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Niente di serio, almeno credo
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Niente di serio, almeno credo
E-book494 pagine6 ore

Niente di serio, almeno credo

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Info su questo ebook

Dorothy Dorfman ha sempre sognato di lasciare il suo lavoro in biblioteca per vivere un’avventura. Così Nanette, la sua migliore amica, le regala un libro delle risposte e le suggerisce di smettere di ragionare, di pianificare sempre tutto e di farsi guidare dal caso. Per Dorothy non può funzionare, non è possibile che un libro delle risposte cambi improvvisamente la sua vita. E per dimostrarle di avere ragione, mentre ritorna a casa prova a usarlo finendo con l’ascensore al piano sbagliato. Quello che non immagina è di ritrovarsi tra le braccia di un attore di Hollywood che le chiederà di sposarlo. Parliamo di Duke Kline, una star delle soap appena tornata in città.
LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2019
ISBN9788863939316
Niente di serio, almeno credo

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    Anteprima del libro

    Niente di serio, almeno credo - Cecile Bertod

     1° Piano

    imm03

    Alla cortese attenzione dell’amministratore,

    avv. Chaz Kline

    Miss Dorfman ha lasciato di nuovo i vestiti in

    lavanderia. Ho cercato di avvisarla. Si figuri che

    ho chiamato due volte solo stamattina e, indovini?

    Non mi ha risposto. Finge come al solito di

    non essere in casa, ma c’è. So che c’è! Fa le linguacce

    a Miss Fleming dallo spioncino!

    La prego di intervenire al più presto, questo

    comportamento non è accettabile ed è espressamente

    vietato dal regolamento.

    Mr Kowalski. Appartamento 6/B

    Io ti amo.

    No, ti prego, non dirlo.

    Ma io ti amo, Estrella Maria Paloma. Io ti amo dal profondo del mio cuore.

    Tu menti!

    Non potrei mai. Vedi. Guarda i miei occhi. Potrei mai mentirti con questi occhi?

    «Ah… Non credergli» brontolo.

    Ti ho visto con quella donna, Aleandro. Ti ho visto!

    Oh… No. No. Estrella Maria Paloma, no.

    Tu mi hai tradito, Aleandro. Dimmelo. Dimmi perché eri con quella donna.

    «Fa’ un po’ silenzio, Rolly. Così non sento niente.»

    Sposto la zampa più in là, alzo il volume al massimo e mi sintonizzo su Forever Alone Station.

    È giovedì. Pieno assetto da guerra: tuta di pile, pantofole e occhiali. Montatura da combattimento: anticaduta, pestaggio, involontario abbandono nello scomparto del freezer. Carina, vero?

    Rolly, mio fedele compagno di battaglia, sonnecchia tra i cuscini con il naso appoggiato sulla ciotola dei pop-corn. Sguardo supplice, lingua penzoloni, speranza mai del tutto abbandonata che in un attimo di sfinimento psicologico gli ceda metà del bottino.

    Ah, illuso!

    Chi era quella donna, Aleandro? Chi era?

    Come ogni giovedì, guardiamo Love Legacy, un cult tra le fiction d’amore, se vi piace il genere.

    Che c’è? Non andate matte per le soap? Be’, neanche a me fanno impazzire, ma donano una pacata parvenza di romanticismo alle mie serate da single. Finisco per seguirle un po’ tutte, e con questa siamo alla puntata centoquarantadue. Quindi in totale, facendo un calcolo approssimativo, non ho un appuntamento da circa… Uhm… così su due piedi, è difficile. Direi più o meno centoquarantadue week-end.

    È che ho una vita troppo intensa per una relazione stabile. Tutto il giorno in biblioteca, gli appuntamenti dal pranoterapeuta, senza considerare gli aggiornamenti di The Sims. Ci avete mai giocato? È fantastico. Crei un personaggio virtuale a cui non assomigli neanche usando tutti i filtri di Instagram, compreso «Velo pietoso» e «Bagni di Lourdes», e lo inserisci in un mondo immaginario dove puoi sviluppare storie che non vivresti mai nella realtà per pigrizia, incapacità o solo perché non ti sei materializzata nell’appartamento di Chris Evans con addosso lingerie leopardata.

    Il mio personaggio, per dire, è a tanto così dal diventare un genio del crimine. Quindi, capirete, proprio non ce l’ho un secondo libero per recuperare un marito e magari sposarmi.

    «Vedrai, riuscirà a convincerla. Andiamo, Estrella, sbattilo fuori a calci! Non ti merita.»

    Piuttosto, litigo con la TV, raggomitolandomi su un divano talmente vecchio che manca uno scricchiolio al collasso.

    Non posso dirti chi era quella donna, Estrella Maria Paloma. Non posso!

    E lo so che intorno a me regna il caos: scarpe abbandonate, vestiti da stirare, cose che dovrei ripulire, riorganizzare, sistemare, ma dal momento che mancano cinque minuti alla sigla, fingo di non notare la polvere sul parquet, rimandando le mie responsabilità fino all’arrivo della pubblicità.

    «Ci siamo, Rolly. Ora glielo dice.»

    E, con gli occhi incollati al mio 41 pollici, entro lentamente in una strana forma di trance.

    Dimmelo, Aleandro. Tu devi dirmelo.

