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Nemeton: Guida pratica agli sport del coraggio
Nemeton: Guida pratica agli sport del coraggio
Nemeton: Guida pratica agli sport del coraggio
E-book266 pagine3 ore

Nemeton: Guida pratica agli sport del coraggio

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Info su questo ebook

Gli sport del coraggio si distinguono dalle altre discipline per la loro capacità di generare un'accresciuta percezione della realtà e di se stessi: lo sport è un luogo dell'anima che può essere un ponte verso la propria dimensione più profonda e vera.
Per questo motivo gli sport del coraggio sono stati associati simbolicamente agli antichi Nemeton, i luoghi delle foreste dove le antiche popolazioni pensavano di ritrovare energie per accrescere la propria forza interiore e affrontare le sfide di tutti i giorni.
Sono attività che hanno caratteristiche uniche e favorevoli a una più alta visione dell'attività agonistica e possono essere riconosciuti da tre elementi fondanti:
- L'attitudine allo sviluppo di una continua competizione con se stessi
- La forte connotazione simbolica
- L'etica e miglioramento della vita quotidiana anche non sportiva
La pratica costante di tali discipline è un terreno fertile per una consapevole e volontaria attività di superamento dei propri piccoli o grandi limiti, sia dal punto di vista fisico/corporeo che mentale.
Il testo guida i lettori a raggiungere l'ideale della corretta azione sportiva e mostra il cammino per rendere unica tale esperienza con benefici anche per la propria vita quotidiana, lavorativa e familiare.
Un intero capitolo è dedicato inoltre al training autogeno per gli sport del coraggio con esempi di tecniche applicative particolarmente efficaci per le discipline trattate, con utili consigli legati anche all'alimentazione e ad alcuni aspetti terapeutici delle discipline del coraggio.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2015
ISBN9788827226704
Nemeton: Guida pratica agli sport del coraggio
Autore

Alessandro Manzo

Advanced Open Water, Deep e Wreck Diver con le federazioni Fipsas, Cmas e PADI, e volontario di Protezione Civile presso il Nucleo Sommozzatori della Provincia di Cremona. Ha praticato JKD, Kali Filippino a Pavia e pugilato presso la Bulldog's Gym di Milano sotto la direzione del Maestro Roberto Giacomelli. A livello professionale si occupa di Corporate Social Responsibility.

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    Nemeton - Alessandro Manzo

    Roberto Giacomelli e Alessandro Manzo

    NEMETON

    Guida pratica agli sport del coraggio

    ISBN 978-88-272-2670-4

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee, Via

    Flaminia 109 – 00196 Roma - Versione digitale realizzata da Volume Edizioni S.r.l.

    Un ringraziamento particolare a

    Gruppo Escursionistico Orientamenti – G.E.O. per il contributo tecnico e la disponibilità a usufruire di materiale per l’approfondimento e la comprensione di una visione integrale degli sport alpini.

    Associazione Italiana Arbitri – Sezione Lomellina per gli spunti e i suggerimenti frutto di anni di impegno e di passione.

    Bulldog Gym Milano e B.S.A. Pavia per l’impegno alla diffusione di una sana cultura pugilistica.

    Luca del Rugby Roma Club.

    Circolo Subacqueo Pavia e Nucleo Sommozzatori di Protezione Civile di Cremona per la disponibilità e l’entusiasmo nel supportare l’attivitàdi volontariato e di risposta alle emergenze in ambito subacqueo.

    Valerio e alla Furor Catanzaro per la documentazione tecnica fornita e per i preziosi consigli.

    Sabrina e Sveva: agnosco veteris vestigia flammae.

