Un chirurgo in motocicletta: Harmony Bianca
Di Amy Andrews
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Reid non aveva previsto che quella piccola, inaspettata famiglia riportasse la felicità nella sua monotona vita, ma adesso ciò che desidera di più al mondo è che Trinity e Oscar abbiano tutto l'amore che meritano.
Amy Andrews
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un chirurgo in motocicletta - Amy Andrews
successivo.
1
Quel giorno non era iniziato bene per Trinity Walker. In una vita caratterizzata da continue difficoltà era come una goccia nell'oceano, ma l'accumulo di giornate no cominciava a farsi sentire.
Trinity aveva solo ventiquattro anni, ma all'improvviso si sentì antica.
Mancavano tre giorni. Il lunedì le avrebbero accreditato i soldi del sussidio governativo e Oscar sarebbe andato a scuola per la prima volta. Finalmente ci sarebbe stato un po' di ordine nelle loro vite.
Avrebbe avuto qualche ora libera da dedicare a un lavoro che le permettesse di avere un'entrata fissa, invece di contare sempre soltanto sul sussidio del Governo.
Farsi ospitare da conoscenti, alloggiare in alberghi mediocri, pagare per una casa in condivisione... per non parlare delle notti trascorse nella vecchia Mazda, non erano vita. Né per lei, né per il figlio di cinque anni.
Qualche volta le capitava di trovare un lavoro con alloggio incluso. Ma di solito non durava molto. Quasi sempre a causa delle condizioni di salute di Oscar.
Il giorno prima invece aveva perso la casa per colpa dell'Orrendo Todd. Il suo capo, grosso, brutto, con la barba, e il corpo ricoperto di tatuaggi, che guidava la moto e puzzava di colonia a buon mercato e di grasso del motore. Le aveva annunciato all'improvviso che preferiva essere pagato per l'alloggio. Ma non alludeva a un pagamento in denaro.
Aveva parlato di accordo... E lei se n'era andata.
Bastardo. Per quale motivo doveva insidiare una madre single stanca e stressata e che non era nemmeno un granché?
Trinity era alta uno e sessantadue, aveva capelli castani sottili, che le ricadevano mollemente lungo la schiena, ed era decisamente troppo magra.
Non come una modella, ma come una donna che non riposava mai e che da cinque anni doveva lottare costantemente per tirare la fine del mese.
Un tempo era stata graziosa, ma perfino la Fata Madrina avrebbe fatto un salto indietro nel vedere le sue condizioni attuali.
Era passato così tanto tempo da quand'era solita considerarsi attraente, che rimaneva stupita ogni volta che qualcuno lo pensava. Come l'Orribile Todd, per esempio.
Ed eccola lì. Di nuovo senza casa.
Una mano gelida le stringeva il cuore. Era preoccupata per il benessere del bambino. Quella paura, sempre presente, la sopraffaceva. Ci sarebbe mai stata una pausa?
Magari per una notte avrebbe potuto approfittare ancora del divano di Raylene. Potevano andare da lei dopo cena e andarsene la mattina prima di colazione, così che l'amica non si dovesse sentire in dovere di offrire loro da mangiare.
«Guarda, mamma! Le anatre hanno fame.»
Trinity cercò di liberarsi dai lacci dell'ansia. Se ne stava seduta su una panchina a due metri da Oscar, intento a giocare sulla riva del laghetto. Avrebbe voluto tenerlo d'occhio, ma si era distratta. «Sì, tesoro» mormorò e gli sorrise.
Lo stomaco le borbottava per la fame. Accennò un sorriso al vecchio che si trovava in piedi accanto a suo figlio sulla riva del lago. Era arrivato pochi minuti prima con un sacchetto di pane e Oscar lo aveva seguito incantato, come fosse stato il Pifferaio Magico.
L'uomo l'aveva salutata, poi aveva guardato Oscar, che gli aveva timidamente chiesto se poteva restare a osservarlo, mentre nutriva gli animali.
«Guardarmi?» aveva domandato il vecchio, aggrottando le sopracciglia e scoppiando in una gran risata. «Accidenti, piccolo, puoi darmi una mano!»
Oscar si era mostrato raggiante e Trinity era stata sul punto di scoppiare in lacrime. Strano. Non era da lei piangere. Le lacrime non potevano dare un tetto a suo figlio e non gli avrebbero procurato da mangiare. Ma si sentiva talmente giù, dopo la lite con l'Orribile Todd, che quel semplice atto di gentilezza le aveva ridato fiducia nel genere umano.
