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La Russia imperiale: Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917)
La Russia imperiale: Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917)
La Russia imperiale: Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917)
E-book703 pagine7 ore

La Russia imperiale: Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917)

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Info su questo ebook

L’era imperiale è dominata dalla figura di Pietro il Grande, il quale, affascinato dal progresso tecnologico, decide di modernizzare la Russia. L’imposizione del taglio della barba, segno di appartenenza all’Ortodossia, l’obbligo di portare abiti di foggia occidentale e i comportamenti blasfemi del sovrano inaspriscono la frattura tra i seguaci dello scisma dei veteroritualisti, emarginati e perseguitati, e i fedeli della Chiesa di Stato, completamente asservita all’autocrate. Pietro porta a termine un programma di laicizzazione al quale si ispireranno i regnanti del XVIII secolo, in particolare Caterina II, e decreta l’abolizione del Patriarcato, affermando: «Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e pertanto io sono per loro sovrano e patriarca», optando, quindi, per un cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi irrimediabilmente dal modello bizantino della sinfonia tra sacerdotium e imperium. La Chiesa, denominata Ente della professione ortodossa, viene trasformata in dicastero statale e si riduce a mero instrumentum regni. La storia di questa Chiesa è quella dello Stato stesso e lo sarà anche al tempo dei piissimi zar dell’Ottocento. L’imposizione di valori estranei al mondo russo crea una divisione tra i cultori della ricca tradizione spirituale della Russia (slavofili) e i partigiani del modello petrino (occidentalisti). Queste due antitetiche correnti di pensiero hanno, peraltro, in comune la convinzione di una missione salvifica assegnata alla Russia, radicata nell’idea di Mosca Terza Roma. I primi concepiscono il popolo russo come teoforo, mentre i secondi gli assegnano il compito di una palingenesi esclusivamente mondana, la quale sarà alla radice della catastrofe antropologica del bolscevismo.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita12 mag 2021
ISBN9788816802841
La Russia imperiale: Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917)
Autore

Giovanni Codevilla

Allievo di Orio Giacchi, grande canonista dell’Università Cattolica di Milano, ha insegnato per quarant’anni Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale e Diritto Ecclesiastico comparato nell’Università di Trieste. È autore di diverse monografie dedicate alle relazioni tra Stato e Chiesa in Urss e nell’Europa Orientale e di numerosi contributi scientifici pubblicati in Italia e all’estero.

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    La Russia imperiale - Giovanni Codevilla

    LA RUSSIA IMPERIALE DA PIETRO IL GRANDE A NICOLA II

    1682-1917

    1. L’ASCESA AL TRONO DI PIETRO. LE SUE IMPRESE MILITARI

    A seguito della prematura morte dello zar Aleksej Michajlovič, avvenuta il 26 Gennaio 1676 all’età di 46 anni, sale al trono Fëdor Alekseevič, figlio della sua prima moglie, Marija Il’inična Miloslavskaja. La famiglia della seconda moglie, Natal’ja Kirillovna Naryškina, madre di Pëtr Alekseevič, il futuro Pietro il Grande, viene allontanata e perseguitata dagli esponenti della famiglia dei Miloslavskij.

    Il nuovo zar Fëdor Alekseevič muore all’età di soli 20 anni, il 27 Aprile 1682: candidati a succedere al trono sono Ivan, figlio della Miloslavskaja, fragile di fisico e di mente, e Pëtr, figlio della Naryškina, di sana costituzione e di promettente intelligenza. Il patriarca Ioakim, schierato con determinazione tra i sostenitori di Pietro, nello stesso giorno della morte di Fëdor convoca un Concilio straordinario, nel quale riesce a fare eleggere al trono Pietro¹, suscitando peraltro la violenta e pronta reazione dei partigiani dei Miloslavskij, capeggiati da Sof’ja Alekseevna, figlia della Miloslavskaja. La carevna Sof’ja riesce a sfruttare il malcontento degli strel’cy, i quali, indotti a credere che la morte dello zar Fëdor non sia stata naturale, ma provocata dalla Naryškina, il 15 Maggio 1682 prendono d’assalto il Cremlino e fanno strage delle famiglie dei partigiani di Pietro: i Naryškin, i Dolgorukij, e Matveev; il 26 Maggio ottengono che Ivan, figlio della Miloslavskaja, maggiore di età², sia affiancato al fratellastro Pietro e che la reggenza sia affidata a Sof’ja³, con la vittoria, quindi, del partito dei Miloslavskij.

    I due nuovi zar Ivan e Pietro vengono incoronati il 25 Giugno 1682⁴; nei primi anni della reggenza di Sof’ja, Pietro studia matematica sotto la guida dell’olandese Franz Timmermann e sul lago di Perejaslavl’ inizia ad apprendere l’arte della navigazione, grazie ad un altro olandese di nome Karsten Brandt.

    La lotta tra i Naryškin e i Miloslavskij non cessa con l’incoronazione dei due sovrani e Sof’ja è ben lontana dall’idea di rinunciare alla sua posizione di autocrate con il compimento della maggiore età di Pietro; il conflitto esplode nell’estate del 1689 quando Pietro rifiuta di ricevere il principe Vasilij Vasil’evič Golicyn, favorito della sorellastra, al suo ritorno dalla disastrosa campagna di Crimea. Determinata a liberarsi dei fratelli e ad assumere il governo della Russia, il 7 Agosto Sof’ja raduna al Cremlino un ingente numero di strel’cy, ma Pietro informato dell’imminente aggressione si rifugia nel monastero della Trinità di san Sergij, dove viene raggiunto dalla madre e dagli strel’cy rimasti a lui fedeli, noti come potešnye voiska⁵ e da altre truppe. Il patriarca Ioakim, invitato da Sof’ja ad incontrare Pietro per trovare un accordo non viene ricevuto dallo zar.

    Nel mese di Settembre del 1689, al termine di questo cruento conflitto, che vede l’uccisione spietata di un numero ingente di congiurati⁶ e l’invio dei loro simpatizzanti veri o presunti in esilio nelle terre lontane da Mosca, Sof’ja viene estromessa dal potere e forzata ad entrare nel monastero Novodevičij⁷: dalla sua cella è costretta a vedere per cinque mesi i corpi appesi alle forche di duecento ribelli, a ricordarle l’esito infausto della rivolta da lei ispirata.

    Nei dieci anni successivi Pietro lascia l’amministrazione dello Stato ai Naryškin, impegnandosi negli esercizi militari⁸, nella costruzione di navi e negli svaghi sconvenienti più avanti descritti, tralasciando spesso i suoi doveri di rappresentanza.

    Il 29 Gennaio 1696, a soli 29 anni, muore Ivan Alekseevič⁹ e Pietro resta l’unico autocrate, zar e gran principe di tutta la Russia, Grande, Piccola e Bianca. L’anno successivo Pietro, assetato di conoscenza, decide di intraprendere un viaggio in Europa, nascondendosi sotto lo pseudonimo di Peter Michajlov e presentandosi come sottufficiale (urjadnik) del reggimento Preobraženskij; ben presto, però, la sua vera identità diviene nota a tutti, anche a causa dell’enorme numero dei suoi accompagnatori (ciambellani, interpreti, medici, pope, cuochi, servitori, militari, eccetera, senza menzionare i nani e i buffoni di corte). Questo viaggio, chiamato La Grande ambasciata (Velikoe posol’stvo), il cui scopo è quello di stringere un’alleanza tra principi cristiani contro la Turchia e il khān di Crimea, lo vede dapprima svolgere attività di operaio nei cantieri di Zaandam, per frequentare poi il corso superiore di costruzione navale a Deptford in Inghilterra, e dirigersi attraverso la Prussia e la Boemia alla volta di Vienna, dove è costretto a interrompere il viaggio rinunciando a Venezia e a rientrare precipitosamente a Mosca, a causa di una seconda rivolta degli strel’cy, ispirata dalla sorellastra Sof’ja: si tratta dell’epilogo della lotta senza quartiere tra i due gruppi familiari dei Miloslavskij e dei Naryškin.

