I miei Balcani
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Info su questo ebook
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L’autrice le attraversa con mente, cuore e occhi aperti, desiderosa di coglierne l’essenza.
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Tre racconti, due in Bosnia – Erzegovina, uno lungo la costa dalmata, tre scampoli della complessa realtà balcanica raccontata con sincerità.
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ANUNNAKI - Narrativa La città triste Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
I miei Balcani - Maria Renata Sasso
Maria Renata Sasso
I miei balcani
© 2021 - Gilgamesh Edizioni
Via Giosuè Carducci, 37 - 46041 Asola (MN)
gilgameshedizioni@gmail.com - www.gilgameshedizioni.com
Tel. 0376/1586414
È vietata la riproduzione non autorizzata.
In copertina: The Coming of Spring in Mostar di Tivadar Csontváry Kosztka.
© Tutti i diritti riservati.
UUID: 6f5a29cf-0111-4041-9495-351ded0eb205
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice dei contenuti
Prefazione
Premessa
IL VECCHIO
NEVERIN
(QUASI) UN DIARIO A DUE VOCI E IN DUE TEMPI
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Note
ANUNNAKI
Narrativa
169
Prefazione
Raccontare il passato recente della Jugoslavia intrecciando l’esperienza famigliare, il proprio vissuto intimo, offrendo al lettore uno sguardo nuovo su una realtà che molti hanno visto, e pochi conoscono. Questo sono I miei Balcani di Maria Renata Sasso. Un libro agile, che si immette in un rivolo della letteratura italiana, iniziato con Alberto Fortis, continuato da Tommaseo, Irene Brin in altre circostanze, e che ha avuto una fioritura subito dopo la fine delle guerre jugoslave degli anni Novanta.
Maria Renata Sasso con sapienza e curiosità evita le trappole dell’orientalismo, il gusto per il dettaglio esotico. Nel suo scrivere cerca piuttosto le cose che accomunano gli italiani agli abitanti della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina. È evidente l’empatia dell’autrice con le persone che incontra e racconta, un’empatia che evita allo scritto di scadere in un semplice diario di viaggio. Sia nel racconto Blitz a Mostar, sia nelle Istantanee da Sarajevo traspare la tristezza che la guerra lascia in eredità. Sasso lascia capire che a guidare il destino delle persone non sono congenite e ataviche tendenze alla violenza, ma le circostanze storiche. In Intermezzo a Hvar è invece la natura, il neverin
a determinare il tempo della scrittura.
Con rispetto, senza banalità, la scrittrice presenta i traumi, le paure che ha ascoltato dai suoi interlocutori a Mostar e Sarajevo; le presenta usando dettagli, frammenti di vissuto famigliare, situazioni private che possono essere vicine ad ogni lettore, ma che qui acquisiscono significati diversi, segnati dai tragici eventi recenti. Dal tepore di una vacanza si passa alla brutalità della Storia. Pregnanti i passi in cui l’autrice condivide con i lettori i sentimenti della nuora, i suoi timori e le sue reazioni al ricordo di un’infanzia interrotta dalla guerra. Fatti banali, come ad esempio il controllo doganale, vengono trasformati in occasione per descrivere le paure, i risentimenti e le piccole angherie che compongono la quotidianità di un paese ancora involto nel lascito della guerra. Ma poi una credenza, un luogo caro o un oggetto ritrovato riportano alla luce il vissuto e il passato della comunità e delle persone che la componevano.
Walter Skerk
giornalista del Tgr Rai FVG
e curatore della rubrica Est-Ovest
Premessa
I miei rapporti con i Balcani hanno avuto fasi alterne, diversificate per intensità, vissute pienamente con l’avanzare imprevisto della vita. Quando per la prima volta mi sono accostata a questa affascinante regione d’Europa, ai tempi della Guerra fredda, ero una giovane donna animata da un misto di curiosità e timore, sensazioni determinate dalla consapevolezza di oltrepassare un confine fisico e mentale, che divideva il mondo in due campi ben distinti, contrapposti per valori e costumi.
Successivamente, è subentrata la volontà di liberarmi da quel bozzolo di sentimenti opposti e si è insediato il desiderio di conoscere e capire libera da pregiudizi. Quando poi, dopo il decennio terribile di guerre e lutti, le visite si sono intensificate in periodo di relativa pace, la comprensione è cresciuta parallelamente all’ampliarsi del campo di esplorazione. Munita di macchina fotografica e mente aperta, ho costruito dentro di me un mosaico di tessere visive ed emozionali legate agli incontri con luoghi e persone.