    «Diglielo, Aleandro!» urlo.

    Rolly sbadiglia. È un intellettuale, come tutti i Golden Retriever. Proprio non riesce ad appassionarsi alla trama. Io no, ho pretese meno elevate. Potrebbero mandare in onda solo le repliche di Love Legacy e rimarrei lo stesso attaccata allo schermo. Okay, lo ammetto, sono completamente risucchiata, persa, tramortita. In pratica, senza recupero. Per chi? Ovvio, per lui! Aleandro Sanchez. Perché l’attore è… Wow. Avete mai sentito parlare di Duke Kline? No? Pazze! È la cosa più vicina al gelato al pistacchio che Dio abbia infilato in un paio di boxer. Chissà? Per uno come lui potrei anche decidere di buttare The Sims e concedermi un flirt trentennale nel mondo reale.

    Non posso dirtelo. No.

    No, tu devi dirmelo, Aleandro. Sento che morirò se non me lo dirai, Aleandro.

    Naturalmente è impensabile. Intendo che uno come Duke Kline compaia davanti al mio portone di casa e mi chieda di sposarlo. Ecco, è da delirio, ne sono consapevole. Ma si potrà sognare, no? Ed è quello che faccio, organizzo matrimoni immaginari davanti a una telenovela. Proprio come adesso.

    «Ci siamo, Rolly. Ci siamo.»

    E va a finire che mi agito. Mi agito sempre quando si avvicina l’ultima scena.

    Non posso dirtelo, Estrella Maria Paloma. Non posso dirtelo, perché…

    «Insomma, Aleandro, diglielo!»

    Vado in fibrillazione. Inutilmente, aggiungerei, perché di punto in bianco la scena si interrompe. 

    Compare un’annunciatrice a mezzo busto.

    «Ora va in onda il notiziario. Non mi resta che augurarvi un buon proseguimento di serata con…»

    Seguono i titoli di coda del programma.

    «Ah, accidenti!» sbotto e, come segno di protesta, lancio il telecomando sul tappeto. «Proprio non li sopporto quando fanno così. Arrivi sul più bello e mandano la sigla.»

    Rolly, per solidarietà, dissemina peli sul pigiama.

    «Che c’è? Hai fame? Che domande sciocche, vero?» gli tiro un orecchio, lo accarezzo, poi senza accorgermene guardo fuori.

    Osservo i palazzi in lontananza, le auto in corsa. Cerco oltre le nuvole appunti a matita che dovrei proprio leggere. Qualcosa tipo le indicazioni per la meta, per non continuare a camminare in tondo e ritrovarmi sempre al punto di partenza. Trovo solo vento, foschia in lontananza, discrete precipitazioni a stretto giro.

    «Il solito, insomma» sospiro e mi si stringe uno strano nodo attorno al cuore. Deve essere il tempo. Sì, è colpa dell’inverno. Piove da stamattina; quand’è così a me scende sempre un po’ di malinconia.

    Per fortuna c’è lui a tirarmi su. Rolly, quattro mesi di peluche e dentini aguzzi. L’ho trovato la settimana scorsa sotto casa, un pulcino spaurito, inzaccherato di fango.

    Seattle d’inverno è un acquerello sbiadito di pioggia e smog. Quella sera, proprio come adesso, non riuscivi a ripararti neanche sotto le grondaie.

    Rolly se ne stava in un angolino, guardava la strada con la testolina inclinata. Deve essersi perso, non penso sia nato in un vecchio scatolone bagnato. Ammettiamolo, non ha l’indole del cane randagio, tutto setole e spregiudicatezza. È più tipo da grattini davanti al camino. Forse è per questo che, appena mi ha visto, si è messo a scodinzolare e mi ha seguito. Deve aver immaginato che fossi io quella che aspettava da un po’.

    E io? Ah, figuriamoci! Alla fine, non ho resistito, l’ho portato su. Ma non avrei dovuto. Ho già litigato non so quante volte con l’amministratore. Il regolamento del condominio è categorico. Niente animali. Neanche temporaneamente. Solo che Rolly è un anarchico, certe forme di oppressione non le sopporta. Così, malgrado tutto, quella sera si è installato in salotto e da allora condividiamo gli spazi mentre cerco una soluzione alternativa per non farmi sbattere fuori.

    Certo, non può durare. Sì, okay, finora è andata bene, ma solo perché l’amministratore è dovuto correre a Toronto. Credo sia una specie d’avvocato, o di quegli impieghi in cui ti pagano per rendere irrimediabilmente infelici le persone. E lui è… Oh, lui è portatissimo per quel genere di lavoro ed è anche maledettamente puntuale. Perciò, venerdì alle otto in punto sarà di nuovo a casa e ricomincerà a infastidirmi con tutte le sue maledettissime note condominiali. Che lo voglia o no, Rolly dovrà trovare qualcun altro che gli gratti la pancia. Sì, però non stasera. È tardi, e poi piove.

    «Okay, ho capito, mi vuoi bene.»

    Mi lascio mordere la punta del naso e cerco di non ricordare che nel frattempo non ho fatto nulla per trovargli una casa. La verità è che non voglio che Rolly vada via. Lo so che così rischio di farmi scoprire, ma almeno fino a venerdì Chaz non tornerà. Se nessuno farà la spia a Miss Fleming potrò considerarmi a tutti gli effetti un’inquilina del 23, Western Avenue, Seattle, Washington.

