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La scuola sulla scogliera: Harmony History
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La scuola sulla scogliera: Harmony History
E-book228 pagine4 ore

La scuola sulla scogliera: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1817
Pur essendo abituato alla dura disciplina dell'esercito, Lord Darton non sa neppure da che parte cominciare a educare una figlia ribelle, e l'incontro con una misteriosa quanto affascinante istitutrice gli pare quindi provvidenziale, nonostante i metodi d'insegnamento della giovane siano decisamente stravaganti. Quando poi scopre che Charlotte Hobart non è una semplice maestrina, bensì una nobildonna in difficoltà finanziarie che vorrebbe aprire una scuola esclusiva per signorine, l'attraente visconte decide di aiutarla. Per farlo, tuttavia, sarà costretto a fingersi un debosciato giocatore d'azzardo e a guadagnarsi a poco a poco la fiducia dell'orgogliosa Charlotte.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2020
ISBN9788830507371
La scuola sulla scogliera: Harmony History
Autore

Mary Nichols

Nata a Singapore, si è trasferita in Inghilterra giovanissima e prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura ha lavorato in ospedale, nella scuola e nell'industria. La ragazza di cristallo è collegato a La contessina ribelle.

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    Anteprima del libro

    La scuola sulla scogliera - Mary Nichols

    Immagine di copertina:

    Bruno Faganello

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    An Unusual Bequest

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2006 Mary Nichols

    Traduzione di Maddalena Milani

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-737-1

    1

    Inghilterra, 1817

    Charlotte guardò gli ultimi ospiti salire sulle loro carrozze e andare via. Non erano venuti in molti al funerale, perché Lord Hobart era morto vecchio ed era sopravvissuto alla maggior parte dei suoi coetanei. Inoltre, negli ultimi cinque anni il declino delle sue condizioni di salute lo aveva emarginato dalla società, permettendogli di ricevere ben poche visite.

    «Un giorno triste, milady.»

    La voce del parroco la costrinse a distogliere lo sguardo dal giardino intriso di pioggia e dal cancello oltre il quale era sparita anche l’ultima carrozza. «Sì, reverendo. Lord Hobart mi mancherà molto.»

    «Che cosa farete ora?» Il reverendo Peter Fuller era un uomo alto, magro quanto i suoi denutriti parrocchiani, tanto che Charlotte si domandava spesso se non si privasse di parte del proprio cibo per donarlo ai più bisognosi. Era un vero esempio di carità cristiana, come lei aveva appreso lavorando al suo fianco per alleviare le pene dei poveri del villaggio e fornire un minimo di istruzione ai loro figli.

    «Che cosa intendete?»

    «Ebbene, milady, vostro suocero era molto vecchio, dovete pur aver considerato che cosa sarebbe successo al momento della sua morte. Sapete bene che aveva un altro figlio, che senza dubbio tornerà a reclamare l’eredità.»

    «Mio cognato è in India, dove suo padre lo confinò anni fa. Sono sicura che lo sapete, reverendo. In questo villaggio non ci sono segreti.» Cecil Hobart, figlio minore di Lord Hobart, era sempre stato la proverbiale pecora nera della famiglia. Fin da giovanissimo aveva dimostrato una pericolosa ossessione per il gioco d’azzardo e se dapprima il padre si era prestato a coprirgli le spalle, pagando per lui debiti di migliaia di ghinee, alla fine ne aveva avuto abbastanza e l’aveva spedito in India, al seguito della Compagnia delle Indie Orientali. In quel periodo il marito di Charlotte, fratello di Cecil per parte di padre e più grande di lui di alcuni anni, era stato ancora in vita, quindi quell’esilio forzato non aveva rappresentato alcun problema dal punto di vista della successione. Ma nel 1809 Grenville era stato ucciso in guerra, rendendo vedova Charlotte, orfane le loro due figlie e Cecil l’erede del casato.