I miei Balcani riportano solo alcune di queste immagini mentali e il titolo stesso indica chiaramente che si tratta di visioni personali, spontanee, velate da una consapevole forma di pudore. I viaggi riservati alla conoscenza dei luoghi e dei manufatti si intrecciano agli incontri e agli eventi. Come spesso accade, ogni viaggio ha inoltre messo in luce aspetti nascosti della personalità mia e di quanti sono affettivamente a me vicini.
Attraverso la finzione narrativa ho rielaborato storie realmente vissute in racconti che si susseguono in senso cronologico, fotografando con sguardo empatico tre momenti diversi della mia presenza in quella regione. Nessuna pretesa da parte mia di offrire verità storiche, politiche e sociologiche, non sono una storica né una politica, tantomeno una sociologa. Ma, a trent’anni di distanza dall’inizio dei conflitti che hanno portato, dal 1991 al 2001, alla dissoluzione della ex-Jugoslavia, ho voluto esplorare a grandi passi un percorso di crescita personale, da semplice testimone partecipe a persona coinvolta direttamente nella comprensione di un mondo multiforme e coinvolgente.
Maria Renata Sasso
marzo 2021
BLITZ A MOSTAR
Luglio 2000
IL VECCHIO
«Ciao, italiani. Benvenuti in quel che resta di Mostar. Mi chiamo Emir, non sono una guida turistica ma un ex-giornalista che si guadagna da vivere come può. Per pochi marchi posso parlarvi di com’era la città e aiutarvi a visitarla.»
Il giovane è sbucato come un’ombra da una via con le case gravemente danneggiate. Ci apostrofa in un buon italiano. Al suo avvicinarsi percepiamo un odore stantio di scantinati umidi e lavaggi frettolosi. Racconta di essersi laureato in giurisprudenza presso l’università Dzemal Bijedic di Mostar nel 1990, di aver soggiornato poi a Trieste per un anno per imparare la nostra lingua, di aver lavorato per un giornale e una radio locali prima della guerra. Evidente il desiderio di far buona impressione su di noi. Emir dice di avere trent’anni, ne dimostra di più. Il volto angoloso è dominato da un naso importante, i capelli lisci sono buttati di lato. Appare dignitoso, a dispetto degli abiti fuori misura che pendono incolori sul corpo magro e slanciato. Un vecchio borsello penzola dalla cintura che stringe i pantaloni oltre i buchi regolamentari, segno di un corpo più robusto in passato. Lo sguardo però è vigile, sincero il sorriso dai denti in disordine. Noi scambiamo una rapida occhiata e subito acconsentiamo. Siamo stanchi delle due ore di viaggio impiegate per arrivare fin qui dalla costa, esasperati dalla lunga attesa al confine, innervositi dal caldo che ci ha investiti appena usciti dall’auto parcheggiata sotto un sole implacabile. Ci sentiamo impauriti di fronte alle macerie che ci circondano, alle case sventrare, ai colpi degli obici e alle mitragliate stampate sui muri sbriciolati di interi isolati. Siamo arrivati sin qui per vedere quel che resta della città e del famoso ponte, perciò accettiamo volentieri il suo aiuto. Ci presentiamo, Nora e Marco.
«Posso chiedere da quale parte d’Italia venite?»
«Certamente. Abitiamo in Friuli. Ci sei stato quando studiavi a Trieste?» chiede Marco.
«Poco. I miei amici italiani una sera mi hanno portato in un paesino in collina a bere buon vino, ma poi non ci sono più tornato. Anche noi abbiamo buon vino e buona birra.»
«Una birra, magari! Non vedo l’ora di berne una fresca. Ho una sete!»
«Andiamo allora, iniziamo il nostro giro da questo lato della città.»
Seguiamo Emir facendoci ombra con alcuni depliant trovati nella mia borsa, lui s’incammina lungo l’argine di uno stretto corso d’acqua. Incrociamo pochi passanti, procedono frettolosamente lanciando veloci sguardi obliqui nella nostra direzione. Di fronte alla diffidenza che traspare dai loro occhi,