    Mmm, forse ho parlato troppo in fretta. Me ne convinco quando dal pianerottolo arriva un cigolio metallico.

    Devono essere le porte dell’ascensore, fanno sempre un casino infernale, specie se c’è umidità.

    Rolly, che non aspettava altro, mi scappa dalle braccia abbaiando come un matto.

    «Ehi, no. Rolly, torna subito qui!» Lo sgrido. C’è tuttavia la possibilità che sia arrivata la pizza, perciò alla fine mi costringo a raggiungerlo all’ingresso. «Zitto o ti sentiranno tutti!» gli bisbiglio, cercando il portafogli tra i vestiti sparsi in giro. Lui, ovviamente, non mi ascolta. Con la coda ciondoloni, spia il nemico dalla fessura delle chiavi.

    «Ho detto zitto!» lo spingo via con un piede e domando: «Chi è?» contando nel palmo della mano un paio di dollari per la mancia.

    «Miss Dorfman!» tuonano dal corridoio.

    Lì capisco che c’è qualcosa che non va. Allora mi sollevo sulle punte e ricontrollo dallo spioncino.

    «Cazzo, è l’amministratore!» mi rendo finalmente conto.

    «Miss Dorfman, so che è in casa! Apra immediatamente!»

    Chaz Kline.

    Età fisica: indefinibile. Età mentale: geriatrica.

    Luogo di nascita: cloaca dei burocrati dispotici. Quarto girone dell’inferno, distretto di Mai un sorriso.

    Onnipresente, onnisciente, onnipotente per contratto. Dispensatore di brutte notizie per professione, promettente sottoufficiale dell’esercito dell’Apocalisse per passione.

    Personalità affascinante. Ho solo una domanda: che diavolo ci fa a Seattle di giovedì? Aveva detto che sarebbe tornato venerdì prossimo!

    «Eh?» mi costringo a rispondergli, guardandomi intorno in cerca di una via di fuga o magari una botola per Gotham City.

    «Miss Dorfman, mi apre? Sveglierò tutti!»

    «Cosa ha detto?» perdo tempo.

    «Provi a indovinare…» domanda lui con sarcasmo. «Vuole aprirmi o no?»

    «Certo. Sì, sì, un attimo. Sono subito da lei» gli garantisco; quello che faccio, invece, è camminare senza alcuna utilità nella stanza. «Dove ti metto, Rolly? Dove?» Butto via cuscini, lancio vestiti finché realizzo di non avere scampo. E allora, prima che Chaz chiami la polizia, faccio l’unica cosa che mi viene in mente. Arraffo Rolly e, senza riflettere, lo infilo nello stanzino. Una specie di loculo, barra scarpiera, barra infilaci-cose-dentro-quando-non-sai-dove-metterle, collocato tra l’ingresso e l’appendiabiti. Un buco talmente zeppo di cianfrusaglie che, per incastrarci anche Rolly, devo prima impilare i miei fumetti per fargli spazio.

    «Rolly, guardami. Da questo momento dipende solo da te» lo metto in guardia, perché non posso fare altro per lui. Solo sperare che riesca a resistere un paio di minuti senza fare danni. «Se fai un solo rumore finiamo entrambi nella soffitta di mio zio Ernest e… fidati, non sopravvivresti allo stufato di zio Ernest. Allora? Credi di potercela fare?» Glielo chiedo seria, mordicchiandomi il labbro. Lui mi ricopre le dita di bava. «Lo prenderò come un sì.»

    Dal momento che non c’è più tempo, mi rialzo, chiudo a chiave e… «Mr Kline!» esclamo, spalancando la porta. «Sa che la trovo benissimo? Apro ed eccola lì, la trovo. Immancabilmente. E dire che speravo di trovarla un po’ meno, anzi, neanche una volta. Almeno fino a venerdì prossimo.»

    Lo sorprendo con la mano già alzata pronta a bussare per l’ennesima volta. Appena si rende conto che sono lì, l’abbassa di colpo e si liscia la cravatta.

    «Sì, uhm…» bofonchia, osservandomi con espressione corrucciata. Come ogni altro condomino di quest’edificio, Chaz ha perso da tempo la speranza di trovare qualcosa di simile a una donna da questo lato della soglia. Difatti, accoglie con indifferenza la mia tenuta da ragazza single e mi spiega il motivo del suo rientro anticipato. «Ho dovuto interrompere il mio viaggio d’affari.»

    «Non ci sarei mai arrivata» cerco di contenere l’ironia, ma non ci riesco.

    «Già. E rientrare d’urgenza.»

    «La prego, non mi risparmi i dettagli. Nutro un profondo interesse per le sue variazioni in agenda» fingo partecipazione, appoggiandomi allo stipite della porta per bloccargli la visuale.

    «Un problema di famiglia. Niente di grave, in realtà» si affretta a chiarire. «Non si preoccupi.»

    «Chissà, magari sforzandomi…» lo rassicuro. «E si tratterrà per molto a Seattle?» indago.

    «Almeno fino a Natale, sì.»

