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Legami indissolubili (eLit): eLit
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E-book151 pagine1 ora

Legami indissolubili (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO

Glory Dixton ha spesso pensato che le sue doti di sensitiva siano una maledizione più che un dono, almeno fino alla notte in cui ha sentito che qualcuno, un uomo, aveva bisogno di lei. Wyatt Hatfield è infatti rimasto vittima di un incidente d'auto, ma una trasfusione del sangue donato tempestivamente da Glory gli salva la vita. E da quel momento un legame invisibile ma fortissimo vincola l'uno all'altro, tanto che, senza bisogno di parole, riescono a capire i reciproci sentimenti. E le paure...
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2019
ISBN9788830500242
Legami indissolubili (eLit): eLit
Autore

Sharon Sala

"Ho cominciato a scrivere per me stessa racconta Sharon poi ho capito che le mie storie erano catartiche anche per chi le leggeva." Così, dopo una vita molto travagliata, ha conquistato le lettrici di tutto il mondo. "Perché il successo nasce dentro di noi."

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    Anteprima del libro

    Legami indissolubili (eLit) - Sharon Sala

    successivo.

    1

    È tutta colpa tua. Mi hai abbandonata... abbandonata... abbandonata.

    Wyatt Hatfield si agitò sul sedile e strinse forte il volante, cercando di distinguere la strada attraverso i fiocchi di neve e di ignorare al contempo il ricordo delle accuse della ex moglie. Shirley e la sua carriera militare appartenevano al passato.

    Si era imbarcato mesi prima in quella sorta di viaggio esistenziale al solo scopo di trovare nuovi obiettivi e motivazioni. Aveva sistemato i problemi di Antonette con poco più di una telefonata. Perché - si chiedeva - non riusciva a risolvere i propri? E poi sorrise ripensando a come si era infuriata la sorella per la sua intromissione.

    «Perlomeno sono nelle sue grazie, adesso» bofonchiò. Ma poi si lasciò sfuggire un'imprecazione allorché gli slittò la macchina.

    Gli batteva ancora forte il cuore quando decise di concentrarsi su questioni più pressanti, tipo la tormenta in cui si era avventurato. I tergicristallo stridevano contro la sottile pellicola di ghiaccio che rivestiva il parabrezza, sparpagliando ai lati la neve, mentre il riscaldamento e lo sbrinatore facevano il possibile per mantenere caldo l'interno della vettura. Ma pur cercando di concentrarsi sulla guida, Wyatt continuava a risentire la voce di Shirley.

    Quando avevo bisogno di te, non c'eri mai...

    «Accidenti, Shirley, lasciami in pace» sbottò esasperato. «Avevo torto io e ragione tu. Non ti basta?»

    L'auto tornò a slittare sul ghiaccio e Wyatt tolse il piede dall'acceleratore, assecondando il movimento delle ruote sino a raddrizzarle.

    Aveva fatto male a non fermarsi nell'ultimo centro abitato e lo sapeva. Il tempo, però, non gli era sembrato tanto brutto e il fatto di raggiungere Lexington, Kentucky, in nottata gli era sembrato più importante di quanto non gli paresse adesso. A peggiorare le cose, per via della bufera di neve non era nemmeno sicuro di trovarsi ancora sulla strada giusta. Il fioco bagliore dei fari illuminava appena ciò che restava della strada e solo l'istinto impediva a Wyatt di precipitare giù per il versante montagnoso.

    Poi, da dietro una curva si stagliò improvvisa la sagoma scura e massiccia di un grosso camion a rimorchio che slittava e sbandava come aveva fatto lui solo pochi minuti prima.

    E di colpo non vi fu più tempo per recriminare.

    Aggrappandosi al volante, Wyatt cercò con ogni mezzo di evitare il camion impazzito ma sapeva ancor prima dell'impatto che si sarebbero scontrati.

    «Che Dio ci aiuti» mormorò intuendo che non v'era scampo.

    E in quel preciso istante il muso del camion entrò in collisione con la fiancata della sua vettura. Peso e mole soppiantarono l'abilità di manovra. L'urto spedì Wyatt e la sua automobile sull'altro alto della strada e giù per il pendio innevato. L'ultima cosa che vide fu la bellezza dei pini che scintillavano bianchi e maestosi nella luce dei fari. Per fortuna non sentì l'impatto contro la prima fila d'alberi o quella successiva, né si accorse di quando l'auto si rovesciò sul fianco per poi capottare e sbattere ormai contorta e fumante contro un immenso pino argentato.