    Indice

    Capitolo 1 – Le discipline del coraggio

    1.1 – Gli sport del coraggio come ritorno al Nemeton

    1.2 – Essere o avere: lo sport virtuale

    1.3 – All’origine degli sport del coraggio: il gioco

    1.4 – Il coraggio come scelta agonistica

    1.5 – L’aria vibrante: l’ebbrezza del volo

    1.6 – La subacquea: l’immersione nel profondo

    1.7 – La corsa: il vento della Terra

    1.8 – Il fuoco freddo: le arti marziali

    1.9 – Il combattimento come simbolo

    1.10 – Che cos’è l’aggressività?

    1.11 – Il vero nemico da battere

    1.12 – L’ascensione alle altezze: la montagna

    1.13 – Uccidete l’arbitro ovvero la disciplina della scelta

    1.14 – La mente al centro: gli sport del tiro

    1.15 – Il rugby, gli sport di squadra e il ritorno alla tribù

    Capitolo 2 – Comprendere gli sport del coraggio

    2.1 – L’idea di atleta

    2.2 – L’attività atletica tra eroismo ed eros

    2.3 – La degenerazione dell’ardimento atletico: l’estremismo sportivo

    2.4 – Agonismo e autoformazione

    2.5 – Il piacere del brivido

    2.6 – Il dolore e la fatica

    2.7 – La paura

    2.8 – Il risveglio attivo

    2.9 – Sportivi e agonisti: i guerrieri metropolitani

    2.10 – Stabilità fisica ed equilibrio interiore

    2.11 – L’equilibrio come simbolo

    2.12 – Il maestro negli sport del coraggio

    Capitolo 3 – Il training autogeno nello sport del coraggio

    3.1 – La meditazione e gli sport del coraggio

    3.2 – Training autogeno: parte operativa

    3.3 – Che cos’è il training autogeno

    3.4 – Preparazione agonistica e uso terapeutico

    3.5 – L’esecuzione del training autogeno

    3.6 – Il primo esercizio: LA PESANTEzzA

    3.7 – Il secondo esercizio: IL CALORE

    3.8 – Il terzo esercizio: IL CUORE

    3.9 – Il quarto esercizio: IL RESPIRO

    3.10 – Il quinto esercizio: IL PLESSO SOLARE

    3.11 – Il sesto esercizio: LA FRONTE

    3.12 – La chiusura degli esercizi: LA RIPRESA

    3.13 – Casi reali di sportivi trattati con il training autogeno

    3.14 – Un caso di ipertensione risolto con il training autogeno

    3.15 – Uno strano caso di fobia

    3.16 – La visualizzazione attiva

    3.17 – Quando lo stomaco si lamenta

    3.18 – I reumatismi: quando il fuoco brucia il corpo

    3.19 – Cibo e ardimento

    Conclusioni

    Il testamento sportivo di Giovanni Parisi al figlio Carlos

    Bibliografia

    1. Le discipline del coraggio

    1.1 Gli sport del coraggio come ritorno al Nemeton

    L’attività agonistica sportiva è un’esperienza sulla quale è possibile confrontarsi a condizione di tenere in considerazione un limite invalicabile: raccontare lo sport, attività corporea per eccellenza, è lecito a chi è un praticante dell’agonismo¹ e quindi portatore di un’esperienza diretta. Si è cercato quindi di descrivere il messaggio essenziale di una visione integrale dello sport e di alcune discipline particolari che abbiamo praticato e amato nella nostra vita. Una visione dell’agonismo che può portare a un miglioramento delle attività praticate, offrendo un quadro più generale del proprio approccio agli ostacoli e alle sfide della vita.

    Il confronto dell’uomo con i propri limiti fisici e spaziali inizia prima della nascita, quando nel grembo materno si struttura il sistema nervoso e la capacità di movimento del feto. Limitato in un luogo ristretto, il progetto di uomo inizia il suo percorso di realizzazione e completamento. È la costrizione nello spazio, che viene intuita come limitazione delle risorse, a generare il desiderio di mettersi in movimento e raggiungere l’orizzonte per superarlo².