    «Ma questo è fantastico! Due buone notizie così, tutte insieme. Il mio cuore potrebbe non reggere. Sa che facciamo? Salutiamoci» propongo. «E riflettiamo sulle orribili sciagure che hanno portato all’estinzione dell’Helicobacter Pylori per riequilibrare il karma da quest’esubero di positività. Che ne dice?»

    «Di quale delle sue mille assurdità sta parlando, stavolta?» sospira Chaz con evidente sconforto.

    «Natura bio, canale 204» ribatto io. «Corra o perderà lo speciale sulla Pinguicula Gigantae» provo a mandarlo via. «Buonanotte, Mr Kline. La prossima volta che capita a Seattle, non si disturbi a passare. Basterà un messaggio in segreteria, una scia di cavallette all’ingresso, una croce rovesciata sulla pulsantiera dell’ascensore. Scelga lei, io capirò». A quel punto chiudo.

    Chaz riapre. «Aspetti un attimo!»

    «Ehi!» e mi ritrovo di nuovo sulla soglia con gli occhi spalancati. «Ehm… Cos’altro c’è?»

    «Nulla, volevo…» mi risponde lui, finché qualcosa nell’aria finisce per catturare la sua attenzione. «Cos’è questo odore?» arriccia il naso.

    «Che odore?» gli domando, piazzandomi proprio in mezzo al corridoio. Sbarramento forzato.

    «Non lo sente anche lei?» insiste. Deve essere l’antiparassitario. Per paura che Rolly mi riempisse l’appartamento di animaletti, ho buttato disinfettante in ogni angolo della casa.

    «Verrà da fuori» invento una scusa. «C’è stata un’invasione di blatte. Due giorni che spruzzano robaccia.»

    «A dicembre?» mi chiede lui, stupito. «Blatte a dicembre?»

    «L’effetto serra. Lo scongelamento dei ghiacciai. Un vero disastro ambientale, non trova?» tiro fuori banalità mentre aspetto che si metta a gridare. Invece, Chaz è stranamente tranquillo.

    «D’accordo, domani proverò a informarmi.» Immagino non veda l’ora anche lui di tornarsene a casa. Solo, c’è ancora qualcosa che stona. «Ora, magari non c’entra niente, ma… L’ha sentito anche lei, prima?» e mi indica il soffitto.

    «Ho sentito cosa?»

    «Un cane. Crede sia possibile?»

    «Eh?» cado dalle nuvole. «Un cane?»

    «Esatto, un cane. Sa, quando sono arrivato…» farfuglia.

    «Mr Kline, non ho mai avuto un cane» gli ricordo. «Faccio morire anche gli Arbre Magique

    «Non stento a crederlo.»

    «Forse veniva da fuori. Con tutti quei randagi» suggerisco, ignorando l’ultimo commento per non mettermi a litigare, ed è talmente logico che Chaz è costretto a convenire con me.

    «Sì, indubbiamente potrebbe.»

    «O forse la TV» continuo, senza dargli il tempo di riflettere.

    Chaz, un po’ frastornato, si massaggia la fronte. «Scusi. È stata una giornata pesante.»

    «Non si preoccupi. Sarà il fuso orario.»

    «Non c’è fuso orario a…»

    «Poi, alla sua età…»

    «Sì, immagin… Un secondo, cosa c’entra adesso la mia età? Ho trentasei anni» si difende.

    «Non si giustifichi. Neanche si nota» lo rassicuro. «Però dovrebbe iniziare a riguardarsi. Un passo ai quaranta, altri due e spunteranno peli nelle orecchie. Sa che la vedo provato? Farà bene ad andare a riposare. Grazie ancora per essere passato a ricordarmi che non mi libererò mai di lei. Buonanot…».

    «No, ferma. Ho detto ferma!» Si aggancia alla porta e mi impedisce di sbatterla.

    «Mr Kline, vorrei davvero fare conversazione, ma è tardi» gli ricordo con uno sguardo poco sveglio.

    «Farei in un attimo, se solo la smettesse di chiudermi la porta in faccia!» perde le staffe.

    «Sbatterle la porta in faccia? Io? Non so come sia potuto accadere!»

    Quanto sa essere detestabile. Un vero peccato, non è neanche brutto. Così alto, poi.

    Forse il naso non è un granché, ha un accenno di gobba. E poi, quei vestiti… Sempre così formale, mai che gli manchi un bottone. Piega ai pantaloni impeccabile, non c’è che dire, ma io sono più per lo spirito ribelle: chitarristi alcolizzati, ballerini hip hop coi capelli lunghi.

    Però non è male, no.

    «Si rende conto che ha di nuovo dimenticato i suoi panni in lavanderia?» mi riprende Chaz, intanto sfila da una ventiquattrore una decina di buste inframmezzate da post-it e bigliettini anonimi.

    Ecco, appunto, dicevo: non è male, è praticamente impossibile.

    «Per fortuna ho lei a ricordarmelo ogni singola volta» bofonchio.

    «E qui c’è tutta la pubblicità della sua cassetta della posta, che non ho capito perché continui a finire nella mia!»

    «Come fa a dire che è la mia?» protesto.

    «Perché non uso depilatori per gambe più lisce!» ribatte lui, sventolandomi un volantino sotto il naso.

    «Be’…» arretro in difficoltà. «Magari ha sbagliato il postino.»