    Nemmeno dopo la morte di Grenville, però, Lord Hobart aveva voluto richiamare dall’India il figlio minore, così Charlotte e le bambine avevano continuato a vivere nella dimora di famiglia, che lei aveva mandato avanti in modo esemplare. Negli ultimi due anni, in pratica, aveva rivestito al contempo il ruolo di nuora, infermiera e governante.

    «Tornerà non appena ricevuta la notizia della morte del padre» continuò il reverendo. «E se non è cambiato...» Si interruppe, domandandosi quanto fosse prudente dire. La reputazione di Cecil Hobart era tale da mettere in pericolo qualsiasi donna rispettabile che si fosse trovata a vivere sotto il suo stesso tetto. Il reverendo Fuller non sapeva quanti anni avesse Lady Hobart, ma immaginava meno di trenta. Era ancora molto attraente e perlopiù incline a pensare il meglio possibile di chiunque, a dispetto di ogni prova che avrebbe potuto dimostrare il contrario. Non sarebbe stato dunque difficile, per un malintenzionato, illuderla e raggirarla.

    Charlotte si voltò a guardarlo: i suoi grandi occhi color acquamarina tradivano la tristezza di aver perso colui che era stato un secondo padre, per lei. Sapeva bene che la sua tranquilla, metodica esistenza stava per cambiare. Era inevitabile, ma per il momento il dolore le impediva di fermarsi a rifletterci sopra. «Ho scritto a Cecil parecchie settimane fa, quando la fine pareva ormai certa» sussurrò. «Nonostante l’allontanamento, sapevo che milord avrebbe voluto rivederlo almeno una volta prima di morire. Ahimè, non è stato possibile. Chissà, forse il nuovo Lord Hobart è già in viaggio per venire qui. Finché non arriverà mi occuperò io di ogni cosa, nella speranza che mi permetta di continuare a vivere come ho sempre fatto.»

    «E se così non fosse? Non avete dei parenti a cui rivolgervi?»

    «Nessuno, a parte Lord Falconer, lo zio di mia madre, ma non l’ho mai conosciuto. Ereditò il titolo alla morte del fratello, ossia mio nonno, ma litigò con mia madre quando lei insistette per sposare mio padre. Disse che da quel momento in poi si sarebbe lavato le mani di lei, e così fu.» Charlotte si concesse un breve sorriso. «I suoi ammonimenti riguardo ai rischi di sposare un capitano della Marina si rivelarono infondati, dato che insieme i miei genitori furono felicissimi, finché papa non venne ucciso a Trafalgar. Mia madre morì di febbre meno di un anno dopo. Il prozio Joseph non mi scrisse nemmeno una lettera di condoglianze, il che mi spinse a pensare che la frattura fosse insanabile. A quel punto avevo già sposato Sir Grenville...» Si arrestò, ricordando il senso di smarrimento provato quando aveva appreso la notizia della morte del marito, otto anni prima. Essendo avvenuta a distanza così ravvicinata dopo quella dei genitori, era stata un colpo ancora più violento, un terribile scherzo del destino. Per fortuna Lord Hobart le era stato vicino, una gran fonte di conforto. E ora anche lui se ne era andato. Charlotte non si era mai sentita così sola in tutta la sua vita.

    «Capisco. Tuttavia, milady, vi suggerisco caldamente di scrivere a questo vostro parente. Il tempo potrebbe aver sanato la frattura di cui parlavate e presto potreste aver bisogno di lui.»

    Lei gli rivolse un sorriso stanco. «Vi ringrazio della vostra preoccupazione, reverendo, ma non intendo andare a elemosinare da qualcuno che non ha nemmeno mai voluto riconoscere la mia esistenza. Inoltre non desidero lasciare Parson’s End. Ho degli impegni, qui. Non posso abbandonare la casa e la servitù, così come l’istruzione dei bambini del villaggio dipende interamente da me.»