    La repressione dei rivoltosi è durissima e cruenta: vengono, infatti, allestite camere di tortura che lavorano incessantemente per estorcere confessioni e delazioni; lo stesso Pietro partecipa attivamente come boia al massacro di alcuni congiurati; scrive l’Ammann: «A schiere gli Streltsi, con gli atroci sistemi allora in uso a Mosca, vennero giustiziati. In Pietro si risvegliarono allora i più crudeli istinti, eredità dello squilibrato suo avo, Ivan il Terribile: con cieca voluttà, egli prese parte in persona all’opera sanguinosa»¹⁰.

    Dal 1698 si occupa si occupa dei preparativi della Grande guerra del Nord contro la Svezia che dura due decenni (1700-1721), combattuta per avere accesso al Baltico e superare i limiti imposti dalla disponibilità dei soli porti del mar Bianco. Le ostilità iniziano il 9 Agosto 1700, dopo la cessazione della guerra con la Turchia, che si conclude con la pace di Costantinopoli del 3 Luglio 1700 e l’assegnazione di Azov alla Russia. Le truppe di Pietro avanzano su Narva, dove il 19 Novembre subiscono una severa sconfitta da parte degli svedesi di Carlo XII. Con progressiva avanzata le truppe di Pietro al comando di Boris Petrovič Šeremet’ev entrano in Livonia e procedono per l’Ingria sino a dominare tutto il corso della Neva.

    Nel 1704, dopo aver edificato la città di San Pietroburgo, Pietro conquista Dorpat (Tartu), Narva e Ivangorod e, a seguito di alterne vicende, il 27 Giugno 1709, infligge alla Svezia una pesante sconfitta a Poltava, costringendo Carlo XII a fuggire in Turchia¹¹. Nel 1709-1710 Pietro conquista la Livonia, l’Estonia e le principali città della Carelia. La guerra prosegue con la Turchia e segna la perdita russa di Azov e con essa l’accesso al mar Nero, ma negli anni successivi la posizione russa si rafforza grandemente nel nord, sino ad arrivare alla pace con la Svezia sottoscritta il 30 Agosto 1721, con l’assegnazione alla Russia della Livonia, Estonia, Ingria, Carelia e parte della Finlandia meridionale, assicurando una posizione di predominio sul Baltico, favorendo i commerci garantiti dalla navigazione sui mari liberi dal ghiaccio, prima limitati dai rigidi inverni di Archangel’sk e del mar Bianco.

    Negli anni immediatamente successivi Pietro entra in conflitto con la Persia e conquista le sponde occidentali del Caspio con Derbent e Baku. Si può quindi affermare che gli anni di Pietro sono caratterizzati da continue imprese belliche, alle quali si dedica con impegno, non mancando peraltro di imporre alla Russia un nuovo modello di organizzazione statale e una modernizzazione che investe tutti i campi del vivere sociale.

    ¹Si veda la lunga disposizione del 27 Aprile 1682, № 914, Annuncio della morte del Sovrano Zar e Gran Principe Fëdor Alekseevič e sulla elezione al trono di tutta la Russia del benfedele (Blagovernyj) Signore e Gran Principe Zarevič Pëtr Alekseevič, nella quale è descritta nei minimi particolari la procedura di elezione e sono elencati tutti coloro che hanno preso parte al Concilio, cfr. PSZRI, 1-oe sobr, tom II (1676-1688), pp. 384-387. Pietro viene nominato Autocrate di Tutta la Russia, Grande, Piccola e Bianca (Vseja Velikija i Malyja i Belyja Rossii Samoderžec).

    ²Ivan nasce il 27 Agosto 1666 e Pietro il 30 Maggio 1672.

    ³Cfr. Atto del 26 Maggio 1682, № 920, in PSZRI, 1-oe sobr, tom II (1676-1688), pp. 398-401; si veda anche la gramota del medesimo giorno № 921, ivi, pp. 401-402. Negli atti ufficiali Ivan, Pëtr e Sof’ja vengono menzionati come gran principi, grandi sovrani e autocrati, mentre Sof’ja viene chiamata anche benfedele figlia dello zar (Velikie Gosudari e Velikie Knjazi Ioann Alekseevič, Pëtr Alekseevič i Velikaja Gosudarynja, Blagovernaja Carevna i Velikija Knjažna Sofija Alekseevna, vseja Velikija i Malyja i Belyja Rossii Samoderžcy). Dal 26 Maggio 1682 al 7 Settembre 1689 Sof’ja è reggente (pravitel’nica) con il titolo di autocrate di tutta la Russia Grande e delle altre (vseja Velikija i inych Rossij Samoderžica), ma viene privata di ogni titolo regale in base alla disposizione congiunta degli zar Ivan Alekseevič e Pëtr Alekseevič del 7 Settembre 1689, № 1347, Sulla esclusione dal nome della carevna Sofija Alekseevna del titolo regale nei documenti, negli ukazy, nelle suppliche e negli altri atti statali, in PSZRI, 1-oe sobr., tom III (1689-1699), pp. 32-33.

    ⁴Il cerimoniale di incoronazione del 25 Giugno 1682, № 931, è in PSZRI, 1-oe sobr, tom II (1676-1688), pp. 412-439 (ivi erroneamente indicato come № 391).

    ⁵Letteralmente: truppe di gioco. Si tratta in origine di un gruppo di giovani, in prevalenza di bassa discendenza, con i quali Pietro negli anni dell’adolescenza si impegna per divertimento (potecha) negli esercizi militari. Le truppe di gioco nascono nel 1683 e nel 1691 vengono costituite come organizzazioni militari regolari, divise in due reggimenti di fanteria, il Preobraženskij e il Semenovskij (dal nome di due località vicine), che rappresenteranno l’élite delle guardie imperiali fedeli a Pietro, cfr. G. Vernadsky, Dictionary of Russian Historical Terms from the Eleventh Century to 1917, op. cit., p. 98.

    ⁶Tra questi Fëdor Leont’evič Šaklovityj, assai vicino a Sof’ja, torturato e ucciso l’11 Ottobre 1689. Il Golicyn, presentatosi subito a Pietro al monastero della Trinità, viene invece privato del suoi ufficio e deportato, cfr. M.T. Florinsky, Russia. A History and an Interpretation, op. cit., vol. 1, p. 313.

    ⁷Sof’ja sceglie il nome monastico di Susanna e riacquista quello di Sof’ja prima di morire, dopo aver preso il grande abito monacale (velikaja schima).

    ⁸Pietro fa costruire sul fiume Jauza la fortezza di Pressburg, nella quale si esercita nell’arte ossidionale; nel 1694 organizza una vera battaglia nei pressi di Kožuchovo, ma la sua prima vera impresa militare contro la Turchia per la conquista di Azov si rivela sfortunata. Pietro inizia allora a costruire navi militari a Voronež, sul Don, riuscendo, così equipaggiato, a conquistare Azov il 16 Luglio 1696.

    ⁹Cfr. Comunicazione della morte del Sovrano Zar e Gran Principe Ivan Alekseevič e sulle cerimonie della Sua sepoltura, № 1536, del 29 Gennaio 1686, in PSZRI, 1-oe sobr., tom III (1689-1699), pp. 220-223.

    ¹⁰Cfr. A.M. Ammann, Storia della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi, op. cit., p. 258; cfr. inoltre: W. Marshall, Pietro il Grande e la Russia del suo tempo, Il Mulino, Bologna 1999, p. 114 e ss.; H. Troyat, Pietro il Grande, op. cit., p. 113 e ss.; cfr. altresì J.G. Korb, Diary of an Austrian Secretary of Legation at the Court of Czar Peter the Great, translated from the original latin and edited by count Ch. McDonnell, in 2 voll., Bradbury & Evans, London 1863 (e 1868), vol. 1, pp. 154-156, 169-180 e passim. Ciò contrasta con l’immagine generalmente accreditata di un Pietro che si ispira a un dispotismo illuminato e soprattutto rispettoso delle leggi e della legalità, in contrapposizione a Ivan il Terribile.