    «Adesso non dia la colpa a Mr Davis. Ha settantadue anni e l’incomprensibile capacità di tollerarla. Piuttosto, vada a recuperare la sua roba dalla lavatrice. Il signor Kowalski era furioso. Insomma, non ho neanche messo piede nel palazzo che…»

    Mentre discute, senza volere, sbatte una mano sulla porta. Rolly avverte il colpo, e non lo so che combina, ma nello sgabuzzino cade qualcosa. Si sente prima un fruscio, subito dopo un botto e poi lui, il traditore. Gli scappa un gorgoglio dalla gola. Un po’ come quando si infila tra i piedi e, per errore, gli pesto la coda.

    «Cos’è stato?» Chaz non può non accorgersene. Si blocca di colpo.

    Di’ addio alle pareti insonorizzate, Doth.

    «Diceva? La lavatrice? Me ne occuperò domattina. Anzi, sa che faccio? Vado subito!» lo assecondo. Sperando non se ne accorga, lo spingo fuori dal mio corridoio.

    Chaz, però, non ha più voglia di andare via. 

    «No, ascolti!» mi trattiene. «L’ha sentito?»

    «Cosa?» faccio finta di niente.

    «Quel rumore» mi indica la stanza.

    «Quale rumore?»

    Dallo sgabuzzino arriva un crash poco collaborativo.

    Altra roba che cade.

    Pong. Pong. Pong.

    Quella credo fosse una pallina da tennis. Che inizi pure la scalata sugli specchi!

    «Ah! Lei…» Scoppio a ridere. «Lei intende proprio quel rumore?»

    «Certo che intendo quel rumore!» ribatte Mr Kline, nervoso. «Di quale altro rumore dovrei parlare?»

    «Vede… Una cosa davvero buffa» gli appoggio una mano sul braccio, lui lo ritrae istintivamente per evitare qualsiasi forma di contatto. «Sì, be’…» continuo a ridere «Ogni tanto succede.»

    «Ogni tanto succede cosa?»

    «Mr Brown» gli spiego, accennando con uno sguardo al piano di sopra.

    Chaz osserva il soffitto ma dal momento che non succede nulla, torna a guardare me con ostilità. «Che accidenti sta dicendo?»

    «Ssh!» Prima che ci senta tutto il vicinato, mi premo un dito sulla bocca e gli bisbiglio: «Il signor Brown, mister Kline. Sa com’è il signor Brown».

    «Non ho idea di come sia il signor Brown, Miss Dorfman, e non vedo perché dovrebbe interessarmi!» ricomincia a litigare. Che uomo sfibrante!

    «Lui è molto socievole.»

    «Eh?»

    «Santo cielo!» sbuffo. «Ogni tanto succede che… Ecco, quando riceve visite, capita che si sentano strani rumori. Insomma, Mr Kline, so che non è pratico, ma può arrivarci da solo!»

    Offeso, si ritira in un silenzio gelido: «Mi rendo conto». Tuttavia, scoprire che il signor Brown in realtà adesca giovani fanciulle riesce a tranquillizzarlo. Così, pur manifestando un discreto astio verso il genere umano disgraziatamente in transito nella sua vita, abbandona il campo: «Sarà meglio che vada. Non ricordo neanche più perché ero passato».

    «Perché sa quanto soffro per la sua mancanza» gli suggerisco e metto fine alla conversazione con uno sbadiglio. «Torno a dormire, Mr Kline. So che stenta a crederlo, ma ho un lavoro anch’io.»

    «Sì, certo» bofonchia Chaz, rimettendo la posta nella ventiquattrore. Tutto meno una busta gialla, quella la passa a me.

    «Cos’è?» gli domando senza neanche guardare.

    «Il nuovo regolamento. Deve firmarlo e lasciarmene una copia nella cassetta della posta.» Me lo spiega spingendosi gli occhiali sul naso. Unica cosa che abbiamo in comune. Gli occhiali. Solo che i suoi sono rettangolari, metallizzati, essenziali. I miei sono principalmente grossi, storti e inzaccherati di ditate. «Buonanotte, Miss Dorfman» alla fine mi saluta e di risposta, nello sgabuzzino, ciò che ancora si reggeva tra gli scaffali crolla con un tonfo. Pong. Pong. Pong.

    «Che tipetto, il signor Brown!» ridacchio poi, senza aggiungere altro, chiudo a doppia mandata e mi rannicchio all’ingresso con le mani che tremano.

    Stavo per perdere tutto. Questo appartamento è l’unica cosa che ho: se dovessero cacciarmi dove andrei? In un motel? No, non voglio neanche pensarci. E non pensandoci ci metto lo stesso dieci minuti buoni per ricominciare a respirare regolarmente. Lo so che a voi sembra assurdo. È solo un cane. Anch’io all’inizio pensavo: che vuoi che sia se per una volta dimentico un accappatoio giù in lavanderia? Poi li ho conosciuti e ho scoperto che questo non è un condominio, è un ricovero per psicolabili sotto copertura. Sono tutti pazzi qui dentro. Li vedi in ascensore e pensi: oh, che personcine equilibrate! E invece no. Da noi persone normali non ce ne sono mai state. Qui solo esaltati, attaccabrighe, maniaci dell’ordine in cerca di motivi per azzuffarsi. Non importa se paghi quasi regolarmente l’affitto, non ti sopportano a prescindere. Prendiamo per esempio me, okay? Sono una persona gentile, eppure non fanno che cercare un modo per mandarmi via.

