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Il navigatore del Po
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E-book318 pagine5 ore

Il navigatore del Po

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Info su questo ebook

La storia di un immigrato del Polesine verso la cintura Torinese, negli anni cinquanta, a causa delle frequenti inondazioni e mareggiate del territorio del Delta e dalla miseria degli anni post seconda guerra mondiale. Florindo assieme alla famiglia, è costretto a trasferirsi alla ricerca di una vita più dignitosa e del lavoro che in quegli anni mancava nel profondo Delta del Po. A Torino vive una vita segnata dal riscatto economico e sociale, ma nonostante tutto non riesce a dimenticare il paese della sua adolescenza. Il fiume Po, il mare, le lagune e le amicizie dell'infanzia lo tormentano, per cui decide di ritornare nel Delta navigando lungo il Po da Pavia fino al mare. Si fa costruire una barca e inizia il lungo viaggio in compagnia di un amico più grande di lui. Lungo il grande fiume naviga sostando in luoghi e paesi dove incontra personaggi pittoreschi e tipici della valle Padana. Si sofferma a parlare con uomini e donne con storie di vita accadute negli anni sessanta... Struggenti sono i racconti della sua gente ritrovata...
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2022
ISBN9791220891240
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    Anteprima del libro

    Il navigatore del Po - Gianni Vidali

    Gianni Vidali

    Il navigatore del Po

    © 2021 Argoo aps

    www.edizionitaliane.it

    Edizioni Italiane

    Edizione digitale: 26/01/2022

    immagine 1

    UUID: f5ba800f-ab38-44b0-a0e3-f9704c0f8e3c

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Ringraziamenti

    Un ringraziamento particolare va alla mia famiglia e a tutti gli amici che mi hanno incoraggiato a pubblicare i miei libri, che hanno come elementi fondanti i luoghi e la gente del Delta del Po...

    Indice dei contenuti

    Ringraziamenti

    Gianni Vidali

    La vita a Scano Boa

    Le ocarine di Mede

    L’addio

    Il trasloco

    Verso il Monviso

    La farfalla granata

    L’orologio

    Renato

    Verso il Delta, primo giorno

    Secondo giorno, Isola Serafini

    Terzo giorno, Ligabue

    Quarto giorno, Castelmassa

    Quinto giorno, Polesella

    Sesto giorno, la Bosgattia

    Settimo giorno, nel cuore del Delta

    Ottavo giorno, verso Porto Tolle

    Nono giorno, Ca’ Tiepolo

    Decimo giorno, Busa Dritta

    Gli amici ritrovati

    Gianni Vidali

    Il navigatore del Po

    Dei personaggi citati nei racconti di questo libro, alcuni sono immaginari. Pertanto, qualsiasi eventuale riferimento a persone esistenti o scomparse, è puramente casuale. A volte le figure inventate, frutto di pura fantasia, risultano occasionalmente e stranamente le più vere. Come i luoghi qui descritti e narrati.

    La vita a Scano Boa

    Florindo era un figlio del Delta, nato in un casone a Scano Boa, una lingua di sabbia, canne e terra, tra il mare Adriatico, la laguna del Basson e due rami del Po secondari: Busa Dritta e di Scirocco. Oggi questo è uno tra gli scanni più affascinanti del Delta del Po polesano. In sostanza un isolotto ra ggiungibile solo dal mare oppure, dall’interno, percorrendo un ramo del Po e attraversando la laguna del Basson. Desolato e angusto, infestato dalle zanzare, tafani e ogni tipo d’insetti, subito dopo la Prima guerra mondiale era il luogo, dove stagionalmente avveniva la pesca dello storione. Infatti, su quello scanno erano stati costruiti dei casoni di canna palustre, con un grande camino in muratura all’interno che serviva per il riscaldamento e la cottura delle povere vivande. Nei primi mesi dell’anno, parecchi pescatori di Pila e Polesine Camerini si trasferivano stabilmente per un lungo periodo in quel posto, oggi rivalutato, sdoganato e dichiarato sito UNESCO naturalistico, unico nel suo genere, ma a quel tempo considerato selvaggio e misero per via delle tribolazioni che dovevano sopportare i pescatori per sopravvivere. A quel tempo un pescatore era anche cacciatore, per cui la vecchia doppietta non mancava mai. Ci si portava dietro anche un'arrugginita e cigolante macchinetta che serviva per riempire di pallini e polvere da sparo i bossoli usati, in modo da rifare le cartucce. Allora come adesso la selvaggina abbondava. Mentre svolazzavano tra i canneti, folaghe e anatre, erano facilmente prese a fucilate dai pesca-cacciatori per finire arrosto o bollite. La campagna dello storione cobice, allora molto presente nelle acque deltizie, durava parecchi mesi, fino a maggio, e la preziosa preda era conferita al mercato del pesce di Pila o a quello di Donada. Oggi lo storione è completamente sparito dal Delta e chi desidera mangiare qualcosa della prelibata specie acquatica, una tra le più antiche del mondo, deve rivolgersi agli allevamenti presenti in zona e nel Mantovano. Qualche pescatore, durante la campagna del cobse, portava con sé anche la giovane moglie e i figli, perché non restassero a lungo da soli. Aveva così modo di farsi aiutare non solo nella pesca, ma anche nella raccolta della legna che serviva per cucinare e riscaldarsi.

