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101 cose da fare a Barcellona almeno una volta nella vita
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E-book442 pagine5 ore

101 cose da fare a Barcellona almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Barcellona negli ultimi anni ha saputo imporsi come meta turistica di primo piano a livello mondiale. Ed è facile indovinare il perché: quale altra metropoli europea infatti può offrire cultura e sole, musei e spiagge, monumenti e instancabile vita notturna? Punto di riferimento internazionale per l’architettura e l’urbanistica, paradiso dei giovani, rifugio di moltissimi artisti, è una città che ha saputo trasformarsi, soprattutto negli ultimi trent’anni, in uno dei luoghi più dinamici del mondo. Ai primi posti nell’immaginario giovanile per le opportunità che offre, il divertimento, la cucina, lo shopping, la bellezza medievale della Città Vecchia, Barcellona è anche la capitale d’una regione unica e affascinante: la Catalogna. E a partire da qui si può comprendere l’orgoglio dei barcellonesi per la storia della loro città. 101 cose da fare per scoprire lo spirito di questa splendida metropoli, le sue radici storiche, la sua catalanità, il suo senso di diversità; senza dimenticare naturalmente gli aspetti più turistici: dai locali che animano la movida notturna ai ristorantini di pesce della Barceloneta, dalle spiagge ai parchi, dagli angoli meno noti ai capolavori di Gaudí. 101 aspetti di una città viva, creativa e multietnica. Una città che non ha mai avuto paura di cambiare.

Barcellona come non l'avete mai vista!

Ecco alcune delle 101 esperienze:

Mangiare torte nelle profondità di una mikveh del XIV secolo
Intravedere due dita di Dio presso l’antica chiesa romanica di Sant Pau del Camp
Cercare un paio di “espadrillas” e ritrovarsi in un quadro di Picasso
Inseguire il fantasma di Carmen Amaya in un antico quartiere di pescatori
Tentare di penetrare nella città vecchia attraverso la porta dei templari
Fermarsi all’ombra di uno dei bracieri più “pericolosi” del mondo
Passare un sabato mattina al Mercat dels Encants
Scendere nel “pozzo del mondo” per vedere il lungomare di Guayaquil
Sfidare il drago di Gaudí a difesa del Giardino delle Esperidi
Luigi Cojazzi
Vive a Barcellona, dove lavora come traduttore e autore.
LinguaItaliano
Data di uscita17 nov 2014
ISBN9788854176393
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    101 cose da fare a Barcellona almeno una volta nella vita - Luigi Cojazzi

      1.

    Trovare i resti di un antico tempio in un centro escursionistico

    Diciamolo subito: il luogo di fondazione di una città non dovrebbe essere tanto difficile da trovare. Insomma, i Romani mica fondavano le città in cantina o in uno sgabuzzino dietro casa! No, i Romani erano gente di mondo, con una mente lineare e le idee chiare. Si sceglievano una bella collinetta, magari il punto più alto di una zona, portavano tutti gli ammennicoli vari che servivano allo scopo (l’aratro, i buoi, il maiale per il sacrificio, i magistrati, l’occorrente per fare gli auspici ecc.) e zac! , ti fondavano la città in un batter d’occhio.

    Ma combinazione vuole che, nel nostro caso, questa collinetta che non raggiunge i venti metri di altitudine, battezzata dai Romani Mons Taber, e che al loro arrivo probabilmente spiccava nel vuoto dello spazio circostante, sia ormai stata inghiottita dallo sviluppo urbanistico della Barcellona medievale, al punto che individuarla non è cosa semplice. È quindi probabile che molti dei turisti che percorrono ogni giorno in lungo e in largo il centro della città vi passino nelle vicinanze completamente ignari della sua presenza.

    Per scoprire questo luogo mitico, che i Romani ritennero ideale per procedere alla fondazione della colonia di Barcino (il cui nome completo era il prolisso Colonia Iulia Augusta Faventia Paterna Barcino, e adesso sapete perché l’abbreviavano), dovete addentrarvi nelle labirintiche stradine che serpeggiano tra la parte posteriore della cattedrale e carrer Sant Jaume, armati di una buona piantina e un po’ di pazienza.

