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Uomo - Donna
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E-book352 pagine4 ore

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Una raccolta di passi iniziando dal libro della Genesi che spiegano gradualmente quale sia l'immagine dell'uomo e della donna nelle Scritture, toccando i differenti termini ebraici e greci che li descrivono e appoggiandosi alla tradizione ebraica costituita dai commentatori, dai Midrash e dal Talmud.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2015
ISBN9788867514861
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    Anteprima del libro

    Uomo - Donna - Pierluigi Toso

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    L’unità tra l’uomo e la donna è quanto di più vicino vi sia all’unità esistente in Dio. Unità in qualche modo co-incidenti prima del gesto dei progenitori e ricreata dal Maestro. I vangeli evidenziano come il gesto di Adamo sia stato ereditato dall’intera umanità e proprio Pietro lo mostra in tutti i suoi aspetti, nel continuo confronto che emerge tra la sua egocentricità e l’eccentricità assoluta di Gesù. Proprio l’eccentricità è raggiungibile attraverso una costante posizione eccentrica, la quale è vissuta da chi è abitato da qualcosa di radicalmente altro. Quel qualcosa è Dio, ma è anche quell’altra metà dell’universo che ogni uomo-donna cerca e che un vero matrimonio rende una sola cosa con se stessi, prendendo dimora nell’altro. Dai versetti riportati emergerà l’eccezione della madre di Gesù, la quale mostra in maniera inequivocabile che l’ascolto nei confronti di Dio e di suo Figlio è intatto, non avendo subito quella mutilazione estetica prodotta dalla divisione successiva al gesto di Adamo.

    Per compiere il libro, iniziato in questa pagina di introduzione, ho ricercato i termini utilizzati dalle Scritture per indicare l’uomo la donna e le situazioni derivate dalla relazione esistente tra coloro che furono creati al culmen della Creazione, così come narra il primo capitolo della Genesi. Termini ebraici e greci incontrati nei testi originali della Bibbia, parole che mostrano ancora una volta come l’uso di un soggetto piuttosto che di un verbo, all’interno dei testi sacri, non sia mai casuale. Mi sembra superfluo precisare come esista un’umanità emblematica che fa da pietra di paragone rispetto a tutte quelle che saranno esposte nelle pagine seguenti, tale umanità è quella di Gesù, dell’uomo dei vangeli. Un uomo che ha mostrato in tutti i suoi aspetti quell’uomo etico-estetico che Dio affermò essere molto buono e bello all’atto della Creazione e che poi ha rinunciato liberamente alla propria bellezza per non accettare la propria natura umana, nella ricerca disperata di diventare come il Chi che l’aveva creato. Una ricerca che ha avuto degli effetti immediati sull’uomo e sulla relazione uomo-donna, effetti che hanno portato ad una conoscenza reciproca, ma anche all’impossibilità di portare la propria nudità, la quale è anche la verità dell’uomo. Ecco perché ho deciso di concludere le due parti di questo piccolo libro, attraverso l’analisi della nudità vissuta dall’uomo nelle Scritture, per poter individuare quella verità d’origine che permetteva un’unità assoluta in seno all’umanità. Una nudità che dovrebbe essere presupposto per ogni vero matrimonio, perché solo in tale condizione, inerente evidentemente non solo il corpo, ma anche l’anima e lo spirito, è possibile iniziare quel cammino che da due porta all’essere uno. In tal senso si risolverebbero anche i problemi sociali dell’umanità, tramite un’esplosione di nudità e il dissolvimento di quella maschera d’ipocrisia che copre il volto dell’uomo da Adamo in poi; un’ipocrisia che l’uomo dei vangeli ha distrutto, rivelando la verità umana fino in fondo, fino a quel fondo di croce in cui non a caso era nudo e solo.

