Strategie di letto: Harmony Destiny
Di Cat Schield
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Info su questo ebook
Cinque anni fa hanno lasciato in sospeso una relazione infuocata, che ha perseguitato i sogni e i ricordi di entrambi.
Che sia giunto il momento di mettere la parola fine?
Per il milionario Maxwell Case rivedere nel suo ufficio Rachel Lansing è come un fulmine a ciel sereno. Deve agire in fretta per convincere quella donna misteriosa e conturbante a entrare ancora una volta nel suo letto. Assumerla come segretaria si rivela la soluzione perfetta: costretta a passare con lui la maggior parte della giornata, non sarà difficile persuaderla a prolungare il suo orario di lavoro fino a notte inoltrata.
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Anteprima del libro
Strategie di letto - Cat Schield
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Unfinished Business
Harlequin Desire
© 2012 Catherine Schield
Traduzione di Serena Palmucci
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-425-3
1
«Tu.» Quella parola suonò come un’accusa ostile.
«Ciao, Max.»
Rachel Lansing si era preparata tutto il giorno in vista di quell’incontro e, adesso che era venuto il momento, sembrava peggio di quanto avesse mai immaginato. Il suo cuore si bloccò non appena gli occhi color grigio piombo di Max si posarono su di lei, con la delicatezza di una mazzata.
Si conficcò le unghie nel palmo della mano, mentre le ampie spalle di Max si avvicinavano, bloccandole la visuale dell’ingresso dalle pareti blu e verde oliva, arredato con gusto e ornato di bellissimi quadri autentici.
Era una sua impressione o Max, con quel completo grigio, sembrava più imponente e autoritario rispetto all’amante fantasioso che invadeva i suoi ricordi?
Solo la natura formale dell’incontro le permise di contrastare l’impulso di fuggire. Si alzò dal comodo divano della sala d’attesa, cercando di nascondere il nervosismo. Mantenere un’aria rilassata e un’espressione professionale richiese uno sforzo notevole, con le pulsazioni accelerate e le ginocchia tremolanti.
Un po’ di contegno. Non gli farà di certo piacere vederti sciogliere come un ghiacciolo ai suoi piedi.
«Grazie per aver accettato di incontrarmi.» Rachel gli porse la mano, ma non fu dispiaciuta quando Max la ignorò. Il suo palmo sudato gli avrebbe rivelato quanto fosse nervosa in quel momento.
Visto che lui non si decideva a parlare, Rachel decise di interrompere quel silenzio di tomba. «Sono felice che Andrea abbia partorito. E con due settimane di anticipo. Sabrina mi ha detto che ha avuto un maschietto. Ho portato questo per lei.» Alzò la mano sinistra per mostrargli il sacchetto rosa e blu che le penzolava dalle dita. Aveva comprato quel regalo per la sua assistente settimane prima ed era dispiaciuta di non poter vedere l’espressione di Andrea nel momento in cui l’avrebbe aperto.
«Che cosa ci fai qui?»
«Mi sarei dovuta incontrare con Andrea.»
«Lavori per l’agenzia di collocamento?»
Rachel estrasse un biglietto da visita e glielo porse. «È di mia proprietà.» Non fece alcun tentativo di nascondere l’orgoglio che provava per ciò che aveva ottenuto.
Max passò il pollice sulla scritta prima di leggerla. «Rachel... Lansing?»
«Il mio cognome da nubile.» Non sapeva perché si sentisse in dovere di condividere quell’informazione con lui. Di sicuro non avrebbe cambiato i sentimenti che provava per lei, giusto?
«Sei divorziata?»
Annuì. «Da quattro anni.»
«E ora gestisci un’agenzia di collocamento qui a Houston?» Aveva fatto molta strada da quando era una ragazza che riusciva a malapena a mantenere se stessa e la sorella con le mance che guadagnava lavorando come cameriera in un ristorante sulla spiaggia a Gulf Shores, Alabama. Anche se era ben lontana dal sentirsi economicamente sicura.
«Mi piace avere un’azienda tutta mia» disse, allontanando la preoccupazione che la tormentava giorno e notte. «È piccola ma sta crescendo in fretta.»
E lo avrebbe fatto ancora più velocemente non appena si fossero trasferiti in uffici più spaziosi e avessero assunto più personale. Aveva già trovato il posto perfetto. Un ottimo appartamento che sarebbe rimasto sul mercato ancora per pochi giorni. Aveva firmato il contratto il giorno prima, puntando sul fatto che la commissione che avrebbe ottenuto collocando un’assistente temporanea presso la Case Consolidated Holdings le avrebbe fatto avere l’ultima parte della cifra che le serviva per traslocare. Forse allora avrebbe potuto smettere di vivere alla giornata e cominciare a fare piani per il futuro. Però, ora che si era imbattuta in Max, il successo sembrava a rischio. Forse avrebbe fatto meglio a disdire il contratto di affitto.
