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Un infermiera ribelle: Harmony Bianca
Un infermiera ribelle: Harmony Bianca
Un infermiera ribelle: Harmony Bianca
E-book155 pagine2 ore

Un infermiera ribelle: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Il cuore dell'infermiera Jaci Piermont aveva cessato di battere nell'istante in cui Ian Eddelton se ne era andato, dimostrando così che la bollente notte passata insieme non aveva avuto alcuna importanza per lui. Lasciarsi andare al dolore non era mai stata un'opzione, così Jaci si era rimessa in piedi e aveva imparato a contare solo sulle proprie forze. Adesso però Ian è tornato ed è più sexy e misterioso che mai, anche se i suoi occhi tradiscono un segreto che potrebbe renderlo incapace di amare di nuovo. La parte razionale di Jaci le ordina di tenersi alla larga da lui, ma il suo cuore ribelle è di tutt'altra opinione.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2019
ISBN9788830508231
Un infermiera ribelle: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un infermiera ribelle - Wendy S. Marcus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Craving Her Soldier’s Touch

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2013 Wendy S. Marcus

    Traduzione di Giacomo Boraschi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-823-1

    Prologo

    Ian Calvin Eddelton, Ice per i compagni d’armi, alzò lo sguardo sulla bionda bellezza con gli occhi azzurri che stava a cavalcioni sulle sue cosce nude con i palmi posati contro i suoi pettorali mentre lo respingeva sulle coperte del letto. Come se una donna così piccolina avesse potuto imporgli una posizione che non voleva.

    «Non sei obbligata» si costrinse a dire benché la ragione gli suggerisse di tacere.

    Era la prima volta che, in seguito a una scherzosa schermaglia degenerata in sfida sessuale, si ritrovavano entrambi senza vestiti. Doveva essere sicuro.

    Due occhi belli quanto determinati incontrarono i suoi. «Ma lo voglio.»

    Così la donna che non voleva che il sesso rovinasse la loro amicizia e l’uomo che non voleva che l’amicizia rovinasse il sesso stavano per fare sesso. Letteralmente.

    Ian le carezzò la pelle vellutata della natica perfetta, di solito nascosta da un paio di minuscoli shorts da corsa o da qualche sofisticato indumento aderente come una seconda pelle, avvicinandola al proprio membro già turgido, inguainato e pronto all’esplorazione. Per scoprire come darle piacere e utilizzare quella scoperta fino a farle gridare il suo nome. Come si era vantato di poter fare durante le loro schermaglie dense di allusioni sessuali. Ma perché? Perché proprio quella sera? Erano mesi che cercava di portarsela a letto e il giorno seguente sarebbe ripartito per l’Iraq.

    Lei sorrise. Dio, com’era bella. «Puoi considerarlo il mio omaggio all’esercito.»

    Lo stava stuzzicando.

    Ian le accarezzò le cosce. «Siamo migliaia.» Seguì la curva dei fianchi, risalendo fino ai seni. «Lo fai spesso?»

    Con i pollici le stimolò i turgidi capezzoli.

    Lei tremò leggermente. «Sei il primo fortunato» gli bisbigliò all’orecchio, sfiorandogli il petto con i seni generosi.

    Mosse i fianchi fino ad averlo pronto sulla soglia. Ian represse l’improvviso bisogno di dirle che non avrebbe dovuto esserci un secondo. Perché Jaci poteva fare quello che voleva. Non erano una coppia, potevano essere soltanto amici... anche se in quel momento i vantaggi collaterali gli sembravano molto attraenti. Alzò il bacino, offrendole un assaggio di quello che l’aspettava. «Così sembra che tu abbia un debole per i militari.»

    «Ho un debole per te, sergente» bisbigliò lei, leccandogli il contorno dell’orecchio con la punta della lingua come se non fosse già abbastanza eccitato. «Quando sarai sdraiato sulla tua branda nel cuore della notte, cercando di scordare gli eventi della giornata, voglio essere la tua oasi nel deserto, la calma che ti concilia il sonno.» Si sollevò un poco, mosse i fianchi e lo accolse profondamente. «Voglio che tu pensi a noi due. Così.»

    Il problema era proprio quello, pensò Ian. Smettere di pensare a loro due... così.

