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Laura Pausini: Tutta una vita
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E-book220 pagine3 ore

Laura Pausini: Tutta una vita

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Info su questo ebook

Partita dalla provincia romagnola, Laura Pausini ha conquistato letteralmente il mondo diventando un simbolo contemporaneo della nostra musica: prima donna a riempire per due sere di fila lo stadio Meazza, recentemente si è portata a casa il Golden Globe, e troppi sono i record da lei infranti per raccoglierli tutti nelle poche righe di presentazione di un libro. In oltre venticinque anni di carriera la Pausini si è imposta sulla scena internazionale, sposando anche alcune battaglie nobili come il concerto benefico Amiche per l’Abruzzo o il prossimo Una Nessuna Centomila, e la sua storia è una sorta di piccola favola dei giorni nostri nella quale, per antonomasia, non può mancare il villain, giocato dallo stesso Michele Monina, che lascia spazio anche alle sue considerazioni da critico musicale.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita28 giu 2021
ISBN9788836161386
Laura Pausini: Tutta una vita

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    Anteprima del libro

    Laura Pausini - Michele Monina

    Prefazione

    Credo di essere la persona meno adatta a scrivere un libro su Laura Pausini.

    Chiunque sia fan della medesima, o almeno, una buona parte dei suoi fan più appassionati ben sa come, nel corso degli ultimi anni, io e la Pausini ci siamo intrattenuti sui social polemizzando più o meno amabilmente a distanza. A volte in maniera divertita, altre meno. A corredo di questa frase potrei mettere la famosa foto del dito medio esibito dal megapalco di San Siro, anche se si tratterebbe di un errore, poi vedremo perché.

    Tutto è partito proprio dalla pubblicazione di questo libro, oggi presentato in una edizione riccamente aggiornata.

    O meglio, tutto è iniziato dalla notizia dell’imminente uscita di questo libro, prima ancora che il libro uscisse dalla tipografia con le sue copie staffetta, così vengono chiamate le copie di prova che arrivano a editore e autore.

    Questi i fatti, che riassumo velocemente solo a scopo cronachistico, cercando di tenere le debite distanze dal tutto.

    Trapela la notizia che sta per uscire il libro. La voce arriva alla diretta interessata, che ci fa un post sui social. Il mood del post, lunghissimo, è polemico, perché Laura pensa che il libro sia critico nei suoi confronti.

    Non sono un suo fan, lo sa, e come critico sono anche abbastanza conosciuto per avere una penna ironica e ficcante. Di più, non essendo della sua cerchia di giornalisti e critici di riferimento, dà per scontato che io le sia in qualche modo ostile.

    Laura, in sostanza, lamenta che sia stato proprio io a scrivere il libro, descrivendomi come suo scarso estimatore. Lamenta anche che non le abbia chiesto il permesso per scriverlo, parlando di libro non autorizzato.

    Io sono un critico musicale, tutto vero.

    Non sono un suo fan, anche questo è vero.

    Ma sono un biografo.

    Anzi, fatemelo dire almeno qui, en passant, sono uno dei biografi più titolati in Italia. Ho scritto una trentina di biografie, nella mia carriera, alcune cofirmate con nomi importanti della nostra discografia, principalmente Vasco Rossi, certo, ma anche Caparezza o Cesare Cremonini, tanto per fare dei nomi assai diversi tra loro.

    Quando scrivo biografie mi occupo di raccontare la vita e le opere di un artista o una artista.

    Quando scrivo come critico musicale mi occupo di analizzare le opere, non di raccontarle.

    Questa è una biografia.

    In Italia non esistono le biografie autorizzate, di conseguenza non esistono le biografie non autorizzate. Quella è una formula in voga negli Stati Uniti, dove la giurisprudenza prevede che un biografo per poter scrivere di un personaggio debba chiedere il permesso. Da noi funziona diversamente, si scrive e basta.