    I genitori di Florindo erano dell'isola chiamata Polesine Camerini, una delle tre del comune. Partivano con la barca dal porticciolo antistante la vecchia scuola elementare per portarsi verso lo scanno e per compiere il tragitto impiegavano quasi mezza giornata a suon di remate. Attraversavano il Po grande per poi infilarsi nel paradello che sfocia nella sacca del Canarin, raggiungendo così la sacca del Basson per sbarcare sull’isolotto dove restavano per lunghi periodi. Una volta la settimana si recavano a Pila dove, presso la piccola bottega che vendeva di tutto, acquistavano un po’ di roba da mangiare, però, date le scarse e precarie condizioni economiche, compravano soltanto il pane e la pasta. La minestra era condita con le cotiche e i ciccioli ottenuti dal grasso del maiale che era stato macellato da poco: quelli non mancavano mai.

    E neppure il riso. Infatti, stagionalmente, si lavora anche nelle risaie a compartecipazione e, prima dell’inverno, si riusciva a portarne a casa qualche sacco. Durante la permanenza sullo scanno, il piatto giornaliero era a base di risi duri con i fagioli e riso alla canarola; per il secondo, arrostire sulla brace qualche cefalo era l’unico diversivo; non ci si poteva permettere di mangiare pesci più pregiati perché questi dovevano essere venduti al mercato in modo da racimolare qualche soldo.

    A quell’epoca i genitori di Florindo erano molto giovani, lui poco più che ventenne e lei, non ancora maggiorenne. Rimase incinta proprio nel periodo in cui si pescavano gli storioni. A differenza di Clara, la giovinetta violentata dal pescatore nella storia, narrata nel film Scano Boa di Renato Dall’Ara, tratto dall'omonimo romanzo di Gian Antonio Cibotto, la madre di Florindo era rimasta incinta per l’inesperienza dei due giovani. Florindo nacque fortunatamente di giorno, in uno di quei casoni, con l’aiuto di alcune donne che venivano sullo scanno per collaborare con i mariti nella pesca. Il bambino era molto vispo, non particolarmente bello, ma con gli occhi azzurri e non assomigliava per niente al padre il quale, scherzando, diceva che quello non era suo figlio, anche se era sicuro della paternità perché la moglie non si era mai spostata di un solo centimetro senza di lui.

    Florindo trascorse l'adolescenza tra Polesine Camerini, Scano Boa e la borgata di Pila. Allora quel paese era formato da fatiscenti edifici costruiti vicino all’argine del Po. In seguito, subito dopo la guerra, fu costruito un blocco di case popolari, ma di nuovo sotto l’unghia arginale, per cui, con le frequenti piene del Po i fontanazzi, zampillavano nei cortili delle abitazioni come delle fontanelle. A quei tempi vivevano in paese un tale che chiamavano Gigion e una donna dai facili costumi sopranominata la Parata. Erano entrambi sposati ma si trovavano spesso nel cason sullo scanno ad amoreggiare di nascosto. La donna giustificava quei suoi frequenti trasferimenti sullo scanno, dicendo che andava a tartufle nelle golene dei rami del Po. Col termine tartufle erano indicati i tuberi del topinambur, molto simili nell'aspetto alle patate, quasi insapori, ma che avevano il pregio di riempire la pancia, togliendo così i crampi della fame.