    Le pagine di questo libro intendono porre un’altra piccola pietra nella costruzione di una riflessione inerente le colonne delle Scritture, le quali si rivelano come colonne dell’umanità. La bontà-bellezza, la verità e l’unità hanno creato liberamente l’uomo e la loro traccia rimane in qualche modo in ogni essere vivente figlio di Adamo ed Eva, traccia che può diventare consapevolezza in chi liberamente la ricerchi. Le Scritture esprimono una ricerca profonda dell’origine perduta, la quale può essere ritrovata ed espressa in un vero matrimonio o in quel farsi eunuchi per il regno dei cieli così incompreso dall’umanità. Che l’unità matrimoniale sia fondamentale e biblicamente sopra ogni cosa, lo testimonia il fatto di come sia pre-scritto che ogni ebreo abbia un libro della Torah, evidentemente se possibile, tanto da doverlo scrivere egli stesso, almeno tramite una lettera "conclusiva[1]

    [2] Per conclusione intendo apposta per ultima, ma non necessariamente l’ultima lettera del libro, dopo che il sofer, colui che scrive di mestiere, ha scritto il resto del libro. In altre parole si tratta dell’ultimo gesto d’inchiostro che dev’essere appannaggio di colui che commissiona il sefer Torah.

    . Un libro che, se integro dunque valido per la preghiera, risulta non vendibile. Eppure, a tale regola imprenscindibile di non mercato, esiste un’eccezione, la quale prende esistenza quando una promessa sposa, impossibilitata ad unirsi in matrimonio perché mancante della dote, può vendere tale libro, anche se dovesse essere l’unico in possesso della comunità. Ciò a significare che l’unità creativa uomo-donna è superiore all’inchiostro, anche a quello più sacro, perché la vita va scritta con un inchiostro vivente, quello spirito che ha dato vita all’uomo e che ha ispirato le stesse Scritture. Uno Spirito che produce" l’Unità e che viene testimoniato da Essa, un’Unità che come già scrissi, in occasione delle pagine con cui cercai di argomentare la Bellezza biblica, risulta essere un elemento irrinunciabile sia per la Bellezza sia per la Verità che la Bellezza rende sensibile.

    Spero che queste pagine, che cercheranno di lasciar uno spazio assoluto ai testi biblici, non si rivelino un fardello ulteriore che si aggiunge a quella miriade di libri che troppo spesso hanno coperto la parola biblica, velandola invece di rivelarla. Per tale motivo consiglio di tornare sempre alla parola d’origine, la sola veramente teologica insieme a quella espressa nella musica, ma su tale argomento altre pagine cercherò di rendere pubbliche.

    1 Rashi di Troyes

    1.1 Introduzione all’esegesi di Rashi

    L’ebraismo è una civiltà sia del commento (in particolar modo riguardo alle Scritture), che del racconto. Il legame tra tali attività si mostra sia nel culto sia nella trama culturale che lega tutto il popolo d’Israele. La sintesi più evidente di tale legame è espressa nel targum (almeno in quei Targumim che stanno per diventare Midrashim), nel Midrash Aggadico e nell’assunzione di questo da parte dei commentatori, compreso Rashi[2].

    Il nesso racconto-commento emerge dall’opera di Rashi che così non solo interpreta cosa dice il Testo Sacro, ma lo incultura parlando ad ogni lettore ebreo.

    Rashi mostra dei criteri ermeneutici chiari che lui stesso enuncia. Il primo di tali criteri è il Peshat: "Io...mi occupo solo del senso letterale della Scrittura e di quella aggadah che definisce il senso delle parole nel loro modo appropriato". Il secondo è relativo al Midrash, vale a dire alla pluralità dei sensi presenti in un testo, che egli formula brevemente con le parole altra interpretazione. Questo secondo criterio potrebbe essere in contraddizione con le parole stesse di Rashi che dice: La Scrittura non lascia nulla nel vago, ma indica ogni cosa con chiarezza oppure quando afferma riguardo a Gn 4,15a: Questo è uno dei versetti ellittici, che parlano per accenni, senza precisare. In realtà tra i due principi enunciati non vi è alcuna contraddizione, ma solo la consapevolezza della contemporanea presenza della precisione della Scrittura e del bisogno continuo d’investigazione da parte dell’esegeta[3].