    Aveva iniziato a insegnare dopo la morte di Grenville, tanto per tenersi occupata. Quella che dapprima era dunque stata una cura contro il dolore per il lutto subito si era presto trasformata in una fervida passione, o meglio, in una missione: rendere l’istruzione accessibile anche ai ceti più disagiati.

    «È vero» ammise il sacerdote, sorridendo con indulgenza. «Tuttavia non è un motivo sufficiente per restare, soprattutto se la vita dovesse in futuro farsi intollerabile.»

    «Non vi è ragione di supporlo» replicò lei. «Inoltre Fanny e Lizzie sono già abbastanza affrante per aver perso il nonno, non è il caso di aggiungere altro dolore al loro turbamento trascinandole via dalla casa dove hanno sempre vissuto.»

    Ora che lui aveva espresso la propria opinione e lei l’aveva respinta, non restava altro da fare, decise tra sé il parroco, se non tenere d’occhio la situazione con paterna benevolenza, tenendosi pronto a offrirle il proprio aiuto se le previsioni più negative si fossero avverate. Così si congedò e si avviò a passo spedito lungo il sentiero, con la tonaca che gli sventolava tutt’attorno. Charlotte rimase a guardarlo finché non fu sparito, quindi si voltò e tornò in casa.

    Era una dimora antica, con stanze dalla forma irregolare, pavimenti sconnessi e vecchi mobili pesanti che si trovavano lì da generazioni. Alcuni locali, per esempio quello che era stato il boudoir della defunta Lady Hobart, o il salone, erano stati ammodernati e decorati secondo il gusto attuale, ma il resto dell’edificio risaliva a prima della Guerra Civile. Nonostante ciò Charlotte ne amava ogni parte, vecchia o nuova che fosse. Amava gli enormi camini di pietra, le capienti credenze e cassettiere, le alte finestre che si affacciavano sui giardini delimitati da un bosco di abeti da un lato e dal Mare del Nord dall’altro. Non voleva lasciare tutto ciò.

    Il vecchio Lord Hobart era rimasto confinato in camera, negli ultimi due mesi, eppure tutta la casa sembrava vuota senza di lui. La sua presenza l’aveva sempre riempita anche quando non era più stato in grado di occuparsene in prima persona. Era stato un uomo generoso, amato da Charlotte e dalle sue figlie, ma ammirato e rispettato anche dalla servitù. Dal momento in cui lui aveva delegato alla nuora la conduzione della casa, di riflesso i domestici avevano rispettato anche lei, lavorando alacremente sotto la sua ferma guida. Da quel punto di vista Charlotte era certa che nulla sarebbe cambiato, perlomeno finché non fosse arrivato il nuovo padrone di casa. Da lì in poi era impossibile azzardare previsioni su quanto il futuro avesse in serbo per lei. Il reverendo Fuller non aveva detto nulla che lei non avesse già pensato.

    Cecil Hobart era nato dal secondo matrimonio del padre ed era quindi assai più giovane di Grenville. Charlotte l’aveva incontrato un paio di volte, agli inizi del suo matrimonio con l’erede del casato, ma i fratelli non erano mai andati d’accordo. A quei tempi, dunque, Cecil era vissuto quasi sempre a Londra, facendo visita a Easterley Manor soltanto quando aveva bisogno di denaro. Lei non era stata nella stanza in cui si era svolto l’ultimo, fatidico litigio tra padre e figlio, ma ne aveva udito alcuni stralci da dietro la porta chiusa. Poco dopo Lord Hobart aveva cacciato il figlio minore non solo di casa, ma dal paese.

    «Era indebitato di diecimila ghinee» le aveva spiegato in seguito Grenville. «Senza alcuna speranza di rifarsi. Mio padre lo ha minacciato di cavarsela da solo, ma ovviamente non ha avuto il cuore di farlo. Dunque ha pagato tutti i suoi debiti e si è impegnato a passargli una rendita dignitosa... a patto che se ne resti in India.»