    Quando decideva d’incontrarsi, la Parata si portava a metà tragitto con una barca a remi, poi saltava su quella del Gigion e insieme, vogando energicamente, si portavano verso il capanno. L’uomo era alto, muscoloso e longilineo, dicevano che assomigliasse a Rik Battaglia l’attore di Corbola che, assieme a Sophia Loren, interpretò il film di Mario Soldati La Donna del fiume. Lei era una bella donna, non molto alta, bionda, con le labbra sempre rosse di belletto. A quei tempi vedere in giro una donna sposata, sempre in ghingheri che, camminando per l’unica via del paese, ancheggiava e sculettava provocatoriamente era cosa insolita. È stato questo il motivo per cui la chiamavano la Parata, che in gergo voleva significare una donna incline a sfilare per attirare su di sé particolari attenzioni. Lui era uno che, oltre ad essere ammirato dalle giovanette e dalle spose, era molto sveglio e smaliziato per quegli anni, il benessere e l’istruzione non erano al top rispetto ad altre realtà vicine. Per queste doti si era creato la fama di donnaiolo e si era guadagnato l’appellativo di Gigion. In paese giustificavano quei suoi comportamenti e i tradimenti nei confronti della moglie, perché lei non era bella, un po’ grassoccia e gnoranta, ossia poco furba. Quando all’osteria intavolava una discussione, aveva sempre ragione lui, gli altri non lo contraddicevano mai perché, se alzava la voce, grande e grosso com’era, incuteva timore, quindi nessuno azzardava dargli torto. Era anche un po’ sapientone e sbruffone e si vantava spesso delle sue avventure amorose sullo scanno. Spesso invitava il marito della Parata a giocare a carte con lui, con le conseguenti risate dei compari pescatori alle spalle. Lei non era la sola che frequentava. Si diceva che se la facesse anche con sua cognata, la sorella della moglie. Anche in quel caso i paesani sostenevano che faceva bene a cornificare il cognato, perché era un uomo di scarso carattere che soffriva di depressione, e sembra che quella malattia gli facesse dei brutti scherzi anche a letto con la moglie. Gigion, a parte i vizietti, era un tipo che si dava molto da fare nel lavoro. L’energia e la forza fisica non gli mancavano: le braccia erano robuste e, quando calava le reti nella laguna del Basson, non c’era giorno che non portasse a casa qualche mastello pieno di anguille, orate e ombrine. La sua specialità però era quella di saper calare particolari reti destinate alla cattura delle passere. Allora in paese dicevano che egli era un esperto di quel tipo di pesce piatto e di forma triangolare che abbondava nelle acque salmastre del Delta, e che lui era predisposto e attratto da quella particolare forma. Raccontavano che era un fissato perché, quando la sera andava al bar, diceva sempre, in modo ironico e gasato, di essere un artista nell’attirare e catturare le passere, anche quelle delle mogli di suo compare e del cognato. Era uno che aveva anche delle idee in testa, insomma per l’epoca lui aveva una marcia in più rispetto a quelli del paese. Infatti, oltre che fare il pescatore, si era messo in testa di allestire un capanno sullo scanno per ospitare i siuri che venivano da Padova, Bologna e Ferrara per cacciare nel Delta. Dopo averli fatti dormire a casa sua, di mattino prima del sorgere del sole, con la barca conduceva i facoltosi ospiti nella coegia in Basson che aveva costruito con le canne palustri. Terminata l’indiscriminata mattanza di uccelli, verso mezzogiorno portava i cacciatori nel cason e offriva loro il pranzo a base di risotto alla folaga e anguille arrostite sulla brace. Qualche volta invitava anche la Rosina del capo e L’Angelina della maga per tenere compagnia alla gaudente combriccola a conclusione della giornata. Rosina era la nipote del capo risaro, Angelina era la figlia di Gigia, una che si diceva praticasse la magia. Pare che facesse le fatture bruciando nel camino dei pupazzetti di stoffa trafitti da uno spillo, per togliere le disgrazie agli sfigati del luogo. Verso le tre, prima che scendesse la nebbia, che nel Delta quando cala è sempre molto fitta, Gigion accompagnava gli ospiti al paese e si faceva dare qualche migliaio di lire che, a quei tempi, erano dei bei soldi. Essi se ne andavano beati e soddisfatti, anche per le moine di Rosina e Angelina. Una sera, dopo una giornata di caccia con gente che veniva da Ferrara, mentre erano nel bel mezzo del Basson, scese all'improvviso un nebbione che li costrinse a rientrare velocemente, però, anziché indirizzarsi nel paradello che portava a Pila, s’infilarono in quello opposto e finirono nella laguna del Canarin. Disorientati com’erano, finirono nel Po delle Tolle e tornarono a casa che era quasi mattina. In paese avevano pensato che fosse successa una disgrazia. All'arrivo trovarono ad aspettarli, nello sgangherato porticciolo, i familiari e gran parte dei paesani singhiozzanti.