    Il tutto si può riassumere ancora nelle parole dello stesso Rashi: Ogni testo si scinde in molti significati, ma, alla fine, nessun testo è mai privo del suo senso letterale (Introd. al Cantico dei Cantici).

    Rashi è un esegeta dalle cui opere emergono chiaramente la sua cultura e la sua concezione della Tôráh; ma anche il suo sentimento, il suo amore per gli animali e la sua percezione del pathos e della tragedia. Pur nella sua originalità opera come un pittore bizantino d’icone o un artista moderno di collages, infatti, nella sua opera rimane dentro le strutture che lo hanno preceduto attingendo sia al Talmud che al Midrash. In tal modo Rashi resta sempre all’interno della comunità cui appartiene compiendo il detto di Hillel non separarti dalla comunità[4].

    Sa’adyah ben Yosef (880-942) fu colui che introdusse il metodo del Peshat, il quale si distingue da quelli precedenti perché non isola mai il singolo racconto dall’intera opera, ma espone il senso letterale della Scrittura in conformità col contesto, col lessico e con la forma letteraria usata. Tale metodo diviene decisivo nell’opera di Rashi che lo adotta come un cardine della sua opera esegetica.

    Dunque, l’opera di Rashi, assume i metodi esegetici pre-esistenti arrivando ad una sintesi che comunque privilegi il significato letterale del testo ed in tal senso si può affermare come Rashi sia il pioniere del Peshat[5]. A ciò si può aggiungere come Rashi riesca ad assumere nel suo metodo anche un metodo interpretativo fondamentale come il derash, il quale consiste in un approfondimento etico, filosofico e poetico della Bibbia, il Rabbi di Troyes utilizza quest’ultimo al servizio del peshat[6].

    È importante sottolineare come tale metodo non sia mai utilizzato, come in altri autori a lui successivi, per una polemica anti-cristiana contro l’interpretazione allegorica. Il suo metodo invece è rivolto a chiarire il più possibile il significato della Scrittura a tutti i suoi fratelli di fede, per tale motivo utilizza per tale scopo ogni fonte disponibile e pose anche delle note unite a delle traduzioni di termini in francese, la lingua comune di quel tempo[7].

    Come già detto l’opera di Rashi è contemporaneamente sintesi dell’opera esegetica che lo precede e novità grazie all’originalità dei suoi commenti, originalità che però non contraddice la tradizione in cui si è formato, ma anzi aggiunge chiarezza e completa la tradizione stessa.

    Il suo modo di commentare è semplice ed in tal senso è innovativo rispetto ad ogni commentatore ebraico che l’ha preceduto. Se non ci fosse stato Rashi Israele avrebbe probabilmente perduto la possibilità di comprendere il Talmud Babilonese. Infatti, tale esegeta riuscì ad indirizzare alle masse ebraiche i suoi commenti proprio grazie alla sua semplicità ed alla sua creazione semantica[8]. Rav Tsa’ir (Chaim Tchernowitz) a proposito del commento al Talmud di Rashi afferma: Sembra che egli si preoccupi soltanto della parola isolata dal testo, senza un legame con il complesso del passo, ma, in realtà, egli vede sin da principio il fine e il pensiero contenuti nel passo stesso, come colui che pone pietra su pietra, mattone su mattone, finché si vede tutta la costruzione pronta e ben disposta innanzi e ancora… Rashi fa intravedere allo studioso – secondo il metodo socratico – la verità del suo contrario; dalle domande e dalle esclamazioni deduce le risposte, portando così il lettore da una logica sofistica ad una sana logica[9].