    Oppure seguite queste semplici indicazioni. Da plaça de l’Ángel (fermata della metro Jaume, linea gialla), salite per la pedonale carrer Llibreteria; girate poi a destra in carrer de la Freneria. Arrivati in fondo, vi troverete davanti le monumentali mura esterne dell’abside della cattedrale e la torre campanaria a base ottagonale, detta delle ore, che regge la campana più grande, l’Eulàlia, di quasi tre tonnellate di peso. Se alzate leggermente la testa potete scorgere anche le gargolle, ovvero le figure fantastiche con funzione di doccione che in ogni buona cattedrale gotica si protendono dai tetti. Quelle dell’abside, in particolare, sono le più antiche di tutta la cattedrale, e risalgono al xiv secolo. Secondo la tradizione sono streghe che durante la processione del corpus christi sputavano sui fedeli, e furono per questo castigate a rimanere pietrificate in forma di esseri mostruosi e destinate a sputare l’acqua dai cornicioni.

    A questo punto girate alla vostra sinistra in carrer de la Pietat, che segue il perimetro dell’abside, e poco prima di arrivare alla bella facciata gotica del congiunto architettonico delle Cases dels Canonges (la canonica), attuale residenza ufficiale del presidente della Generalitat, girate nuovamente a sinistra, nella minuscola carrer del Paradís. Adesso procedete fino al numero 10, dove ha sede il Centro escursionistico di Catalogna. Ormai ci siete. Procedendo all’interno del patio dell’edificio potrete trovare i resti del tempio in onore di Augusto che dominava il monte Taber.

    Il tempio, creato verso la fine del i secolo a.C., era originariamente posto su un podio di tre metri di altezza. Era lungo 35 m e largo 17,5. Era perìptero, ovvero aveva una fila di colonne intorno alla cella, ed esàstilo (aveva sei colonne sulla fronte) ed era dedicato al fondatore della città, cioè l’imperatore Augusto.

    Mantenne la sua funzione per circa quattrocento anni, quindi subì varie trasformazioni, ma continuò a contraddistinguere il profilo del centro urbano. Fu con le nuove edificazioni di epoca bassomedievale che le sue parti finirono per ritrovarsi, ormai frammentate, all’interno di abitazioni private. Nel Quattrocento del tempio già s’era perso ricordo, tanto che in molti iniziarono a interrogarsi su quale fosse l’origine di quei resti conservati all’interno di varie case del nucleo antico della città. Le interpretazioni fioccavano: chi pensava trattarsi delle rovine di un non meglio identificato monumento sepolcrale, chi dei ruderi dell’antico acquedotto.

    Fu solo nell’Ottocento che si arrivò a stabilire che si trattava di un tempio. A fine secolo l’edificio fu acquistato dal Centro escursionistico di Catalogna, che non era semplicemente un gruppo di amici appassionato di scampagnate domenicali ma piuttosto un circolo di intellettuali catalanisti, interessati allo studio e alla riscoperta della propria terra da una prospettiva scientifica e culturale. Il centro, che in qualche momento fu frequentato anche da Gaudí e si dedicava tra le altre cose al recupero e al mantenimento di reperti storico-artistici, incaricò l’architetto Domènech i Montaner di costruire il patio da cui ora potete osservare le quattro colonne – di nove metri d’altezza, scanalate e con capitelli di ordine corinzio – che, insieme all’architrave che le unisce e a una parte del podio, ne costituiscono l’unico resto.

    I resti delle colonne romane del Tempio di Augusto

      2.

    Fissarsi i piedi e scoprire il luogo esatto di fondazione della città

    Le sorprese nascoste in carrer del Paradís non finiscono con la visita alle colonne del tempio di Augusto. È proprio uscendo dal Centro escursionistico della Catalogna che, guardando ai vostri piedi, noterete, incorporata nella superficie stradale, una specie di ruota di pietra. Si tratta della ruota di un mulino, che è stata posta per indicare il punto più alto del monte Taber, e quindi il punto dov’era situata originariamente l’ara (l’altare sacro) del tempio. Con ogni probabilità è quanto di più prossimo al luogo esatto di fondazione della città.