    ¹¹Merita qui ricordare la figura di Ivan Stepanovyč Mazepa (1639-1709), etmano dello Stato cosacco (1687-1709), il quale, già avanti con gli anni, durante la Grande guerra del Nord si schiera con gli svedesi di Carlo XII contro la Russia. Avendo compreso che la politica dello zar pregiudicava le aspirazioni dello Stato ucraino, di fronte al rifiuto di Pietro il Grande di appoggiare l’Ucraina contro i polacchi, offre al sovrano svedese il suo aiuto militare e invia le truppe cosacche a combattere al suo fianco. Il metropolita di Mosca, fedele esecutore degli ordini di Pietro scomunica l’etmano. L’esercito di Pietro, al comando del generale Aleksandr Menšikov, attacca la città di Baturin, centro di una entità cosacca (sotnja) e la rade al suolo. Carlo XII e le truppe cosacche vengono poi sconfitte dalle truppe di Pietro a Poltava (29 Giugno 1709). Il contributo di Mazepa all’Etmanato cosacco è rilevante in tutti i campi delle arti, delle scienze e della cultura: patrocinatore delle arti dà un grande impulso alla nascita dello stile architettonico del barocco ucraino. La Pachlovska ricorda che: «Mazepa, per la prima volta nella storia ucraina, elaborò il concetto dell’Ucraina come res publica indipendente, il cui futuro si poteva progettare solo in una necessaria equidistanza tra Polonia e Russia. Il fallimento storico di Mazepa non fu vano. Egli in effetti riuscì a consolidare enormemente la tradizione dell’indipendentismo ucraino, lasciando un’eredità politica che il Novecento saprà poi raccogliere. Questa «tradizione repubblicana» diventerà parte importante del pensiero politico ucraino, riservando dunque all’Ucraina il ruolo di ultimo baluardo europeo di una tradizione profondamente estranea (e quindi doppiamente pericolosa) all’assolutismo russo», cfr. O. Pachlovska, La cultura ucraina tra Bisanzio e Roma: discrasie e incontri, op. cit., p. 435; cfr. inoltre G. Siedina (a cura di), Mazepa e il suo tempo: storia, società, cultura. Mazepa and Hir Time: History, Society, Culture, Dell’Orso Editore, Alessandria 2004.

    2. L’EPOCA DI PIETRO IL GRANDE: LA CHIUSURA CULTURALE DELLA MOSCOVIA

    Pietro il Grande (1672-1725) è senza dubbio uno dei personaggi storici maggiormente conosciuti e studiati; tuttavia, mentre è a tutti noto, per esempio, l’interesse del giovane zar per la tecnica navale e militare dell’Europa Occidentale del tempo, che trova conferma nella sua ricchissima biblioteca¹, assai meno conosciuto è il suo atteggiamento verso la religione e la Chiesa che è, invece, di fondamentale importanza per comprendere la storia della Russia sino ai giorni nostri.

    Dopo aver ricevuto nell’infanzia una istruzione di stampo tradizionale che comprende l’educazione religiosa, voluta da una madre molto pia² e ostile ad ogni apertura verso l’Europa, Pietro trascorre gli anni della fanciullezza nei pressi di Mosca, nella residenza di Preobraženskoe, lungo il fiume Jauza, ma negli anni dell’adolescenza inizia a frequentare con crescente assiduità il cosiddetto borgo tedesco, fuori Mosca, la nemeckaja sloboda³, sorta ai tempi di Ivan il Terribile, dove gli europei vivono in modo del tutto indipendente e dove a insegnare non sono i bojari e gli alti prelati, ma gli immigrati, prevalentemente protestanti. Nel quartiere, che pullula di mercanti, pastori evangelici, avventurieri e scienziati, non solo si possono apprendere nozioni di scienza e di tecnica, ma anche si vive tra gli stranieri, ossia tra gli eretici⁴, estranei alla tradizione e alla cultura ortodossa, e abituati, in campo morale, a costumi che non escludono intemperanze e promiscuità d’ogni genere, lontanissimi dal comune sentire della società russa di allora, ma dove vige comunque il divieto di rissa e duello, pena la morte⁵. Nella sloboda Pietro inizia una relazione amorosa con Anna Mons, figlia di un mercante tedesco, conosciuta attraverso l’amico François (Franz) Lefort, che lui chiamerà zarina di Kukuj (Kukujskaja carica)⁶ e con la quale cesserà il rapporto dopo il divorzio dalla giovane moglie Evdokija.

    Giova qui ricordare che nella Moscovia è vivo quanto mai il sentimento di appartenenza all’Ortodossia che può essere contaminato o sradicato dal contatto con gli stranieri, al punto che se essi si convertono alla fede greca vengono equiparati ai russi, possono iscriversi nel ceto che desiderano ed è fatto loro divieto di lasciare la Russia⁷. La presenza desiderata e bene accolta dei valenti architetti e artigiani italiani o commercianti europei costituisce una eccezione a questa rigida regola.

    Un secolo prima dell’ascesa al trono di Pietro scrive Giles Fletcher: «Raramente incontrerete un viaggiatore russo, a meno che non sia un diplomatico o un fuggiasco; ma fuggire da qui è cosa assai difficile, dal momento che tutti i confini sono presidiati con la massima vigilanza e la pena per un simile tentativo nel caso in cui il colpevole sia catturato è quella di morte con la confisca di tutti i beni. Sono ben pochi quelli che imparano solo a leggere e a scrivere. Per una ragione o per l’altra non è consentito agli stranieri di recarsi nel loro Stato da qualsiasi paese istruito⁸, se non per ragioni di rapporti commerciali, per smerciare le loro mercanzie e per ottenere attraverso di loro quelle straniere. A tal fine in questo anno 1589 hanno deciso di trasferire tutti i mercanti stranieri a vivere stabilmente nelle città di confine e che per il futuro sia necessario usare maggiore cautela di fronte agli altri stranieri che arriveranno nelle regioni interne dello Stato, affinché questi non portino gli usi e i costumi migliori che sono loro abituali»⁹.

    Il 4 Ottobre 1689, a seguito della denuncia presentata dal pastore luterano di Mosca Joachim Meineken, su richiesta del patriarca Ioakim, viene messo al rogo sulla piazza di Mosca l’eretico millenarista Quirinus Kuhlmann assieme al suo seguace Otto Henning: una successiva gramota del 29 Ottobre dei giovanissimi sovrani Ioann e Pëtr Alekseevič, indirizzata al voevoda di Novgorod, il bojaro principe Pëtr Prozorovskij, invita le autorità a controlli più severi e ricorda che gli stranieri non possono arrivare a Mosca senza un ukaz dello zar¹⁰.

    Il contatto con gli stranieri, se non per ragioni commerciali, è vietato e il controllo sulla loro attività è ossessivo, come ricorda il Possevino nel Secondo Commentario della Moscovia: «Molti hebbero disiderio di abboccarsi co i nostri, ma per le dette cause non hebbero ardire; frà questi era un medico, che bramando molto di confessarsi et communicarsi, dimandò licenza di venire à noi, il quale non solamente non poté ottener questa gratia, ma fù minacciato con tai parole. Perché tu, che sei forestiero, hai ardire di visitare huomini di simile natione? Però se non vuoi esser fatto morire, guardati di non dimandare più queste cose. V’erano alcuni de’ Moscoviti, che si dolevano grandemente di quella captività, dicendo, che fin tanto il Principe non terrà altro stile di vivere, non è da sperare che si possa muovere quel popolo ad alcuna pietà et verità. Mandando io ai nostri ò del campo Regio, ò da altro luogo lettere, benché non contenessero altro che quel solo che apparteneva al fatto nostro, nondimeno non voleva il Principe che fossero rese; ò che commandava che di Latino fossero tradotte in lingua Rutena, accioche (per questo credo) non vi stesse nascosta qualche cosa, sospicando molto e temendo dove non era da temere»¹¹.

