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Matrimonio in paradiso: Harmony Bianca
Matrimonio in paradiso: Harmony Bianca
Matrimonio in paradiso: Harmony Bianca
E-book170 pagine2 ore

Matrimonio in paradiso: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Nel tentativo di sfuggire ai pettegolezzi di cui è bersaglio nella sua piccola cittadina, Kenzie Steele accetta di diventare l'infermiera personale di una ricchissima anziana signora e di raggiungerla su un'esotica isola del golfo della Thailandia.

Il dottor Alex McLeod è sulla stessa isola per assistere la nonna negli ultimi giorni della sua vita. Il desiderio più grande della donna è vedere Alex sistemato una volta per tutte, mentre Kenzie, per salvaguardare l'eredità di famiglia, ha bisogno di un marito al più presto.

Perché non unire l'utile al dilettevole? Tra Alex e Kenzie l'alchimia è già alle stelle e un'unione combinata potrebbe risolvere tutti i loro problemi.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2020
ISBN9788830517752
Matrimonio in paradiso: Harmony Bianca
Autore

Meredith Webber

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Matrimonio in paradiso - Meredith Webber

    successivo.

    1

    Alexander Monroe McLeod camminava avanti e indietro per il balcone della suite che sua nonna occupava nell'albergo dal nome, per lui ridicolo, di Palazzo della Pace e della Gioia. Il mare di un brillante colore verde-blu, le vele bianche delle agili imbarcazioni e le infinite tonalità di verde della foresta attorno formavano una vista del Golfo di Thailandia da togliere il fiato.

    A dispetto di quello che c'era scritto sull'elegante opuscolo che aveva letto, era abbastanza sicuro che quel posto dai pavimenti di marmo e dalle pareti foderate di seta non fosse mai stato la reggia estiva degli estinti re del Siam. Però doveva ammettere che era un albergo davvero lussuoso. Era dotato persino di un proprio generatore di energia elettrica e di una riserva di acqua corrente prelevata direttamente dalla sorgente che sgorgava a metà della montagna su cui l'edificio era stato costruito. Con ogni probabilità lo avevano eretto quando il villaggio su cui si affacciava era solo un pugno di baracche.

    Era quel palazzo il motivo della sua presenza lì. E anche se si annoiava a morte, era costretto a restare.

    La sua attenzione fu catturata per un istante dalla vista di una donna che stava percorrendo con passo deciso il sentiero orlato di frangipani che attraversava i giardini perfettamente curati. Alta e slanciata, indossava uno strano cappello che pendeva in modo assurdo dalla nuvola di capelli neri che le incorniciava il viso.

    Alex si domandò se avesse un luogo ben preciso da raggiungere oppure se stesse semplicemente fuggendo da quel posto.

    Nel secondo caso, sarebbe stata una scelta che lui non avrebbe certo biasimato.

    Ma ciò su cui continuò a rimuginare tra sé dopo che la donna scomparve dalla vista fu l'idea del tutto ridicola che quella giovane sarebbe stata bene in sella a un cavallo.

    Che stupidaggine! Diede una manata contro la ringhiera del balcone imprecando. A forza di non fare niente, rischiava di ammattire o di farsi andare in pappa il cervello. Doveva trovare qualcosa per impegnare il suo tempo. Qualcosa che non lo facesse allontanare troppo da quell'albergo dove sua nonna stava morendo nella stessa stanza in cui aveva trascorso il viaggio di nozze.

    Ritornare nel posto dove lei aveva passato un periodo tanto felice era stato un suo desiderio – l'ultimo, gli aveva detto lei per convincerlo – e anche se lui, dopo essersi minutamente informato, aveva scoperto che quell'albergo era diventato un convalescenziario per gente facoltosa, era ancora piuttosto perplesso da quella scelta. Tutto sommato, però, si era convinto che il gruppo di medici provenienti dalla terraferma, i servizi cinque stelle e lo staff infermieristico assicuravano un trattamento appropriato agli ospiti – che erano appunto ospiti, non pazienti. Di sua nonna si occupavano tre sorridenti, gentilissime infermiere che la curavano con rispetto e attenzione. Anzi, più che curata, veniva coccolata come una bambina, pensò lui con un sorriso.

    Quel posto, in fin dei conti, era una sontuosa casa di cura per chiunque avesse abbastanza quattrini da potersi permettere l'esorbitante retta giornaliera.

    Sotto quell'aspetto, per fortuna, il denaro non era un problema né per lui né per sua nonna. A ciò si aggiungeva il fatto che l'applicazione per cellulari che lui aveva sviluppato da studente e poi messo in commercio – e che aveva chiamato Il dottore dice – lo aveva reso ricco e famoso oltre ogni aspettativa, nonostante la risposta più importante che l'app fosse in grado di fornire in caso di dubbi fosse di consultare un medico in carne e ossa.