Se solo Devon fosse andato lì al suo posto. Era un eccellente responsabile della selezione del personale. Sfortunatamente, sua madre era stata ricoverata in ospedale il giorno prima per forti dolori addominali ed era stata operata d’urgenza di colecistectomia. Rachel aveva detto a Devon di stare con la madre per tutto il tempo necessario. Per lei la famiglia veniva sempre al primo posto.
«Quante assistenti hai fatto assumere qui?» Max non distolse il suo sguardo dal viso di Rachel mentre infilava il biglietto da visita nel taschino. La sensazione di quella fredda cordialità stava cominciando a minare l’autocontrollo di Rachel.
«Cinque.» Mise la mano in tasca per evitare di sistemarsi il colletto, il bavero o i bottoni rivelando la propria agitazione. «Missy è stata la prima. L’assistente di Sebastian.»
«È stata opera tua?»
Rachel batté le palpebre nell’avvertire la velata provocazione che si nascondeva nella sua voce. Max aveva forse qualcosa contro Missy? Aveva lavorato per la Case Consolidated Holdings per quattro anni e aveva fatto un lavoro eccellente. Anzi, era stata proprio quella prima assunzione a dare slancio all’agenzia.
«Ho saputo che di recente è stata promossa a direttore dell’ufficio comunicazioni.» E aveva sposato Sebastian, il fratello di Max. Di certo anche questo era la prova che Rachel sapeva fare bene il suo lavoro.
«Quindi questo vuol dire che sei a Houston da quattro anni?» La domanda uscì dalla bocca di Max come un ringhio minaccioso.
L’agitazione si fece più intensa. «Più o meno.»
«Perché proprio qui?»
Dopo che l’aveva lasciato, in quella cittadina costiera dell’Alabama, Max non aveva più voluto rivederla. Si stava forse domandando se fosse stato il caso a farla arrivare alla Case Consolidated Holdings? Oppure credeva che lo stesse perseguitando?
«Mi sono trasferita qui per via di mia sorella. Lei si è iscritta all’università di Houston. Visto che i suoi amici sono tutti qui, dopo la laurea è stata una scelta ovvia quella di trasferirci entrambe.»
Quest’affermazione implicava che Rachel non avesse amici dove abitava prima. Gli occhi di Max si accesero di curiosità. La loro intensità aveva un effetto destabilizzante sui suoi nervi. Erano passati cinque anni dall’ultima volta in cui l’aveva visto e la sua reazione fisica vicino a lui non si era affievolita nemmeno un po’.
«Ho tre clienti in questo edificio» gli disse con tono fermo, cercando di riguadagnare sicurezza. Aveva a che fare con dirigenti aziendali da più di dieci anni e sapeva esattamente come gestirli. «Il fatto che sia riuscita a collocare cinque assistenti e non ci siamo mai incontrati dovrebbe farti capire che il mio interesse per la tua azienda è puramente professionale.»
Lui la scrutò come un poliziotto in cerca di una confessione. «Parliamo.»
«Non è forse quello che stiamo facendo?» Si morse le labbra nell’istante in cui quel commento sarcastico le uscì dalla bocca.
Un tempo a Max piaceva quel suo scherzare in modo sfrontato. Dubitava che ora la pensasse allo stesso modo. Cinque anni erano tanti per rimanere arrabbiati con qualcuno ma se c’era una persona in grado di farlo, quella era Max Case.
«Nel mio ufficio.»
Voltandosi, si incamminò lungo il corridoio che portava agli uffici della Case Consolidated Holdings. Non si voltò a guardare se lei lo stesse seguendo. Si aspettava obbedienza. Era sempre stato un tipo autoritario. Le diceva dove mettere le mani, come muovere i fianchi, quali parti del suo corpo andavano considerate maggiormente.
Rachel arrossì. Venne invasa da un desiderio che sembrava assopito. Non riusciva a muoversi. Che cosa stava facendo? Aveva sepolto i ricordi di quei quattro giorni passati con Max insieme a tutti i suoi sogni e le speranze da ragazzina. La sua decisione di stare alla larga dagli uomini e dal sesso era ancora valida. Abbandonarsi a pensieri sensuali su Max rappresentava l’apice dell’idiozia, specie se voleva mantenere una relazione strettamente professionale.
Max sparì dietro un angolo. Era l’occasione giusta per fuggire. Avrebbe potuto inventarsi una scusa e mandare Devon il giorno dopo per il colloquio.
No. Rachel drizzò le spalle. Poteva farcela. Doveva farcela. Ne andava del suo futuro.
Cinque anni prima aveva imparato sulla sua stessa pelle cosa volesse dire scappare dai propri problemi. Adesso affrontava ogni difficoltà a testa alta.
L’Agenzia di Collocamento Lansing aveva bisogno di quella provvigione sul collocamento. Avrebbe fatto un lavoro eccellente per Max, riscosso il compenso dovuto e poi si sarebbe premiata con una bottiglia di champagne e un bel bagno caldo il giorno in cui si sarebbe trasferita nel nuovo ufficio.