    Nella mentalità del tempo, al di fuori della Moscovia si annidano i veri nemici, per cui è necessario evitare che gli ortodossi si rechino all’estero: basterà qui ricordare due norme sancite dal Codice Conciliare del 1649: «Se qualcuno si reca in un altro Stato senza il documento di uscita per tradimento o per fare altro male bisogna inquisirlo con fermezza e condannarlo a morte»¹², «E se dall’investigazione risulta che qualcuno si sia recato in un altro Stato senza il documento di uscita non per arrecare danno ma per fini commerciali, anche costui deve essere punito, battuto con lo knut¹³, in modo che altri vedendo ciò imparino a non farlo»¹⁴. Anche la conoscenza delle lingue straniere, come nota il Pierling, è motivo di sospetto¹⁵.

    Vero è che la Moscovia è un Paese chiuso e isolato, con le masse contadine rese ancor più schiave dall’introduzione della servitù della gleba (1649), con una popolazione, appartenente anche alle classi più elevate, del tutto ignara di quanto avviene all’estero. È, in sostanza, ancora immutato, alla vigilia dell’era petrina, lo stupore che due secoli e mezzo prima aveva colto coloro ai quali erano state affidate missioni all’estero, stupore e meraviglia per la bellezza delle città occidentali così diverse da quelle della Moscovia, che trapelano da ogni pagina del breve scritto di un anonimo russo inviato al Concilio di Ferrara-Firenze¹⁶. Ne La relation de trois ambassades de Monseigneur le comte de Carlisle, apparsa ad Amsterdam nel 1672, si scrive: «Gli zar hanno il principio di mantenere i loro sudditi nell’ignoranza, altrimenti questi non si adatterebbero a rimanere schiavi…. È vietato ai russi di recarsi in altri paesi, perché altrimenti verrebbero a conoscere i costumi ed il modo di pensare d’altri popoli, e potrebbero quindi pensare a spezzare le catene della loro servitù»¹⁷.

    Il diplomatico del Posol’skij prikaz, Grigorij Karpovič Kotošichin († 1667), nel suo scritto sulla Russia al tempo di Aleksej Michajlovič, afferma: «Ai Moscoviti non si permette in nessuna circostanza di recarsi all’estero, fatta eccezione per coloro che per ordine dello zar e per ragioni di commercio vi vengono mandati con regolare passaporto. Ed anche quando dei mercanti si recano nei paesi esteri per i loro affari, si esige da persone ragguardevoli un documento scritto ed autenticato, in cui esse garantiscono che quei mercanti con le loro merci non rimarranno all’estero, ma torneranno in Russia. E se alcuno, fosse anche un principe o un bojaro o chichessia, andasse all’estero segretamente, senza averne ottenuto il permesso dello zar, oppure vi mandasse un figlio o un fratello, ciò gli sarebbe imputato ad alto tradimento, e gli si confischerebbero, a vantaggio dello zar, il patrimonio, le proprietà e i servi personali. E se uno volesse viaggiare per conto suo, e si trovassero in Russia suoi parenti, essi verrebbero torturati, per sapere se avevano avuto conoscenza dell’intenzione di lui. E se qualcuno manda all’estero un figlio, un fratello od un nipote, viene sottoposto alla tortura, per fargli dire a quale scopo lo ha mandato in terra straniera, se per trarre contro l’Imperio moscovitico forze straniere, o per tramare qualche altro tiro mancino, e da chi sia stato istigato a far ciò»¹⁸.

    ¹Cfr. Biblioteka Petra I. Ukazatel’-spravočnik, a cura di D.S. Lichačëv, Biblioteka A.N. SSSR, Leningrad 1978.

    ²In famiglia Pietro è attorniato da persone assai religiose: oltre alla madre sono devote alla Chiesa la moglie Evdokija Fëdorovna (Lopuchina), figlia del bojaro Fëdor (Illarion) Avraamovič Lopuchin, assai legata alla tradizionale religiosità russa e affascinata in particolare dai folli per Cristo, la sorella Mar’ja Alekseevna Romanova e la cognata Praskov’ja Fëdorovna (Lopuchina). Si deve, peraltro, far cenno ai dubbi talora avanzati sulla paternità biologica di Pietro, attribuita da taluni al patriarca Nikon, a causa dell’elevata statura e della robusta corporatura di entrambi, alla quale fa cenno, oltre ad Aleksandr Ivanovič Herzen, lo stesso S.M. Solov’ëv, ipotesi alimentata dai Vecchio-credenti; altri invece imputano la paternità di Pietro al Lefort. Cfr. A. Skirda, Les Russies inconnues. Rouss, Moscovie, Biélorussie, Ukraine et Empire russe. Des origines (862) à l’abolition du servage (1861). Essai historique, Vétché, Paris 2014, pp. 221-222. A Pietro viene talora attribuita la paternità di Michail Vasil’evič Lomonosov.

    ³Cfr. L. Kohan, Storia della Russia moderna. Dal 1500 a oggi, Einaudi, Torino 1968, p. 99. In realtà, la nemeckaja sloboda non è il quartiere tedesco, come può apparire dal nome, bensì quello in cui vivono gli stranieri; infatti, in un secondo momento viene anche chiamato inozemnaja sloboda, o quartiere degli stranieri. Il lemma nemoj, letteralmente muto, indica in realtà tutti coloro che non si sanno spiegare nella lingua russa, e quindi gli stranieri occidentali in generale, di cui i tedeschi, nemcy, costituiscono comunque la popolazione prevalente nel quartiere, dove nel 1660 vi sono tre chiese luterane, una riformata e una scuola in lingua tedesca, cfr. V.O. Ključevskij, Kurs russkoj istorii, op. cit., lekcija LIII. Si deve qui ricordare che in base all’Uloženie del 1649 è consentito edificare chiese protestanti solo al di fuori delle mura della città di Mosca, lontano dalle chiese ortodosse. Recita infatti l’art. 40 del capo XIX: «In alcuni quartieri tedeschi sono state erette chiese tedesche: demolire queste chiese e in futuro non ci dovranno essere chiese tedesche a Kitaj gorod, a Belyj gorod e a Zemljanoj gorod, ma potranno esserci al di là di Zemljanoj gorod [ossia all’esterno dell’attuale Sadovoe kol’co] nei luoghi lontani dalle chiese di Dio» (A na kotorych Nemeckich dvorach postavleny nemeckie kirki: a te kirki slomati, i v vpred’ v Kitae i v Belom i v Zemljanom gorode na nemeckich dvorach kirkam ne byti; a byti im za gorodom za Zemljanym, ot cerkvej Božich v dal’nych mestach).

    ⁴Tali erano considerati non solo i protestanti tedeschi e olandesi, ma altresì i cattolici polacchi. La sloboda è l’insediamento degli stranieri di diversa fede (inozemcy i inovercy), in altre parole degli eretici (nevernye). In base alla disposizione dell’Uloženie (capo XIX, art. 40) agli stranieri (nemcy) è fatto divieto di acquistare case a Kitaj gorod, Belyj gorod e Zemljanoj gorod; i russi che vendono loro le case cadranno in disgrazia davanti al sovrano (i im za to ot Gosudarja byti v opale).

    ⁵Cfr. ukaz imperiale di Pietro il Grande del 14 Gennaio 1702, № 1890, in PSZRI, 1-oe sobr. tom IV (1700-1712), p. 184.

    ⁶Altresì, rispettivamente, Kokyj e Kokujskaja.

    ⁷Cfr. Disposizione del Senato al General major G.P. Černyšëv del 31 Luglio 1722, № 4067, in PSZRI, 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), pp. 754-755. Il Senato viene istituito dallo stringato Manifesto del 22 Febbraio 1711, in PSZRI, 1-oe sobr., tom IV (1700-1712), p. 627.

    Iz kakoj libo obrazovannoj deržavy.

    ⁹Cfr. Dž. Fletčer, O gosudarstve russkom, capitolo XIII, O prostom ili nizšem klasse naroda v Rossii, in http://www.gumer.info/bibliotek_Buks/History/flet/02.php, pp. 76-77.

