Intrigante doppio gioco: Harmony Destiny
Di Sharon Sala
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Info su questo ebook
Sharon Sala
"Ho cominciato a scrivere per me stessa racconta Sharon poi ho capito che le mie storie erano catartiche anche per chi le leggeva." Così, dopo una vita molto travagliata, ha conquistato le lettrici di tutto il mondo. "Perché il successo nasce dentro di noi."
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Intrigante doppio gioco - Sharon Sala
successivo.
1
Il vicolo tra Fourth Street e Beauregard Boulevard non era il posto migliore di Tulip, Georgia, in cui rimanere in panne, ma i giunti dell'olio consunti non brillavano certo per sensibilità e tempismo. E, considerando che stava tramontando il sole e che la sola cosa che si muovesse a Tulip a quell'ora era l'aria, Tyler Savage si trovava in un bel pasticcio.
Giaceva supino sotto il proprio pickup, maledicendo tanto la luce declinante quanto la cattiva sorte ed era così impegnato a bloccare il flusso d'olio che colava da un punto imprecisato sopra la sua testa, che non sentì i passi affrettati lungo la strada finché non gli furono quasi addosso.
D'istinto si girò a guardare e vide una donna risalire il vicolo di corsa. Dal punto in cui giaceva, non vedeva gran che, tuttavia inquadrò la tuta grigia che indossava la sconosciuta. Sembrava del tipo più comune ma era lì che si fermava la normalità. La ragazza aveva gambe eccezionalmente lunghe, un personale slanciato e un petto che sobbalzava invitante mentre correva.
Un po' per ammirazione un po' per abitudine, Tyler fece partire un fischio e poi rise quando lei smise di correre. Ma prima che potesse trascinarsi fuori da sotto il pickup e abbozzare una presentazione, un'enorme goccia d'olio scelse quel momento per cadere. Gli atterrò sul naso, inondandogli il volto e accecandolo per qualche istante.
«Maledizione...»
Afferrò uno straccio ma il danno, ormai, era fatto. Sempre imprecando, uscì da sotto il fuoristrada e si strofinò gli occhi. Quando tornò a vedere, la ragazza era scomparsa. Disgustato, sferrò un calcio allo pneumatico posteriore e si avviò verso l'abitazione di Raymond Earl Showalter. L'uomo gestiva la sola officina della città e, finché era stato single, aveva corso la cavallina insieme all'amico Tyler.
Strada facendo, quest'ultimo si chiese chi potesse essere quella donna. Per quel che ne sapeva lui, le signore di Tulip non ricorrevano alla ginnastica per mantenersi giovani. Sembravano più inclini alla consuetudine sudista che prevedeva il matrimonio nel fiore degli anni. Solo dopo parecchi figli e diversi anni di felicità coniugale molte di loro si sentivano in diritto di raggiungere proporzioni... ehm, giunoniche. E senza che i mariti trovassero alcunché da ridire.
Quindi, se non aveva immaginato ciò che aveva appena visto - e Tyler sbagliava raramente quando si trattava del sesso opposto - c'era una nuova ragazza in città. Ma chi diavolo era?
Nel momento stesso in cui Tyler andava in cerca di Raymond Earl, Amelia Beauchamp se ne stava rannicchiata nella vecchia macchina di Raelene Stringer, pregando fervidamente mentre quest'ultima lasciava la città.
L'incontro nel vicolo, il primo da quando Amelia aveva iniziato la propria sciarada, l'aveva sconvolta. Ma il fatto di essere stata quasi scoperta non la terrorizzava quanto colui che era stato sul punto di smascherarla.
Tyler Savage, tra tanti! Le batteva ancora forte il cuore quando si raddrizzò infine sul sedile e incominciò a truccarsi e a sistemarsi i capelli. Abbassò lo specchietto di cortesia e fece una smorfia. Brutta fifona, si disse, dopodiché si rilassò mentre le sue mani si dedicavano a un compito ormai familiare. Se le galoppava il cuore e le luccicavano gli occhi, la colpa era interamente di quell'uomo. Tyler Dean Savage era il bello del paese. Il fatto che fosse anche single e sempre a caccia di sottane non aiutava certo il suo equilibrio.