    Parlando di fondazioni, sull’origine di Barcellona e del suo nome esistono varie teorie e leggende, la più fantasiosa e meno credibile delle quali la fa risalire niente meno che a Ercole. Pare che l’eroe greco, una volta ultimata la quarta fatica, e forse colto da improvviso sconforto ricordandosi che gliene restavano altre otto, decise di prendersi uno stacco e partì insieme agli Argonauti di Giasone alla ricerca del Vello d’oro. Ma le nove navi della spedizione, quando si trovavano in prossimità delle coste catalane, furono sorprese da una tempesta. Cercarono di ripararsi a vicenda, raggruppandosi, però una di esse naufragò. Ercole fu incaricato da Giasone di andare alla ricerca della barca nona (e qui avrete già capito dove stiamo andando a parare) ed egli la ritrovò dalle parti della bella collina che ora conosciamo con il nome di Montjuïc. Alla ciurma quel luogo piacque a tal punto – benché non ci fossero ancora i bar fashion né i chiringuitos con il pesce fritto – che decisero di fondarvi una città e battezzarla in onore del natante naufragato (la barca nona, appunto).

    La storia del naufragio, manco a dirlo, fa acqua da tutte le parti, soprattutto perché il Vello d’oro si trovava in Colchide, più o meno nei pressi dell’attuale Georgia, per cui non si capisce bene cosa ci sarebbero andati a fare, gli Argonauti, in Costa Brava, in un’epoca in cui non esistevano neppure Lloret de Mar e le sue discoteche.

    Più ancorata alla realtà storica è la tradizione che fa risalire l’origine della città ai Cartaginesi, in particolare ad Amilcare Barca, padre di Annibale. Sappiamo in effetti che, in occasione della seconda guerra punica (218-202 a.C.), Annibale, dopo aver oltrepassato il fiume Ebro, che costituiva il limite dei territori controllati da Cartagine, si fermò nella zona di Barcino prima di affrontare la lunga traversata dei Pirenei e delle Alpi. Per quanto più credibile, non sono state trovate prove archeologiche né documentarie a sostegno di questa ipotesi.

    Quel che è certo è che comunque, prima della conquista romana, nella zona si erano stanziate della popolazioni iberiche, come i Laietani, e presumibilmente risale a loro il toponimo Barcino (che potrebbe trarre origine dalla voce preromana barga, che indica una pianura inondata).

    La formalizzazione del nome, e la fondazione vera e propria della città, avvennero sotto il dominio di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), forse attorno al 14 a.C., periodo cui appunto dovrebbe risalire il tempio visto al capitolo precedente.

    Barcino era in origine una colonia, e aveva quindi lo statuto delle città fondate per distribuire terra ai veterani dell’esercito, per cui poteva godere di una relativa autonomia di governo. Il nuovo centro aveva un’ottima posizione geografica, essendo sull’asse strategico che collegava il nord della Spagna con il Mediterraneo, e svolse da subito un attivo ruolo commerciale ed economico che lo portò a svilupparsi rapidamente – pur senza raggiungere il ruolo che avevano città come Tarraco (Tarragona) e Caesaraugusta (Saragozza). La principale attività economica era l’agricoltura e in particolare la coltivazione della vite. I vini catalani erano rinomati già all’epoca, e la produzione era fiorente, come testimoniato anche dal ritrovamento di resti di antiche fabbriche di anfore dalle parti di Mataró, pochi chilometri più a nord sulla costa. I vini di Barcino erano esportati verso altre zone dell’impero, come la Gallia, la Bretagna, la Germania e l’Italia.

    Nel suo massimo splendore in epoca romana (ii secolo), Barcino raggiunse probabilmente i cinquemila abitanti. Non arrivò mai però ad avere né un circo, né un teatro né un anfiteatro, edifici che caratterizzavano le città romane di livello superiore (quelle cinque stelle, potremmo dire), come invece era all’epoca Tarragona, ma ebbe quanto meno delle terme.

    Barcino venne fondata con la tipica pianta rettangolare del castrum (il modello dell’accampamento militare), suddiviso in quattro quadranti dall’incrocio dei due assi principali, il cardus maximus e il decumanus maximus. Sovrapponendo la vecchia pianta di Barcino a una mappa attuale, possiamo vedere che il cardo corrispondeva grosso modo alle attuali carrer del Call e carrer Llibreteria, mentre il decumano passava per quelle che ora sono carrer del Bisbe e carrer Ciutat.