    Non sentì nemmeno il camionista che, dal ciglio della strada, gridava giù per la montagna, invocando una risposta che non giunse mai...

    Il vento fischiava attraverso gli infissi della finestra. Anche nel sonno, Glory ne avvertì l'ululato e si tirò la coperta fin sul naso. Sentiva in lontananza il familiare borbottio del padre, Rafe, che russava. Era un suono caldo e rassicurante, che le trasmetteva un'idea di casa e di famiglia. In fondo al corridoio, il fratello di Glory, J.C., dormiva con l'accompagnamento di una stazione radiofonica di musica jazz.

    Lasciandosi cullare da quei suoni, Glory si girò sul fianco e sorrise. Ma mentre il suo subconscio scivolava nell'oblio, fu colta da un brivido e sussultò con violenza. Non v'era scampo per ciò che venne dopo, nemmeno nel sonno...

    Occhi! Occhi scuri, grandi, spaventati! Camicia rossa! No... camicia bianca coperta di sangue! Sangue dappertutto e dolore, tanto dolore!

    Spalancando gli occhi, Glory si sollevò a sedere sul letto e accese la luce, senza notare la familiarità della stanza o la neve che dall'esterno premeva contro i vetri della finestra. Il suo sguardo era fisso sull'immagine che le proiettava la propria mente. Un incubo. L'incubo di qualcun altro.

    Bianco. Freddo, così freddo! Neve dappertutto... su tutto. Non respiro! Non vedo! Non sento! Oh, Dio, non farmi morire!

    Con un singhiozzo soffocato, Glory gettò via le coperte e, attraversando la stanza a piedi nudi, si lanciò lungo il corridoio e nella camera del padre. Per un attimo esitò accanto al letto, ascoltando il suo quieto russare e dolendosi per ciò che stava per fare. Ma non poteva ignorare il proprio istinto.

    «Papà...»

    Rafe Dixon si ridestò di soprassalto. Aveva già sentito altre volte quel particolare tremolio nella voce della figlia. Si rigirò nel letto e alzò lo sguardo. «Glory, tesoro, che cosa c'è?»

    «Dobbiamo andare, papà. Sta morendo. Dobbiamo aiutarlo.»

    Rafe gemette. Non dubitava di Glory né si sarebbe mai sognato di farlo, ma sapeva anche che fuori infuriava una tormenta e che scendere da quella montagna per raggiungere Larner's Mill avrebbe potuto costare la vita a tutti loro. «Ma figliola, la bufera...»

    «Ce la faremo, babbo. Ma lui, no.»

    Colpito da quell'assoluta certezza, Rafe si alzò di scatto e incominciò a vestirsi. «Va' a chiamare tuo fratello, su» ordinò.

    «Sono qui, papà. Ho sentito.»

    Sbucando dal corridoio, J.C. passò un braccio intorno alle spalle della sorella minore. «Com'era, piccola? Brutto?» Quando la vide annuire, si staccò all'istante e andò a infilarsi jeans e maglione. «Ci penso io a scaldare il furgone» gridò mentre si allontanava.

    Rafe guardò la figlia. «Copriti» si raccomandò. «Fa un freddo cane.»

    Assentendo distratta, Glory corse a vestirsi. La fretta la faceva tremare in modo convulso ma la sua risolutezza era salda.

    Qualche minuto dopo, i Dixon uscirono di casa e sfidarono la tormenta. J.C. prese in braccio la sorella e la portò sino al furgone in attesa. Lei rabbrividì mentre si aggrappava alle sue spalle, ancora persa nella visione che aveva dinanzi agli occhi. E mentre vedeva... pregava.

    «Non ce la faremo mai!» si lamentò l'autista dell'ambulanza mentre lottava per tenere la strada.

    «Accidenti, Farley, piantala di blaterare e guida! Dobbiamo farcela! Altrimenti non ce la farà lui

    Luke Dennis, il giovane paramedico cui era toccata quella notte da lupi, era ricoperto di sangue. Gli grondavano d'acqua i vestiti e aveva gli stivali pieni di neve. L'ultima cosa che voleva sentire era l'ennesima iattura. Lui e Farley avevano lavorato troppo e troppo a lungo pur di estrarre la vittima dalla vettura e trasportarla su per la montagna per rinunciare proprio adesso.