    Rashi indica raramente le sue fonti, che sono soprattutto il Talmud Babilonese, i Midrashim Tanhuma, Mekilta, Sifrei, Sifra, Pesiqta Rabbati e Seder ‘Olam ed il Midrash Rabbah. Comunque l’essenza di tali fonti è presente nella sua opera[10].

    Spesso mette a confronto le possibili interpretazioni dovute all’uso del Midrash o del Peshat e tale accostamento ha generato opinioni e critiche di natura opposta. Personalmente credo che tale evidenziatura sia funzionale a chi legge, il quale può così vedere più facilmente la completezza dell’interpretazione stessa capendone l’estensione e la complessità. E comunque le due interpretazioni mostrano un’armonia tra loro[11].

    L’opera di Rashi, grazie alla sua chiarezza ed alla sua semplicità, ebbe una fortuna costante nei secoli e servì anche da influenza per sviluppare un metodo storico-letterale d’interpretazione della Scrittura anche da parte dei cristiani, come ad esempio Ugo (1097-1141) e soprattutto Andrea (m.1175) di S.Vittore[12]. Infine Rosenthal ha dimostrato come anche nella versione inglese della Bibbia di King James (1611) si sia tenuto conto dell’opera dell’esegeta ebraico, senza dimenticare l’influenza indiretta che l’autore ebraico ebbe persino su Lutero[13].

    Chiudo sottolineando come, pur disponendo di moltissimo materiale midrashico e talmudico inerente la Genesi, Rashi si soffermi in maniera particolare sull’interpretazione letterale di tale libro[14]. È tale approccio che userò anch’io nell’interpretazione dei testi biblici, perché grazie a Rashi le classi ebraiche più umili poterono elevarsi alla perfetta comprensione dello spirito e del significato della Torah[15] e io lo seguo cercando di rendere il testo e la sua bellezza, tacendo laddove non so, così come faceva il rabbino di Troyes.

    1.2 La vita di Rashi

    Riguardo a Rashi esistono pochissime notizie biografiche. Si chiamava R. Shelomon ben Yishaq e così firmo alcuni dei suoi responsi, tuttavia la sua forma abbreviata è stata quella maggiormente usata nel corso dei secoli[16].

    Rashi nacque a Troyes, capitale del ducato della Champagne. L’anno di nascita è fissato dalla tradizione nel 1040, tuttavia non è certo. Tutte le fonti invece attestano che la sua morte avvenne nel 1105[17]. Fortunatamente i Libri della scuola di Rashi presentano alcune notizie biografiche del commentatore ebraico.

    Rashi trascorse la fanciullezza a Troyes e successivamente studiò nelle scuole renane di Worms e di Magonza, dove insegnavano i successori del famoso dottore del Talmud Gershom ben Yehudah (950-1028). In tali anni, in cui tali scuole erano all’apice del loro splendore, Rashi si formò in maniera decisiva in relazione alla cultura talmudica[18].

    Ritornato a Troyes all’età di 25 anni, dove si impiegò in un’industria vinicola, fondò una piccola scuola dove insegnò a pochi discepoli e cominciò contemporaneamente a compilare i suoi commenti alla Bibbia ed al Talmud. È interessante notare proprio come si guadagnasse da vivere col lavoro vinicolo e sottolineare come Troyes nel XI secolo fosse una città ricca e piena d’attività dove si svolgevano due fiere annuali molto importanti, in cui era possibile scambiare informazioni ed idee con mercanti provenienti dall’intera Europa[19]. Gli ebrei mantenevano rapporti normali coi cristiani e lo stesso Rashi afferma che il cristianesimo non era da considerarsi tra le religioni pagane. L’apertura mentale di Rashi si mostra anche in occasione della prima crociata (1096-1099), in quell’occasione infatti si pronunciò con favore nei confronti del ritorno degli ebrei che, costretti al battesimo, ritornavano alla fede dei padri[20].