    Doveva aggiornarla?

    Pensare a qualcosa di nuovo?

    Oppure la sua capacità di ricerca si era atrofizzata?

    Forse valeva la pena provare, tanto per trovare qualcosa che gli permettesse di contrastare la noia dell'attesa.

    Una noia che derivava anche dal senso di impotenza che provava – lui che era medico – nel non poter fare nulla per aiutare la donna che amava con tutto se stesso.

    E anche il pensiero di amarla così tanto lo disturbava.

    Sua nonna si era presa cura di lui da quando aveva dodici anni, e la sua risposta a tutte le sue ansie da adolescente era sempre stata la massima che i Monroe non provano emozioni! In realtà, ripensandoci ora che ne aveva tutto il tempo, doveva accettare il fatto che ciò che lei intendeva dire era che i Monroe non mostrano le loro emozioni. E così, ogni volta che lei scandiva quelle parole, lui le faceva notare che era un McLeod, non un Monroe, ma lei ribatteva con asprezza che era una frase senza senso, e che lui era e sarebbe sempre stato un Monroe.

    Vedendola ora, così diversa dalla donna decisa e forte che era stata un tempo, capiva che quello che provava per lei era una sola emozione. Amore.

    Un amore così intenso che gli pareva che, assieme a lei, stesse morendo anche una parte di sé.

    Riprese a percorrere il balcone avanti e indietro e con la coda dell'occhio colse un movimento in giardino. La donna che aveva visto poco prima stava tornando...

    Su un cavallo!?

    Hilary McKenzie Steele non era del tutto sicura che fosse permesso cavalcare sul viale di ghiaia che conduceva all'ingresso dell'albergo, ma Muriel Walker, l'ospite che le era stata assegnata da quando era arrivata lì, le aveva parlato delle scuderie.

    Sono dei bellissimi cavalli, tesoro, le aveva detto un giorno. Si trovano qui per essere cavalcati da tutti noi, ma chi ha la possibilità farlo? Tu pensi che sia concesso loro quel po' di movimento di cui hanno bisogno?

    Sono sicura di sì, aveva risposto Kenzie, consapevole della sua posizione di consigliera.

    Non che Muriel fosse ammalata o bisognosa di cure particolari. Era semplicemente annoiata dalla vita, e per ingannare questo suo stato d'animo non faceva che spostarsi da un hotel esclusivo all'altro.

    E Kenzie aveva già intuito che il fatto che avesse insistito per avere un'infermiera privata come accompagnatrice era solo una scusa per cercare un diversivo alla sua vita vuota. E questo spiegava anche il suo interesse per i cavalli.

    Muriel, nonostante le sue arie da moribonda e le sue malattie immaginarie, aveva poco più di sessant'anni e avrebbe potuto benissimo imparare a cavalcare in qualsiasi momento. Kenzie ne era sicura, come era sicura che questo avrebbe potuto rappresentare per lei una soluzione alla sua cronica pigrizia.

    Guidò il cavallo fino all'entrata laterale dell'albergo, dove aveva detto a Muriel di aspettarla. La donna era vestita con un paio di jeans e una polo leggera, un look apparentemente informale che tuttavia lei era sicura costasse come il cavallo.

    Legò Bob alla staccionata, sorridendo del fatto che un cavallo Thai avesse un nome del genere. Poi andò da Muriel.

    «Coraggio» le disse. «È ora che impari a montare in sella!»

    Il suo tono deciso e l'espressione seria del volto sembrarono convincerla che era inutile obiettare. E così Muriel si fece avanti titubante. «Se però cado, ti faccio licenziare» la avvertì, e Kenzie scoppiò a ridere anche se non era del tutto sicura che scherzasse.

    Kenzie aveva pensato a lungo a come far salire Muriel a cavallo e aveva deciso che l'entrata laterale era il posto migliore per provarci. Non solo non le avrebbe viste nessuno, ma i vasi che fiancheggiavano l'ingresso erano poggiati su una lastra di cemento e sarebbero stati utili per offrire a Muriel un gradino per montare in sella.

    Stava aiutandola a passare dal vaso alle staffe quando da dietro l'angolo vide spuntare un uomo che si mise a osservare l'operazione.

    «Occorre aiuto?»

    Il marcato accento inglese con cui pronunciò quelle semplici parole ebbe il potere di smuovere qualcosa dentro di lei tanto da farla arrossire.

    Era forse l'imbarazzo per essere stata colta in flagrante?

    Sperava con tutto il cuore che fosse solo quello.

    «Ce la facciamo da sole, grazie» rispose mentre malediceva la sua facilità di arrossire.

    «Prima volta?» chiese lo sconosciuto rivolgendosi a Muriel con un sorriso.