    La verità è che non hanno mai mandato giù che mi sia trasferita da loro dopo il matrimonio di Susan. Susan è mia sorella, gestisce un B&B in Canada con suo marito Frank, ma fino a due anni fa, viveva qui. Io, in quel periodo, collezionavo bollette del gas in periferia. Beninteso, avrei mollato quell’orribile loft anche per un garage, ma con i costi degli affitti, anticipare la caparra era impossibile. Avete una vaga idea di quanto guadagni una bibliotecaria? In pratica, zero, gratifiche interessanti a fine anno, tra cui generose note di sostegno psicologico e una rassicurante pacca sulla spalla. No, non esagero. Non ho neanche la copertura sanitaria. Così, quando Susan mi ha chiesto di trasferirmi da lei non riuscivo a crederci. Aveva già parlato con i proprietari: se avessi voluto l’appartamento sarebbe stato mio. Mancavano solo la firma sul contratto e un tappetino nuovo per l’ingresso.

    Che devo dirvi? Sarà che non ho mai provato un particolare affiatamento per le termiti, fatto sta che due ore dopo ero già in salotto abbarbicata al termosifone e minacciavo di orribili sciagure chiunque avesse osato separarci. 

    Il mio definitivo cambio di residenza è avvenuto due giorni dopo. Ho festeggiato con l’accidentale distruzione di un vaso di ceramica all’ingresso. Quing, periodo Jiajing. Ventiduemila dollari. Mi ero anche offerta di sostituirlo con un bonsai preso giù all’angolo… Cosa volete che vi dica? Incidenze astrali, Saturno mi rimbalza spesso contro. È stato quel giorno che ho conosciuto la signora Fleming. Non me l’ha mai perdonata.

    «Okay. Vengo a recuperarti» mormoro, ricordandomi improvvisamente di Rolly.

    Lo trovo arrotolato in una vecchia sciarpa di lana, espressione colpevole. «Dobbiamo proprio trovarti una casa» e anche se con un groppone al cuore, in qualche modo gli dico addio.

    Perché la mia vita è un po’ così, fatta di angoli di solitudine, pause di riflessione a lunga scadenza, sbocchi occasionali negli amori sudamericani sottotitolati. Non perché sia io a volerlo, ma perché certe cose è così che vanno. E non sai perché ti ritrovi d’un tratto sola, ma alla fine ti abitui, ti adegui, ridimensioni l’armadio e segui il regolamento.

    CIRCOLARE DEL 22/09 

    AGGIUNTE AL REGOLAMENTO IN VIGORE

    Si prega di vidimare e riconsegnare entro il termine perentorio di tre giorni.

    Avv. Chaz Kline, amministratore condominiale.

    Non lasciare entrare sconosciuti in assenza di personale in portineria. √

    Non disturbare la quiete con rumori molesti ed elettrodomestici. √

    Non organizzare feste, incontri religiosi, raduni studenteschi senza il previo consenso del consiglio condominiale. √

    Non dimenticare gli abiti in lavanderia e…

    «Non avere una vita dopo le sei». Metto la spunta. «Fatto».

       2° Piano

    imm04

    Bacheca condominiale

    Smarrito nuovamente George, il nano da giardino

    della signora Philips.

    Chiunque l’abbia preso è pregato di

    rimetterlo dov’era.

    Avv. Chaz Kline

    Non mi avrete mai!

    George

    Chiusa la porta di Miss Dorfman, a Chaz non resta che tornare indietro e infilarsi in ascensore osservandosi la punta delle scarpe.

    Un modo come un altro per distrarsi, avere qualcosa da fare per la durata di un piano.

    Quattro… Cinque…

    I numeri sul monitor scorrono rapidamente. I cavi rallentano, si fermano e lo lasciano davanti al 5/A, il suo appartamento.

    Chaz scivola fuori, attraversa il corridoio e si ritrova davanti a un’altra porta, questa volta la sua. L’unica differenza è la targhetta. «Avv. Chaz Kline». Quello che non cambia è il silenzio. Intorno a lui non c’è nessuno, proprio come qualche minuto fa. Neanche Mr Wallace che rientra un po’ più tardi dall’ufficio, o Mr Huggins che corre giù per le scale per un appuntamento a cui arriverà tardi.

    Troppo tardi, riflette Chaz, sono già le nove. Nove passate, in realtà, e il suo è un condominio tutto sommato tranquillo. Per lo più coppie di anziani, vecchi imprenditori in pensione, una o due famiglie arrivate da poco. Alta società. Gente ben vista della città.

    Diciamolo, il 23 di Western Avenue non è di quei palazzi dove si rischia di litigare con il vicino per il volume della TV troppo alto né dove rischi di incontrare un agente di polizia per un festino senza controllo. Solo quiete. Giornali sulla moquette. Portineria all’ingresso e parcheggio a pagamento.

    Insomma, un posto dove aspettare con ansia di rientrare.

    Eppure Chaz stenta a infilare la chiave nella serratura. Trattiene il fiato.

    Sette ore di volo. Sette.