    ¹⁰Cfr. gramota del 29 Ottobre 1699, № 1358 Sulla messa al fuoco dell’eretico straniero Kvirin Kul’man e dei libri e delle lettere depravate trovate presso di lui, sul controllo con maggiore attenzione d’ora in avanti nell’interrogare gli stranieri che giungono in Russia e sul divieto che alcuno di essi venga a Mosca senza un ukaz dello zar, in PSZRI, 1-oe sobr., tom III (1689-1699), pp. 46-47. Un altro seguace di Kuhlmann, Conrad Nodermann, preferisce togliersi la vita.

    ¹¹Cfr. Ivan il Terribile. Le lettere di Ivan il Terribile con i Commentarii della Moscovia di Antonio Possevino, op. cit., p. 302. Lo stesso Possevino nella lettera al Generale dei gesuiti del 28 Aprile 1582 riferisce che durante il soggiorno a Mosca i membri della missione italiana non potevano lasciare l’alloggio e che era a chiunque impedito prendere contatto con loro, salvo che alle persone di servizio assegnate, con le quali era possibile parlare solo di questioni relative al loro servizio. Nemmeno i due medici stranieri di Mosca potevano far loro visita senza una autorizzazione dello zar: «Ac tamen statim ita custodibus circumquaque cincti fuimus, ne ad aquandum equi quidem educi a domo possent», cfr. S. Polčin, Une tentative d’Union au XVIe siècle: la mission religieuse du père Antoine Possevin S.J. en Moscovie (1581-1582), op. cit., p. 14 e fonte citata.

    ¹²Cfr. Sobornoe Uloženie del 1649, Capo IV, art. 3 («A bude kto poedet v drugoe Gosudarstvo bez proezžija gramoty samovol’stvom dlja izmeny ili kakogo inogo durna, to togo syskivat’ krepko i kazniti smertiju»).

    ¹³L’uso dello knut o scudiscio viene introdotto per il reato di rapina nella Moscovia dal Sudebnik di Ivan III il Grande del 1497 (art. 10), confermato in quello di Ivan IV del 1550 (nel quale è previsto in sedici fattispecie di reato) e ripreso dal Sobornoe Uloženie del 1649 che prevede, accanto all’adozione della pena di morte in 36 casi, impartita con diverse modalità (impiccagione, decapitazione, squartamento, rogo, e, per i falsari, mediante «versamento di ferro fuso nella gola»), una serie di sanzioni corporali, le quali possono essere costituite dall’arrecare lesioni fisiche (členovreditel’nye: accecamento, taglio della lingua, taglio della mano o di un arto, marchiatura a fuoco, lacerazione del naso, e altre), o da misure definite dolorose, come la bastonatura o la fustigazione con lo knut. La pena dello knut è chiamata anche torgovaja kazn’, ossia pena della piazza [del mercato], perché inflitta pubblicamente: essa può essere semplice (prostoe) o spietata (neščadnoe) e nel secondo caso, quando è applicata senza pietà (bez poščady), si trasforma assai spesso in una forma mascherata di pena di morte (cfr. N.D. Sergeevskij, Nakazanie v russkon prave, izd. Kn. Magazina A.F. Cinzerling, Sankt Peterburg 1887, p. 155). La legge, infatti, non stabiliva un numero massimo di frustate, che nel XVII secolo potevano arrivare a trecento e nei due secoli successivi a quattrocento, con la morte certa del condannato. Si consideri che veniva ritenuta spietata (neščadnaja) la pena di 50 scudisciate inflitte a un ladro, cfr. Zakonodatel’stvo perioda obrazovanija i ukreplenija Russkogo centralizirovannogo gosudarstva, op. cit., p. 73 e fonte citata. Soltanto con Alessandro I la disposizione del Senato № 25195 stabilisce l’obbligo di indicare nelle sentenze il numero delle scudisciate, cfr. PSZRI, 2-oe sobr., tom XXXII, (1812-1814), p. 402. Sotto il medesimo imperatore, con ukaz imperiale del 25 Dicembre 1817, № 27197, si decreta l’abrogazione della sanzione della lacerazione (rvanie) o del taglio (vyrezyvanie) del naso, solitamente comminate congiuntamente alla pena della piazza, cfr. PSZRI, 2-oe sobr., tom XXXIV (1817), p. 949. Sulle altre punizioni corporali cfr. infra, nota 4. pp. 156-157.

    ¹⁴Cfr. Sobornoe Uloženie del 1649, art. 4 («A bude v sysku ob"javitsja, čto kto ezdil v inoe Gosudarstvo bez proezžej gramoty ne dlja durna, a dlja torgovogo promyslu, i emu za to učiniti nakazanie – byti knutom, čtoby na to smotrja nepovadno bylo tak delati»).

    ¹⁵Così spiega Leontij Ševrigin, messaggero dello zar Ivan IV, alle autorità veneziane: «Les langue étrangères étaient proscrites à Moscou, car Ivan ne se serait plus cru en sûreté si ses subjects pouvaient parler sans qu’il comprit leurs discours», cfr. P. Pierling, Un nonce du Pape en Moscovie. Préliminaires de la trêve de 1582, op. cit., p. 10.

    ¹⁶Cfr. Anomino, Da Mosca a Firenze nel Quattrocento, Sellerio, Palermo 1996; il volumetto è curato con la consueta maestria da A. Giambelluca Kossova.

    ¹⁷Citato in V. Gitermann, Storia della Russia, op. cit., vol. 1, p. 892.

    ¹⁸G.K. Kotošichin, O Rossii v carstvovanie Alekseja Michajloviča, San Pietroburgo 1884, pp. 58-59, citato in V. Gitermann, Storia della Russia, op. cit., vol. 1, p. 893.

    3. IL «COLLEGIO DEI BUFFONI DELL’UBRIACHEZZA»

    Ma è proprio il mondo fuori dalla Moscovia che attira il giovane zar, il quale, dopo essersi ammogliato all’età di sedici anni, ben presto ripudia la giovane sposa che gli ha dato un figlio¹ e riprende a frequentare la sloboda degli stranieri, dove si abbandona alla crapula e dà libero sfogo a ogni suo capriccio del momento². Pietro eccede smodatamente nel bere e si permette manifestazioni blasfeme e dissacranti, come quella di vestirsi dei paramenti patriarcali e celebrare sacrileghe liturgie assieme ai suoi amici che formano il cosiddetto Collegio dei buffoni dell’ubriachezza³, chiamato anche Concilio strampalatissimo, buffoneschissimo e ubriachissimo⁴ alla cui guida pone, come principe-papa, il suo antico precettore Nikita Moiseevič Zotov. Il principe-papa ha pure il titolo di rumorosissimo e buffoneschissimo patriarca di Mosca, di Kokuj e di tutta la Jauza⁵: costui è affiancato da un conclave di 12 cardinali e da numerosi vescovi, archimandriti e altri gerarchi ecclesiastici dai nomi indecenti.

    Di questa blasfema compagnia di dissoluti buffoni, che si autodefinisce Concilio non consacrato (Neosvjaščennyj Sobor), fanno parte i massimi esponenti del potere, come, ad esempio, il principe Fëdor Jur’evič Romodanovskij, capo del Preobraženskij Prikaz (Cancelleria della polizia politica segreta), il conte Fëdor Alekseevič Golovin, responsabile del Posol’skij Prikaz o Cancelleria degli Affari Esteri, il bojaro Tichon Nikitič Strešnev, incaricato della direzione di diverse Cancellerie e successivamente governatore di Mosca, il conte Ivan Alekseevič Musin Puškin, nipote del patriarca Ioakim, il quale, guidando il Monastyrskij Prikaz, è de facto l’amministratore supremo della Chiesa Ortodossa Russa, oltre al già ricordato Nikita Moiseevič Zotov, primo maestro e segretario personale di Pietro, nonché Glavnyj fiskal, ossia responsabile delle finanze del Paese⁶. «Protodiacono» del conclave è lo stesso zar, che ne ha scritto il regolamento, nel quale si spiega come servire Bacco, si descrive il rituale di ammissione e si decreta la scomunica dei peccatori astemi e vinoclasti e la loro espulsione da tutte le bettole dello Stato.