    Se poi ci saranno fatti non accaduti, distorsioni della realtà, parole che in qualche modo possano essere considerate lesive della dignità o più genericamente diffamatorie, si ricorrerà ai tribunali.

    Mai ricevuta una querela in vita mia.

    Il post di Laura, preventivo, era mosso più da una paura ingiustificata che da fatti concreti. Una biografia racconta fatti e opere, non esprime i giudizi dell’autore sulla musica del personaggio cui il libro è dedicato.

    Anche fosse, mai ricevuto una querela neanche per una recensione, né da Laura Pausini né da altri artisti, sono un critico musicale professionista, quando scrivo lo faccio partendo dalle mie analisi, il fatto che poi sia anche ironico nello stile non sfocia mai nel diffamatorio, e ci mancherebbe pure altro.

    Questo libro, dicevo, è la versione aggiornata della mia prima biografia di Laura Pausini.

    Quella che ha dato il la a una serie di simpatici siparietti social tra me e la Pausini stessa.

    Si è cominciato con quel vecchio post, poi, nel momento in cui io ho ripreso a scrivere per quotidiani, all’inizio per «Il Fatto Quotidiano», si è proseguito con un articolo, davvero scherzoso, nel quale ironizzavo su certe sue dichiarazioni riguardo la radiofonia e la sua casa discografica. La questione è continuata con un paio di mie recensioni, una delle quali incorniciata da un titolo per certi versi storico, era la prima volta che un quotidiano generalista metteva una parolaccia in un titolo, e per di più anticipato da un pezzo acidello nel quale sottolineavo come aver convocato a sue spese giornalisti a Miami avrebbe potuto falsare le recensioni che di quell’album sarebbero uscite, pezzo entrato nella personale mitologia di noi addetti ai lavori come il pezzo sui "pool guys", al punto che il mio essere in qualche modo il critico musicale, il solo critico musicale che osasse criticarla, non nel senso di scrivere di lei, quanto nel senso di esprimere critiche negative sulla sua musica, è diventata una caratteristica peculiare, una sorta di mio marchio di fabbrica.

    Mi sono stati imputati decine di articoli sulla Pausini, mi è stato rinfacciato lo stare sempre a scrivere (male) di lei, campi di notorietà riflessa scrivendo sempre della Pausini, quando nei fatti le ho dedicato un numero davvero risibile di articoli, meno di dieci in venticinque anni, il fatto che poi questi articoli siano stati molto letti è altra faccenda, e credo dipenda anche da come sono stati scritti, parlo di stile, non solo dell’oggetto del mio parlare.

    Traduco, se bastasse scrivere della Pausini per farsi leggere i miei articoli affogherebbero in mezzo ai tantissimi altri a lei dedicati, così sembra non sia.

    Sono in qualche modo diventato un suo alter ego, il villain della sua favola, al punto che quando al secondo dei suoi concerti di fila a San Siro, il 5 gennaio 2016, Laura alzerà un dito medio al cielo, dedicandolo «a quello stronzo che ha scritto che stasera non ci sarebbe stato nessuno», ne facevo cenno prima, molti penseranno che sia io il destinatario di tanta attenzione, questo riporteranno diversi articoli l’indomani, questo mi diranno i tanti addetti ai lavori che si premureranno di chiedermi come l’avevo presa, e soprattutto questo hanno pensato le migliaia di fan che si sono affrettati ad accorrere sui miei social costellandoli di foto di quel dito medio.

    Non ero io, in effetti, quello di cui Laura stava parlando, non avevo scritto niente riguardo quei concerti, né fatto dichiarazioni riguardo un presunto flop della seconda data.

    Ma sono io quello cui quel dito medio è rivolto, almeno nell’immaginario dei fan e degli addetti ai lavori, me lo ha confermato l’indomani, divertito, anche il titolare di quelle attenzioni, ben felice di rimanere nell’ombra.

    Quindi non è vero, non è vero che credo di essere la persona meno adatta a scrivere un libro su Laura Pausini.

