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Il dottore argentino: Harmony Bianca
Il dottore argentino: Harmony Bianca
Il dottore argentino: Harmony Bianca
E-book157 pagine2 ore

Il dottore argentino: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Può la paura soffocare un grande amore?



Quattro anni prima lui l'aveva lasciata con una lettera dicendole di non averla mai amata. Ma Caroline è convinta che ci sia qualcosa di più, e che l'amore letto nei suoi occhi quella notte non fosse solo frutto della sua fantasia. Per questo è tornata a Buenos Aires. Per rivedere Jorge Suarez e presentargli sua figlia.



Non è possibile! Jorge ha fatto di tutto per cancellare dalla sua mente l'immagine di Caroline e il ricordo di quel terribile incidente. Ma entrambi sono ancora vivi dentro di lui e lo rendono schiavo di un amore che non potrà mai realizzarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2017
ISBN9788858973424
Il dottore argentino: Harmony Bianca
Autore

Meredith Webber

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il dottore argentino - Meredith Webber

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Melting The Argentine Doctor’s Heart

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2011 Meredith Webber

    Traduzione di Katia Perosini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-342-4

    1

    L’ira che Caroline aveva provato leggendo quell’articolo sull’apertura di un centro medico in Argentina non l’abbandonò per tutta la durata del volo sopra le acque dell’oceano Pacifico, e continuò a ribollirle dentro animosamente anche ai controlli doganali di Buenos Aires e sull’aereo che la conduceva a Rosario, cittadina a nord della capitale dove un certo dottor Jorge Suarez aveva avviato un consultorio medico per la popolazione indigena dei Toba.

    Un certo dottor Jorge Suarez!

    Per sua sfortuna, durante il tragitto in taxi lungo viali alberati a tre corsie e ampi parchi verdeggianti, che grazie alla guida letta sull’aereo sapeva chiamarsi plaza, la rabbia cominciò a scemare lasciando spazio a una nutrita serie di insidiosi dubbi. E il fatto che Ella, la sua bambina di tre anni, stesse placidamente dormendo al suo fianco non le lasciava altra alternativa se non la compagnia dei suoi pensieri angosciosi.

    E se Jorge fosse stato davvero convinto di quello che aveva scritto nella spietata e-mail inviatale dalla Francia quattro anni prima? E se davvero non avesse mai provato nulla per lei e l’avesse ingannata solo per portarsela a letto?

    Sulle prime, Caroline non aveva creduto alle parole contenute in quell’e-mail. Le era stato impossibile considerare che l’amore totalizzante che pensava di aver condiviso con quell’uomo non fosse stato altro che una farsa. E il desiderio di sposarsi che si erano più volte espressi con occhi innamorati solo una messinscena.

    Piuttosto, si era sentita invadere da un forte senso di frustrazione: avrebbe voluto correre da lui, guardarlo negli occhi e chiedergli in tutta onestà se quelle parole fossero vere, ma la notizia del cancro al seno di sua madre le era giunta soltanto una settimana prima e lei ormai era in volo per l’Australia.

    Quando finalmente riuscì a tirare le fila della situazione e predisporre la terapia per la madre, lui aveva cambiato indirizzo di posta elettronica e le lettere che lei gli aveva inviato presso l’ospedale dove era stato ricoverato dopo l’incidente erano tornate al mittente senza nemmeno essere state aperte.

    Solo in quel momento, aveva cominciato a sorgerle il dubbio di avere avuto a che fare con un maestro della finzione... e di essere stata abilmente ingannata!

    Due mesi più tardi, poi, mentre accudiva la madre nel suo debilitante trattamento radioterapico, aveva scoperto di essere incinta. Si era quindi affrettata a effettuare una ricerca su internet, riuscendo a risalire all’indirizzo del padre di Jorge, che viveva in una zona periferica della città di Buenos Aires chiamata Recoleta, e vi aveva spedito una lettera all’attenzione del figlio per comunicargli la notizia.

    Ma anche quella missiva le era tornata indietro intonsa, come un boomerang.

    L’accento spagnolo del tassista, marcato come quello di Jorge, interruppe quel vortice di ricordi, comunicandole che erano quasi arrivati a destinazione. A quel punto, i dubbi di Caroline si trasformarono in puro panico.

