Baciami, Bettina
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Ma il fato ci mette sempre lo zampino e Marco ed Elisabetta si trovano a dover lavorare assieme. E questo li porta ad essere sempre più vicini, in maniera pericolosa, visto che Marco ha una compagna. O almeno è questo che crede Elisabetta che ora è tornata a essere Bettina, come la chiamava Marco un tempo.
Tra risate, lacrime, equivoci e qualche colpo di scena, i due riusciranno a ricostruire quello che doveva essere il loro destino già anni prima.
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Anteprima del libro
Baciami, Bettina - Maria Benedetta Errigo
Maria Benedetta Errigo
BACIAMI, BETTINA
Prima Edizione Ebook 2021 © R come Romance
ISBN: 9788893471718
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Maria Benedetta Errigo
BACIAMI, BETTINA
Romanzo
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
L’autrice
Catalogo
Capitolo 1
Quante probabilità ci sono che il tuo cellulare inizi a squillare alle sette di un lunedì mattina? Poche, se rientri nella categoria di persone con un lavoro che inizia più o meno verso le nove. Molte, se hai un fratello che fa il medico e non si ricorda che la gente normale, magari, è ancora a letto quando lui smonta dal turno della notte.
Cerco di allungare la mano verso il comodino dove ho lasciato il cellulare la sera prima. Guardo il nome sul display, tanto per avere una conferma. Sospiro e mi rigiro tra le lenzuola prima di dare il via alla telefonata.
«Francesco, avevi paura che non mi suonasse la sveglia?»
«Ti ho svegliato?»
«Sì, quindi dimmi cosa vuoi.»
«Bettina, perché pensi che io ti debba chiedere qualcosa?»
«Perché ti conosco.»
A un osservatore esterno saremmo potuti sembrare arrabbiati, ma in realtà questo è il nostro modo di volerci bene. Io e Francesco abbiamo dieci anni tondi di differenza e lui ha sempre sentito il suo essere fratello maggiore come una grande responsabilità e io gli ho voluto bene da sempre. Uno dei miei primi ricordi è il fatto che gli stavo sempre tra i piedi quando ero bambinetta e lui un adolescente. Poveretto.
Siamo molto uniti e anche ora che io ho ventotto anni e lui trentotto e sta fuori dalla nostra regione ci sentiamo spessissimo. Francesco ha studiato medicina e dopo la specializzazione ha avuto subito una proposta di lavoro, ma in Umbria. La mia famiglia aveva sperato che trovasse qualcosa a Roma, ma comunque lo abbiamo spinto ad accettare. Anche perché, come ripete sempre mamma durante i pranzi di famiglia dove lui non c’è, con l’esperienza che si fa potrà tornare a Roma e trovare lavoro dove vuole, anche aprirsi uno studio privato. Me la vedo già la targa Dottor Francesco Barbieri, medico dermatologo
, all’entrata in uno di quei palazzoni in un quartiere bene
. E soprattutto la fila di giovani donne che aspettano di essere vistate da lui.
Mio fratello è un uomo molto affascinante. Alto, moro, occhi scuri, naso regolare e sorriso sempre sulle labbra. Ci assomigliamo molto, dicono, solo che io ho preso l’altezza dalla famiglia di mamma e quindi sono una cosina che sfiora appena il metro e sessanta. Perciò odio quando storpiano il mio nome in Elisabettina
. Già devo sempre alzare la testa per parlare con tutti, almeno lasciatemi il mio nome come è. L’unico che può chiamarmi in modo diverso è appunto mio fratello. E come stavo dicendo prima lo fa spesso quando ha bisogno di qualcosa. Tipo ora.
«Sì, volevo chiederti una cortesia.»
«Dai dimmi», controvoglia mi alzo dal letto e cerco le pantofole. Meglio andare a farsi un caffè, questo lunedì si prospetta impegnativo.
«Avrei bisogno che tu andassi a casa mia e mi prendessi alcuni libri di medicina che mi servono qui. Ah, poi dovresti anche spedirmeli.»
«Qualcosa d’altro? Vabbè mandami la lista dei libri, vedrò cosa fare.»
«Il fatto è che mi servono in fretta. Ho assoluto bisogno dello Fitzpatrick.»
«Quel mattone che ti è costato un rene? Lo ricordo.»
«Porta rispetto! Quello è il manuale per definizione per chi studia dermatologia e…»
«Francesco, scherzavo. Santo cielo! Okay, quello lo ricordo, poi?»
«Tutti i manuali di dermatologia chirurgica. Sono disseminati nelle librerie tra il corridoio e il salotto. Guarda tu. Ecco, tutto qui.»
«Tutto qui? Non ti sembra di chiedere un po’ troppo a una semplice curatrice di libri di storia dell’arte di una piccola casa editrice? Come li riconosco?»
«Avrei un’idea in merito. Perché non ti fai aiutare da Marco?»
«Marco chi?»
«Ma come Marco chi?
. Marco Santi.»
Rimango per un attimo ferma con il telefono tenuto tra la spalla e l’orecchio e la caffettiera ancora da chiudere tra le mani. Mi stava davvero chiedendo di fare questa cosa?
«Io…non so se sia il caso.»
«Tu e la tua paura di disturbare sempre! È come uno di famiglia. Chiamalo, lui sa tutti i libri che mi servono e ti darà una grande mano. Non essere timida, Bettina.»
Quel che Francesco non capisce è che non si tratta affatto di timidezza. Al contrario.