    Lei lo cavalcò lentamente, guardandolo negli occhi. I loro corpi erano in totale sincronia. «Voglio che tu faccia il tuo dovere e aspetti impazientemente il giorno in cui ti accoglierò a casa. Così.» Sottolineò le sillabe con due colpi di bacino prima di chinarsi ad abbracciarlo. «Mi mancherai.»

    Ian provò una stretta al cuore e simultaneamente una strana sensazione. Era colpevole? Perché, per evitare un lacrimoso commiato, intendeva squagliarsela di nascosto.

    Forse rimorso? Nel corso degli ultimi dieci anni era partito e tornato abbastanza volte per sapere che tutto poteva cambiare. Al suo ritorno, probabilmente l’avrebbe trovata in coppia con uno dei facoltosi uomini d’affari che suo fratello le presentava a getto continuo.

    O forse si trattava di tristezza per tutto quello che non poteva avere? In fin dei conti era militare di carriera e non voleva imporre a nessuna donna le sofferenze di sua madre come moglie di un ufficiale.

    No. Probabilmente la sua inquietudine dipendeva da tutte le fajitas che aveva mangiato a cena, perché Ian Eddelton non soccombeva mai all’emozione. Mai. Sul campo di battaglia l’emozione, come ogni altra distrazione, dava un vantaggio al nemico con la conseguente morte di uomini e donne. A livello personale l’emozione rendeva deboli e vulnerabili. Mai più. Ian costrinse Jaci a sdraiarsi e assunse il controllo, escludendo dalla mente ogni pensiero, a parte l’incredibile meraviglia che sentiva sotto di sé e tutt’intorno. Avrebbe passato le ore seguenti in paradiso... prima di tornare all’inferno.

    1

    Quasi tredici mesi dopo, sembrava che qualcosa non andasse per il verso giusto.

    Due tipi dall’aria poco rassicurante con calzoni sformati e larghe magliette uscirono dalla porta posteriore del decrepito edificio.

    Jaci Piermont, infermiera del Servizio Sanitario Sociale e direttrice del Centro di Accoglienza per Donne in Difficoltà, si fece piccina sul sedile della vecchia automobile che aveva preso in prestito dal centro, cercando di sparire nel buio. Anche alla luce del sole, quando entrava nella Nap Tower per visitare i pazienti, non andava mai da sola ed evitava di avvicinarsi alla porta posteriore. Tutti sapevano che là si trovavano spacciatori di droga e delinquenti di ogni genere.

    Ma quella sera pioveva. Anzi, diluviava. Sulla costa settentrionale degli Stati Uniti si aspettava un uragano e la Westchester County si trovava sulla sua rotta.

    Avevano scelto quella sera ritenendo che le vie sarebbero state deserte.

    Il cellulare di Jaci cominciò a squillare.

    Controllò il numero. Era Carla, vicedirettrice del Centro di Accoglienza.

    «Ciao» disse Jaci, sbirciando dal finestrino.

    «Dovresti essere qui da venti minuti» osservò Carla.

    «Non è ancora arrivata.»

    La persona in questione era Merlene K., una donna bianca di venticinque anni che cercava di sfuggire alla violenza del padre del suo bimbo non ancora nato. Non aveva familiari o amici in grado di proteggerla.

    «Per piacere, torna qui» suggerì Carla. «Se non segue il piano, non puoi aiutarla.»

    Un piano che avevano studiato da settimane. «Avevamo pensato a tutto.»

    Avevano perfezionato ogni particolare con il loro contatto che risiedeva nell’edificio. Controllato e ricontrollato l’orario di lavoro del boyfriend di Merlene. Distratto il complice, che sorvegliava Merlene mentre il boyfriend faceva il turno di notte. Una borsa per le povere cose della ragazza. Un cambio di vestiti e una parrucca perché lei potesse camuffarsi e sgusciare via inosservata.

    La porta fu aperta di nuovo. «Oh, no» gemette Jaci.

    «Che cosa succede?»

    «C’è Merlene. E non è sola.»

    Alla scarsa luce dell’unica lampadina funzionante sopra la porta, oltre il vetro del finestrino rigato di pioggia, Jaci riusciva a distinguere il viso contuso di Merlene e quel bastardo del suo amico che la tirava per un braccio portando con l’altra mano una borsa rigonfia.

    Mentre seguiva il boyfriend, Merlene si piegò in due comprimendosi il ventre. Accidenti a lui. Jaci raddrizzò la propria parrucca nera, si mise i denti falsi e si aggiustò gli occhiali.

