Gli Italiani Del Sudafrica
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Gli italiani Del Sudafrica is a short history of the contribution of Italian immigrants to the development of South Africa. This covers almost every area, from infrastructure to art, culture, wine, commerce, and looks at the Prisoners of War (POWs) and their activities while in captivity and beyond. The book was published in print in 2009 and this edition is based on the print issue but not the same.
Ilse Ferreira
Writer with a career spanning more than 30 years, encompassing journalism, PR writing, and editing. First book published in 2009 (Jacana Fanele Imprint): Italian Footprints in SA in English and Italian (Sulle Orme Degli italiani in Sudafrica).
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Anteprima del libro
Gli Italiani Del Sudafrica - Ilse Ferreira
Gli Italiani Nel Sudafrica
Ilse Ferreira
Published by Ilse Ferreira at Smashwords.
Copyright 2015 Ilse Ferreira
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Smashwords Edition, License Notes
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Table of Contents
Introduzione
Novita italiane in Sudafrica
Donne Italiane
Gli italiani hanno lasciato la loro impronto
Gli Italiani Nel Sudafrica
Introduzione
Il paesaggio sudafricano e il muto testimone delle attività di molta gente sconosciuta. Le colline sinuose del KwaZulu-Natal, le maestose montagne del Capo e le pianure del Free State esprimono in tutta la sua grandezza ciò che il Creatore ha realizzato quando ha usato il suo pennello su questa terra. E ciò che, invece, è stato forgiato dall’uomo in queste terre rimane nel cuore dei sudafricani di oggi, che non dimenticano che la storia di questo Paese è stata scritta da un miscuglio di etnie diverse. Oggi ci ricorda tutti coloro che hanno costruito la nostra terra. Tra questi, i molti italiani che hanno fatto la loro parte. Per gli italiani in Sudafrica la via da percorrere non è mai stata priva di ostacoli, ma essi sono riusciti a spianarla. Non è mai stata facile, però gli italiani non si sono mai dati per vinti. Tra gli alti e bassi della storia, sono arrivati, sono rimasti ed hanno lasciato il loro segno.
Nei secoli, la punta meridionale del continente africano ha attratto schiere di marinai che si sono avventurati alla sua scoperta. Un fatto poco noto è che proprio gli italiani hanno avuto una parte significativa in questa grande avventura. Si ritiene, ad esempio, che la bussola sia stata sviluppata dagli italiani, così come italiane erano le prime mappe veneziane e genovesi di territori prima di allora sconosciuti. Strumenti formidabili nelle mani di comandanti assetati di conoscenza e avventura, che portavano con loro uomini pronti a sfidare il mare per ragioni diverse, come i missionari della fede. Molti italiani che parteciparono a questi
viaggi non passarono alla storia come italiani, dato che i loro cognomi furono cambiati affinché suonassero simili a quelli dei capitani portoghesi. Come Palestrelli, che fu trasformato in Perestrelo.
La famosa mappa di Frate Mauro del 1495 indicava chiaramente la punta meridionale del continente, anche se in una posizione sbagliata. I luoghi più remoti del continente africano non erano sconosciuti agli europei, perfino nel Medioevo. I testi storici, a partire dal 1414, già citavano delle attendibili descrizioni dello springbok.
Tutte queste conoscenze hanno aiutato Bartolomeo Diaz a scoprire
il Capo nel 1488.
Fu, probabilmente, Giovanni da Empoli il primo italiano a mettere piede sul suolo sudafricano, essendo sbarcato a Mossel Bay nel 1503.
L’Europa, durante e dopo il Medioevo, non era una pacifica società rurale in cui tutti vivevano in armonia, come siamo inclini a credere. Già nel XII secolo la Chiesa Cattolica, che esercitava una forte influenza sulla maggior parte degli stati europei, doveva fare i conti con l’ascesa del Protestantesimo, guidato da Peter Waldo, predecessore di Martin Lutero e Giovanni Calvino.
All’inizio del XVII secolo c’erano migliaia di suoi seguaci, conosciuti come valdesi, sparsi in tutta Europa con una grossa concentrazione nelle Alpi Cozie, in Piemonte, dove avevano trovato rifugio nel XII secolo.
Nel 1685, durante la Pasqua Piemontese
, le loro chiese furono distrutte per editto del Re, ed i Protestanti perseguitati a causa del loro credo. Alcuni di questi valdesi sbarcarono in Sudafrica nel 1688. Furono seguiti da un altro gruppo, che arrivò nello stesso anno con la T’Wapen Alkmaar, e da altri confratelli, fino al 1700.