    Florindo aveva compiuto da poco quattro anni e andava all’asilo delle suore. La struttura era stata costruita durante il ventennio e aveva la forma tipica di quegli anni. Il prete era chi organizzava tutto, che comandava le suore e che decideva cosa dovessero mangiare i bambini a pranzo. Qualche volta erano a corto di vivande, allora le madri dei bambini portavano loro qualcosa per attivare la frugale mensa. A mezzogiorno, quando i pescatori tornavano dalla laguna di Barbamarco, sentivano provenire dall’asilo un odore di cibo che faceva accelerare il passo per giungere a casa in fretta e sedersi a tavola. Solitamente la minestra che andava per la maggiore era i risi e capussi, poiché nell’orto delle famiglie erano sempre presenti i cavoli cappucci e le verze. Immancabili anche risi duri brustolà. Di secondo, frittura di anguele e gambari, ossia acquadelle e gamberetti di acqua dolce, non potendo permettersi pesci più pregiati perché quelli erano destinati alla vendita. Il minestrone delle suore era buono e sostanzioso, la verdura arrivava all’asilo portata col camioncino malridotto di Beppino, quello degli ultimi regali. Beppino era uno di Contarina che forniva di ortaggi, angurie e meloni tutto il basso Delta. Aveva piazzato sul camioncino un altoparlante arrugginito e il suo slogan per avvertire che stava arrivando era: Beppino con gli ultimi regali. Qualcuno pensava veramente che regalasse della roba, ma egli diceva che era regalata perché costava poco. Quando intendeva vendere le sue angurie, a volte passate, usava un altro slogan: diceva che il suo cocomero era un ristoratore smorza calore e invitava la gente a rinfrescarlo mettendolo per qualche ora sotto la sabbia umida, che certamente nel Delta non mancava. A quei tempi il frigorifero non c’era ancora.

    Quando il mare ruppe gli argini allagando il territorio, Beppino girò tutta la giornata col suo camioncino dotato di altoparlante (l’unico esistente nel Delta) avvertendo la gente a gran voce dell’avvenuta rottura degli argini a mare e invitando le persone a mettersi in salvo. In seguito, è stato denunciato dal sindaco per procurato eccessivo allarme, che aveva creato ulteriore panico tra la gente, poiché il pericolo non era imminente, e c’era tutto il tempo per mettersi in salvo.

    Florindo a sei anni compiuti fu iscritto alla prima classe elementare. Sua madre gli comprò due quaderni uno a righe l’altro a quadretti, una penna col pennino e una sacca di cartone. La scuola era vicina all’argine del Po delle Tolle. Di fronte c’era un grande parco, con alti arbusti che chiamavano, rantane, in altre parole dei rovi con rami spinosi che se ti avvicinavi, ti potevi graffiare. Il suo primo giorno di scuola fu molto impegnativo a causa del suo carattere timoroso e molto legato alla madre. Quando la maestra gli chiese come si chiamava, rispose che il suo nome era Flori d'la Giuana. La madre si chiamava appunto Giovanna. A quel tempo i bambini che andavano a scuola portavano un grembiule nero con un colletto grigio, le femminucce di colore bianco. Quando Florindo ritornava a casa, aveva sempre il viso e le mani sporche d’inchiostro; infatti, i calamai, che erano infilati in un foro sui banchi, venivano spesso rovesciati. Inoltre, non era raro che i pennini fossero usati schincati; così danneggiati, lasciavano sempre cadere qualche goccia sui quaderni, con il conseguente rimprovero della maestra, spesso accompagnato da qualche papeta tra coppa e collo. A volte il malcapitato veniva anche punito e messo in castigo dietro alla lavagna, inginocchiato su di una manciata di sassolini. Oggi è diverso: se a scuola qualche insegnante si azzarda solo a sfiorare un bambino per qualche sua intemperanza comportamentale, viene immediatamente denunciato. Quelli di Florindo evidentemente, erano altri tempi ed era diverso il modo di educare e insegnare.