    Quel sorriso fece confondere ancora di più Kenzie, che scosse la testa dicendosi che lei era lì per concentrarsi su Muriel, non su quel tizio dalla voce suadente.

    «Adesso prendi le redini e tirale verso di te in modo che ti diano l'appiglio per salire in sella» disse Kenzie.

    «Deve usare solo la sinistra» intervenne l'uomo, «così con l'altra mano potrà tenere il frustino e colpire il cavallo se non obbedisce.»

    «Io non picchierei mai un animale» protestò Muriel indispettita, e lo sconosciuto rise.

    «Chi è lei?» chiese Kenzie pentendosi subito di avere usato un tono così brusco. Ma del resto quella risata aveva avuto il potere di confonderla di nuovo.

    «Alexander Monroe McLeod, prigioniero in questo palazzo e felice di essere d'aiuto.»

    Kenzie decise che quel tizio doveva essere un impiegato dell'albergo, anche se era la prima volta che lo incrociava da quando era lì.

    «È qui per sua nonna?» chiese Muriel a bassa voce, e lui annuì. Proprio in quell'istante Kenzie si ricordò di avere sentito parlare di una donna che era lì per trascorrere gli ultimi giorni di vita assieme al nipote medico. Tuttavia c'era qualcos'altro che le dava da pensare.

    Studiò l'uomo per alcuni secondi e aggrottò la fronte. Aveva già visto da qualche parte quel viso, e il nome le aveva fatto suonare più di un campanello in testa, ma...? Avrebbe dovuto presentarsi anche lei?

    Senza darsi una spiegazione, decise di non farlo.

    «Allora, come pensa di proseguire questa avventura?» chiese l'uomo rivolgendosi di nuovo a Muriel.

    «Non credo che durerà a lungo. In realtà sono dell'idea che essere salita in sella sia già abbastanza per oggi.»

    «Sarebbe un'occasione sprecata» disse l'uomo dal nome altisonante. «Deve stabilire un contatto con l'animale. Che ne dice se la sua amica lo guida per le redini e io le sto di fianco? Si sentirebbe abbastanza sicura?»

    Muriel annuì esitante e Kenzie afferrò gentilmente il cavallo per la briglia. Poi mormorò un flebile comando e l'animale cominciò a muoversi docilmente lungo il sentiero.

    L'uomo dalla bella voce stava parlando in tono calmo a Muriel distogliendola dal pensiero – comune a tutti i principianti – di quanto fosse precaria quella posizione lontana da terra.

    Intanto Kenzie si stava scervellando perché era sicura di conoscere il nome dello sconosciuto, sebbene fosse altrettanto certa di non averlo mai incontrato di persona prima d'ora. Alto, bruno, distinto, e con un profilo che avrebbe potuto essere stampato su una moneta, non era certo un tipo che si poteva dimenticare facilmente.

    Fu costretta a rammentare a se stessa che lei era lì per cancellare il ricordo di un uomo, non per cadere nelle grinfie di un altro, per quanto fosse affascinante.

    Era ormai convinta che probabilmente l'aveva visto in foto su qualche rotocalco, quando ebbe un'improvvisa illuminazione.

    «So chi è lei!» esclamò incapace di soffocare una nota di trionfo nella voce. «È quello che ha sviluppato l'app Il dottore dice

    «Che cosa hai detto, cara?» chiese Muriel ovviamente confusa.

    «La conosce?» chiese lui.

    Kenzie scoppiò a ridere davanti a quella domanda che reputava abbastanza sciocca. «Dubito che ci sia un'infermiera al mondo che non l'abbia mai usata. A volte lavorare in ospedale può essere un poco monotono, e allora capita di consultare quell'app per verificare i sintomi delle persone che abbiamo in cura. È un divertimento innocuo, e se lei è un medico, le assicuro che è quello che succede anche ai suoi pazienti.»

    Alex guardò la giovane donna con aria basita. «Confrontate le diagnosi dei vostri medici con quelle della mia app?»

    «È un passatempo piacevole! E poi di solito coincidono.»

    Non ci poteva credere! Le infermiere ingannavano il tempo cercando un riscontro clinico nella sua app come se fosse un gioco.

    «Lei invece chi è?» domandò lui, sconcertato da quella singolare situazione e anche un poco dalla ragazza col viso ridente e con due occhi color del cielo.

    «Sono Hilary McKenzie Steele» rispose imitando il modo ridicolmente formale in cui lui si era presentato. «Conosciuta da tutti come Kenzie! Mia madre morì durante il parto e mio padre volle ricordarla dandomi anche il suo cognome. Questo spiega perché è così lungo.»

    Alex la fissò perplesso. Quella donna si stava prendendo gioco di lui perché si era presentato come Alexander Monroe McLeod quando sarebbe bastato dire Alex McLeod. Per giustificarsi avrebbe potuto

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