    E dopo una giornata di appuntamenti in agenda intervallati da telefonate urgenti, atti da ricontrollare senza mai una sosta, passati spostandosi da un ufficio all’altro.

    E ora che è a un passo dalla sua camera da letto, tergiversa sulla soglia con una mano sulla maniglia e lo sguardo puntato a terra.

    Perché, poi? Chi lo sa che succede di tanto in tanto tra i pensieri, quando senza alcun motivo inchiodi in mezzo a una strada o davanti a un cancello con le mani strette sul volante di un’utilitaria. Non hai idea di dove stai andando, non ricordi neanche più che strada hai fatto. Così finisce che non puoi nemmeno tornare indietro. Be’, di certo non lo sa Chaz. È sempre lì, chiavi in mano ed espressione stanca, un po’ stravolta. Fisso sul pavimento, ancora una volta sulla punta delle sue scarpe.

    C’è un tappetino nero appoggiato alla moquette in quel riquadro del corridoio, identico a ogni altro tappetino del palazzo. Un ritaglio di stoffa pregiata dalle rifiniture impeccabili. Nessuna scritta di dubbio gusto, tipo «Welcome», «Home, sweet home» o banalità simili. Nessun altro colore se non quel fondo nero di velluto impermeabilizzato. Solo un tappetino nero. Nero e basta.

    Era sembrata a tutti la scelta migliore.

    Perché no? Sono perfetti. Semplici, di qualità. Anonimi.

    Come le sue scarpe di vernice nera. Come il suo vestito grigio o la sua cravatta a righe blu. Semplici. Di qualità.

    Ecco. Chaz stasera si sente proprio come quel tappetino nero: anonimo. Per questo aspetta, perde tempo. Ma quando nel suo appartamento squilla il telefono, tutte quelle assurde considerazioni gli sembrano solo la conseguenza diretta di una settimana infernale. Dunque, costringendosi a tornare in sé, apre la porta. Sì, esatto, finalmente si decide. Entra dentro e, dopo aver buttato distrattamente la sua valigia sul tappeto, corre a rispondere prima che chiunque abbia chiamato riattacchi.

    «Chaz Kline» solleva la cornetta e mormora il suo nome in fretta, fermando il cordless tra la spalla e il viso. Con le mani libere infila le dita nel nodo della cravatta e lo allenta.

    «Sono io. Roland. Sei arrivato?» gli risponde dal ricevitore una voce maschile autoritaria.

    «In questo momento» conferma.

    «È stato un volo tranquillo?»

    «Un po’ di turbolenza, era prevedibile» racconta Chaz. Lascia il salotto e si avvia in camera da letto sfilando le scarpe. Non accende la luce, bastano i riflessi dei lampioni in strada. 

    «È quest’ondata di maltempo» commenta la voce nella cornetta. «Ne avremo per giorni.»

    «Sì, ho visto.» Chaz annuisce e si siede sul bordo del materasso. La stanza è avvolta dalla penombra, ma spiccano le superfici lucide del mobilio. Si avverte un ordine impeccabile dai colori, già dagli odori. Non c’è neanche bisogno di guardarsi in giro. Nulla fuori posto. Nemmeno gli abiti che si è appena tolto. La giacca appoggiata sullo schienale della poltrona. La cravatta ripiegata sul bordo della cassettiera. Gesti meccanici. Non ci fa neanche più caso.

    «Sei pronto per domani?» gli domanda Roland.

    «Ho riletto gli appunti in aereo» gli spiega Chaz, massaggiandosi la fronte. «La situazione mi è sembrata meno grave di quanto pensassimo all’inizio, ti spiego meglio in ufficio.»

    «Ovvio» conviene Roland. «Ho già avvisato Duke. Arriva domani sera con il volo delle sei. A che ora pensi di raggiungerci?»

    «Per le dieci al massimo dovrei essere libero.»

    «Bene.»

    Chaz fa per allontanare la cornetta. Per salutarlo. Non ha granché da dirgli. Poi, però, ci ripensa e gli domanda: «Hai parlato con Kemp?».

    Dall’altro capo del filo cala il silenzio.

    «Papà…»

    «Quel pazzo scriteriato di tuo nonno!» si mette a strillare Roland. «Che diavolo aveva in mente? Le sue azioni a chi di voi due si sposa per primo. A chi verrebbero in mente scempiaggini del genere? Ha deciso di mandare all’aria la compagnia?»

    «Papà…» 

    Chaz chiude gli occhi, mentre suo padre abbandona tutta la fredda compostezza dimostrata fino ad allora per sommergere d’insulti il vecchio.

    «Bella pensata davvero! Duke a capo del consiglio d’amministrazione. Te l’immagini?»

    «Non voglio neanche pensarci» ammette Chaz.

    «Be’, sarà meglio che ti abitui all’idea perché, se quello scioperato senza vergogna di tuo fratello decidesse di ascoltare i vaneggiamenti del suo agente, tempo un paio di settimane e festeggeremo il matrimonio del secolo!»