    Quelli erano gli anni di Cesarina la Maestra immortalata da scrittori e registi per la sua abnegazione nei confronti dell’amore verso il prossimo. Infatti, la storia di Cesarina Gobbi, protagonista della canzone Scano Boa negli anni Sessanta ha fatto commuovere l’Italia per la sua umanità e amore verso gli altri. Oltre cinquant’anni fa nell’estremo Delta i due zuccherifici funzionavano a pieno regime e quella era l’unica e sola risorsa che dava un po’ di respiro e sostegno a quella povera gente. Siamo in pieno boom economico in Italia, nel Delta però regna ancora la miseria e la disoccupazione. La vita è dura e si fatica a tirare avanti, ma ci sono anche momenti di serenità e distrazione. Infatti, un gruppo di persone, in onore della brava maestrina Cesarina Gobbi, organizza una manifestazione cittadina. È un evento che passerà alla storia. La piazza del capoluogo Deltino è piena, qualche migliaio di persone. Vi partecipano noti cantanti del momento, un complesso famoso e molti giornalisti. La stampa nazionale e internazionale danno ampio spazio all'avvenimento. Alcune riviste specializzate in musica, descrivono quel momento come un modo diverso e nuovo per presentare nuove canzoni. In quella occasione viene presentato al grande pubblico il lancio del disco Scano Boa che racconta la storia di una certa maestra Cesarina, una storia molto bella ma anche triste. Ai primi anni Cinquanta Cesarina Gobbi è una giovane maestrina di vent’anni che arriva nel profondo Delta assieme al fratello prete. Erano originari della bassa Padovana e Don Sante si occupava della chiesetta di Pila e Cà Zuliani. In quel periodo c’è tanta miseria e molta di quella gente vive ancora nei casoni di canna. Cesarina col fratello raggiungono un isolotto chiamato Scano Boa, fra Pila e i due rami del Po di Busa Dritta e Scirocco. Quel lembo di terra, sabbia e acqua è abitata da una trentina di famiglie, sono pescatori, lavorano anche nelle risaie della Batteria di Restelli, un signorotto di Milano. Hanno molti bambini poco nutriti, mal vestiti e analfabeti. Cesarina, vista quella situazione, torna in paese, va casa per casa, bussa a tutte le porte chiedendo aiuti, alimenti, scarpe, vestiti e qualche soldo per comprare i libri di scuola a quella disgraziata piccola comunità. Incontra anche molta diffidenza tra la gente perché i mezzi di sostentamento mancano ed era una continua lotta per la sopravvivenza, e per di più è anche la sorella del prete. Le difficoltà però sono superate e riesce a portare avanti il suo obiettivo. Infatti, con una barca a remi, aiutata da un pescatore, porta tutte le mattine i bambini di Scano Boa nell’isola della Batteria, quattro chilometri vogando sull’acqua con vento, pioggia e freddo. Quell’isola non era ancora stata inondata dalle acque come accadde successivamente con la rottura degli argini a mare. Là c’è un fabbricato in mattoni con una vecchia stalla abbandonata e organizza la sua piccola scuola e insegna per alcuni anni. Grazie a lei adesso i bambini hanno le scarpe, qualcosa in più da mangiare e i sussidiari per imparare. C’è anche una cucina economica a legna per preparare qualcosa di caldo e riscaldarsi. Dopo alcuni anni, arriva un ispettore scolastico da Rovigo e scopre che l’edificio è inadeguato, che non ci sono i servizi igienici, e che la cucina per riscaldare l’aula è insufficiente. Viene constatato inoltre che Cesarina è una maestra abusiva non autorizzata e collegata con il provveditorato per cui la scuola viene chiusa. La maestrina scrive e incontra tutti, autorità civili e religiose, giornali e perfino persone influenti per tenere aperta la scuola. Nessuna risposta, un muro di gomma. Allora amareggiata e delusa, lascia Scano Boa e va in Africa a fare la missionaria. Eugenio Boscolo, il poeta pescatore, conosciuto da tutti come Berto Morosini dopo qualche anno decide di inviare la domanda di partecipazione alla trasmissione La Fiera dei Sogni. Lo stesso Mike Bongiorno in barba al regolamento, lo fa partecipare direttamente saltando tutte le prove di selezione. L’obiettivo di Berto è quello di partecipare alla trasmissione a premi, chiedendo in caso di vincita, una Jeep per donarla a Suor Cesarina nelle sue missioni in Africa. Aveva saputo che nelle sue opere caritatevoli doveva percorrere molti chilometri nella savana, e una jeep le sarebbe sicuramente servita. Berto è chiamato quindi alla trasmissione, parte da Scardovari verso la Rai di Milano con l’auto di rimessa di Beppino chiamato Ombo, dove è invitato a illustrare le ragioni della sua partecipazione. Alla trasmissione vi si reca una seconda volta in cui viene trasmessa la canzone Scano Boa dedicata a Cesarina. In quella occasione gli furono poste alcune domande che lui con grande difficoltà, per l'emozione e la scarsa comunicabilità, rispose bene a modo suo. Alla terza e ultima domanda, coadiuvato dal noto presentatore radiofonico di allora, Alberto Talegalli, Berto rispose con termini dialettali e non scientifici e fu quindi escluso dalla trasmissione. Di seguito, forse per ripensamenti della RAI, o dello stesso Mike Bongiorno o per l’aiuto di qualche politico influente locale, decisero di riammetterlo, giustificando che le risposte date, anche se in termini dialettali erano comunque esatte. Fu così che Berto partecipò per la terza volta alla trasmissione, dove vinse la sospirata jeep da regalare alla cara e amata maestrina di Scano Boa. Così suor Cesarina poté utilizzare finalmente quel sospirato mezzo nelle missioni in Africa.