Quell'uomo doveva avere all'incirca ottant'anni. Aveva spalle incurvate e vestiti che gli cadevano addosso, come avesse perso peso di recente. Ma Trinity riusciva a immaginare che una volta fosse stato imponente. Vicino a Oscar sembrava un gigante.
Il suo cuore traboccava d'amore per il figlio. Oscar era tutto il suo mondo. La luna e le stelle. Era la ragione per cui continuava a svegliarsi la mattina e a sforzarsi di sopravvivere, quando sembrava non esserci alcuna speranza. Quel bambino le aveva cambiato la vita, impedendole di finire male.
Si sentiva morire al pensiero di tutte le volte in cui era stata sul punto di perderlo. Era nato di ventisei settimane, con polmoni piccoli e una malformazione al cuore. Aveva trascorso sei mesi in Terapia Intensiva Neonatale ed era stato sottoposto a due operazioni importanti.
Prima di poter essere mandato a casa, attaccato a una bombola di ossigeno, aveva dovuto trascorrere altri tre mesi in ospedale. Successivamente ogni raffreddore e influenza lo avevano debilitato al punto di dover tornare più volte in Terapia Intensiva.
Trinity aveva vissuto per cinque anni in un perenne stato d'ansia. Ma erano sei mesi che Oscar non si ammalava e lei cominciava a sperare che i suoi polmoni fossero cresciuti, come gli specialisti avevano predetto.
Un gruppo di tre adolescenti, che a quell'ora avrebbero dovuto trovarsi a scuola, si stava arrampicando sulle strutture del parco alle sue spalle. Troppo cresciuti per quei giochi, ridevano sguaiatamente e parlavano a voce troppo alta.
Il pane era finito. Oscar era tornato da lei e aveva cominciato a raccontare eccitato.
L'uomo anziano gli fece un cenno di saluto. «Ci vediamo, alligatore!» e Oscar scoppiò a ridere, neanche fosse stata la battuta più divertente del mondo.
«Sì, coccodrillo...» gridò, saltellando da un piede all'altro, in direzione dell'uomo che si allontanava.
Trinity sorrise, stringendo contro di sé il corpo magro del figlio. I suoi capelli biondi e sottili le sfiorarono il viso. Mancavano solo tre giorni. Poteva farcela.
Un urlo interruppe l'abbraccio e si voltarono entrambi, per vedere che cosa stesse succedendo.
Gli adolescenti stavano spintonando il vecchio in tutte le direzioni.
«Che cosa fanno, mamma?» le chiese Oscar preoccupato.
Il vecchio fu sul punto di cadere e Trinity fu percorsa da un fremito. Come osavano? Erano nel parco di un quartiere per bene... si supponeva fosse un posto sicuro. Per questo aveva parcheggiato lì davanti la sera prima. Quei ragazzi erano teppistelli.
«Smettetela» affermò l'uomo risentito. «Non avete il diritto...»
«Possiamo fare quello che vogliamo, vecchio!»
Il cuore di Trinity iniziò a battere forte. Quei ragazzi, e tutti i Todd del mondo, pensavano di poter fare quello che volevano...Si guardò intorno. Non c'era nessun altro. Appoggiò Oscar sulla panchina. «Tesoro, voglio che tu rimanga qui e non ti muova. Mi hai sentito? Devi rimanere immobile.»
Le dita di Oscar le strinsero il braccio. «Come quando devo fare la flebo, mamma?»
Trinity non sopportava l'idea che buona parte della vita del figlio si fosse svolta tra medici, ospedali, aghi e sofferenza. Quel pensiero aumentò la sua rabbia.
«Sì» mormorò, dandogli un bacio sulla fronte. «La mamma tornerà tra un minuto.»
Si alzò e si avvicinò al gruppo. «Oi!» gridò seria. «Smettetela immediatamente.»
I tre, presi alla sprovvista, ubbidirono subito. Lei si avvicinò con gli occhi che brillavano e il sangue che pulsava nelle vene. Era furiosa, ma perfettamente lucida. Avevano scelto la persona sbagliata per attaccare briga.