    Nel 1715 si celebra il rito del matrimonio del vecchio buffoneschissimo patriarca: «per tutto il mese di gennaio a Mosca, su ordine di Pietro, tutti erano vestiti in modo carnevalesco e tutto si svolgeva con l’accompagnamento degli strumenti musicali, di piatti di rame, di fischietti e di crepitacoli, con il suono delle campane di tutte le chiese di Mosca, con le grida della plebaglia ubriaca che lo zar ordinava fosse servita di vino e di birra, e al grido di Evviva il patriarca e la patriarchessa!!!»⁷. La Andreeva osserva che si ha l’impressione di una sopravvivenza della Rus’ precristiana, quando le nozze si svolgevano al suono di tamburi e fischietti e con molte stravaganze e diavolerie⁸. Il rito dell’elezione del patriarca scherzoso (šutovskij patriarch) è stato redatto di suo pugno da Pietro: in esso figurano cantori, pope, diaconi, archimandriti ed altri; si fa la parodia dell’icona che viene portata alla cerimonia, sostituita da «Bacco, portato dalle monache del grande convento»⁹. Viene fatta la votazione per il patriarca e alla fine si ricorre al ballottaggio, facendo uso delle uova, e il neoeletto viene salutato e glorificato con il canto del mnogoletie (ad multos annos). Segue la cerimonia di insediamento del buffoneschissimo patriarca, il cui rituale è scritto meticolosamente da Pietro. Si proclama ad alta voce: «L’ubriachezza di Bacco sia con te!»¹⁰ in sostituzione della formula liturgica: «La Grazia dello Spirito Santo sia con te!»¹¹. Alle parole degli Atti degli Apostoli (17, 28): «in Lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» il cerimoniale petrino sostituisce le seguenti: «il nostro padre Bacco, in lui infatti noi viviamo e talvolta non riusciamo a muoverci [a causa dell’ubriachezza] e non riusciamo a capire se siamo vivi o morti». Alla fine della cerimonia il buffoneschissimo patriarca indossa la tiara, mentre tutti in coro ripetono ἄξιος, ἄξιος, dostoin, dostoin, ossia: è degno! È degno! La Andreeva sottolinea che le riunioni del Concilio ubriachissimo (vsep’janejšij) non sono un avvenimento unico, ma si ripetono regolarmente per una quindicina di anni¹². Merita sottolineare che il rito del matrimonio del patriarca viene composto da Pietro nello stesso anno in cui redige il Regolamento militare (1715), il quale, come si vedrà più avanti, impone il rigoroso rispetto della religione e della Chiesa, mentre il rito dell’elezione del patriarca (1717) viene steso quando Pietro attende che lo zarevič Aleksej rientri dall’estero e mentre si conduce l’istruttoria che si concluderà con la sua condanna a morte per aver complottato contro lo Stato, condanna che viene avallata anche dagli uomini di Chiesa: da Ignatij (Smola), futuro metropolita di Kruticy, dal metropolita di Rostov Dosifej (Zabela), da quello di Kyïv, Ioasaf (Krakovskij), da Fëdor (Pustinnyj), confessore della zarina Evdokija, e persino dallo jurodivyj Michajlo Bosoj.

    Questa insultante parodia della gerarchia e dei riti sacri non si svolge in luoghi isolati o inaccessibili, ma pubblicamente e non di rado durante le feste religiose e all’inizio della quaresima: così a Mosca o San Pietroburgo si può assistere allo spettacolo di un gruppo di duecento persone che si aggira nella notte per la città su slitte trainate da porci, orsi e caproni al seguito del principe-papa, che indossa una mitra di latta, è vestito con i paramenti sacri e incede usando il tabacco in luogo dell’incenso e benedicendo la folla con le pipe incrociate a imitare la solenne gestualità dei vescovi, dei metropoliti e del patriarca con il dikirij e il trikirij¹³. Il gruppo canta sguaiatamente, beve e non esita a entrare nelle case a gozzovigliare. Una di queste parodie blasfeme dedicata alle Nozze del papa del Sinodo si svolge addirittura in chiesa (1721). Pietro riesce ad evitare i rigori della censura sostenendo che la sua parodia non è diretta contro l’Ortodossia, bensì contro il Cattolicesimo, grazie anche al terrore in cui vivono allora gli esponenti della gerarchia, incluso il patriarca Adrian. Tra i pochi che si oppongono a Pietro va ricordato Avraamij, igumeno del monastero Andreevskij di Mosca, fatto arrestare e torturare nel 1697 dopo aver scritto delle lettere di dura critica allo zar per il suo comportamento indecoroso e inviato in esilio al monastero dell’Epifania (Bogojavlenskij) di Golutvin, a Kolomna.

    La storiografia sovietica apprezzerà non poco tali estemporanei spettacoli, ravvisandovi nientemeno che l’espressione della rivolta «popolare» contro l’oscurantismo della Chiesa.

    Tutto ciò dà l’idea dell’atteggiamento di Pietro nei confronti della religione e della Chiesa; afferma giustamente la Danzas che «Pietro in Russia favorì soprattutto l’incredulità; e l’irreligione, che per due secoli avrebbe dominato la classe intellettuale russa, ha principio da lui: lo zar dava l’esempio. Si faceva vedere talora, è vero, a riprendere le pratiche esteriori della religione; ma erano in lui ventate di superstizione o, qualche volta, manovra politica. L’opinione vera ch’egli aveva della religione appariva invece nelle sacrileghe buffonate che combinava con ogni cura»¹⁴.

    Peraltro, nell’atteggiamento di Pietro si può vedere anche il richiamo alle forme orgiastiche del paganesimo slavo e una sorta di reazione al devozionismo del tempo. Inoltre, a conferma del suo comportamento contraddittorio nei confronti della religione, Pietro introduce lo studio della teologia scolastica e un approccio protestante alla religiosità. Va rilevato, infine, che mentre irride la religiosità, Pietro manifesta nel contempo passione per le cerimonie ed ha un senso che può definirsi quasi divino della sua missione.

    ¹Dal matrimonio con Evdokija Fëdorovna Lopuchina nasce agli inizi del 1690 il figlio Aleksej che finirà i suoi giorni ancora giovane nel 1718: è l’esito tragico di un grave conflitto con il padre a conclusione di un processo celebrato dinnanzi a un Tribunale composto da ecclesiastici e laici, nel quale è condannato a morte. Aleksej Petrovič apparentemente si contrappone al padre per la pietà religiosa e l’interesse per gli studi ecclesiastici. In realtà, la sua religiosità è meramente esteriore e non si traduce in campo morale in comportamenti coerenti (cfr. infra, nota 5, p. 63).

    ²Henri Troyat, al pari di altri Autori, si dilunga in proposito sull’amicizia particolare di Pietro con il coetaneo Aleksandr Menšikov, figlio dello stalliere di corte, al quale viene assicurata una fulminea carriera e conferito il titolo di principe, cfr. H. Troyat, Pietro il Grande, Rusconi, Milano 1981, pp. 72-73. Dopo Menšikov sarà il figlio di un emigrato lituano, organista presso la chiesa luterana delle nemeckaja sloboda, Pavel Ivanovič Jagužinskij a godere dei favori del sovrano (cfr. M.T. Florinsky, Russia. A History and an Interpretation, op. cit., vol. 1, p. 374). Nel 1706 Pietro gli donerà una intera isola sul fiume Jauza nei pressi del quartiere tedesco: da semplice attendente il conte Pavel diverrà procuratore generale del Senato (ukaz 27 Aprile 1722) e uno degli uomini più ricchi e potenti dell’impero, Nel 1723 l’imperatore giungerà ad imporre al Sinodo di decretare il divorzio di Jagužinskij dalla moglie Anna Fëdorovna Chitrovo, costretta a prendere i voti, per sposare Anna Gavrilovna Golovkina.

    ³Šutovskaja Kollegija p’janstva.