Marco Santi è stata la mia prima cotta in assoluto, l’uomo che avevo pensato di sposare. Avevo sedici anni e lui trentasei. Era il giovane assistente di uno dei professori di medicina di mio fratello, ora non ricordo nemmeno più la materia esatta, ma ricordo benissimo la sera nella quale a cena lui disse a me e ai nostri genitori che aveva fatto amicizia con questo uomo che aveva solo una decina di anni più di lui, ma pareva si trattasse di un prodigio e che si fosse laureato molto presto per poi dedicarsi alla carriera universitaria.
«Mi aiuta con l’esame che devo fare. Io credo che non seguirò più nessun corso di quel professore, quindi mi domandavo se dopo l’esame potevo invitarlo a pranzo da noi, per ringraziarlo», aveva spiegato, mentre io seguivo con poco interesse il discorso. Il permesso fu accordato e una domenica di un paio di mesi dopo Francesco fu promosso e scattò l’invito a pranzo. Marco, anzi il dottor Santi, come mi era stato raccomandato di chiamarlo, sarebbe arrivato da noi quella domenica verso l’una.
Immaginavo che mi sarei annoiata parecchio a quel pranzo, dove si sarebbe parlato solo di Francesco e di Marco e di medicina. I miei genitori erano stati due impiegati pubblici, ora in pensione, e quindi erano molto interessati a quel che studiava mio fratello. Erano interessati anche a me, intendiamoci, solo che io non ero portata per la medicina o gli studi scientifici. Ero iscritta al liceo classico e stavo decidendo di studiare storia dell’arte all’università.
Avevo già adocchiato un paio di corsi di conservazione di beni culturali che mi facevano gola, perciò avevo poco a che fare con la medicina e soprattutto con la dermatologia, che mio fratello tanto amava. Ma si trattava solo di un pranzo, quindi decisi di non dire nulla, nemmeno qualche battuta, di mangiare e poi di telefonare a qualche amica per uscire. Un piano perfetto, rovinato all’una precisa, quando Marco aveva suonato alla porta. Visto che tutti erano occupati tra la preparazione del pranzo e le ultime cose da portare in tavola, ero stata spedita io ad aprire. Insomma, io posso non ricordare quel che ho mangiato ieri sera, ma posso assicurare che il ricordo della prima volta che ho visto Marco Santi è ancora vivido in me.
Una volta aperta la porta mi trovo davanti un giovane uomo altissimo, con i capelli castani chiari e degli occhi azzurri che parevano splendere quando sorrideva. Lo so perché sorrideva mentre mi guardava. Nel frattempo, avevo fatto in tempo a notare i suoi lineamenti un po’ marcati tenuti a bada con un pizzetto che gli incorniciava una bocca abbastanza grande. Indossava un completo spezzato, sul blu scuro, e una camicia bianca senza cravatta. Tra le mani aveva un gran mazzo di fiori. Stavo per prendere quei fiori, convinta chissà perché che li avesse portati per me, quando la sua voce, profonda e un po’ gutturale, mi fermò.
«Sei Elisabetta, immagino. Io sono Marco, un amico di tuo fratello. Puoi farmi strada fino a dove è la tua mamma? Vorrei darle subito questi fiori.»
Mentre lo facevo entrare, realizzavo che mi aveva trattato come una bambina, che con ogni probabilità non mi avrebbe mai degnato di attenzione e che se mio fratello si accorgeva che mi ero presa una cotta fulminante per il suo amico mi avrebbe chiuso in camera. Per anni.
«Mamma è in cucina. Vuole darmi la giacca?»
«No, ti ringrazio.»
Con due falcate entra in casa e io lo porto in cucina dove mamma sgrana gli occhi a vedere quei fiori bellissimi.
«Non doveva, dottor Santi.»
«Ma era il minimo, signora Barbieri. Ma mi chiami Marco, per favore, chiamatemi tutti così.»
Lo dice e guarda anche me, quindi ho dato per sottinteso che l’invito valesse davvero per tutti. Avrei voluto dire qualcosa, ma mio padre lo invita già ad accomodarsi in salotto, dove Francesco lo accogli invece con una pacca sulle spalle.
«Finalmente! E che eleganza, volevi fare colpo sui miei o hai un appuntamento dopo?»
«Io mi vesto sempre elegante, dovresti saperlo.»
Si vedeva come erano affiatati e dovevo ammettere che era davvero facile essere affascinati da quel giovane uomo. Io purtroppo sono al mio posto a tavola tra mamma e papà, ma almeno potevo guardarlo senza problemi. Arrivati alle fragole con la panna avevo preso due decisioni: la prima era che quel pomeriggio non sarei uscita, ma sarei rimasta in casa fino a che lui non se ne sarebbe andato. Inoltre, volevo che fosse lui la persona che mi avrebbe dato il primo bacio. Il primo bacio vero, intendo. Avevo avuto un paio di simpatie in quell’ultimo anno, ma mi ero limitata a qualche uscita, un paio di gelati e dei bacetti davvero casti. Ma Marco doveva essere la persona con la quale avrei scambiato il mio primo bacio.
A mia discolpa per questa idea pazza posso dire che avevo sedici anni e la vita mi appariva sotto un aspetto molto romantico, anche troppo. Comunque, la faccio breve: dopo quella domenica a pranzo, Marco venne spesso a trovarci. I miei si erano abituati alla sua presenza e qualche volta aveva anche portato la ragazza che frequentava in quel periodo e, guarda caso, erano i giorni in cui io proprio avevo impegni improrogabili con le amiche. Dal canto mio, stavo