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Nelle mani del milionario: Harmony Destiny
Nelle mani del milionario: Harmony Destiny
Nelle mani del milionario: Harmony Destiny
E-book195 pagine5 ore

Nelle mani del milionario: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Passione a Whiskey Bay 3

Diario di un segreto.
Caro diario, per la prima volta da quando la mia vita è stata stravolta da quella sconvolgente notizia, oggi mi sento pervasa di speranza: so chi è la persona che può aiutarci! Anzi, che rappresenta la nostra unica salvezza. Tj Bauer. Non lo vedo dalla notte del ballo di fine anno, eravamo due liceali allora, io non avevo niente a che vedere con la donna che sono ora e chissà se anche lui è cambiato... chissà che vita ha avuto in questi 9 anni... Non sarà facile trovarmi di nuovo accanto a lui, guardarlo negli occhi e rischiare di sentire ancora il cuore battere all'impazzata e il corpo sciogliersi nel desiderio del piacere. Non sarà facile, ma non ho scelta...
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2019
ISBN9788858992869
Nelle mani del milionario: Harmony Destiny
Autore

Barbara Dunlop

Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Nelle mani del milionario - Barbara Dunlop

    successivo.

    1

    Mentre gli sposi si recavano sulla pista dello sfarzoso Beacon Hill Crystal Club, TJ Bauer cercò di non farsi travolgere dai ricordi del suo matrimonio. Lauren era scomparsa due anni prima. C'erano giorni in cui era sicuro di aver accettato la sua morte e altri, come quello, in cui il dolore era così intenso che avvertiva delle fitte pungenti al cuore e si sentiva più solo che mai.

    «Tutto bene?» Caleb Watford si avvicinò, porgendogli un bicchiere di whisky di malto con un cubetto di ghiaccio, come piaceva a lui.

    «Sì.»

    «Bugiardo.»

    Non aveva voglia di parlare del suo stato d'animo, perciò indicò gli sposi con il capo.

    «Matt è un uomo fortunato.»

    Caleb l'osservò, indeciso se insistere o meno, poi disse: «Sono d'accordo».

    «Siamo rimasti con il fiato sospeso fino all'ultimo, eh? Ero convinto che Tasha l'avrebbe rifiutato.» Allontanò il ricordo di Lauren e ripensò alla proposta di Matt. Tasha era in partenza e lui aveva dovuto agire in fretta. Non aveva nemmeno avuto il tempo di comprare l'anello.

    «Si è concluso tutto per il meglio.»

    Sorrise. Era felice per l'amico. Tasha era bella, intelligente e con i piedi per terra. Era proprio la donna di cui Matt aveva bisogno.

    Caleb gli diede una pacca sulla spalla.

    «Il prossimo sarai tu.»

    «Non credo.» La tristezza gli strinse di nuovo il cuore.

    «Non chiuderti a riccio. Non si sa mai nella vita.»

    «Tu te la sentiresti di rimpiazzare Jules?» Caleb rimase in silenzio. «Proprio come pensavo» mormorò.

    «È facile rispondere neanche per sogno quando è qui davanti a me» ribatté l'amico.

    Fissarono entrambi Jules. Aveva partorito due gemelle tre mesi prima e aveva un aspetto fantastico. Noah, suo cognato, le bisbigliò qualcosa e lei scoppiò a ridere.

    «Voltare pagina è complicato.» Trovava difficile esprimere le proprie emozioni. I sentimenti lo scombussolavano. «Ci sto provando. Ma tutto mi riporta a Lauren.»

    «Capisco il tuo punto di vista. Almeno credo. Non ho idea di come ci si senta in una situazione simile.»

    «Se solo potessi premere un interruttore e...» Sapeva che Lauren non sarebbe ritornata. Inoltre avrebbe voluto che lui andasse avanti con la sua vita. D'altra parte, Lauren era il suo grande amore. Nessuno la poteva sostituire.

    «Devi concederti un po' di tempo.»

    «Non ho altra scelta» replicò in tono ironico. Il tempo non si sarebbe fermato per lui, questo era certo.