    «Per il resto della vita?» aveva chiesto Charlotte.

    «Immagino di sì, a meno che non sappia dimostrare di essersi ravveduto. Ma al momento mi pare un’eventualità più che remota.»

    «E che cosa succederà quando tuo padre... quando milord morirà?»

    «Allora, mia cara, la responsabilità cadrà sulle mie spalle. Mi limiterò a seguire le disposizioni di mio padre.»

    Non era stato aggiunto altro, ma come si sarebbe potuto immaginare in quel frangente che di lì a poco Grenville avrebbe deciso di unirsi a una sfortunata spedizione in Spagna, nel 1809, e che sarebbe rimasto ucciso assieme al Generale Moore a La Coruña? Charlotte, madre di Elizabeth, che al tempo aveva tre anni, e di Frances, di soli quattordici mesi, lo aveva supplicato di non partire, dal momento che, come erede di un’illustre famiglia, non ne aveva alcun bisogno. Ma Grenville nutriva un forte senso del dovere, nonché uno sconsiderato amore per il rischio e l’avventura, che lo avevano indotto a sentirsi indistruttibile.

    «Il Generale Moore ha bisogno di validi ufficiali» aveva replicato. «Gli spagnoli sono coraggiosi, ma indisciplinati e senza il nostro aiuto non hanno alcuna speranza contro Napoleone. Non posso rifiutarmi di andare. Sarò di ritorno presto.»

    Non era riuscita a dissuaderlo, così lui era partito pieno di speranze e di entusiasmo, per non tornare mai più. Lord Hobart aveva ovviamente preso malissimo la notizia della morte del figlio e da lì in poi la sua salute aveva iniziato a peggiorare.

    Le ragazze, avendo sentito anche l’ultimo ospite andare via, avevano lasciato la cucina, dove la cuoca aveva tentato di tirarle su il morale con delle prugne caramellate. Raggiunsero la madre all’entrata, le si portarono ai lati e ciascuna le passò un braccio attorno alla vita.

    «Venite, ragazze, andiamo a prendere il tè nella vostra stanza» disse loro. «Lassù c’è un po’ di pace, almeno, e così non saremo d’intralcio ai domestici, che devono pulire e riordinare tutto. Poi, prima di andare a letto giocheremo agli indovinelli.»

    «Non rivedremo mai più il nonno?» le domandò Fanny. «Proprio più?»

    Charlotte le rivolse uno sguardo esitante, incerta sul miglior modo di risponderle. Un mai sarebbe stato onesto, ma troppo brutale. Mentre indugiava, fu Lizzie a rispondere per lei: «Certo che no. L’hanno messo sottoterra, ma Miss Quinn dice che non resterà lì, perché andrà in cielo e lo rivedremo quando ci andremo anche noi». Emise un sonoro sospiro. «Ma ha anche detto che ci vorranno degli anni, perché a quel punto saremo vecchie quanto lui.»

    Charlotte strinse a sé le figlie a lei così care, l’unico ricordo del marito che le era rimasto. Alla morte di Grenville aveva ricevuto una parte dell’eredità, ma poiché a quei tempi Lord Hobart si faceva carico di tutti i suoi bisogni, Charlotte aveva speso la somma per aiutare i poveri del villaggio. Di conseguenza, a meno che il nuovo Lord Hobart non decidesse di continuare a mantenerle, lei e le ragazze si sarebbero presto ritrovate in serie ristrettezze economiche.