La maggior parte di loro si stabilì nelle zone di Paarl, Wellington e Franschoek. Si trattava di uomini e donne perseguitati in patria, fuggiti ed approdati su queste coste, stranieri tra stranieri. Il loro retaggio non è stato riconosciuto in alcun resoconto storico che parlano della stirpe da cui è nata la nazione boera.
È impossibile sapere quante madri italiane hanno cullato i loro neonati per farli addormentare sotto le stelle dell’Africa meridionale. Molte di loro, essendo state assimilate ai gruppi più numerosi dei loro compagni di viaggio, non saranno mai riconosciute. Tuttavia, la loro eredità continua a vivere nella nazione boera – alcuni nomi cominciano ad essere citati nei libri di storia, come l’ex premier DF Malan che ha tra i suoi antenati dei valdesi. Alcune famiglie afrikaner, ad esempio i Malan, i Du Pisanie, i Lombard, i Du Rand, gli Scribante e gli Albertyn, probabilmente a loro insaputa, provengono dalle montagne italiane ed i loro antenati scapparono a causa del loro credo non conforme al Cattolicesimo.
I primi gruppi di coloni, essendo Protestanti, si integrarono con relativa facilità con gli altri colonizzatori.
Alcuni dei primi coloni italiani erano impiegati della Compagnia Olandese delle Indie Orientali che fondò il primo insediamento al Capo di Buona Speranza. Altri fecero parte dei primi gruppi di coloni olandesi. Tra loro c’erano sicuramente alcuni valdesi italiani, presenti anche all’interno di gruppi successivi, come quello degli Ugonotti francesi. Purtroppo, dopo essere stati privati due volte della loro nazionalità, nei resoconti storici iniziali del Sudafrica questi italiani furono tristemente accantonati.
Non tutti gli italiani sbarcati in Sudafrica si integrarono facilmente nella società boera. Ciò divenne chiaro nell’Ottocento durante il Great Trek quando, agli italiani che parteciparono a quel viaggio dall’incerta fine, fu concesso di seguire ma non di unirsi ai gruppi di pionieri. Questo strano accordo, in realtà, portò alla salvezza di molte vite umane grazie all’atto di coraggio di una giovane donna italiana, Teresa Viglione, nel febbraio del 1838.
Essendo accampata fuori dal cerchio dei carri con i quali stavano viaggiando, ella notò il reggimento di Dingane che si stava avvicinando. Teresa saltò sul suo cavallo ed al galoppo raggiunse, nella notte, i gruppi che seguivano quello di Piet Retief. Raggiunse molti accampamenti, avvisandoli del pericolo e salvando la vita ai loro occupanti. Uno di questi gruppi era quello di Gerrit Maritz, che ha dato il suo nome a Pietermaritzburg (insieme a Piet Retief). Ma il retaggio di Teresa non si ferma alle vite che salvò quella notte. Dopo le sanguinose battaglie che si susseguirono, si prese cura nella sua tenda di molti bambini boeri feriti. Il suo coraggio ed il suo sacrificio sono raffigurati nel monumento ai Voortrekker a Pretoria, un simbolo dello spirito della nazione boera.
Le fondamenta del monumento furono posate da mani italiane.
Verso la metà del 1800 fu istituito, a Città del Capo, il primo Consolato Piemontese che, dal 1861, divenne il Consolato del Regno d’Italia.
Molti altri italiani, singolarmente o in gruppo, sono arrivati in Sudafrica ed hanno cambiato non solo l’aspetto del paesaggio ma anche il suo futuro. Uno di questi era Giovanni (Joe) Albasini.
Nel 1832 arrivò in Sudafrica con suo padre dal Mozambico. Di padre italiano e di madre spagnola, Giovanni nacque a bordo di una nave nella baia di Oporto ed ebbe, di conseguenza, la nazionalità portoghese.
Ricevette la sua istruzione scolastica a Lisbona, specializzandosi in legge, prima di partire alla volta dell’Africa meridionale. La sua presenza nella regione del Lowveld (quella che oggi è la parte orientale della provincia del Mpumalanga e la parte meridionale del Mozambico) ebbe un impatto storico determinante. Era un capo nato, una persona che sapeva sopravvivere nella boscaglia ed un grande uomo.
La sua