    Tale desiderio di movimento permane anche dopo la nascita e accompagna l’uomo nella sua esistenza. Un sentimento che rivive nella pratica sportiva e che richiama una situazione di ristrettezza superata e la vittoria sullo spazio. La corsa, per esempio, è forse la disciplina che più di altre racconta della vittoria dell’atleta sulla distanza e sul tempo. Per questo motivo le discipline sportive trasfigurano il conflitto dell’uomo nella realtà. Attraverso lo sport si realizza un perimetro spaziale nel quale vengono rappresentate le regole a cui attenersi per un giusto sforzo: è la nascita dell’idea di campo sportivo³.

    È in questa particolare situazione di pre-nascita che inizia a svilupparsi il desiderio inconscio di vincere i limiti della realtà attraverso l’uso delle proprie capacità motorie e sensoriali: un anelito di libertà che non perdiamo mai e che condiziona tutta la nostra esistenza. È l’eterno movimento tra l’ener gia in potenza e quella in atto che ci porta a considerare i tre elementi base della nostra esistenza: il nostro sé, i limiti imposti dalla realtà e il loro superamento.

    È sufficiente osservare l’euforia nella corsa di un bambino nei primi anni di vita e la reazione di gioia che trasmette per ricordarci come il superamento dei nostri record fisici porta sempre a uno stato di consapevole felicità.

    È proprio per raccontare tale desiderio di libertà che è nata l’idea di realizzare un testo sugli sport che abbiamo chiamato del coraggio, ovvero discipline che più di altre sviluppano a livello materiale e simbolico un’armonia nella consapevolezza dei propri limiti e il loro superamento in una agonistica catarsi che porta al sorriso olimpico⁴. Tale visione è frutto di un’esperienza diretta vissuta in particolare nelle discipline degli sport di combattimento (pugilato, savate e Kali filippino), della subacquea e della corsa in altura (skyrunning). È il tentativo di fondere in un libro le esperienze e gli insegnamenti che abbiamo appreso e testimoniato in decenni di pratica e impegno sportivo, nella consapevolezza dei propri limiti, ma anche nella certezza della passione per le discipline praticate.

    Gli sport del coraggio sono quindi quelle attività che hanno elementi comuni utili a una più alta visione dell’attività agonistica e che possono essere riconosciuti da tre elementi fondamentali:

    1. Attitudine allo sviluppo di una continua competizione con se stessi

    2. Forte connotazione simbolica

    3. Etica e approccio utili per l’attività quotidiana

    Gli sport del coraggio, infatti, sono un terreno fertile per una consapevole e volontaria attività di superamento dei propri piccoli o grandi limiti sia dal punto di vista fisico/corporeo (ad esempio la resistenza nella corsa) che mentale (l’autocontrollo della respirazione nell’attività subacquea).

    Tale competizione, tutta interna all’atleta, porta al secondo elemento che definisce tali discipline ovvero il trasformare le prove e gli ostacoli in una dimensione di tipo simbolico. A tal fine, attraverso una dissertazione semplice e immediata, tali simboli sono stati individuati e ricollegati a ciascuna disciplina. Si lascia naturalmente al lettore la libertà di fare propria o lasciare cadere tale visione. È un tentativo ragionato per una riflessione più profonda sulla propria esperienza sportiva e sul portato della propria storia personale che naturalmente prevale su ogni tentativo ideologico di forzare la realtà personale con modelli universali.

    È proprio nell’esperienza personale di ciascuno di noi che ritroviamo l’ultimo elemento distintivo degli sport del coraggio ovvero l’etica che alcune discipline portano a sviluppare e la sua utilità in una corretta condotta quotidiana. Un’esperienza rivolta al rispetto per l’impegno altrui almeno pari al rispetto dato ai propri sacrifici. È il nobile stato dell’empatia che si sviluppa nell’esperienza del sacrificio e che porta quindi a una maggiore comprensione del sacrificio altrui non solo nel campo sportivo ma nel contesto più generale della propria esistenza come persona.