    Sumasbrodnejšij, vsešutejšij i vsep’janejšij sobor. Sull’argomento si veda il fondamentale lavoro, riccamente documentato, di E.A. Zitser, The Transfigured Kingdom. Sacred Parody and Charismatic Authority at the Court of Peter the Great, Cornell University Press, Ithaca and London 2004. Assai importante per cogliere nella lingua originale la scurrilità del linguaggio petrino e i continui riferimenti alla simbologia fallica è la traduzione russa di questo lavoro (E. Zicer, Carstrvo preobraženija. Svjaščennaja parodija i carskaja charizma pri dvore Petra Velikogo, Novoe Literaturnoe Obozrenie, Moskva 2008). Di questo Autore, peraltro, non condivido la tesi di fondo, secondo cui la trasformazione della Moscovia in Russia imperiale è stata il frutto non solo di una riorganizzazione burocratica, ma anche del passaggio ad una sorta di nuova fede, ossia di una trasfigurazione che conferisce a Pietro una autorità carismatica. Sull’argomento cfr. altresì: R.K. Massie, Pietro il Grande. Lo zar che fece della Russia una potenza europea, BUR, Milano 1992, p. 105 e ss.; H. Troyat, Pietro il Grande, op. cit., pp. 63 e ss., 74 e ss. e 258 e ss.; cfr. V.O. Ključevskij, Kurs russkoj istorii, op. cit., lekcija LX, il quale, peraltro, sembra non voler dare eccessiva importanza al tema. Anche S.F. Platonov, History of Russia, op. cit., si limita ad affermare che «Peter sometimes behaved in a way to shock the average Russian» (p. 210), parimenti il Vernadskij affronta il tema con poche parole: «An all-comic and all-drunken council was created, in grotesque parody of the Church rituals, to amuse Peter. Its principal characters were Prince Pope and Prince Patriarch», lasciando intendere che Pietro non sia stato tra i promotori dell’iniziativa, cfr. G. Vernadsky, A History of Russia, op. cit., p. 158. Da parte sua Florinsky afferma:«Peter, who regularly attended divine service, displayed a notable lack of respect for his spiritual leaders. The Most Drunken Sobor of Fools and Jesters was a particularly striking manifestation of that attitude of irreverence which found even more authoritative expression in the character and language of many legislative measures», cfr. M.T. Florinsky, Russia. A History and an Interpretation, op. cit., vol. 1, p. 415). Sulla figura di Pietro si vedano inoltre: K. Waliszeski, Pierre le Grand, Plon, Paris 1987; H. Valloton, Pierre le Grand, Fayard, Paris 1958; V. Klioutchevsky, Pierre le Grand et son œuvre, Flammarion, Paris 1979; C. de Grünwald, La Russie de Pierre le Grand, Hachette, Paris 1953.

    Vsešumnejšego i vsešutejšego patriarcha moskovskogo, kokujšego i vseja Jauzy. Kokuj o Kukuj dal XVII secolo è il distretto di insediamento degli specialisti stranieri al servizio dello zar, noto per i suoi postriboli, situato nella zona sudorientale di Mosca, tra il fiume Jauza, che confluisce nella Moscova, e un piccolo ruscello, il Kukuj (o Čečërka), che oggi non esiste più, che si immetteva nella Čečëra.

    ⁶L’elenco completo dei membri del Concilio con il rispettivo rango civile e titolo ecclesiastico è in E.A. Zicer (Zitser), Carstvo preobraženija. Svjaščennaja parodija i carskaja charizma pri dvore Petra Velikogo, op. cit., p. 190 e ss. (edizione russa) e p. 186 e ss. (edizione inglese).

    ⁷Così N.I. Kostomarov, citato in L.A. Andreeva, Religija i vlast’ v Rossii. Religioznye i kvazireligioznye doktriny kak sposob legitimizacii političeskoj vlasti v Rossii, izd. Ladomir, Moskva, 2001, p. 127.

    Ibidem.

    Ibidem.

    ¹⁰P’janstvo Bachusovo da budet s toboj.

    ¹¹Blagodat’ Svjatogo Ducha da budet s toboj.

    ¹²Cfr. L.A. Andreeva, Religija i vlast’ v Rossii. Religioznye i kvazireligioznye doktriny kak sposob legitimizacii političeskoj vlasti v Rossii, op. cit., p. 128.

    ¹³I due termini significano letteralmente duplice (δικήριον) e triplice (τρικήριον) cero. Si tratta di candelabri rispettivamente a due o tre bracci, coi ceri inclinati che si incrociano tra loro; durante la liturgia pontificale il vescovo impartisce la benedizione al clero e ai fedeli durante il canto del Trisagio (Svjatyj Bože), tracciando simultaneamente il segno della croce con i due candelabri e incrociandoli, pronunciando le parole: «Signore, Signore, dal cielo osserva, guarda attentamente, sorveglia e purifica questa vigna che la tua destra ha piantato». Il trikirion, retto nella mano destra, simboleggia la Trinità, mentre il dikirion, tenuto nella sinistra, simboleggia la duplice natura umana e divina di Cristo e, quindi, rappresentano rispettivamente il mistero della Trinità e quello dell’incarnazione, cfr. M. Roty, Dictionnaire russe-français des termes en usage dans l’Église russe, op. cit., p. 28 e p. 133.

    ¹⁴Cfr. Ju.N. Danzas, La coscienza religiosa russa, op. cit., p. 59. Sulla religiosità di Pietro si veda anche I.K. Smolič, Istorija Russkoj Cerkvi 1700-1917, op. cit., čast’ 1-aja, p. 64 e ss.; A.V. Kartašëv, Očerki po istorii Russkoj Cerkvi, op. cit., tom 2, p. 320 e ss. Da parte sua Vernadskij afferma: «He was not an atheist, but his faith was not the traditional Russian faith. Strongly influenced by Lutheranism, he believed that the Russian church should be reorganized after European models, on the central European principle that the ruler’s religion is the state religion. Cujus regio, ejus religio», Cfr. G. Vernadsky, A History of Russia, op. cit., p. 157. Non mancano, tuttavia, Autori che sostengono l’opposta tesi delle religiosità di Pietro, come, ad esempio, A. Penrhyn Stanley, decano di Westminster e docente di Storia della Chiesa ad Oxford, in Lectures on the History of the Eastern Church: With an Introduction on the Study of Ecclesiastical History, redatte nella seconda metà dell’Ottocento e recentemente (2011) ripubblicate da Nabu Press, in particolare la Lecture XII: Peter the Great and the Modern Church of Russia.

    4. LA CHIESA DEI PATRIARCHI IOAKIM E ADRIAN. L’IMPOSIZIONE DEL TAGLIO DELLA BARBA E DELL’USO DELL’ABITO DI FOGGIA EUROPEA

    La Chiesa è rappresentata in quegli anni dal patriarca Ioakim (Savëlov), eletto nel 1674, ostile a ogni innovazione proveniente da Occidente¹, al pari del suo successore Adrian, al secolo Andrej, nominato da Ioakim nel 1678 archimandrita del monastero dei Miracoli di Mosca e nel 1678 metropolita di Kazan’ e Svijažsk, cattedra alla quale resterà sempre legato anche quando sarà chiamato negli ultimi mesi di vita di Ioakim a collaborare strettamente alla direzione della metropolia di Mosca.

    Alla morte di Ioakim (17 Marzo 1690) si accende il dibattito sulla scelta del nuovo patriarca: a favore di Adrian si schiera la madre di Pietro Natal’ja Kirillovna Naryškina² mentre il giovane zar non nasconde la sua preferenza per Markell, metropolita di Pskov, meno intransigente rispetto ad Adrian verso le innovazioni. Il 24 Agosto 1690 il Concilio, convocato cinque mesi dopo la morte di Ioakim, delibera l’elezione di Adrian, il quale sin da subito manifesta la sua ferma volontà di difendere l’Ortodossia dai latini, dai luterani e dagli altri eretici.