    All’incrocio tra cardo e decumano c’era naturalmente il foro, ovvero la piazza centrale, fulcro della vita romana, dove si trovavano la maggior parte degli edifici pubblici, come la curia e il tempio, e il mercato.

    L’antico foro, per quanto la sua collocazione non sia stata determinata con esattezza, non doveva coincidere perfettamente con l’attuale plaça Sant Jaume, ma era spostato leggermente più a nord, di modo che il tempio che lo chiudeva da un lato stesse proprio su quel cucuzzolo seminascosto dove vi trovate ora voi.

      3.

    Perdersi per il Gòtic a caccia dei resti delle mura romane

    Tra le tracce più interessanti che l’epoca romana ha lasciato sparpagliate nella struttura medievale di Barcellona, ci sono sicuramente i resti della cinta muraria, con le sue torri difensive e le sue porte d’accesso. Seguire il perimetro delle mura è un’ottima scusa per una passeggiata senza fretta per il Barri Gòtic (quartiere gotico), che vi porterà a scoprire alcuni poetici angoletti, lontani dalle grandi folle, e in qualche caso vi richiederà di introdurvi nel cortile di qualche palazzo recentemente restaurato.

    I resti, a volte, sono limitati, contaminati dalle varie sovrapposizioni – di palazzi di uso soprattutto privato, che si sono succedute nei secoli, addossandosi a queste massicce strutture difensive – e dai progetti di restauro, e vanno reintegrati nel contesto originale con un po’ di fantasia. Ma il consiglio è quello di lasciarvi sedurre dall’atmosfera senza tempo che si respira in questi vicoli: per cui cestinate l’orologio (chi tra di voi ancora s’ostina a portarlo) e preparatevi a girovagare con tranquillità per le vestigia di altre epoche.

    Dovete sapere intanto che già dal i secolo d.C., come ogni città con origine castrense che si rispetti, Barcino era circondata da una cinta muraria, dotata di quattro porte, situate al termine dei due assi principali. Queste prime mura, costruite in opus quadratum e dello spessore medio di due metri, a essere proprio sinceri non erano un granché. Insomma, erano dei muretti, adatti tutt’al più alle scaramucce del periodo della pax augusta. Ma quando nel ii secolo i Franchi e gli Alemanni cominciarono a fare sul serio con le loro scorribande, gli abitanti della colonia si resero conto che quella struttura non era sufficiente alle sfide poste dal nuovo periodo storico. Si rese quindi necessario procedere all’edificazione di una seconda cinta muraria: e questa volta i Romani decisero di fare le cose per benino. Lo spessore passava da due a quattro metri, l’altezza aumentò fin quasi a dieci e si aggiunsero settantotto torri difensive (o giù di lì: è impossibile trovare due testi storici che citino lo stesso numero). Alcune delle torri erano di forma cilindrica, altre a sezione poliedrica, altre ancora rettangolare, e si succedevano ogni dieci metri circa lungo i quasi 1250 m di lunghezza complessiva delle mura.

    Questa nuova cinta muraria funzionava decisamente meglio e – in un’epoca in cui la grandezza di una città si misurava nella sua capacità di resistere alle incursioni nemiche – trasformò Barcino in una delle principali roccaforti dell’Occidente, arrivando a mettere in discussione il primato regionale della vicina Tarragona. Nel 415, il re visigoto Ataulfo fece di Barcino la capitale del suo regno. Le porte di accesso rimasero sempre quattro (plaça Nova, carrer del Call con carrer dels Banys Nous, carrer Regomir e plaça de l’Ángel), ed erano dotate di tre aperture: quella centrale, carrabile, e le due laterali per i pedoni (o meglio, per i viandanti).