Rachel si sforzò di mettere un piede davanti all’altro. Ogni passo le faceva riacquistare fiducia. Per quattro anni si era fatta strada con le unghie e con i denti per arrivare dov’era. Convincere Max che l’Agenzia di Collocamento Lansing era quella che faceva al caso suo rappresentava solo un altro piccolo ostacolo da superare. Arrivata di fronte all’ufficio che portava il suo nome, Rachel alzò il mento con determinazione.
«Accomodati» la invitò Max non appena la vide varcare la soglia.
Rachel si guardò intorno per osservare l’ambiente, cercando di capire che tipo di uomo d’affari fosse Max. Durante quei quattro giorni trascorsi insieme le aveva parlato della sua famiglia e della passione per le auto veloci, ma si era rifiutato di parlare di lavoro. A dire il vero, Rachel non aveva la benché minima idea che lui appartenesse alla Case Consolidated Holdings fino a quando non aveva incontrato Sebastian quattro anni prima, notandone l’evidente somiglianza.
I muri erano tappezzati con foto di Max vicino a diverse auto da corsa, con il casco appoggiato sotto il braccio e un sorriso spavaldo. Il cuore di Rachel ebbe un sussulto nel notare quanto fosse stupendo avvolto nella tuta da corsa grigia e blu, con i fianchi magri e le spalle larghe che ne mettevano in risalto la figura elegante. Su una mensola erano riposti alcuni trofei e libri sulle auto sportive.
«Ti sei tagliata i capelli.» Max chiuse la porta, bloccandole l’unica via di fuga.
Rachel cercò di interpretare la sua espressione, ma Max aveva soffocato ogni tipo di emozione dietro una maschera d’indifferenza. I suoi occhi grigi sembravano le mura di pietra di una fortezza inespugnabile. Eppure il suo commento personale sembrava rivelare un pizzico d’interesse.
«Non mi sono mai piaciuti i capelli lunghi.» Era suo marito che li preferiva così.
Le labbra di Max sembrarono addolcirsi, assumendo quasi la forma di un sorriso. Si era forse accorto dei suoi tentativi di passare inosservata? Aveva deciso di indossare un tailleur pantalone grigio e senza forme, un orologio semplice, un paio di scarpe basse e un trucco naturale. Una donna tutt’altro che interessante, ma sicura di sé e professionale. Non era mai stata l’oggetto di fantasie maschili: troppo alta per la maggior parte dei ragazzi e troppo piatta e filiforme per il resto. Alle superiori poteva al massimo sperare di diventarne la migliore amica. Era cresciuta giocando a calcio, basket e baseball con i ragazzi.
Era per questo che ancora si stupiva del fatto che un uomo come Maxwell Case, che poteva avere qualsiasi donna desiderasse, aveva scelto proprio lei non molto tempo prima.
Un’imponente scrivania in ciliegio occupava l’ampio spazio di fronte alle finestre. Sembrava un pezzo d’arredamento troppo sgraziato per uno come Max. Rachel se lo sarebbe immaginato dietro una scrivania in vetro e metallo cromato, dalle linee aerodinamiche e piena di giocattoli high tech.
Anziché andare verso la scrivania, Max si sistemò sul divano che occupava una delle pareti dell’ufficio. Con un gesto della mano le indicò una poltrona. Rachel si appoggiò sul bordo della seduta, infastidita dall’informalità della sistemazione. La sua ventiquattrore appoggiata in grembo le faceva da scudo e al tempo stesso le ricordava che si trattava di un incontro di lavoro.
«Mi serve un assistente esecutiva da domani stesso.»
Rachel non si aspettava che Andrea partorisse con due settimane di anticipo. Non aveva nessuno abbastanza qualificato che potesse cominciare a lavorare l’indomani mattina. «Ho la persona ideale per te, ma non può cominciare prima di lunedì.»
«Non va bene.»
La sua voce divenne esitante per la paura di veder sfumare la provvigione. «Si tratta solo di un paio di giorni. Sono sicura che puoi farcela senza l’aiuto di un’assistente fino a lunedì.»
«Visto che Andrea manca da oggi, sono già indietro. Stiamo lavorando ai bilanci per il prossimo anno e ho bisogno di una persona che sia in grado di mettersi in pari alla svelta. Qualcuno con capacità organizzative eccellenti.» Il suo sguardo si fissò su Rachel. «Qualcuno come te. Sei proprio la persona che fa al caso mio.»
Rachel venne presa da una stretta allo stomaco nel vedere gli occhi di Max accendersi.
Una simile scintilla stava nascendo dentro di lei. La stessa che cinque anni prima aveva dato vita a un fuoco che aveva annientato il suo istinto di protezione e ridotto in cenere ogni minimo buonsenso. Si era gettata a capofitto tra le braccia di Max senza pensare alle conseguenze.
L’ultima volta che si era lasciata andare in quel modo, lui aveva finito per odiarla. Incrociando il suo sguardo, Rachel si rese conto che la sua rabbia non si era affievolita con il passare degli anni. Il tempo non aveva guarito le ferite. Al contrario, aveva affilato il risentimento di Max come una lama appuntita in cerca di vendetta.
Rachel cercò di non farsi travolgere dalla sensazione di panico che, come un terremoto, minacciava di abbattere il suo