    Come le era saltato in mente di prendere una decisione così assurda? Trascinare Ella per tutta quella strada sulla base di una fotografia sfocata trovata per caso su internet... era completamente ammattita?

    Il centro era ospitato da un vecchio negozietto d’angolo dagli infissi bianchi, proprio come descritto nell’articolo. Un gruppetto di persone dalla pelle scura si aggirava oziosamente davanti alla sua porta, con tutta probabilità membri della tribù dei Toba trasferitisi di recente in quella zona già sovrappopolata della città.

    Quando il taxi si arrestò accanto al marciapiede, Caroline sentì lo stomaco stringersi in una morsa talmente violenta da lasciarla senza fiato e a fatica resistette alla tentazione di tornare di filato all’aeroporto.

    Aveva già dimenticato il motivo per cui era arrivata sin lì? Sua figlia meritava di avere un padre, il suo vero padre!

    Lei stessa era cresciuta senza un genitore e aveva tanto desiderato avere qualcuno da chiamare papà. Quanto l’aveva resa insicura la mancanza di una figura paterna nel corso della vita, soprattutto nei rapporti con l’altro sesso?

    Forse anche per questo si era lasciata sedurre con tanta facilità dalle promesse di amore eterno di Jorge...

    Scacciando dalla mente quelle ultime fastidiose considerazioni, fece un respiro profondo, scosse gentilmente Ella per svegliarla, pagò il tassista e mormorò tra sé: «Ci siamo!».

    Sollevò la piccola ancora addormentata e, avvertendo le sue braccine allacciarsi al collo e i morbidi ricci scuri della sua folta chioma accarezzarle il viso, sentì la tensione allentarsi e lasciare posto alla determinazione che l’aveva spinta sin lì.

    Non poteva mollare tutto proprio ora che era giunta sulla porta d’ingresso. Lo doveva a sua figlia.

    Jorge sollevò lo sguardo sul suo aiutante e amico Juan, precipitatosi come una furia nel suo studio.

    «Taxi con senora e bambino sulla porta.»

    Il termine senora gli fu sufficiente per capire che non si trattava della solita visita da parte di una delle donne della popolazione locale per cui era stato aperto il centro medico, dunque... non poteva essere altro che un’emergenza!

    Si diresse con sollecitudine verso l’ingresso, ma dopo un paio di passi si arrestò in preda all’incredulità, lo sguardo fisso sulla donna bionda che procedeva verso di lui con una bambina dai capelli scuri tra le braccia.

    «Caroline?»

    Pronunciò quel nome sotto forma di domanda, ma la reazione fisica che ebbe alla vista di quella figura alta e bionda gli confermò che conosceva perfettamente la persona che aveva di fronte. Un’improvvisa vampata di calore gli surriscaldò il corpo, il cuore ebbe un violento sussulto mentre un incontrollabile senso di panico minacciava di attanagliargli il cervello.

    Fortunatamente, il suo lato razionale riuscì subito a prendere il sopravvento e, inducendolo a spostare l’attenzione sulla bambina, fece emergere il dottore che era in lui.

    «Cosa ci fai qui? Cos’ha la bambina, è malata?»

    Quelle parole arrestarono Caroline, ma solo per un istante, non abbastanza da permettergli di osservarla con attenzione e verificare se fosse ancora bella come lui la ricordava.

    Bella! Si scherniva sempre quando lui la definiva così, sottolineando che invece aveva la bocca troppo grande, il naso troppo sottile, gli occhi troppo lontani l’uno dall’altro, i capelli troppo chiari... un elenco infinito di difetti per sottrarsi ai suoi complimenti spassionati di uomo innamorato.

    Lei non gli rispose e riprese a percorrere lo spazio che li separava finché non si ritrovò a un passo da lui. Lo studiò, senza tradire la minima emozione mentre con lo sguardo percorreva la lunga cicatrice che gli attraversava la guancia.

    «La bambina» disse poi scandendo le parole con cautela, la voce vibrante e tesa, «è tua figlia.»

    Sentendosi chiamare in causa, la piccola sollevò la testa e si guardò attorno abbozzando un sorriso per poi tornare a nascondere il viso nell’incavo del collo della madre.

    Jorge rimase come folgorato da quella notizia. Era letteralmente senza parole. L’intenzione di negare quella realtà gli morì subito sulle labbra: quella bambina piena di riccioli somigliava in modo straordinario alle sue foto di quando era piccolo.