    Detto tutto ciò, scendete pure dalle modeste alture del monte Taber, dove eravate rimasti al capitolo precedente, e recatevi in plaça Sant Jaume. Ora inoltratevi lungo il cammino dell’antico decumanus maximus, ovvero imboccate carrer Ciutat, sulla sinistra del palazzo dell’Ajuntament (il Comune). La via si trasforma, dopo una prima piazzetta, in carrer Regomir, e proprio qui, al numero 7, c’è la nostra prima fermata: il nuovo Pati Llimona, restaurato di fresco, permette di visitare diciassette metri della cinta muraria del iv secolo d.C., nonché uno stabilimento termale pubblico del i secolo d.C. che originariamente si trovava al di fuori delle mura vecchie. È possibile anche vedere una delle torri circolari che fiancheggiavano quella che era la principale porta di accesso a Barcino: ovvero la Porta del Mar. Tenete a mente che all’epoca questa porta si trovava a soli centocinquanta metri dal mare (e ovviamente non è lei a essersi spostata), e per essa transitavano (previo congruo pagamento di imposte) tutte le mercanzie provenienti da ogni parte del Mediterraneo e dirette in città.

    Continuate a scendere per Regomir, quindi girate a sinistra in carrer del Correu Vell: qui c’è un’altra porta d’accesso al complesso del Pati Llimona, dove potete apprezzare il restauro della casa della famiglia Marc, del xiv secolo, che sotto incorpora un pezzo di mura romane. Proseguite quindi fino all’amena plaça dels Traginers, dove potete concedervi una meritata pausa caffè nei tranquilli tavolini all’aperto del Babel. Davanti a voi (o alle vostre spalle, a seconda di come vi siete seduti) avrete la torre circolare che proteggeva l’angolo orientale della muraglia.

    Una parte consistente del lato nordorientale della cinta muraria può essere osservata procedendo per la baixada del Caçador quindi per carrer Sots-tinent Navarro, che si snoda lungo il tracciato dell’antico cammino di ronda fiancheggiante il recinto murario. Qui potete apprezzare come, al di sopra della costruzione originale romana (copiosamente restaurata), si sono sovrapposti edifici di epoche diverse: in questo caso il trecentesco Palau Requesens. Arrivando finalmente a plaça Ramon Berenguer el Gran, vi apparirà di fronte la vista monumentale della Cappella reale di Sant’Agata e del Palau Reial Major, sempre del xiv secolo.

    Con quest’ultima tappa ormai avete abbandonato le stradine silenziose e oscure del quadrante sudorientale del castrum, per rituffarvi nella caotica e ipertrafficata via Laietana. Siete quindi pronti per la folla che vi attende davanti alla cattedrale, in plaça Nova. Qui, dando le spalle al Col·legi d’Arquitectes (ma vi è consentito sbirciarne i murales della facciata, disegnati su progetto di Picasso negli anni Cinquanta), potete vedere i resti di un’altra delle porte d’accesso alla città, di cui si conservano ancora uno dei passaggi laterali per pedoni e le due torri a sezione circolare che difendevano la porta.

      4.

    Passeggiare sotto Barcellona

    Le curiosità romane che Barcellona vi può offrire non si limitano certo ai resti della sua cinta muraria. Nel quartiere del Call, per esempio, in carrer de la Fruta 2, si può visitare una domus romana del iv secolo, che per dimensioni e collocazione apparteneva sicuramente a qualche personaggio in vista della città. Della casa si conserva una parte del peristilio, che si apre su varie stanze di cui rimangono resti di elaborati pavimenti in mosaico policromo e di affreschi murari.

    Uscendo dalla cinta muraria romana, se avete il coraggio di inoltrarvi tra le orde di shopaholics compulsivi che gremiscono le stipatissime boutique di Portal de l’Àngel, potete vedere significativi resti dell’antico acquedotto. Girate a destra in carrer de Duran i Bas (prima di Benetton e del Corte Inglès, per intenderci) e nella parete mediana di un edificio del xix secolo noterete che sono integrati alcuni degli archi di tale acquedotto, che era uno dei due che in epoca romana garantivano l’arrivo dell’acqua in città, rispettivamente dal fiume Besós e dal monte della Collserola.