    Rashi, nonostante la crescente tensione tra la Chiesa e la Sinagoga della II metà del XI secolo, visse sempre una vita tranquilla e poté compiere la sua opera d’esegeta. La vastità di tale opera comprende il commento a tutto il Talmud Babilonese ed un commento a tutta la Scrittura, fatta eccezione per i libri di Esdra, Neemia e Cronache. Questi ultimi, essendo gli ultimi libri del canone ebraico, non sono stati commentati probabilmente proprio in seguito alla sua morte prematura[21].

    1.3 Il pensiero filosofico ebraico

    I filosofi ebrei, per quanto riguarda il pensiero aristotelico, furono a volte critici mentre altre volte lo accettarono in parte, soprattutto per quanto riguarda la fisica e la metafisica; va detto però che la logica aristotelica fu praticamente sempre accettata[22]. Filosofi come Isaac Israeli (855c.-955c.) accettarono qualcosa del pensiero aristotelico inerente l’intelletto razionale, animale e vegetativo, unito alla teoria neoplatonica dell’emanazione. Altri filosofi come ad esempio Solomon ibn Gabirol (1020-1057 o 1070) furono anch’essi influenzati dal neoplatonismo e dalla teologia negativa, in particolare Gabirol, il quale scrisse in latino ed ebbe probabili influenze anche sul pensiero filosofico cristiano successivo.

    Vi furono filosofi come Abraham bar Hiyya, il quale visse nella prima metà del XII secolo in Spagna, che fu matematico ed astronomo e subì ebbe influenze sia neoplatoniche che aristoteliche. Ma il primo vero giudeo aristotelico è Abraham ibn Daud (1110-1180), che prese da Aristotele la teoria dell’intelletto attivo, per la filosofia della conoscenza, e le categorie di motore primo e necessità (mediate da Avicenna) per dimostrare l’esistenza di Dio[23]. Tale annotazione è importante, perché Rashi morì prima della nascita del filosofo appena citato e ciò conferma l’originalità di Rashi rispetto al pensiero dello stagirita.

    1.4 Introduzione al pensiero rabbinico

    Questo breve paragrafo lo dedico ad una breve analisi del pensiero rabbinico da me utilizzato, la quale mostra come negli autori successivi a Rashi vi fosse una chiara influenza del pensiero aristotelico, quest’ultima determinata da un confronto inevitabile della cultura rabbinica col pensiero dello stagirita. Inizio l’argomento in questione con una breve analisi del pensiero di Maimonide, il quale, pur non essendo presente direttamente nei commenti da me riportati, è il padre d’ogni commentatore biblico ebreo che a lui succede e, come emergerà dalle argomentazioni che riporterò, Aristotele è vivo e presente in tutto il pensiero rabbinico da Maimonide in poi.

    1.4.1 Maimonide e Ramban

    Maimonide è fondamentale per tutti i commenti rabbinici che sono oggetto del mio lavoro, infatti, fu il formatore di Ramban, di cui ho riportato alcuni commenti riguardanti i testi masoretici da me utilizzati, ed inoltre influenzò tutti i commentatori che gli succedettero; infatti, come già evidenziato in precedenza, vige il detto Da Mosé (il legislatore) a Mosé (Maimonide) non ci fu nessuno simile a Mosé (Maimonide) [24]. Sottolineare tale fatto è fondamentale, perché le coincidenze tra i commenti rabbinici da me utilizzati e la concezione estetica greca non sono casuali. Maimonide studiò i testi aristotelici e la sua riflessione ne fu fortemente influenzata, pur se conobbe il pensiero del filosofo greco attraverso le tradizioni e gli intermediari arabi. Va detto inoltre che considerò il pensiero di Aristotele come la più alta espressione della conoscenza umana[25].In realtà la discussione più accesa e che assorbì la maggior parte delle energie filosofiche di quel tempo (rabbiniche, ma anche arabe e cristiane), in relazione al confronto con Aristotele, vertì sul concetto di creazione ex-nihilo e quindi sull’idea stessa inerente la comprensione nei confronti di Dio. In ogni modo, proprio in virtù del suo carattere metafisico, tale dialogo incise direttamente sui fondamenti di ogni altro aspetto filosofico, anche estetico.