    La coppia si trovava a circa sette metri e procedeva verso di lei.

    «Non scendere dalla macchina» le raccomandò Carla.

    «Ha bisogno di cure» bisbigliò Jaci. «Dio sa dove la sta portando. Forse non avremo più un’altra occasione di aiutarla.»

    Tre metri. Jaci impugnò la maniglia della portiera.

    «Non...» cominciò Carla.

    «Chiama Justin.» Jaci non faceva mai un prelievo nella zona se Justin non era in servizio. «Digli di sbrigarsi.»

    Troncò la comunicazione, respirando profondamente per calmarsi. Poi mise il telefono nella tasca dell’impermeabile nero, si tirò il cappuccio sulla testa e aprì la portiera.

    La pioggia le bagnò il viso.

    «Per favore!» gridò.

    Merlene sussultò. Il boyfriend si fermò di colpo e se la tirò più vicino.

    «La mia macchina non parte» mentì Jaci. «Avete un cavo per rimorchiarmi?»

    Il vento cercò di abbassarle il cappuccio. Lei lo trattenne con la mano, ringraziando il cielo di essersi infilata un paio di guanti per coprire le unghie ben curate.

    «No» rispose l’uomo, riprendendo a trascinare Merlene.

    Jaci pregò che Justin non tardasse. «Mi scusi, signorina» disse a Merlene. «Sta bene?»

    «Sta benissimo» borbottò l’amico senza degnarsi di guardarla.

    «Be’, non si direbbe. Forse potrei...»

    Merlene si volse e la scrutò in viso. «Ja...»

    Lei scosse la testa, avvisando la ragazza di non chiamarla con il suo vero nome. «Le occorre aiuto, signorina?» gridò nel vento.

    «Pensi ai fatti suoi» ringhiò l’uomo, fermandosi presso un fuoristrada nero in apparenza nuovo di zecca.

    Si comprava costose automobili mentre la sua ragazza, la madre del bambino non ancora nato, non poteva permettersi vestiti prémaman, doveva aspettare lunghe ore alla clinica prenatale gratuita e bussava alle porte degli appartamenti offrendosi di fare lavori domestici per comprarsi da mangiare.

    Era così che Jaci l’aveva conosciuta.

    Perché Justin non arrivava?

    L’uomo lasciò Merlene il tempo necessario per aprire lo sportello posteriore del veicolo. La ragazza approfittò dell’occasione. Corse verso Jaci e le gettò le braccia al collo. «Non permettergli di portarmi via!» gridò.

    Con il braccio sinistro Jaci la cinse alla vita, con la mano destra tolse di tasca la bombola di spray al pepe che aveva avuto la previdenza di portare con sé. «Non andrai da nessuna parte senza di me» disse.

    Non stava scherzando. Era pronta a fare tutto il possibile per proteggerla.

    Il primo pugno la colse nella parte sinistra della schiena. Avvertì una fitta di dolore, meno intenso di quello che provò quando il secondo pugno le colpì il braccio destro.

    La bomboletta cadde sull’asfalto.

    L’uomo era robusto. Furibondo. E non si perdeva in chiacchiere.

    Be’, Jaci conosceva il dolore delle botte. Se Merlene lo aveva tollerato per giorni, Jaci poteva tollerarlo in attesa che arrivasse Justin. Cinse Merlene anche con l’altro braccio, intrecciando le proprie dita a quelle della ragazza.

    «Non picchiarla» supplicò Merlene, lasciando Jaci e cercando di spingerla da parte.

    «No! Resta qui!»

    Jaci cercò di trattenerla. Il bruto le afferrò il polso obbligandola a lasciare la presa e la spinse via come se fosse una bambina molesta. La spinta la fece barcollare. Un tacco s’infilò in una grossa buca piena d’acqua e lei cadde. Le sue mani colpirono il terreno cosparso di sassi. Il dolore le trafisse il braccio destro e Merlene gridò.

    I fari di una macchina della polizia rischiararono il cielo mentre illuminavano Jaci stesa sul terreno. Cercò di alzarsi.

    «Resta giù» gridò Justin, balzando dal veicolo. Estrasse la pistola e la puntò contro il boyfriend di Merlene. «Lasciala!»

    Come fu libera, Merlene corse da Jaci e s’inginocchiò al suo fianco. «Mi dispiace. Oh, mi dispiace!» pianse.

    «Non è

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