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La donna sbagliata
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E-book193 pagine3 ore

La donna sbagliata

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Info su questo ebook

Londra, 1815/1819 - Abbandonata all'altare, Susanna dovrà fare da dama di compagnia alla ricca Amelia Western, fidanzata del visconte Darlington. Per un capriccio del destino, viene rapita al posto dell'ereditiera dai sicari di Ben Wolfe! Le intenzioni di Ben sono onorevoli, perché vuol fare di Amelia sua moglie, vendicandosi così dei Darlington. Rapire la donna sbagliata sconvolge i suoi piani. Ma se la volitiva

Susanna fosse in realtà la donna "giusta"?

LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2016
ISBN9788858945612
La donna sbagliata
Autore

Paula Marshall

Nata e cresciuta in Inghilterra, a dieci anni leggeva già Dickens e Tackeray. La passione per la storia e per l'epoca della Reggenza in particolare ha ispirato in seguito i suoi deliziosi romanzi, avventurosi e ricchi di umorismo.

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    Anteprima del libro

    La donna sbagliata - Paula Marshall

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Wolfe’s Mate

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 1999 Paula Marshall

    Traduzione di Elisabetta Lavarello

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2000 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-561-2

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Luglio 1815

    «All’altare...» gemette la signora Mitchell, lasciandosi cadere con cautela sulla poltrona più comoda del salotto. «La mia primogenita abbandonata all’altare! Devi fare qualcosa, mio caro. Sfidarlo a duello o sfregiarlo con un frustino da cavallo. Non merita altro.»

    «Mi sarà un po’ difficile» replicò il marito con lucidità, «dato che nella sua lettera ci informa che è già partito per la Francia.»

    Una lucidità davvero rimarchevole, se si considerava che un’ora prima il signor Mitchell si stava congratulando con se stesso perché era riuscito a sbarazzarsi della figliastra dandola in moglie a un uomo che, tutto sommato, era un ottimo partito, essendo lui un lord e lei la figlia di un mercante, e neanche di una bellezza irresistibile.

    Per tutta risposta, sua moglie batté i piedi per terra stizzita, annunciò che stava per svenire, e prontamente lo fece. Le due figlie minori, che la signora aveva avuto dal suo secondo marito, il signor Mitchell, singhiozzavano su un sofà, mentre la governante si torceva le mani, sussurrando a intervalli: «Oh povera ragazza, oh poveretta...».

    L’unica persona calma in quella stanza era proprio la giovane in questione, la diciannovenne Susanna Beverly, che con grande presenza di spirito strappò una piuma dal ventaglio, la passò rapidamente sul fuoco poi la mise sotto il naso della madre per rianimarla.

    La donna si mise a sedere di scatto, esclamando: «Susanna, come puoi essere tanto calma quando quell’uomo ti ha rovinata? Prima di stasera la notizia avrà fatto il giro della città. Sarà il pettegolezzo più ghiotto della stagione mondana».

    «Oh mamma...» Susanna sospirò. «Non esagerare. Io non sono stata sedotta. Solo abbandonata.»

    «Non capisci che è lo stesso? Nessuno, nessuno sposerebbe mai una ragazza che è stata abbandonata all’altare! Oh, è tutta colpa tua! Cosa gli hai detto per farlo scappare?»

    «Niente, mamma, niente.» Solo la sua volontà di ferro le impediva di lasciarsi prendere dall’isterismo come il resto della famiglia. Ma dentro di sé tremava di rabbia per l’insulto che le era stato fatto. Arrivare in chiesa, aspettare uno sposo che non si presentava, e alla fine ricevere una lettera... E che lettera!

    Ho cambiato idea e non ho più desiderio di sposarmi. Ho deciso di partire per la Francia questa sera stessa. Porgete i miei rispetti a Susanna, con la speranza che trovi presto uno sposo più degno di Francis Sylvester.

    Era stata recapitata al signor Mitchell dal testimone dello sposo, il quale sembrava costernato di dover assolvere un compito così ingrato.

    Susanna sospirò di nuovo. Fino a un’ora prima era stata convinta che un bel giovane, con un titolo nobiliare e una discreta fortuna, sarebbe diventato suo marito. Certo, doveva ammettere che, nonostante si fossero frequentati per alcuni piacevoli mesi estivi, non lo amava alla follia. Ma, del resto, chi amava alla follia il proprio marito, a parte le eroine dei romanzi rosa?

    Lei e Francis s’erano trovati bene insieme, anche se i loro interessi divergevano. Per questo non riusciva proprio a immaginare perché si fosse comportato in un modo così crudele. Francis aveva avuto tutto il tempo di tirarsi indietro durante i mesi del loro fidanzamento, quando una rottura non avrebbe rovinato la sua reputazione in modo tanto catastrofico.

    Poiché Susanna si rendeva perfettamente conto che quello che diceva sua madre era la verità. Essere abbandonata all’altare equivaleva a un’emarginazione sociale. Era stato a causa del suo aspetto? Susanna sapeva bene di non avere la bellezza bionda da cherubino delle sue sorellastre.