    Maimonide privilegiava talmente Aristotele che affermò come sia il suo pensiero, che quello ebraico ortodosso, non era in grado di dimostrare la creazione dal nulla, dunque era accettabile utilizzare un errore dello stagirita inerente l’idea di eternità della materia, dal momento che tale passaggio permetteva di sostenere l’esistenza di Dio. Ciò fu un fatto straordinario, perché a differenza di altri filosofi, come ad esempio Averroè, il quale fu considerato il commentatore per eccellenza di Aristotele, Maimonide riuscì a conciliare ortodossia ebraica e pensiero aristotelici senza incorrere nelle scomuniche che colpirono i suoi colleghi arabi. Inoltre lo stesso filosofo ebreo utilizzò e sviluppò i concetti aristotelici del movimento e dell’eternità del tempo (libro ottavo della Fisica), implementandoli con i concetti filtrati da Avicenna ed Al-Farabi di Essere necessario e di movente e mosso, per dimostrare l’unicità e l’incorporeità di Dio[26].

    Altro aspetto che differenzia Maimonide dal suo contemporaneo musulmano Averroè fu la sua convinzione che la filosofia, cui ho appena accennato, fosse divulgabile alle masse; mentre il pensatore arabo riteneva che tali riflessioni fossero appannaggio di una categoria minoritaria di uomini. Infine, come già rilevato, affermò sempre la creazione ex-nihilo a differenza sia di Al-Farabi sia dello stesso Averroè[27]. Dunque Maimonide fu influenzato dal pensiero aristotelico filtrato dai pensatori arabi citati, in particolare Averroè, per tale motivo credo sia utile descrivere brevemente tale pensatore.

    Averroè nacque a Cordova (1126-1198) studiò diritto e medicina e mentre era già giudice iniziò gli studi di astronomia, matematica e filosofia. Cercò di conciliare Aristotele ed il Corano, ma finì col far prevalere il pensiero greco, tanto che fu allontanato dalla comunità di cui faceva parte, soprattutto a causa della confessionalità statale vigente[28].Il pensatore arabo considerò la filosofia come la conoscenza e l’interpretazione più elevata possibile, anche rispetto al Corano. Stimava a tal punto lo stagirita da affermare come la dottrina di Aristotele coincidesse con la suprema verità ed egli fosse stato creato e ci fosse stato donato dalla provvidenza divina, perché ci fosse possibile conoscere quanto è conoscibile[29]. In ogni caso pur cercando il pensiero aristotelico originale, quest’ultimo rimase comunque filtrato da interpretazioni neoplatoniche introdotte da Avicenna ed Al-Farabi[30].

    Nella dottrina d’Averroè è importante sottolineare, oltre alla ripresa della dottrina ilemorfica e causale, il recupero della teoria dell’atto e della potenza; in quanto grazie ad essa spiegò il muoversi degli astri dovuto al desiderio di raggiungere l’Atto da cui dipende[31]. Tale teoria è direttamente relazionabile al rapporto esistente tra Dio e la Creazione, rapporto esplicitato nei testi genesiaci da me presi in esame. Averroè inoltre concordò con Avicenna laddove esprime la teoria dell’idea di intelletto agente che muove la conoscenza umana dalla potenza all’atto. Purtroppo il passo successivo sarà quello di negare l’immortalità dell’anima e la creazione ex-nihilo, passo che gli costa l’esilio a cui ho accennato[32].