    «Ma no, vedrai. Basterà coprire i debiti e tornerà tutto nella…»

    «Duecentocinquantamila dollari da Burberry solo questo mese. Ho una fattura per quindicimila dollari in carta da regalo. Carta da regalo, Chaz! Non concepirei una cifra del genere neanche se fosse di oro zecchino e dovesse tumularcisi, ti rendi conto?» Roland è troppo agitato per ascoltarlo, continua a torcersi le mani. «Ed è solo l’inizio. Considerando i gusti di Duke, dove pensi che sceglierà la futura Mrs Kline? Direttamente dalle pagine di Playboy? E la lista di nozze la farà su Baci Bollenti Online

    «Stai ingigantendo» prova a calmarlo Chaz, senza ovviamente riuscirci.

    «Ascoltami bene, Chaz. Non intendo imparentarmi con Miss Alabama, hai capito?»

    «Guarda, sono sicuro che…»

    «Non sto scherzando, Chaz. Fa’ quello che vuoi. Dichiaralo incapace di intendere e di volere. Fallo rinchiudere in una clinica psichiatrica. Quello che accidenti vuoi!» strilla Roland. «Ma fa’ in modo che non si sposi, o ti giuro che…»

    «Okay, tutto chiaro» irrompe Chaz per non dover ascoltare anche il resto.

    «Allora, a domani» lo saluta Roland.

    «A domani» conferma e questa volta attacca, restando immobile sul bordo del letto con lo sguardo perso nel vuoto e la mente altrove. Esattamente un piano più in basso. Proprio sotto il suo appartamento.

    Miss Dorfman aveva detto di no. Non poteva essere.

    In effetti gli era sembrato strano, eppure Chaz lo aveva sentito. Poi quell’odore…

    Cos’è che gli aveva risposto? Un’invasione di blatte. Blatte a dicembre?

    Chissà… Possibile. Ma Chaz era certo di averlo sentito abbaiare un cane. Era certo di…

    «Va’ a dormire!» si ordina da solo. «Stai delirando.» E senza neanche togliersi i pantaloni, si butta di schiena tra le coperte a un passo dal collasso. Finché non si sente un urlo assordante: «It’s fun to stay at the Y-M-C-A!».

    Sfondamento della barriera del suono. Il pavimento inizia a tremare. «Ma cosa…» 

    Chaz apre gli occhi di colpo. Stava per crollare. Distrutto, esausto, con almeno diciotto ore di sonno arretrato. Ma come può dormire? Dal piano di sotto, parte la musica a tutto volume. Che ore saranno?

    Controlla. Le dieci passate. Le dieci!

    «It’s fun to stay at the Y-M-C-A!»

    E domattina Chaz deve svegliarsi alle sei.

    «Gliel’avrò detto quante? quante volte?» Sospira. «La prego, Miss Dorfman» supplica il soffitto, come se lei fosse lì. «Potrebbe essere così gentile da non tenere la TV accesa tutta la notte? Non chiedo tanto, solo un po’ di collaborazione. Può?» 

    «They have everything for you, men, to enjoy, you can hang out with all the boys…»

    «Evidentemente, no» conclude, rassegnato. E allora afferra un cuscino e se lo butta sul viso.

        3° Piano

    imm05

    È severamente vietato parlottare, esultare,

    sospirare, imprecare, scrocchiarsi le dita, litigare ad

    alta voce con George R.R. Martin, frignare per

    la morte di Severus Piton, in definitiva disturbare

    l’altrui lettura con comportamenti non contemplati

    dal regolamento interno della biblioteca.

    Fane Jenkins

    Responsabile archivi storici 

    della Seattle Central Library

    «Secondo te cosa sta facendo?»

    Quanto vorrei saperlo… Se ne sta chino tra vecchi libri di diritto da più di un’ora senza dire una parola.

    Mr Topesto è di quegli uomini vecchio stampo con la brillantina tra i capelli e il gilet. Anche i suoi gesti sono demodé. Con la sua solita flemma, sfoglia una pagina ingiallita e ricontrolla gli ultimi passaggi tenendo il segno con le dita.

    «Non ne ho idea» ammetto.

    «E se fosse morto?»

    «Non può essere morto, prima si è mosso.»

    «E se fosse morto dopo?»

    «Smettila di disturbarlo, Nanette, o non finirà mai» bisbiglio, per lo più d’abitudine. In biblioteca di prima mattina non c’è mai nessuno, tranne i frequentatori abituali. Come Mr Cook, che si nasconde dietro decine di volumi di numismatica. «Ha quasi fatto, non lo vedi?»

    «L’hai detto anche mezz’ora fa!» mi ricorda Nanette e, mentre litiga, finisce del tutto casualmente con lo sguardo tra le mie mani. «Di’, Doth, non avrai di nuovo rubato…»

    «Ti prego» la supplico, stringendo George tra le braccia. «Non vedi che sto soffrendo?»

    «E non potresti soffrire più in fretta?» inizia a urlare, innervosendo Mr Cook.

    Ssh!

    «Evidentemente no» bofonchio. «Sto per scoprire quanti giorni di libertà mi restano prima di finire in un carcere di massima sicurezza. Se non riesci a fingere un minimo di partecipazione, trovati qualcosa da fare e smettila di infastidire!»

    «Che strazio…» Dal momento che non le do retta, si butta sulla poltrona. Da lì, sfila dalla tasca una manciata di spiccioli e inizia a contarli. «Quanto costa il ginseng?»

    Per un caso del tutto fortuito, Mr Topesto si riprende. «Uhm… come sospettavo» ragiona

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