    Gli sport del coraggio sono quindi stati considerati un’attività che porta a un’accresciuta percezione delle cose e del proprio sé, luoghi dell’anima che possono essere un ponte verso la propria dimensione più profonda e vera. Lo sport come luogo della mente nel quale raccogliere energia attraverso l’uso di energie, scambiando, in un’attività virtuosa, stanchezza fisica con riposo mentale. Da tale immagine simbolica si è scelto di collegare gli sport del coraggio agli antichi nemeton⁵, i luoghi delle foreste dove le antiche popolazioni europee pensavano di ritrovare energie per accrescere la propria forza interiore e affrontare le sfide di tutti i giorni.

    Gli sport del coraggio possono essere i nuovi nemeton e rispondere alla medesima esigenza⁶?

    1.2 Essere o avere: lo sport virtuale

    Queste due categorie, oltre a essere veri e propri stili esistenziali, sono anche diversi modi di percepire la realtà. Mentre l’avere è basato sul possesso, che si rifà al principio biologico della sopravvivenza fisica, l’essere si fonda sul cammino interiore, ovvero sull’evoluzione spirituale. In una società complessa come quella attuale, anche in tempo di crisi economica la sopravvivenza in realtà non è quasi mai difficoltosa, come nella natura selvaggia. A periodi di maggiore potere d’acquisto seguono ciclicamente altri meno favorevoli, dove i consumi si restringono, a volte anche sensibilmente. Ma la sopravvivenza per le masse è garantita, dal momento che proprio sui loro consumi si regge il sistema stesso, che collasserebbe se i consumi, e di conseguenza la produzione, si bloccassero totalmente.

    L’ansia di possesso, quindi, si rivela una creazione artificiosa di questo tipo di società materialista e desacralizzata. Si può morire d’inedia anche nel terzo millennio, ma è quasi impossibile che ciò accada nell’occidente opulento dei nostri giorni. Si vive con meno, ma si sopravvive praticamente tutti, almeno coloro che lo vogliono. Il desiderio di possesso sempre maggiore è connaturato alla cultura consumista, che induce i bisogni subdolamente per i propri fini, impoverendo, di fatto, le persone del bene più grande: i valori. L’uomo di successo, nella maggior parte dei casi, possiede, non è. L’essenziale è apparire, ovvero l’immagine dell’ego, ciò che si mostra agli altri. Fare vedere cosa si ha, attraverso le dinamiche odierne, colloca in una precisa categoria sociale, rende apprezzabili, seducenti. Ma denuncia spietatamente il vuoto interiore, la paura di vivere, l’insicurezza.

    L’avere è figlio del vuoto che origina dalla paura di non essere. L’essere, al contrario dell’apparire, è l’espressione della natura vera di ognuno: conoscere chi si è in realtà permette la realizzazione della propria missione come persone. Le discipline del coraggio rientrano nella sfera della valorizzazione dell’essere, rafforzano nella fatica e nel rischio la struttura della personalità e permettono un virtuoso rapporto con l’inconscio, liberando l’aggressività e superando i limiti della paura.

    Gli sportivi, coloro che seguono lo sport come spettacolo praticato dagli altri, ma non da loro, rientrano nella categoria dell’avere, possiedono le tecnologie più avanzate per guardare eventi e partite, ma disdegnano gli strumenti più semplici per fare sport, cioè per essere realmente degli atleti. Tra un economico paio di guantoni o di scarpe per correre, prediligono il maxischermo dove si consumano i ludi di massa del nostro tempo. Sportivi da salotto e atleti arrivano a rappresentare due categorie del carattere, due percezioni diverse della realtà. Da protagonisti o da spettatori. Anche se spesso chi pratica ama guardare le imprese dei campioni della disciplina preferita e questo vedere ha una funzione didattica.