    Ritornando a Maimonide credo sia sufficiente ricordare i nomi dei filosofi che Maimonide influenzò, per sottolinearne ulteriormente l’importanza e per concludere la breve presentazione che gli ho dedicato. Infatti, oltre ai commentatori talmudici Abarbanel e Radak, a cui dedicherò alcune righe successivamente, il suo pensiero fu importante per Moses Mendelsohn (il nonno di Felix Mendelsohn), ma anche per i più famosi Spinoza e Leibnitz.[33] Maimonide, come già detto, maestro diretto di Ramban (Rav Moshe ben Nachman 1194-1270), il quale fu un filosofo, un commentatore biblico, un poeta ed un fisico. Quest’ultimo fu anche leader nella scuola della Tôráh e della letteratura talmudica. Ramban, nato a Girona in Spagna, è praticamente il successore di Maimonide, e già a 16 anni pubblica i suoi primi lavori sul Talmud. Nel 1263, in seguito ad una disputa pubblica con l’apostata Pablo Christiani, è costretto all’esilio dal re James I. Emigra a Eretz Yisrael dove muore[34].

    1.4.2 Radak

    Rabbì Kimhi David, questo il nome completo di Radak, nacque a Narbonne in Provenza probabilmente nel 1160 e morì intorno al 1235. Radak fu un importante grammatico ed esegeta ed è conosciuto anche per la sua attività d’insegnante e per il suo impegno nelle cause pubbliche. Tra queste ultime è ricordato per aver partecipato al giudizio (tra il 1205 ed il 1218) nei confronti di alcune persone provenienti da Barcellona, le quali disonoravano il nome di Rashi. È inoltre conosciuto per essersi schierato con forza dalla parte delle tesi di Maimonide, nella controversia maimonidea del 1232.

    Tale commentatore ebraico fece importanti studi di filologia e come esegeta iniziò con un lavoro dedicato all’interpretazione del libro delle Cronache, pubblicato postumo a Venezia nel 1548. Dopo tale lavoro si dedicò al libro della Genesi ed in seguito ad un commento a tutti i profeti, per giungere infine a scrivere un libro sui Salmi. Il suo apporto esegetico è molto importante, perché rispetto ai predecessori distingue i commenti derivanti dalle omelie da quelli provenienti dal metodo della Peshat, quest’ultimo già utilizzato da Rashi.

    Il suo pensiero filosofico non è originale, ma è importante sottolineare come fosse affine a quello di Maimonide, infatti, Radak utilizzò come sua guida filosofica la Guida dei perplessi, ossia l’opera filosofica fondamentale dello stesso Maimonide. Non è un caso dunque che Radak concordi con quest’ultimo nella visione inerente la profezia ed il problema della provvidenza. In polemica col pensiero cristiano afferma che quest’ultima è speciale nei confronti del popolo ebraico, non riuscendo però a dimostrarlo[35].

    1.4.3 Ralbag

    Levi Ben Gershom, nome vero dell’acronimo Ralbag, fu un matematico, astronomo, filosofo e commentatore biblico. Nato probabilmente a Bagnols-sur-Cèze nel 1288, visse ad Orange e poi brevemente ad Avignone, dove morì nel 1344. Mantenne contatti con importanti personalità cristiane, probabilmente proprio grazie al suo soggiorno avignonese. Scrisse libri scientifici di aritmetica, geometria, trigonometria ed astronomia. Il suo primo libro si intitola Il libro dei numeri, che scrisse nel 1321 e che affronta argomenti aritmetici che vanno dalle semplici addizioni all’estrazione di radici. Nel 1343 scrisse un altro libro di matematica per il vescovo di Meaux (Filippo di Vitry) e commentando le tesi euclidee, ne sostituisce gli assiomi con proprie intuizioni.

    Per quanto riguarda la sua opera di commentatore biblico affrontò molti tra i libri del canone ebraico, in particolare il pentateuco, il libro di Giobbe ed il Cantico dei Cantici. La sua caratteristica peculiare nel lavoro ermeneutico, rispetto ai testi biblici, risiedeva nell’utilizzare l’esegesi insieme alla filosofia. È grazie a tale completezza che riusciva a trarre dal suo

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