    La canzone terminò e Matt e Tasha si voltarono verso gli invitati. La gonna di tulle della sposa sfiorava il pavimento.g Tasha, il meccanico maschiaccio, con un vestito da sposa. Chi l'avrebbe mai detto? Quando indossava abiti eleganti invece della tuta da lavoro, era semplicemente meravigliosa.

    «Vieni, balla con la sposa» ridacchiò Tasha, prendendolo a braccetto.

    «Lo considero un onore.» Era il testimone, non poteva rifiutare l'invito. Posò il bicchiere sul tavolo, deciso a scacciare la malinconia.

    Avanzarono sulla pista. «È tutto a posto?» chiese lei. Le altre coppie li imitarono.

    «Sì, certo.»

    «Ho notato la tua espressione mentre parlavi con Caleb.»

    «Dove hai imparato a ballare così bene?» Apprezzava l'interessamento, ma quello era il suo giorno speciale.

    Non doveva preoccuparsi per lui.

    «Che succede, TJ?»

    «Niente. Be', sono geloso di Matt.»

    «Stai mentendo.»

    «Guardati. Tutti i ragazzi sono gelosi di Matt, credimi.» Lei scosse la testa e rise. «Fatta eccezione per Caleb» aggiunse. «E gli uomini sposati. Non tutti, a dire il vero.»

    Tasha aveva l'aria divertita. «Un complimento piuttosto elaborato, non trovi?»

    «Ho esagerato?»

    «Direi proprio di sì.»

    «Intendevo semplicemente dire che sei radiosa.»

    «Non mi vedrai così ancora per molto.» Scoppiò a ridere, poi continuò: «Riesco a malapena a respirare per via del corpetto e questi tacchi sono tremendi. Se ci sarà un'emergenza, qualcuno mi dovrà prendere in braccio perché io non riesco a correre».

    «Matt sarà felice di trasportarti ovunque vorrai.»

    Tasha rivolse uno sguardo adorante al marito. Era invidioso dell'affetto genuino che provavano l'uno per l'altra.

    «Tua madre sembra contenta. Ha ottenuto il matrimonio sfarzoso che desiderava.»

    «Mi sono comportata da brava figlia e ho ceduto. Ho già avvisato Matt, però. Questa potrebbe essere l'ultima volta che mi vede con un vestito.»

    «Chiuderai in bellezza, allora.»

    In quel momento il cellulare vibrò e Tasha lo sentì. «Puoi rispondere, se vuoi.»

    «Non aspetto chiamate urgenti.»

    «E se fosse uno degli investitori?»

    «È sabato sera.»

    «In Australia è domenica mattina.» Tasha sapeva che la sua azienda aveva moltissimi clienti internazionali.

    «Anche lì non si lavora di domenica.» Non gli andava di interrompere il ballo per discutere di lavoro. Il telefono smise di vibrare. «Vedi? Si sono arresi.»

    «Per forza. Non hai risposto.»

    Il cellulare riprese a vibrare. Tasha si fermò. «Avanti, devi rispondere.»

    «Assolutamente no.»

    «Almeno guarda chi sta chiamando.»

    «Oggi nessuno è più importante di te e Matt.»

    «Potrebbe trattarsi di un'emergenza.»

    «D'accordo» si arrese. Non voleva discutere con la sposa. Estrasse il cellulare dalla tasca mentre ricominciavano a danzare e Tasha sorrise soddisfatta.

    Rimase stupito quando scoprì che la chiamata proveniva dall'ospedale St. Bea's di Seattle. La sua azienda elargiva spesso donazioni all'ospedale di Whiskey Bay, tuttavia non avevano rapporti con quello di Seattle. Forse lo stavano contattando per cercare di ottenere un assegno.

    «Chi è?» domandò Tasha.

    Si fermò di nuovo. «L'ospedale St. Bea's di Seattle.»

    Lei lo guardò preoccupata. «Qualcuno potrebbe aver avuto un incidente.»

    «Perché proprio il St. Bea's

    Conosceva alcune persone a Seattle, ma la maggior parte dei suoi amici abitava a Whiskey Bay o a Olympia, capitale dello Stato di Washington. Era la metropoli più vicina a Whiskey Bay. Era sicuro che nessuno a Olympia lo avesse indicato come persona da contattare in caso di emergenza.

    Il cellulare smise di vibrare per la seconda volta.