    Insomma, per usare un luogo comune (comune alle città d’epoca romana), a Barcellona viene fuori qualcosa ogni volta che si fa un buco per terra. Un caso eclatante è quello delle terme, che sono state localizzate in plaça de Sant Miquel e risalgono all’anno 125 d.C., dono a Barcino dell’illustre famiglia Minici Natal; famiglia che annoverava tra le sue fila nientemeno che il celebre Lucius Minicius Natalis Quadronius Verus iunior, il primo campione olimpico nato a Barcellona, che si segnalò nei giochi del 96 d.C., riportando la medaglia d’oro nella competizione della quadriga (ma probabilmente non la guidava lui: ne era solo il proprietario). Non è però possibile visitare queste terme, che erano le principali della città, perché subito dopo l’identificazione sono state di nuovo ricoperte.

    In plaça de la Vila de Madrid, giusto davanti a Decathlon, invece è andata diversamente. Qui il ritrovamento è stato del tutto casuale: l’esplosione di una bomba durante la guerra civile ha rivelato l’esistenza di una necropoli sotterranea. Si tratta per la precisione di una via funeraria che andava a collegarsi con la via Augusta (l’asse principale della rete stradale romana in Spagna, che connetteva Roma con Cadice) e che presentava su entrambi i lati una serie di monumenti funebri, utilizzati tra il i e il iii secolo d.C. dalle classi popolari di Barcino. In questo caso è stato portato a termine un ambizioso progetto di restauro, che attualmente permette di vedere, nel centro delle piazza, le cupae, monumento sepolcrale dalla forma a botte, nonché varia oggettistica custodita nell’adiacente Centro di interpretazione.

    Ma il tragitto più affascinante che potete fare per la città romana ci riporta in un luogo prossimo al punto da cui siamo partiti quattro capitoli fa. In plaça del Rei, nel Museu d’Historia de la Ciutat, c’è il punto d’accesso alla città sotterranea.

    Si tratta di un vero e proprio sito archeologico, che si estende nel sottosuolo della piazza, su una superficie di 4000 mq, e corrisponde a un importante settore della Barcino romana. I resti, che vanno dal i secolo a.C. al iii d.C., sono emersi nel 1931 durante i lavori di restauro della Casa Padellàs e dichiarati quindi bene d’interesse culturale.

    L’area che si visita corrisponde più o meno a un quartiere artigiano, dove abbondavano i laboratori e le manifatture. Potete vedere i resti di una lavanderia e di un opificio dove si tingevano i tessuti; uno stabilimento per la preparazione e la salatura del pesce e uno per la produzione del garum, un condimento che era una sorta di specialità catalana dell’epoca, a base di pesce macerato, aceto e vino, molto apprezzato per le sue proprietà afrodisiache. È anche possibile entrare in un centro vinicolo e vedere come si produceva il vino nella seconda metà del iii secolo. Il percorso archeologico prosegue poi nel complesso episcopale di Barcino, formato dall’aula episcopale, dal battistero, dalla residenza episcopale e da una chiesa con pianta a croce, che permette di seguire l’evoluzione di una parte della città dal iv all’viii secolo.

    Questa visita della Barcellona sotterranea riemerge nel Palau Reial Major (che abbiamo visto da fuori al capitolo precedente), sede prima dei conti di Barcellona e in seguito dei re della corona aragonese. Nella Sala del Tinell, costruita a metà del xiv secolo, Cristoforo Colombo fu ricevuto dai re cattolici al suo ritorno dal viaggio nelle Americhe.

      5.

    Tentare di penetrare nella città vecchia attraverso la porta dei templari

    Bisogna confessare una cosa di Barcellona: ha un disperato bisogno di sentirsi trendy. Certo, è consapevole di non essere Londra né Parigi, e neppure Berlino. Però le piace crogiolarsi nella convinzione costante di avere delle cose che queste città non hanno, di avere i caratteri della metropoli europea trasferiti sulle rive del Mediterraneo, con il suo differente clima umano e culturale. È diversa da loro, sì, ma come loro vuole sentirsi sempre all’avanguardia.

    E non finisce qui: come chiunque sia un po’ innamorato di se stesso, Barcellona ha un disperato bisogno di sentirsi adorata dalle masse di turisti che la visitano, non ne può fare a meno, e vorrebbe sempre avere la cosa giusta da offrire a ciascuno; pronta a passare da un abito all’altro, ad alternare il suo volto più tradizionale a quello trasgressivo, a illudersi di poter essere allo stesso tempo mainstream e alternativa. Insomma, Barcellona è un po’ come quelle persone che si sforzano di piacere a tutti, e a tutti i costi.