    Credo esattamente il contrario.

    Sono il biografo più adatto a scrivere un libro su Laura Pausini.

    Lo ero una decina di anni fa, quando questo libro è uscito nella sua prima edizione, lo sono tanto più oggi, con i siparietti e le polemiche incorsi nel mentre.

    Lo sono perché un biografo non deve essere accondiscendente, mai. Chi scrive libri su artisti con lo sguardo del fan finisce per scrivere santini, agiografie, libri che nulla di obiettivo presentano.

    Per intendersi, leggere me, quello del dito medio, quello delle stroncature roboanti e diventate virali, che racconto per filo e per segno i tanti successi che la carriera e la vita di Laura Pausini hanno incassato risulta decisamente più credibile che leggerli in un tomo che porti la firma di chi, negli anni, si è dimostrato troppo coinvolto a livello di passione nei confronti dell’artista trattata.

    Se dico io, proprio io, che un disco è stato un successo internazionale, mettiamola così, non può che essere vero, e la carriera della Pausini è decisamente stata una cavalcata nelle praterie del successo, moltissime luci e davvero poche ombre, su questo fronte.

    Poi, siccome da un certo punto in poi il mio essere critico è diventato parte di questa narrazione, parlo della narrazione che riguarda la carriera della Pausini, anche alcuni passaggi di quelle critiche troveranno ospitalità tra queste pagine, ma stia serena Laura nostra, anche stavolta si tratta di biografia non autorizzata, ma nulla di cui preoccuparsi è presente in queste pagine, anzi.

    Il libro che avete tra le mani, quindi, ripropone tutto quel primo tomo, con l’aggiunta di quanto è accaduto in questi, caspita, undici anni.

    La prima parte solo biografica, la seconda anche critica.

    Procederò per immagini, del resto siamo nell’epoca di Instagram e dei selfie. Ma siccome io sono un uomo del Novecento, e del Novecento è anche Laura Pausini, in quel secolo è nata e in quel secolo ha esordito, andando sin da subito a incontrare un successo mondiale senza precedenti, queste immagini me le figuro davanti agli occhi come Polaroid.

    Sì, perché dovendo scegliere come procedere, e tanto per non annoiare il lettore con una sequenza troppo cronologica, molto simile a quella che chiunque, oggi come oggi, saprebbe ricostruirsi consultando anche solo Wikipedia o qualche altro sito in rete, l’autore di questa biografia, cioè io, ha deciso di procedere per immagini, una Polaroid a capitolo.

    Da un certo punto in poi ci saranno anche mie notazioni da critico musicale, ma solo perché quelle notazioni hanno avuto un qualche impatto, almeno emotivo, anche sulla Pausini stessa.

    Non farle sarebbe stato come voler tenere un po’ di polvere sotto il tappeto.

    Alla fine avrete letto un libro, certo, consultando un album di fotografie, sicuramente non canonico, ma in fondo ne avrete letti due.

    Benvenuti dentro questo libro, quindi, questa biografia, dal prossimo capitolo si comincia davvero.

    PARTE PRIMA

    Uno

    Si parlava di Polaroid, ricordate?

    Immagini fugaci, ma che siano capaci di cristallizzare momenti salienti della carriera di Laura Pausini, la sola donna che ha saputo riempire San Siro con circa 80 mila spettatori, tanto per cominciare a dare i numeri.

    Eccovene due, perché da qualche parte bisogna pur cominciare.

    Prima Polaroid.

    Immaginatevi Laura Pausini oggi con l’improbabile pettinatura che l’ha vista apparire per la prima volta dentro le case degli italiani, presentata da una giovanissima Lorella Cuccarini, nei panni di quelle che un tempo, in era pre-veline, chiamavano valletta, il 25 febbraio del 1993.

    Capelli corvini, cotonati, che in effetti la fanno somigliare a una Amy Winehouse, ma che, di fatto, sono un omaggio neanche troppo indiretto alla più famosa delle Signorine Buonasera, l’annunciatrice Rai per antonomasia Nicoletta Orsomando.