    «Devi richiamarli» insistette Tasha, conducendolo lontano dalla pista.

    «Tasha!» protestò.

    «Assecondami. O andrò nel panico.»

    «Se serve per farti stare meglio...» borbottò.

    «Sì, è proprio ciò che mi serve.»

    Si allontanò per concedergli un po' di privacy. Lui si spostò nell'ingresso, dove c'era meno confusione.

    «Ospedale St. Bea's, reparto di Oncologia» gli rispose una voce femminile.

    Oncologia? «Sono Travis Bauer. Ho ricevuto una telefonata da questo numero.»

    «Signor Bauer, le passo subito la dottoressa Stannis.»

    «Che sta suc...» Udì silenzio, poi un clic. Non sapeva se sentirsi preoccupato o incuriosito.

    «Signor Bauer?»

    «Sì?»

    «Sono la dottoressa Shelley Stannis. Lavoro al reparto di Oncologia e Trapianti.»

    Una lampadina gli si accese nel cervello. «Per caso voleva parlarmi della donazione del midollo osseo?»

    «Sì, esatto. Grazie per avermi richiamata così in fretta. Ho ottenuto il suo numero grazie al registro dei donatori. Abbiamo un giovane paziente affetto da leucemia e lei sembra essere un donatore compatibile. Se è libero, fisserei subito un appuntamento per effettuare esami più approfonditi.»

    «Quanti anni ha?»

    «Nove.»

    Non esitò un secondo. «Quando posso venire?»

    «Mi conferma che desidera donare il midollo osseo? Non ha dubbi?»

    «Affatto!»

    «Ha qualche domanda da pormi?»

    «Non al momento. Senta, io non sono qui, ma posso raggiungere Seattle in men che non si dica.»

    «Se per lei va bene, inizierei con gli esami domani stesso. Come può immaginare, la madre è in preda all'ansia. Spera con tutto il cuore che lei sia effettivamente compatibile.»

    «Benissimo, ci sarò. E dammi pure del tu.»

    «Grazie mille, TJ.»

    «Di niente. A domani.» Riattaccò.

    Matt lo raggiunse nell'ingresso. «Tutto bene?»

    «Sì. O almeno spero. Forse potrò donare il mio midollo a un bambino di nove anni a Seattle.» Matt continuò a fissarlo. «Mi dispiace abbandonarvi di punto in bianco» aggiunse.

    «Vai!» lo incitò l'amico. «Non preoccuparti per noi, vai a salvare la vita di quel ragazzino!»

    Una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo. Chiamò un'azienda specializzata in noleggio di jet privati a cui si era già rivolto in passato.

    Non voleva sprecare tempo con un volo di linea. Il bambino e sua madre lo stavano aspettando. E lui poteva tranquillamente permettersi di noleggiare un jet. Essere ricchi aveva i suoi vantaggi.

    Sage Costas percorse il lungo corridoio dell'ospedale. Le scarpe ticchettavano sul pavimento lucido. Aveva lo stomaco sottosopra. Nove giorni prima era iniziato l'incubo. Avevano sottoposto suo figlio Eli a un mucchio di esami e infine gli era stata diagnosticata una forma aggressiva di leucemia. Più si avvicinava alla saletta riservata alle famiglie dei pazienti, più il cuore le batteva forte. Quanto stress poteva sopportare una persona prima di crollare?

    Aveva passato la notte in bianco e aveva dormito appena qualche ora in tutta la settimana. Si era concessa una doccia e si era imposta di truccarsi un po'. Non sapeva perché. In fondo, il trucco non poteva aiutarla. Tuttavia voleva fare una buona impressione. Temeva che il donatore si sarebbe tirato indietro.

    Attraverso le finestre opache della saletta intravide un uomo parlare con la dottoressa Stannis. Era alto e aveva i capelli scuri. Notò che indossava un completo elegante. Era il donatore?

    Rallentò e si fermò davanti alla porta. Aveva pregato tanto affinché questo momento arrivasse. La posta in gioco era altissima. Non sapeva se avrebbe retto nel caso in cui fosse andato tutto a rotoli.

    Si costrinse a entrare.

    «Ciao, Sage» la salutò la dottoressa.