Amelia aveva una cotta per Tyler Savage da più anni di quanti non volesse ricordare. Sfortunatamente, Tyler non l'avrebbe mai degnata di uno sguardo. Ma Amber... be', quella era tutt'altra storia. Se solo, pensò Amelia guardandosi allo specchio, fosse riuscita a fondere le due donne in una!
La pendola del nonno che troneggiava nell'ingresso batté le due del mattino con accusatorio vigore mentre Amelia Beauchamp rientrava furtivamente nella casa in cui viveva, sprangava la porta d'ingresso e si concedeva un sospiro di sollievo.
Si era lasciata alle spalle un'altra nottata di segreti e, con appena sei ore di sonno che la spingevano verso il letto, salì adagio le scale, evitando il terzo gradino dall'alto perché scricchiolava.
Sgusciò in camera. Il bel viso che la fissò di rimando dalla specchiera sopra il comò avrebbe scioccato le zie. Le anziane signore, infatti, non avrebbero riconosciuto la loro adorata nipotina.
La nipotina in questione studiò la propria immagine riflessa mentre si sfilava i pendenti color rubino. Attenta a non far rumore, si spazzolò i folti capelli castani, raccogliendoli in una lunga treccia. Dopodiché passò in bagno e si struccò con cura, eliminando l'ombretto vistoso e il rossetto scarlatto. Buttò i dischetti sporchi di trucco nel WC e tirò subito l'acqua. Non dovevano restare tracce di Amber in quella casa. Lì era dove abitava Amelia.
Mentre si toglieva la tuta e la nascondeva in fondo all'armadio, una civetta chiurlò al di là della finestra, unica testimone della sua scappatella. Amelia indossò la camicia da notte, assaporando la morbida familiarità del cotone, così diverso rispetto al luccicante raso rosso che aveva sfoggiato sul lavoro.
Non appena la sua testa ebbe toccato il cuscino, le si chiusero gli occhi. La civetta tornò a chiurlare e fu l'ultima cosa che sentì finché l'indomani la voce stridula di zia Wilhelmina non riecheggiò su per le scale.
«Amelia! Alzati o farai tardi al lavoro.»
Amelia gemette mentre si buttava giù dal letto. Si sentiva da cani ed era tutta colpa sua. Ma se il piano avesse funzionato, ne sarebbe valsa la pena.
Amelia era una bambinetta di nove anni all'epoca in cui era approdata nella sonnacchiosa Tulip, a casa delle prozie Wilhelmina e Rosemary Beauchamp, le sole parenti in vita che fosse stato possibile rintracciare dopo che i suoi genitori, missionari, erano rimasti uccisi in un terremoto messicano.
Fino a quel momento, Amelia era cresciuta all'insegna della massima libertà, passando di paese in paese, di usanza in usanza. Lo shock culturale che aveva riportato quando si era trasferita dalle due anziane zitelle non si discostava da quello che avevano ricevuto le poverine quand'era arrivata lei. Ma i Beauchamp erano persone ammodo e ciò che era giusto era giusto. Una parente era una parente. La nipotina aveva bisogno di un tetto, pertanto sarebbe restata. Wilhelmina e Rosemary avevano avviato così il processo d'inamidatura di Amelia Ann, trasformandola in una versione più giovanile e ridotta di loro stesse.
Tuttavia, malgrado la loro tenacia, la ragazza era riuscita a conservare gran parte della propria personalità durante le elementari e le medie. Aveva manifestato addirittura un certo grado di indipendenza durante gli anni del college nella vicina Savannah. Anzi, in quel lasso di tempo, aveva condotto una vita decisamente normale, trovandosi persino un corteggiatore che era durato finché Amelia non lo aveva presentato alle prozie. Dopo di allora, le cose non erano più state le stesse tra di loro.