    «Forza, amico, resisti» borbottò Dennis mentre controllava la flebo.

    Un flusso ininterrotto di sangue filtrava tra i capelli e sul volto della vittima, chiazzandone di rosso i bei lineamenti. Era impossibile stabilire quante ossa si fosse rotto quell'uomo e in ogni caso non erano quelle a preoccupare Dennis. Se non avessero ricoverato in tempo quel poveraccio, sarebbe stata l'emorragia interna a provocarne la morte.

    «Vedo delle luci!» gridò Farley.

    Grazie a Dio, pensò Dennis. E si aggrappò poi al paziente in barella, tenendolo fermo mentre l'ambulanza tagliava l'ultima curva. Qualche secondo dopo, davanti alla porta del pronto soccorso, lui e Farley scaricavano un uomo la cui unica speranza di vita dipendeva dall'abilità delle persone che lo aspettavano all'interno.

    Prima di diventare primario di quel piccolo ospedale di provincia, Amos Steading aveva prestato servizio come ufficiale medico in Vietnam. Quando vide Wyatt Hatfield entrare in barella nel suo pronto soccorso, si accorse d'aver esercitato più a lungo di quanto non fosse stato in vita quel disgraziato. Era sempre brutto perdere un paziente, ma per quelli più giovani era ancora più difficile da accettare.

    «Che cosa abbiamo?» domandò abbassando lo sguardo sulle ferite.

    «Brutta storia, dottore» rispose Dennis. «Maschio di trentaquattro anni. Ex Marine. Porta ancora le piastrine di riconoscimento. È stato travolto da un camion ed è finito con l'auto giù per la Tulley's Mountain. Non pensavo che saremmo riusciti a tirarlo fuori di lì. Ha riportato numerose ferite alla testa e, da una prima palpazione dell'addome, temo che sia in corso un'emorragia interna. Dall'esame esterno sono risultate almeno quattro costole rotte e la gamba destra è conciata maluccio anche se è difficile stabilire che cosa vi sia di rotto. Abbiamo dovuto segare un albero per estrarlo dall'auto.» Inspirò a fondo mentre s'infilava con la barella in sala emergenze. «Dimenticavo. È alla sua terza sacca di soluzione salina.»

    Steading inarcò un sopracciglio mentre si sfilava lo stetoscopio dal collo. Per Dio, quell'uomo si stava dissanguando sotto i loro occhi! Qualche minuto dopo, il medico incominciò a sparare ordini a destra e a sinistra. «Determinate il gruppo sanguigno. Presto» gridò.

    Fu allora che Luke Dennis fornì l'ultima informazione sul paziente. «Secondo le piastrine, è AB negativo.»

    Amos imprecò sommesso mentre continuava a lavorare. I gruppi sanguigni rari erano del tutto sconosciuti in quella placida cittadina di milleottocento anime. Inutile sperare che la loro banca del sangue avesse qualcosa del genere, e il plasma a disposizione stava incominciando a scarseggiare.

    «Controllatelo lo stesso, quel gruppo» berciò Steading. «E procuratemi del plasma, dannazione! Le condizioni di quest'uomo vanno stabilizzate all'istante o morirà sotto i ferri.»

    L'ospedale si riempì d'urla, rumori e imprecazioni. Luke Dennis si ritirò in silenzio. Aveva fatto la propria parte. Il resto toccava al medico, al suo staff... e al buon Dio.

    Si avviò verso la porta per rifornire l'ambulanza, consapevole che la notte era ancora giovane.

    Era possibilissimo che qualche altro pazzo decidesse di sfidare la tormenta.

    Dennis si augurava soltanto che il prossimo incidente - se proprio doveva accadere - avesse come teatro la pianura anziché la montagna.

    Ma prima che potesse andarsene, si aprì la porta del pronto soccorso e tre persone si precipitarono dentro insieme a una folata di vento mista a neve.

    Glory tirò un sospiro di sollievo.

    Il primo ostacolo era stato superato.

    Ma il secondo già si profilava all'orizzonte.

    Liberandosi dalla stretta paterna, si rivolse al giovane paramedico che si era fatto da parte per lasciarli entrare.

    «Signore, per favore! Mi porti dal medico del soldato!»

    Dennis fissò la

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