    Praticare anche al livello più elementare qualsiasi sport è sempre mettersi in gioco, ascoltare sensazioni, provare emozioni. In una parola, vivere, mentre molti altri si accontentano di identificarsi nelle gesta altrui. Questa identificazione è una proiezione delle proprie aspirazioni, che non vengono soddisfatte realmente, ma in un modo assolutamente artificioso. Al reale, con tutti i suoi limiti e problematiche, con la fatica e il sacrificio e il conseguente beneficio e soddisfazione, si sostituisce lo sport virtuale, non vissuto, ma visto fare da altri. Atleti pagati per fare spettacolo a beneficio dei sedentari, dei fruitori da salotto, sportivi che talvolta non hanno mai praticato la disciplina amata, decisamente fuori forma fisica, se non addirittura affetti dalle patologie della sedentarietà. Gli emuli europei degli statunitensi obesi che tifano le squadre del football americano seduti sui loro divani, rimpinzandosi di cibi spazzatura ipercalorici e velenosi. Sportivi immaginari, che pagano professionisti per fare attività al loro posto, nella migliore logica mercantilista.

    Viviamo tempi in cui si combatte con videogiochi, in cui abbondano scenari violenti senza alcun rischio ed emozione e ci si allena tramite uno schermo televisivo senza alcun beneficio psicofisico. Il virtuale, o meglio il falso che stravolge la realtà, è una realtà sempre più squallida e disumana, orientata esclusivamente al profitto economico, generatrice di malattia fisica e disagio mentale, dove il corpo, tempio dello spirito, è annichilito, messo da parte, sostituito da ingannatrici protesi tecnologiche.

    Anche l’avviamento dei giovani allo sport segue la logica utilitaristica: si prediligono discipline che portano al successo economico, spesso su pressione di genitori egoisti, che non sanno riconoscere e tanto meno rispettare le inclinazioni dei figli. Questa diviene un’usanza così degenerata che tutti hanno giocato a calcio a scuola o per la strada, molti meno hanno corso su di una pista di atletica.

    Gli sport del coraggio, spesso poveri e meno pubblicizzati, nonostante il grande valore educativo, non sono i più popolari tra i giovani. Ciò che aiuta a scoprire la vera identità e allontana dalla massificazione dominante è visto come violento, pericoloso, estremo. Il principio attuale del minimo sforzo per il massimo rendimento mal si concilia con la sfida continua a se stessi. Sacrificio, fatica, coraggio, superamento del dolore, appartengono alla sfera dei valori e quindi sono visti con sospetto e diffidenza. Potrebbero stimolare il pensiero libero, il piacere di essere e non quello di possedere.

    Le discipline del coraggio sono educazione, autocontrollo, ascolto dell’anima, rispecchiano l’ultima via eroica a portata di mano. Gli eroi del mito rinunciavano all’avere per l’essere, distaccandosi dal possesso, dal mondo delle cose per quello degli archetipi, dei modelli divini. Erano i prototipi dei lottatori, di coloro che affrontavano se stessi nel nemico per trascendere l’uma no e superarsi costantemente.

    1.3 All’origine degli sport del coraggio: il gioco

    La società utilitaristica che vuole tutto finalizzato a un compenso materiale, possibilmente immediato, considera il gioco come tempo sprecato. Questo tipo di attività viene tollerata nei bimbi, ma solo come preparazione all’unica vera realtà, quella dei fatti concreti. La fantasia, l’immaginale, il gioco e quindi gli sport, sono ammessi solamente in sfere ed età ristrette: nell’infanzia, nell’arte, nel tempo libero, ovvero in quel tempo e in quei luoghi mentali dove la produzione non ha la funzione dominante. Sovrastrutture, dunque, attività defaticanti, per riprendere più riposati e forti il lavoro. L’attività ludica è riservata a coloro che ancora non partecipano alla demonia dell’economia.