    I rapporti tra Adrian e Pietro, non conflittuali sino alla morte della madre dello zar (1694), si guastano in seguito, quando il capo della Chiesa si oppone all’apertura dello zar verso i Paesi stranieri, al suo viaggio in Europa (1697-1698) e alla secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Lo scontro tra lo zar e il patriarca si inasprisce nel 1698, quando Adrian rifiuta di tonsurare la prima moglie di Pietro Evdokija Lopuchina³ e quando, nel medesimo anno, ancorché gravemente indebolito da una paralisi che lo ha colpito nel Febbraio 1696, non esita ad intervenire presso lo zar per chiedere misericordia per gli strel’cy, i quali dopo la fallita insurrezione vengono messi a morte con crudeltà spietata: l’appello del patriarca viene sprezzantemente respinto da Pietro, il quale caccia in malo modo Adrian. Nonostante questi rapporti tumultuosi, il patriarca è costretto a benedire più volte e pubblicamente il sovrano con l’icona della madre di Dio di Vladimir, come prima della campagna per la conquista di Azov nell’inverno del 1695 e al suo ritorno l’anno successivo.

    L’obiettivo principale di Pietro sembra essere quello della dissacrazione di tutta l’eredità spirituale del Paese: dal non mostrarsi accanto al patriarca nelle grandi festività, dall’incoraggiamento all’uso del tabacco⁴, energicamente condannato dal patriarca Adrian, all’eccesso nel bere, al cambiamento del calendario⁵, alla sostituzione dell’alfabeto dello slavo ecclesiastico con una grafia semplificata⁶, al mutamento dei costumi e delle tradizioni.

    Prima ancora di adottare questi provvedimenti, con l’ukaz del 29 Agosto 1698 Sull’uso dell’abito tedesco, sulla rasatura delle barbe e dei baffi e sulla circolazione degli scismatici con l’abito per essi indicato⁷, Pietro impone ai sudditi il taglio della barba, precetto che entra in vigore dal 1° Settembre, giorno del capodanno ortodosso, dopo che lui stesso pochi giorni prima, il 25 Agosto, si era rasato barba e baffi⁸. Coloro che portano la barba sono chiamati caproni (kozly); recita infatti il decreto: «Io desidero trasfigurare i caproni civili, ossia i cittadini, e il clero, ossia i monaci e i pope. I primi, affinché essi se ne vadano in giro senza barba come fanno gli europei, e i secondi, affinché essi, ancorché con la barba, insegnino ai parrocchiani le virtù cristiane, così come io ho udito fare ai pastori in Germania»⁹.

    L’imposizione dell’abito di foggia europea, al posto del caffettano e del berretto piatto¹⁰, sconvolge l’opposta regola sancita nel 1675 da un ukaz di Aleksej Michajlovič, il quale aveva vietato l’uso di abiti di foggia straniera e condannato chi si tagliava i capelli, pena la caduta in disgrazia presso lo zar o la degradazione a un rango inferiore della posizione sociale¹¹. L’imposizione di Pietro sarà accolta solamente dalle classi più elevate, così che egli e i suoi successori saranno costretti a ribadire il precetto in diverse disposizioni normative¹².

    In relazione all’obbligo di radersi barba e baffi, impropriamente riportata nei testi di storia come amena curiosità, si deve ricordare che già nell’XI secolo lo Statuto (Ustav) del gran principe Jaroslav Volodymyrovyč il Saggio vieta il taglio dei capelli e la rasatura della barba, punendo i trasgressori con la sanzione pecuniaria di 12 grivne a favore del metropolita e con la condanna del potere civile¹³. Non meraviglia, dunque, che quando il gran principe Vasilij III Ivanovič nel 1526 sposa la diciottenne Elena Glinskaja, madre del Terribile, e, secondo l’uso polacco, si presenta alle cerimonia senza la barba e con i soli baffi, susciti scandalo e grande imbarazzo in tutti i presenti.

    Pochi anni dopo il matrimonio di Vassilij III, il grande Concilio del 1551 ribadisce tassativamente il divieto di radersi. Recita, infatti, il capitolo 40¹⁴ del Concilio dei Cento capitoli: «Delle regole sacre sul taglio della barba. Le regole sacre proibiscono a tutti i cristiani ortodossi anche di radere la barba e di tagliare i baffi. Così devono fare gli ortodossi; malgrado la tradizione latina e quella ereticale dell’imperatore greco Costantino V Copronimo, le regole degli Apostoli e dei Padri della Chiesa proibiscono rigorosamente e negano [il taglio]. La regola dei santi Apostoli dice così: "E se uno si rade la barba e così muore, non merita né funzione funebre, né il canto delle preghiere per quaranta giorni (sorokoust¹⁵), né che siano per lui portati in chiesa pane eucaristico né candela; che con gli eretici lo seppelliscano, giacché da essi aveva appreso tale costume". Della stessa cosa si tratta nel canone 11 del sesto Concilio In Trullo¹⁶ sul taglio delle barbe. E non è poi scritto nella legge: non tagliatevi le barbe, poiché il viso senza barba solo alle donne si addice e non agli uomini. Il Creatore per bocca di Mosè disse: Il rasoio non vi tocchi la barba, giacché è turpitudine dinanzi a Dio. Già sull’esempio dell’imperatore Costantino Copronimo tutti seppero che solo i servi dell’eresia si tagliano le barbe. E voi, che lo fate per l’appagamento carnale, contrari alle leggi, sarete detestati da Dio, che ci ha creati a sua somiglianza, e se volete accontentare Dio rinunciate al male»¹⁷.

    Nonostante questo severo divieto, l’abitudine di radersi va prendendo timidamente piede nella Moscovia sin dai tempi di Boris Godunov, tanto è vero che il bisnonno di Pietro, il patriarca Filaret, nel Grande Trebnik si sente in dovere di definire questa abitudine un’oscenità da cani (psovidnoe bezobrazie).

    Anche il patriarca Adrian, deciso difensore della tradizione russa e dei diritti della Chiesa, nonché instancabile avversario dei Vecchio-credenti e dei latinizzanti, allo scadere del XVII secolo, invia una Lettera circolare a tutti gli ortodossi sul divieto di radersi la barba e i baffi¹⁸, nella quale condanna questa nuova tendenza come malvagia e, rivolgendosi ai sacerdoti, afferma che coloro i quali non rispettano questa norma devono essere ridotti allo stato laicale¹⁹.

    Il provvedimento petrino suscita l’aspra reazione del clero e dei veteroritualisti, giacché nel costume della Moscovia la barba è il segno dell’appartenenza all’Ortodossia, che distingue il russo dallo straniero, per cui l’obbedienza a questo ordine viene vista come un ripudio della fede dei padri e un tradimento della Nazione. L’imposizione del taglio della barba equivale, dunque, ad obbligare i sudditi a commettere azioni espressamente e rigorosamente vietate dalla legge e dalla tradizione religiosa, anche se al tempo di Pietro vi è chi, pur rivestendo posizioni di alto prestigio nella gerarchia ecclesiastica, non condanna il taglio della barba, come il grande metropolita Dymytrij Tuptalo (Rostovskij, † 1709), giunto in Russia dall’Ucraina, Paese nel quale l’influenza dell’Occidente è assai forte e dove l’uso di radersi era invalso da tempo. Il metropolita sostiene che non è la barba a migliorare l’uomo, bensì le sue buone opere e la vita onesta, in sintonia con il detto «la saggezza risiede nella testa e non nella barba» (mudrost’ v golove, ne v borode).

    In aggiunta a quanto detto sopra, merita qui ricordare che durante il carnevale russo (masljanica) i demòni (besy) indossano l’abito tedesco e che anche nelle icone essi sono rappresentati così abbigliati e con il volto rasato: si può, pertanto, affermare che con l’ukaz del 1698 Pietro costringe i propri sudditi a mascherarsi, nella vita quotidiana, da diavoli. Per contro, nelle buffonate organizzate dallo zar e dai suoi sodali i protagonisti dei riti matrimoniali usano come travestimento il tradizionale caffettano russo, a confermare il capovolgimento dei valori imposto dal Riformatore alla società del tempo.

    Va detto che anche successivamente nella storia russa il fatto di radersi viene spesso interpretato come segno di attenzione per la cultura occidentale: non a caso, nel XIX secolo, nella seconda parte del regno di Alessandro I, il conte A.A. Arakčeev, generale di artiglieria e suo consigliere, impone ai contadini di portare l’abito militare anche durante

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