    Lord Hobart non si era aspettato di perdere prematuramente il proprio erede, dunque il testamento era stato redatto anni prima, quando Grenville era stato ancora in vita e Cecil in disgrazia. La casa e la tenuta erano state lasciate al figlio maggiore, affinché se ne occupasse in modo equo e attento come suo padre aveva fatto prima di lui. Secondo Lord Hobart, Cecil aveva già ricevuto la propria parte di eredità per l’estinzione dei debiti di gioco e sotto forma di rendita annuale. L’anziano nobiluomo si era piuttosto preoccupato di provvedere ai propri nipoti, già nati o nascituri che fossero. Il grosso del patrimonio era dunque stato vincolato in un fondo fiduciario, gestito da tre amministratori, che avrebbe costituito la dote di Lizzie e Fanny. Purtroppo, però, dato che Grenville era morto e la tenuta era stata ereditata da Cecil, era difficile prevedere che cosa sarebbe successo ora.

    Madre e figlie risalirono l’imponente scalinata di legno fino al primo piano e poi un’altra serie di scalini che conduceva alle stanze adibite all’istruzione delle signorine Hobart.

    Qui le attendeva Joan Quinn, la bambinaia. Il suo atteggiamento in apparenza austero e intransigente non riusciva a nascondere, agli occhi di chi la conosceva bene, il profondo affetto che nutriva per le due bambine. «Sono andati tutti via, milady?»

    «Sì, Quinny, è tutto finito, e a noi non resta che cercare di tornare alla normalità.»

    «Certo. Hanno già servito il tè. Volete fermarvi a berlo con noi?»

    «Sì, ho anche promesso alle ragazze di giocare un po’ con loro prima di andare a letto. Domani è giovedì e desidero che tutto si svolga come in un normale giorno della settimana.»

    Si sedettero attorno al tavolo e mangiarono pane, burro e tortine al miele, accompagnando il tutto con del tè leggero. Non essendo riuscita a mangiare quasi nulla negli ultimi cinque giorni, Charlotte si scoprì di colpo affamata: quel pasto semplice ma delizioso era proprio quello che ci voleva per rinfrancarla. Sorseggiando il tè, continuò a osservare le sue figlie. Erano state profondamente addolorate dalla morte del caro nonno, sempre pronto a giocare con loro. In passato Lord Hobart le aveva portate a passeggiare nei boschi, insegnando loro il nome dei fiori e delle piante incontrati sul cammino. Quante sere le aveva intrattenute narrando le proprie avventure nell’esercito, mostrando i vari spostamenti delle truppe su una cartina spiegata sul tavolo! Era stato un soldato valoroso ai suoi tempi, proprio come lo era poi stato suo figlio Grenville.

    Lizzie aveva i capelli neri del padre, con occhi castani così simili ai suoi che spesso, guardandoli, Charlotte trasaliva nel leggervi la stessa intelligenza e l’orgoglio che avevano reso Grenville un uomo unico. Fanny era più dolce, nello spirito come nelle forme. Aveva capelli più chiari della sorella e una carnagione rosea. Era la più sensibile delle due, tanto che ora le risultava difficile accettare che il nonno non fosse nella sua stanza a sonnecchiare, come era stato fino a pochi giorni prima.

    «Credete che il nuovo Lord Hobart tornerà?» le chiese Quinny. Era stata la bambinaia di Charlotte e, quando lei era cresciuta, Quinny aveva assunto il ruolo di sua cameriera personale, pur di non lasciarla. Ora ricopriva entrambe le funzioni.

    «Il nuovo Lord Hobart?» le fece eco Lizzie. «Che cosa significa? Chi sarebbe?»

    Miss Quinn rivolse allora uno sguardo d’intesa a Charlotte, come per invitarla a parlare.

    «È vostro zio Cecil» spiegò dunque lei alle figlie. «Immagino che arriverà presto a prendere il posto del nonno.»

    «No» piagnucolò Lizzie. «Non lo voglio! Non voglio nessuno al posto del nonno!»

    «Verrà comunque, perché ora possiede la casa e la tenuta e noi dobbiamo farlo sentire benvenuto.»

    «Non io! So già che lo odierò!»

    «Perché? Non è colpa sua se il nonno è morto.» Nel pronunciare quelle parole si domandò fino a che punto fossero vere. Quanto aveva

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