    In quel periodo nelle umide e fatiscenti case di Scano Boa abitava un pescatore che si chiamava Marinin d’la Pila, per non confonderlo con uno di Cà Zuliani. Oltre a essere pescatore faceva anche il barcaiolo, infatti, lui era uno di quelli che si alternavano ad altri nel trasportare a scuola i bambini da Scano Boa all’isola della batteria. Era nato alla fine della Prima guerra mondiale, fin da ragazzo gli amici lo prendevano sempre in giro perché aveva una vocina fine, piena di emozione e gaudente, che assomigliava a quella degli uccelli che gli girano intorno. Era un tipo apparentemente esile, non molto alto, con sottili baffetti, insomma un uomo di cinquanta chili ossa e pelle segnata e scavata dal sole e dalla salsedine. Aveva circa una ventina di anni quando pensò, oltre che trasportare i bambini a scuola, a fare il barcaiolo portando la gente benestante e amante della natura in giro per le lagune del Barbamarco, Burcio, Basson e Canarin. Quando ironizzando, gli chiedevano quale fosse la sua dieta, per mantenersi così asciutto e stopposo, lui sogghignando sotto i baffetti rispondeva che solitamente mangiava a pranzo anguele, acquadelle infarinate fritte in padella, e per cena broetto, brodetto di anguille, consumando mezzo tagliere di polenta. Conosceva il Delta come le sue tasche ed era un abilissimo nuotatore. Raccontava che durante la guerra in qualità di marinaio, faceva sempre le gare di nuoto, ed era sempre lui che le vinceva. Diceva che era agile e veloce come un dulfin e che i delfini erano suoi amici, perché quando andava alla foce della Busa Dritta, ce n’erano molti al largo del mare e che quando lo vedevano si accostavano vicino alla sua barca. Sosteneva che il Delta cambia in continuazione per via dei detriti che i rami del Po trasportano a valle e che gli scanni sono in continua modificazione e che nessuno come lui sa come cambiano, neppure i professoroni e gli studiosi delle università. Quando andava all’osteria della Blandina diceva che lui aveva accompagnato molte persone illustri in giro per il Delta, compreso Sophia Loren e Mario Soldati quando si girò il film la Donna del fiume. Raccontava sempre che la sua era stata una vita fatta di tribolazione e che quando si era sposato con Maria abitava in un casone fatto di canne palustri. E che poi grazie ai padroni della risaia, gli fu dato un casolare, perché il casone si era incendiato facendo fuoco all’interno mentre cucinavano. E che in quelle anguste quattro mura, nacquero i suoi tre figli maschi, senza bisogno della levatrice e in condizioni igieniche disumane. Ricordava sempre che sua moglie Maria è sempre stata una brava donna, che si era data molto da fare per tirare avanti la carretta, e che aveva fatto anche la mondina nella Batteria quando c’erano le risaie e poi la contadina quando bonificarono e seminarono il frumento e il granoturco. Poi l’isola, per effetto delle modificazioni del territorio, fu invasa dalle acque, non solo per causa degli eventi naturali, ma anche per colpa dell’incuria dei proprietari e dello Stato, che non avevano provveduto alla difesa arginando l’area dagli stupendi e noti aspetti ambientali. Ripeteva sempre alla gente