    Era graziosa, certo, ma non aveva nulla di straordinario, a parte gli occhi grigioazzurri che Francis aveva spesso ammirato. I suoi capelli erano castani, il volto ovale e minuto. E i suoi lineamenti, anche se gradevoli, non erano di una perfezione classica.

    Né era particolarmente ricca. Possedeva un piccolo patrimonio personale che suo padre non aveva avuto la possibilità di rendere più cospicuo a causa della sua morte prematura. E il suo patrigno, avendo due figlie proprie di cui occuparsi e cullando ancora la speranza di avere un giorno un erede maschio, non aveva fatto grandi sforzi in quel senso.

    Susanna raddrizzò le spalle e alzò la testa. Commiserarsi non serviva a nulla. Ciò che era accaduto non si poteva cambiare.

    «Vado in camera mia» annunciò. «Mandami Mary, per favore, mamma. Vorrei togliermi di dosso quest’abito. Mi è diventato inviso.»

    E mentre pronunciava quelle parole, vedendo l’espressione con cui la fissavano sua madre e il suo patrigno, capì che lei era diventata invisa a loro: un simbolo del loro disappunto. Non solo avevano perso un genero aristocratico, ma s’erano anche trovati sul groppone una figlia impossibile da maritare.

    «È necessario, signorina Beverly, che discutiamo della vostra sfortunata situazione immediatamente» esordì il signor Mitchell il mattino successivo, a colazione. «Vi aspetto nel mio studio alle undici in punto.»

    Susanna aggrottò la fronte. Il suo patrigno non l’aveva mai chiamata signorina Beverly, prima, tantomeno le aveva dato del voi. Anzi, negli ultimi mesi i suoi modi si erano fatti particolarmente affettuosi. Ma non c’era alcuna traccia d’affetto in lui in quel momento, né più tardi, quando Susanna arrivò nel suo studio e lo trovò che stava scrivendo furiosamente alla scrivania.

    Il signor Mitchell non si alzò sentendola entrare, ma posò la penna, dicendo: «È una triste faccenda, mia cara. Io contavo su queste nozze per vedervi sistemata. Avevo perfino trovato il denaro per la vostra dote, dato che il vostro promesso sposo era un partito così buono, ma ahimè, ora che la vostra reputazione è compromessa e che difficilmente potrete più sposarvi, la mia carità è fuori questione».

    Susanna lo aveva ascoltato sbalordita. Aveva sempre avuto l’impressione che suo padre le avesse lasciato una bella somma di denaro in un fondo fiduciario.

    E così gli disse.

    Lui abbozzò un sorrisetto di compatimento. «Cara bambina, è stata una pietosa bugia che ho raccontato a voi e vostra madre. Vostro padre lasciò ben poco. Fece alcuni sfortunati investimenti prima della sua prematura morte. Io vi ho mantenuta, ed ero perfino disposto a fornirvi la dote che vostro padre vi avrebbe dato quando sperai che avreste fatto un buon matrimonio. Ma ora non v’è più motivo perché io continui con questa finzione. Ho il triste compito di informarvi che, anche se vi aiuterò a rifarvi una vita, non posso più permettermi di provvedere a voi.»

    Susanna non poteva sapere che non c’era una parola di vero in ciò che il suo patrigno le stava dicendo. Era lui che aveva fatto gli investimenti sbagliati, non suo padre. Il signor Mitchell aveva sottratto denaro al fondo sin da quando aveva sposato la madre di Susanna e ora vedeva una magnifica opportunità per mettere le mani sull’intera somma.

    «Vi verserò una piccola rendita annuale, perché non lascerò che la figlia di mia moglie se ne vada in povertà. Oh no. Inoltre ho scritto una lettera a una mia anziana amica, una certa signorina Stanton, che vive nello Yorkshire. Mi aveva pregato di trovarle una dama di compagnia e io non esiterò a raccomandarle voi. Vi darà una comoda casa in cambio di poche semplici incombenze.» Le sorrise, aggiungendo col suo tono più gentile: «Vedete, mia cara, continuo ad avere a cuore i vostri interessi».

    Susanna rimase per qualche istante in un silenzio allibito, il cuore che le martellava nelle orecchie. «Non avevo idea... Se fossi stata consapevole della mia reale posizione, vi avrei ringraziato prima, ma...»

    Samuel Mitchell alzò una mano. «Non mi dovete alcun ringraziamento, mia cara. Ho fatto solo il mio dovere. Spedirò la lettera immediatamente, ma non temete. Sono sicuro che la signorina Stanton sarà felice di assumervi. Fino ad allora, continuate pure a considerarvi nella mia casa come una delle mie figlie.»

    Susanna annuì in silenzio. Si sentiva privata del dono della parola. Il giorno prima, stava per diventare lady Sylvester. Quello dopo, era stata informata che era un’orfana senza un soldo, sul punto di essere mandata via di casa per diventare dama di compagnia di un’anziana signora, con tutto ciò che questo comportava. Fare commissioni, portare a spasso il cagnolino... Né una domestica né una gentildonna, ma un’ibrida, imbarazzante via di mezzo.