Lei supponeva che il giovane avesse guardato al futuro, visto la responsabilità non soltanto di una moglie ma di due anziane gentildonne a cui badare, e si fosse spaventato al punto da fuggire. All'epoca ci era rimasta abbastanza male ma la delusione era svanita prima del previsto. Il corteggiatore si era portato via l'amore, la sua fiducia negli uomini e, naturalmente, la sua verginità. Il tutto a scapito della sua indipendenza.
Amelia non si accorgeva che, col passare degli anni, aveva incominciato a vestire come le zie e a comportarsi come loro. E il tempo le aveva fatto anche un altro raro favore. Il cuore spezzato era guarito e la sua fiducia negli uomini in generale si era come ripristinata. La sola cosa irrecuperabile era la verginità. Ma in fondo se ne rallegrava. Morire zitella nonché vergine sarebbe stato oltremodo imbarazzante se non umiliante.
Sì, il tempo passava. Tutto passava. Ed era stata quella consapevolezza a provocare la sua segreta ribellione. Amelia si vedeva, venti, trenta, anche quarant'anni più avanti, in quella stessa casa, nella stessa città, con addosso lo stesso modello d'abito... e sola. Sempre sola! Adorava le zie ma non aveva nessuna intenzione di finire come loro. Voleva avventura ed emozione. Voleva essere in grado di lasciare Tulip ogni volta che gliene fosse saltato il ticchio.
Ecco perché aveva bisogno di un'auto nuova. Con lo stipendio di una bibliotecaria, cose del genere erano impossibili. Per quanto riguardava le sorelle Beauchamp, la vecchia Chrysler azzurra bastava e avanzava. Ma Amelia la pensava diversamente. Non poteva vedere il mondo a bordo di una Chrysler del 1970.
Consapevole di come zia Wilhelmina la stesse chiamando per la seconda volta, corse in bagno. Nel giro di pochi minuti era vestita, avendo scelto dall'armadio un informe scamiciato beige.
Il viso che aveva ostentato la notte prima con segreto diletto - quello che aveva riso e civettato e osato essere diverso - era scomparso insieme alla fluente chioma castana. Al suo posto c'era il rigore più assoluto.
Si spazzolò i capelli lunghissimi, raccogliendoli in una crocchia severa. La sola cosa che le adornasse il volto era un accenno di rossetto chiarissimo. Inforcò gli occhiali rotondi dalla montatura scura e sospirò mentre puntava verso le scale. Era ora che la signorina Amelia iniziasse la sua giornata da bibliotecaria di Tulip, Georgia.
«Siedi, ragazza» ordinò zia Wilhelmina, servendole una porzione di bacon e uova strapazzate.
Amelia scostò il piatto. «No, grazie» mormorò, «oggi non ho appetito.»
Wilhelmina Beauchamp inarcò un sopracciglio. Al che Amelia, sentendosi in difetto, recuperò le uova e si costrinse a mangiare. Mentre si allungava verso il pane, sorrise a zia Rosie, che stava sbadigliando al di sopra della seconda tazza di caffè, con lo sguardo rivolto verso la finestra che si affacciava sul giardino fiorito.
«Buongiorno, zia Rosie» le disse, masticando.
Rosemary staccò lo sguardo dalla finestra e s'illuminò quando si accorse che la nipote era scesa a colazione.
Wilhelmina, intanto, si era accigliata per quello sfoggio di cattive maniere. «Non si parla con la bocca piena!» sentenziò.
«Suvvia» sbuffò Rosemary. «Non è poi così grave.»
«L'educazione, prima di tutto!»
«Il silenzio, prima di tutto!» fu la replica.
Amelia decise di averne abbastanza, tanto delle uova strapazzate quanto del battibecco. Sospinse indietro la sedia e mandò un bacio in direzione delle zie. «Ci vediamo stasera» promise. E se ne andò. La Biblioteca Civica di Tulip la stava aspettando.
Uno sprazzo di eccitazione l'accompagnò durante l'intero tragitto a bordo della vecchia Chrysler. Stava muovendo i primi passi verso un futuro migliore. Non considerò il fatto