che portava in giro, che lui quando abitava sullo scanno per procurarsi l’acqua da bere e per fare da mangiare, doveva scavare una profonda buca nella sabbia fino a trovare la falda salmastra. Diceva che non era cattiva per fare la polenta perché un po’ di sale ci voleva, ma che quando la beveva gli faceva un po’ ingossa, però era utile per la loro sopravvivenza. Spesso si vantava orgogliosamente perché un giorno aveva pescato uno storione che era quasi un quintale e che in una sola notte aveva catturato assieme a due suoi amici, oltre una decina di quintali di anguille. La sua vita è stata un alternarsi di vicende e situazioni che erano comuni a tutta quella gente che viveva a quell’epoca e in quei posti, fatta di tribolazioni e di miseria. Ricordava sempre in ogni occasione le molte alluvioni e mareggiate che ci sono state in quegli anni, in modo particolare quella del 1951, quando arrivarono i soccorsi con gli anfibi che dai paradelli urlavano se avevano bisogno di aiuto; loro orgogliosamente rispondevano no grazie, e se la cavavano sempre da loro stessi. Amava rammentare sconsolato che con le numerose alluvioni e mareggiate quando le onde del mare invasero lo scanno e dovettero abbandonare il casolare e trasferirsi in due stanzette proprio vicino a Gigion, il casanova della borgata, quello che aiutava la Cesarina a trasportare i bambini a scuola con la barca. Sosteneva che le alluvioni erano state tutte disastrose perché sulla spiaggia si depositavano carcasse animali di tutti i tipi; e che fortunatamente non avevano fatto vittime umane nel Delta perché la gente era sempre pronta e preparata a qualsiasi evenienza. Negli ultimi tempi diceva che era molto preoccupato per via dei pesci che stanno sempre di più scarseggiando a causa delle acque che non sono buone, perché i lavori di canalizzazioni e arginature per calibrare la salinità e la salubrità, non vengono fatti. Sosteneva che il boom della pesca delle vongole, che negli anni Ottanta ha permesso a centinaia di famiglie ad avere un minimo di reddito sicuro, in questi ultimi anni sta scemando ancora una volta per l’incuria umana. Marinin trascorse la sua vita prima come pescatore, poi come accompagnatore attraversando lagune, corsi dei rami del Po e paradelli, illustrando e raccontando storie, luoghi del magico Delta, trasmettendo, a tutti quelli che l’hanno conosciuto, un attaccamento e un amore indescrivibile per quell’ambiente unico che è il Delta del Po. Chi l’ha conosciuto ancora oggi s’immagina di vederlo alla guida della sua barca, lui apparentemente fragile ma forte e tenace a incanalarsi per le vie d’acqua a colpi di timone, scegliendo con cura i paradelli da percorrere per evitare i bassi fondali, e quelli più brevi per arrivare a destinazione.

    Il primo giorno di scuola nell’isola della Batteria per quei bambini fu un vero e proprio dramma. Le madri li accompagnarono fino all’approdo del Po di Scirocco, quattro pali piantati nella golena con delle tavole sopra a mo’ di passerella. Gigion era già pronto che li aspettava attraccato con la batana all’improvvisato molo. Nella barca con lui c’era anche Cesarina,

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