    Sempre per omaggiare la Orsomando, Laura indossa anche una altrettanto improbabilissima giacca a scacchetti, non si può sapere di che colore perché le immagini sono in bianco e nero.

    Sì, perché, a differenza di quando entrò per la prima volta nelle case degli italiani, il 25 febbraio del 1993, accompagnata un po’ enfaticamente dalle note scritte da Brian May dei Queen per la colonna sonora del film Flash Gordon, diretto nel 1980 da Mike Hodges e ispirato all’omonimo fumetto, vestita con una giacca bianca svasata sui fianchi, vagamente a trapezio come a voler sottolineare i fianchi giunonici, la camicia nera a voler richiamare le cuciture della giacca, camicia nera come i pantaloni, stretti sulle caviglie, come andava di moda a quei tempi, scarpe categoricamente senza tacco, da ragazzina, e con i capelli cotonati, ma lunghi, più castani che neri, con un ricciolo sulle punte, la riga e un ciuffo abbondante a coprire l’occhio sinistro, stavolta il programma televisivo che ce la mostra è in bianco e nero. Si tratta del geniale mini-show di Fiorello e Marco Baldini, Viva Radio 2 Minuti, omaggio sentito e riuscitissimo al vecchio varietà degli anni Sessanta/Settanta andato in onda su Rai Uno dopo il telegiornale delle venti nel gennaio del 2008.

    Laura Pausini è sullo schermo, come una vecchia Signorina Buonasera, e sta presentando ai telespettatori il breve programma che li intratterrà, a milioni, nei pochi istanti a seguire. Un mini-show di due minuti appena, come recita il titolo.

    Lo fa con estrema ironia, iniziando con il tipico linguaggio delle presentatrici di una volta, elegante e familiare, salvo poi passare al dialetto romagnolo, come una delle tante protagoniste dei film di Federico Fellini – uno che, se l’avesse vista oggi, sicuramente avrebbe scritto una parte per lei – e concludendo il tutto con il tipico saluto delle nuove ragazze immagine della Rai, il dito indice puntato verso lo schermo mentre intona Io guardo sulle note della Io canto di Riccardo Cocciante, proprio negli ultimi anni ritornata in testa alle classifiche italiane e balzata per la prima volta in testa a quelle di mezzo mondo grazie alla grintosa interpretazione di Laura.

    La palla passa a Fiorello. Assist millimetrico, avrebbe detto negli anni Settanta Sandro Ciotti a Tutto il calcio minuto per minuto. Fiorello non deve far altro che accompagnare la sfera di cuoio in rete.

    Rosario Fiorello e Laura Pausini, in realtà, si sono incontrati pubblicamente parecchie volte, duettando in quasi tutte le edizioni degli show televisivi e anche radiofonici del mattatore catanese, ma è proprio dietro questo piccolo cammeo che si nasconde il motivo della chiamata alle armi con cui l’ex codino d’oro della televisione italiana ha deciso di dichiararsi alla rockstar di casa nostra.

    Se infatti nessuno ha mai avuto dubbi sulle capacità canore di Laura da quel lontano febbraio 1993, in pochi, vedendola mangiarsi le parole durante le brevi interviste di prassi prima e dopo l’esibizione, avrebbero scommesso sulle sue capacità di showgirl. Capacità che invece Laura ha, come i milioni di spettatori che hanno assistito al programma condotto in compagnia di Tiziano Ferro su Rai Due, programma poco originalmente intitolato proprio Due, l’8 dicembre 2009 hanno avuto modo di riscontrare.

    Sul palco dell’Ariston di Sanremo, il 25 febbraio 1993, Laura era apparsa visibilmente in soggezione, almeno durante le quattro chiacchiere fatte col conduttore del Festival, Pippo Baudo, colui che si può vantare, a ragione, di averla scoperta.