    L'uomo si voltò. «Sage?» Il respiro le si fermò in gola. «Sei proprio tu?» le domandò, sbalordito.

    Non udì più alcun suono. La vista le si oscurò.

    «Sage?» La dottoressa l'afferrò per il braccio.

    Mille pensieri le vorticavano in testa. La stanza girò un'ultima volta, poi riacquistò un briciolo di controllo.

    Lui era ancora lì.

    «Sto bene.»

    «Conosci TJ?» chiese la dottoressa, incuriosita.

    «Andavamo al liceo insieme» mormorò.

    TJ era il donatore? Pazzesco!

    Lui la fissò preoccupato. «Tuo figlio è malato, allora? Mi dispiace moltissimo.» Lo vide aggrottare la fronte e intuì a cosa stava pensando.

    TJ si voltò verso la dottoressa. «Il bambino ha nove anni, giusto?»

    «Sì.»

    TJ riportò l'attenzione su di lei. «E guarda caso, io sono la persona più adatta a donargli il midollo osseo?» Non fu in grado di rispondere. Lui la fulminò con lo sguardo. «È mio figlio?»

    In quell'istante il mondo sembrò fermarsi. Nessuno muoveva un muscolo.

    Poté solo annuire.

    La dottoressa aveva ancora la mano appoggiata sul suo braccio. Glielo strinse, dicendo: «Forse dovremmo sederci».

    «Ho... ho un figlio? Sei... rimasta incinta?» mormorò TJ. Sage aprì la bocca, tuttavia non riuscì a parlare. TJ non aveva lo stesso problema. «E non me l'hai detto?»

    «Penso che sarebbe meglio se...» intervenne la dottoressa Stannis.

    Il rancore ebbe il sopravvento sulla paura. «Non meritavi di saperlo!» gridò.

    «Sage» la rimproverò la dottoressa.

    Capì subito di aver commesso un errore. La vita di Eli dipendeva da TJ. L'uomo che, quando era adolescente, l'aveva ingannata e si era approfittato di lei. Tutto per via di uno scherzo organizzato per divertire gli amici.

    Lo odiava. D'altra parte, era l'unico che poteva salvare suo figlio.

    «Scusa» disse, cercando di apparire sincera. A giudicare dall'espressione di TJ, aveva fallito. «Non sfogare la tua rabbia su Eli, per favore.»

    TJ era esterrefatto. «Pensi davvero che metterei in pericolo un bambino, mio figlio...Temi che non voglia più donare? Che razza di uomo pensi che sia?»

    In passato era stato un adolescente egocentrico e senza scrupoli. Non sapeva se fosse cambiato.

    «Non ne ho idea.»

    «Lo vedrai.» Si rivolse alla dottoressa. «Fra quanto sapremo se potrò donare?»

    «Tra un paio di giorni. Sono ottimista, soprattutto ora che abbiamo scoperto che c'è un legame genetico.»

    «Un bel colpo di fortuna» commentò lui in tono piatto.

    Sage si chiese quali emozioni si celassero dietro quelle parole.

    La dottoressa la fissò negli occhi. «Sei sicura di star bene?»

    «Sì.» Per ora.

    TJ avrebbe aiutato Eli. Questa era la cosa più importante. Al resto avrebbe pensato più avanti.

    La dottoressa si avviò verso la porta. «Vi lascio da soli.»

    Osservò di nuovo con attenzione Sage, poi uscì dalla saletta.

    Lei non sapeva cosa dire. I secondi trascorsero lenti, nel silenzio più assoluto.

    Fu TJ a spezzarlo. «Non ti chiederò perché hai fatto una cosa tanto orribile.» Comprese che era furioso.

    «Io ho fatto una cosa orribile? Sai benissimo cos'è successo al liceo.»

    «Si è trattato di una bravata, ero un ragazzino idiota. Siamo adulti adesso. E tu mi hai tenuto nascosto mio figlio per quasi dieci anni.»

    «Eri un bastardo superficiale ed egocentrico!»

    Lui serrò la mascella. «Non mi va di litigare. Possiamo discutere in un secondo momento. Ora desidero soltanto conoscere mio figlio.»

    Strinse il bracciolo della poltroncina. «No.»

    «Che significa no? Non credo

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