    Per gli adulti, invece, gli sport diventano delle attività principalmente da osservare come fruitori passivi, strumento di controllo e di sfogo di pulsioni insopprimibili. Momenti sublimabili nella partecipazione come spettatore e tifoso. L’irrefrenabile voglia di giocare, di rompere, trasgredire, violare ed esprimere le proprie energie viene controllata, confinata in appositi spazi, repressa.

    In realtà i giochi dei bambini e gli sport degli adulti, essendo attività di simulazione, quindi simboliche, sono evocatori di stati alterati di coscienza. I piccoli immaginano amici, nemici da combattere, mostri, eserciti, creano armi o bambole con poca materia e molta fantasia. Incarnano miti e fiabe, evocano valori eterni, come la lotta tra il Bene e il Male. Maschi e femmine interpretano con assoluta veridicità archetipi imperituri e nel gioco divengono mamme e mogli, soldati, guardie e ladri, buoni e cattivi; sono generosi e crudeli, come gli antichi dei; liberano inconsapevolmente energie, modelli assoluti, appunto archetipi. Una magica dimensione dove la realtà ordinaria si scioglie in mille sfaccettature, dove gli opposti si fondono, in una sintesi di assoluta libertà.

    Non rispettano alcuna legge, o regola, sono privi di morale, assolutamente buoni o perfettamente perfidi. I modelli primi, s’incarnano direttamente e non vi è spazio per la ragione, ma solo per la fantasia. Si gioca. Il gioco è creazione pura, non si spiega con la filosofia, che comporta speculazione intellettuale, nemmeno con la metafisica, separata dalla fisicità. È un’esplosione di forze elementari. Perché il gioco è semplicemente naturale, frutto dell’unione di corpo, anima e spirito. Esiste in natura, da solo e da sempre. È un archetipo che vive nell’inconscio collettivo, l’anima mundi, prima che nella mente degli uomini.

    Giocare e fare sport sono riti che si perpetuano nelle generazioni, rappresentano l’ordine cosmico nell’interpretazione umana. Si giocava a nascondino nell’antichità, ci giocano ancora i bimbi non intossicati dall’elettronica. Rincorrersi, prendersi, occultarsi alla vista, lottare, sono ritmi naturali, non vengono insegnati o tramandati, ma sono già compresi in natura. I cuccioli giocano istintivamente nello stesso modo. Nel gioco c’è l’intuizione della verità, senza i limiti della civilizzazione.

    Chi preferisce impersonare sempre la guardia, non diventerà obbligatoriamente un poliziotto, ma sarà più incline alla conservazione e protezione, rispetto al compagno di gioco che fa il ladro, più disposto a ruoli alternativi e trasgressivi. Talvolta da piccoli si gioca a fare simbolicamente ciò che saremo da grandi. E da grandi nella pratica sportiva riveleremo inesorabilmente la nostra effettiva personalità. Un cittadino modello che gioca scorrettamente, violentemente, fallosamente, denuncia le sue paure, le pulsioni segrete, in una parola la sua natura profonda.

    I giochi spalancano le porte dell’inconscio, ci guidano nel mondo della nostra personalità più intima perché sono simboli e come tali ricollegano ad altre dimensioni: dimmi come giochi e ti dirò chi sei. Non vi è ambito nel quale si manifesta potentemente per esempio un’indole aggressiva quanto quello ludico e sportivo. Manager severi e ineffabili, nella partitella aziendale calano la maschera e dimostrano la vera natura predatoria. L’archetipo del ladro emerge minaccioso sul campo, dove nessuno lo riconoscerà e verrà vissuto dai sottoposti come carattere, grinta da vero dirigente.

    Giocare libera, riporta allo stato primordiale di innocenza. Durante l’azione sportiva, gli adulti urlano, imprecano, insultano, barano, prevaricano, ri tornano cuccioli rissosi. Perciò giocare è terapeutico e liberatorio. Se si vuole scoprire con chi abbiamo a che fare, la sfida sportiva è la via maestra. Nel la foga del gioco l’animale si slega dai lacci.

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