    Lei un po’ goffa che sorride timidamente a Pippo Baudo, i capelli cotonati col ciuffo a coprirle l’occhio sinistro.

    Questa è la seconda Polaroid, la terza se vogliamo considerare quella fugace del primo capitolo.

    Laura Pausini appena diciottenne sul palco dell’Ariston di Sanremo, quello calcato da tutti i più grandi della canzone italiana, anche da lei.

    Mentre il Pippo nazionale le chiedeva conferma riguardo la sintetica trama della canzone La solitudine da lui stesso letta a presentazione dell’esibizione, Laura appare un po’ goffa, comprensibilmente in difficoltà a parlare in televisione, di fronte a milioni di telespettatori.

    Del resto, sarà lo stesso Pippo a dirlo, si tratta di una canzone abbastanza universale. Lei sta con lui, Marco, ma lui deve andarsene perché il padre ha trovato lavoro altrove. Lei soffre, e in cuor suo si augura che anche Marco un po’ stia male.

    «Marco se n’è andato e non ritorna più/ e il treno delle sette e trenta senza lui/ è un cuore di metallo senza l’anima/ nel freddo di mattino grigio di città». Oggi anche i muri conoscono queste prime strofe, come anche il resto del testo.

    Laura, nel sentire Pippo presentare la sua prima canzone inedita, appare goffa, dicevo. Ma, come d’incanto, tutta la goffaggine scomparirà di colpo non appena le prime note dell’orchestra diretta dal maestro Maurizio Tirelli invaderanno l’aria. Subito Laura dimostrerà di essere una cantante di razza, una professionista approdata giovanissima sul palco più prestigioso della canzone italiana, o quantomeno il più popolare, palco che di lì a due giorni la vedrà trionfare nella categoria Nuove proposte.

    Sarà infatti il 27 febbraio quando, con 7464 voti contro i 7209 di Gerardina Trovato, otterrà una netta vittoria. Vittoria ancor più prestigiosa se si considera, dopo tutti questi anni, gli artisti con cui se la andò a giocare: oltre alla stessa Trovato, infatti, cantautrice che per buona parte degli anni Novanta ha dominato le classifiche, erano in gara altri cavalli di razza come Nek, che si classificherà terzo con la controversa In te – 5952 voti, e che da lì in poi spesso incrocerà la propria strada con quello della nostra, in giro per i palchi di mezzo mondo – e due cantanti poi affermatisi come autori di successo per artisti come, tra gli altri, Paolo Meneguzzi e Arisa, quali Rosario Di Bella, che si classificherà sesto, e Marco Conidi che si classificherà settimo. Insomma, per essere la più giovane del gruppo, questo primo posto sarà più che meritato.

    Lo stesso Pippo Baudo, catanese come Fiorello, una volta annunciata, Lorella Cuccarini al suo fianco, la vittoria di Laura Pausini, si lascerà andare a grandi complimenti, sottolineando il suo stile canoro già molto professionale.

    Lo farà a modo suo, come ben sanno i tantissimi fan che si sono andati a rivedere quelle ormai storiche scene più e più volte su Youtube, mostrando al pubblico in sala e davanti ai teleschermi il modo con cui la giovane cantante avvicinava e allontanava il microfono dalla bocca, per giocare con gli alti e i bassi della sua già potentissima voce.

    Quel che però colpirà più di tutto i telespettatori e il pubblico presente all’Ariston quel 27 febbraio, saranno le lacrime di gioia e di commozione che scenderanno dagli occhi della giovanissima cantante romagnola, arrivata alla vittoria subito dopo essersi affacciata alla ribalta della musica che conta.

    Una liberazione che ce la mostrerà da subito come una ragazza sanguigna, pronta a lanciare il cuore oltre l’ostacolo.

    Così, dopo aver per la prima volta portato a gloria nazionale Solarolo, in provincia di Ravenna, il suo paese natale, dopo aver ringraziato i propri genitori e Angelo Valsiglio, suo primo produttore

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