    Non poteva, quindi, che arrendersi all’evidenza: aveva una figlia! Quella consapevolezza lo inghiottì, lasciandolo per un attimo senza fiato.

    «Si chiama Ella» aggiunse Caroline.

    Ella? L’aveva chiamata Ella?

    Lo sapeva che era il nome di sua madre?

    Certo che lo sapeva! Non poteva averlo dimenticato.

    La piccola nel frattempo si era divincolata dalle braccia della madre e aveva cominciato a esplorare lo spazio circostante con sguardo perplesso e incuriosito al tempo stesso.

    Jorge le si accucciò davanti. «Ciao» le disse sfoderando il tono dolce e gentile che utilizzava con i piccoli pazienti.

    Due grandi occhi scuri si fissarono su di lui per un istante ispezionandogli il viso, poi un accenno di sorriso increspò le piccole labbra rosa e una manina si sollevò in segno di saluto.

    «Ciao» gli rispose la bambina, facendo un passo avanti e sfiorando con il palmo la sua guancia sfregiata. «Bua?»

    Lui rimase paralizzato dall’emozione, la gola chiusa in una morsa. Com’era possibile che quell’esserino che gli aveva toccato il viso con dita leggere fosse proprio sua figlia?

    Allungò un braccio e, sorpreso dal leggero tremore della propria mano, le accarezzò dolcemente i riccioli folti e lucenti.

    «No bua» la rassicurò cercando di ignorare il dolore lancinante che gli stava dilaniando il cuore.

    La piccola gli sorrise e gli diede una pacchetta affettuosa sulla guancia, poi, come sono soliti fare i bambini, distolse l’attenzione e con noncuranza riprese a esplorare l’ambiente.

    Sollevando lo sguardo e vedendo gli occhi ricolmi di lacrime di Caroline, Jorge s’impose di tornare in sé. Non poteva lasciarsi sopraffare dall’emozione.

    Negli ultimi quattro anni, aveva respinto il mondo esterno, rifuggendo la compassione altrui e concentrandosi unicamente sul suo progetto di aiuto alle persone meno fortunate, persone che non si curavano del suo aspetto fisico ma che lo apprezzavano per il supporto che era in grado di offrire loro.

    Sapeva che era stato solo il suo stupido orgoglio a spingerlo su quella strada, suo padre gliel’aveva fatto notare più volte, ma quello era stato per lui l’unico modo per reagire alla terribile vicenda che aveva vissuto e al dolore incommensurabile che ne era derivato.

    Lanciò un’occhiata fugace alla bambina, la sua bambina, per poi tornare sulla donna causa di quello sconvolgimento improvviso e indesiderato, lasciando che la collera che gli stava montando dentro mettesse a tacere l’attrazione che ancora provava per lei.

    «Perché sei venuta? Vuoi farmi pagare il fatto di averti scaricato? Hai trascinato una bambina per mezzo mondo con l’intenzione di punirmi?»

    Gli occhi di Caroline fiammeggiarono. «Non proprio» rispose lentamente, cercando di mantenere il controllo. «Sono venuta per onorare l’impegno che ci eravamo presi tanti anni fa. Forse te ne ricordi ancora, anche se, da quanto ho letto, l’hai portato agli estremi. Un mese all’anno, ci eravamo ripromessi. Un mese all’anno per dedicarci a quelle zone povere del mondo sprovviste dell’assistenza medica di base necessaria alla sopravvivenza. Fino a oggi, ho impiegato il mio mese prestando aiuto presso le comunità indigene dell’outback australiano, ma quando ho letto che il tuo ambulatorio era in cerca di medici volontari, ho pensato di prendere due piccioni con una fava, come si suol dire.»

    Anche se sorridere era l’ultima cosa che le veniva di fare in quel frangente, Caroline si sforzò di farlo, mentre indicava la porta d’ingresso dove il tassista aveva scaricato il suo grosso zaino e quello più piccolo a forma di koala di Ella.

    «Come puoi vedere, sono venuta attrezzata. Mi fermerò per un mese» concluse provando una certa soddisfazione nel registrare l’espressione inebetita, per non dire terrorizzata, del volto di lui.

    Il suo povero

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