    Più tardi, sola nella sua stanza, Susanna cominciò a interrogarsi su quello che le aveva detto il suo patrigno. E a sospettare. Era proprio vero che suo padre non le aveva lasciato nulla? Che l’esistenza del fondo non era stata altro che una pietosa bugia? Che negli ultimi dodici anni lei era vissuta grazie alla carità del patrigno?

    Decise di far visita agli avvocati del suo defunto padre per scoprire la verità. Non avrebbe parlato della cosa al signor Mitchell. Avrebbe detto solo che aveva bisogno della carrozza di famiglia per prendere una boccata d’aria.

    Ma Mitchell, conoscendo il suo carattere forte e determinato, aveva previsto una cosa simile e riuscì a impedirla dicendo alla moglie che fino alla partenza di Susanna per lo Yorkshire sarebbe stato poco saggio che la ragazza si facesse vedere in pubblico.

    Sarebbe stato meglio per tutti che restasse confinata in casa.

    1

    1819

    Era stato uno dei suoi balli più riusciti, dichiarò lady Leominster il mattino dopo a colazione. Suo marito si limitò a un mugolio d’assenso, continuando a leggere il Morning Post. Mai avrebbe ammesso con lei quanto gli fossero utili quei balli e quei ricevimenti. Sua moglie gongolava già abbastanza anche così.

    «Ed è venuto perfino quel nababbo di Wolfe, che aveva rifiutato tutti gli altri inviti.»

    Milord ebbe un altro brontolio. Questa volta d’apprezzamento. Aveva passato una proficua mezz’ora in compagnia di Benjamin Wolfe, discutendo di opportunità d’investimento alternative dato il prolungarsi del periodo di depressione postbellica.

    «Mi ha fatto piacere parlargli» concesse burbero. «Quel ragazzo sembra un tipo sveglio. Invitalo alla nostra prossima cena, mia cara.»

    «Si dice che stia cercando moglie.»

    «Non dovrebbe essergli difficile trovarla. Con tutti quei soldi che si ritrova...» mormorò lord Leominster.

    «Questo è vero. Ma la sua nascita? Chi sa qualcosa della sua famiglia?»

    «Oh, io li conoscevo» tenne a precisare lui sorridendo perché, una volta tanto, era al corrente di qualcosa che sua moglie ignorava. «Stessa famiglia dell’omonimo generale. Lui è andato in India e ha fatto la sua fortuna là.»

    Sua moglie si strinse nelle spalle e abbandonò l’argomento Ben Wolfe. «Dicono che Darlington stia per chiedere la mano di Amelia Western. Quello sì sarà un matrimonio tra soldi. Le ha riservato le più pressanti attenzioni, ieri sera.»

    Non ricevette alcuna risposta. Lord Leominster non era interessato a futili pettegolezzi. Ben Wolfe era tutto un altro conto. Certe persone avevano la loro utilità.

    Come al solito, Amelia aveva quella santerellina della sua chaperon a rimorchio, aveva pensato George Wychwood, visconte Darlington, la sera precedente. Darlington aveva ricevuto la benedizione del padre di Amelia poche ore prima ed era venuto a Leominster House con il solo scopo di dichiararsi.

    Ebbene, aveva pensato, Amelia non avrebbe più avuto bisogno di chaperon una volta diventata sua moglie, e la santerellina avrebbe presto ricevuto il preavviso e avrebbe dovuto cercarsi un altro posto come dama di compagnia di una vecchia befana, o accompagnatrice di qualche altra innocente fanciulla, per assicurarsi che i lupi non se la mangiassero prima degli uomini onesti.

    A proposito di lupi, non era Ben Wolfe, detto il lupo, l’uomo che stava conversando col padrone di casa? George Darlington s’era accigliato. Aveva menzionato il nome di Wolfe a suo padre, il conte di Babbacombe, il giorno prima, e il conte aveva abbozzato una faccia scura e gli aveva consigliato di evitarlo come la peste.

    «Suo padre era un essere spregevole. Tale padre tale figlio, dico sempre io... Anche se si sussurra che non sia affatto il figlio di Charles Wolfe, ma un bastardello sostituito alla nascita, quando il figlio di Wolfe morì. Credevo che se ne fosse andato in India... Cosa ci fa di nuovo qui, in società?»

    Disinteressato, George aveva alzato le spalle. «S’è fatto una fortuna, laggiù, dicono. È diventato un nababbo.»

    «Soldi» aveva commentato suo padre disgustato. «Fanno scordare tutto.»

    Il suo tono era stato amaro. Erano in pochissimi a sapere che la famiglia Wychwood si trovava in gravi difficoltà finanziarie e aveva un disperato bisogno del matrimonio che George si accingeva a stringere.

    Certamente, George non aveva idea di quanto suo padre fosse vicino alla bancarotta. Se l’avesse avuta, non si sarebbe avvicinato a cuore tanto leggero ad Amelia Western, che era seduta in un angolo in compagnia della sua chaperon. Aveva invitato la fanciulla a ballare.

    «Dopo la danza, ho qualcosa di particolare da dirvi, se la signorina...» Aveva lanciato un’occhiata verso la chaperon. «Vi permette di uscire

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