasse la presenza di un uomo, e la donna non indossava anelli. Ottimo, questo avrebbe semplificato le cose.
«La prego, si accomodi» disse lei, indicandogli con un cenno del capo una poltrona in pelle. «Quando ha suonato il campanello, stavo accingendomi a lavare Zac e a cambiarlo. Se vuole scusarmi...»
«Faccia pure con comodo. Posso aspettare.»
Mentre lei si defilava, Emilio prese posto in poltrona. Le era grato per avergli concesso la possibilità di riordinare i pensieri. La vista del figlio di suo fratello lo aveva scosso, e stava ancora riprendendosi dall’emozione. Ma una cosa gli era chiara. Il piccolo Zac era il suo ultimo legame con Arturo e rappresentava la garanzia per Emilio che – si fosse sposato o meno – la stirpe dei Santana sarebbe continuata. Non sarebbe tornato in Perù senza di lui.
In quanto alla zia del piccolo, era riuscito a svolgere qualche ricerca online durante il volo privato da Lima. Grace Chandler, aveva appreso, era un’affermata illustratrice di libri per l’infanzia. Il sito