Quando si accorsero da chi proveniva la richiesta, i bulli scoppiarono a ridere. «Oh, davvero?» domandò sogghignando il più grosso del gruppo. «E che cosa farai, se non ubbidiamo?»
«Vi metterò al tappeto.»
Il vecchio, con i capelli bianchi scompigliati, appariva confuso. «È tutto a posto, cara...» mormorò piano. Era davvero una persona per bene.
Seguirono risate isteriche. Poi uno dei ragazzi la fissò negli occhi e diede uno spintone al vecchio in mezzo al petto.
«Ma dico!» reagì l'uomo con voce che tremava per la rabbia, provocando risate nel gruppo.
L'ira che Trinity aveva cercato di contenere esplose all'improvviso. Afferrò la mano del ragazzo più grosso, che stava per dare un'altra spinta al vecchio, e con un solo movimento lo mise schiena a terra, torcendogli il braccio e premendogli un piede sulla gola.
I suoi amici spalancarono gli occhi, mentre lui gemeva disteso e cercava di afferrare il piede di Trinity con la mano libera. Trascorsero un paio di secondi, prima che qualcuno reagisse, poi uno del gruppo si fece avanti sbuffando. Trinity era pronta... Gli assestò un pugno nel plesso solare e lo gettò a terra.
Guardò il terzo con aria interrogativa. «Vuoi provarci anche tu?» domandò in tono gelido. «Sarà meglio che ve ne andiate» sbottò poi, torcendo il braccio del primo ragazzo, senza togliergli il piede dalla gola. Estrasse il telefonino dalla tasca. «Chiamerò la Polizia.»
I tre non se lo fecero ripetere e se la diedero a gambe.
Solo allora Trinity si rese conto di quanto velocemente battesse il suo cuore. Si voltò verso Oscar, che la stava osservando con gli occhi sgranati, si precipitò da lui e lo prese in braccio con mani tremanti. «Sei un supereroe, mamma...» mormorò affascinato il bambino.
Lei scoppiò a ridere. Era un bimbo che aveva trascorso tre quarti della vita in ospedale e di conseguenza aveva visto un sacco di cartoni animati. E quelli dei supereroi erano tra i suoi preferiti. «Avanti...» lo esortò allegra. «Andiamo a vedere come sta il tuo amico.»
Il vecchio aveva quasi raggiunto la strada, dove lei aveva parcheggiato la macchina. Si muoveva con esitazione, guardandosi intorno di continuo.
Trinity mise Oscar a terra e cercarono di raggiungerlo, camminando e correndo. «Scusi...» lo chiamò, senza ottenere risposta. «Scusi, signore...»
L'uomo anziano si voltò verso di loro con espressione confusa. Poi notò Oscar. «Sta bene?» domandò Trinity.
«Come?» domandò lui, scompigliando i capelli al bambino. «Oh, sì. Grazie, cara. Stavo soltanto...» Si guardò intorno, come se non sapesse dove si trovava. «Non sono sicuro di sapere perché sono qui. Sa dirmi dove mi trovo?»
Trinity aggrottò le sopracciglia. Era rimasto sconvolto dall'incidente con i ragazzi? «Siamo a Monno Park» spiegò, mettendogli gentilmente una mano sul braccio. «È venuto per dar da mangiare alle anatre.»
L'uomo rimase a fissare il laghetto. «Oh, davvero?»
«Abita qui vicino?»
Lui fissò le case dall'altra parte della strada. «Credo... di sì» rispose, aggrottando le folte sopracciglia.
Trinity si sentì preoccupata. Poteva trattarsi di demenza? «C'è qualcuno che posso avvisare?»
«Oh, sì» rispose il vecchio, illuminandosi in viso. «Mio nipote, Reid Hamilton.»
«D'accordo» affermò Trinity in tono incoraggiante. «Conosce il numero?»
Il vecchio apparve di nuovo confuso. «Lavora ad Allura, l'ospedale dei veterani» replicò con orgoglio. «È un medico.»
«Bene» dichiarò Trinity più sollevata. Nemmeno la demenza era in grado di far scomparire l'orgoglio di un nonno. Per un attimo si sentì leggermente invidiosa. «Proviamo a cercarlo.»
Quando però chiamò l'ospedale, domandando di Reid Hamilton, non si sentiva per niente tranquilla. Chi poteva assicurarle che il vecchio le avesse dato un'informazione corretta? Forse avrebbe fatto meglio