    Prendiamo un tema come quello dei templari. Da un po’ di anni, ormai sono diventati prepotentemente di moda e sono stati presentati un po’ in tutte le salse. Portatori di uno charme ambiguo e un po’ pericoloso, un misto di rituali e spirito di corpo, complottismo e oscure macchinazioni, militarismo e misticismo, i templari sono un prodotto abbastanza mainstream da aver sedotto le masse, ma hanno saputo mantenere quel fascino alternativo che gli proviene dalla persecuzione della chiesa e dal mistero che li avvolge.

    Poteva insomma Barcellona non aver niente da offrire agli antichi cavalieri? Certo che no! Sarebbe stata un’attitudine ben provincialotta, tanto più che i templari hanno lasciato tracce a casa di cani e porci, e dove non sono arrivati loro ci hanno pensato le schiere dei loro adepti dell’ultima ora ad attribuirgliene di ogni genere. E vuoi che a Barcellona niente?

    La loro presenza storica in tutta la Catalogna, comunque, è ben documentata, e così Barcellona non ha dovuto faticare molto per vantare quantomeno un palazzo (andato poi distrutto nell’Ottocento), una chiesa e una porta ascrivibili all’Ordine del Tempio.

    I templari, fin dalla loro fondazione (1129), intrattennero buone relazioni con i conti catalani (anche loro, forse, ansiosi di piacere a tutti) e ricevettero cospicue donazioni di terre. Il loro ingresso a Barcellona fu reso possibile da una donazione avvenuta nel 1134, da parte di un tal Ramon Massanet. Si trattava di un complesso di case e torri, denominate quartiere Galiffa, situate nei pressi del Castello di Regomir (la ex Porta del Mar delle mura romane), nella parte meridionale della città. Qui, nello stesso anno, i templari inizieranno i lavori per trasformare il complesso nel Palau del Temple, dove sotto il regno di Jaume i si trasferirà il comando dei templari e che successivamente, dopo l’abolizione dell’Ordine del Tempio, diventerà il Palau Reial Menor.

    Attualmente di tutto ciò non resta molto, perché dopo un lungo periodo di degrado, il palazzo fu abbattuto a metà del xix secolo. Era situato all’incirca nel quadrilatero formato da carrer dels Templers, carrer del Palau, carrer de la Comtessa de Sobradiel e carrer d’Ataülf, giusto dietro plaça Sant Miguel (una piazza adiacente a plaça Sant Jaume, che spicca per la bruttezza del recente edificio comunale dell’oac).

    Ciò che resta invece è la cappella del convento dei templari, costruita tra il 1246 e il 1248 (e che in seguito sarebbe diventata la cappella del Palau Reial) e che potete trovare al numero 4 di carrer d’Ataülf. Sopra il portale potete vedere la scritta "Domus Dei et Porta Coeli". La facciata è stata ricostruita nel xvi secolo dalla famiglia Requesens.

    Dal loro Palau, i templari (quando non impegnati a cacciare il Moro dalle terre cristiane) si dedicavano soprattutto al commercio e a quelli che potremmo definire dei servizi bancari ante litteram. Il porto di Barcellona era uno dei più importanti dell’epoca e i templari catalani lo utilizzavano per le proprie relazioni con la Terra santa. L’Ordine del Tempio funzionava inoltre come una vera e propria agenzia di credito, in grado di raccogliere il denaro dei pellegrini in partenza per Gerusalemme, che preferivano viaggiare senza troppi averi al seguito, per poi fornirgli contanti direttamente in loco, tramite le proprie rappresentanze. Insomma, considerando anche i territori di loro proprietà sul Montjuïc e i vari possedimenti sparpagliati per tutta Catalogna (per citarne solo uno, particolarmente affascinante, il Castello di Miravet sulle rive dell’Ebro), i nostri templari avevano accumulato anche qui un discreto potere.

    Una prova? Se ora proseguite per carrer d’Ataülf, poco dopo il numero 4 troverete sulla destra un vicoletto (carrer del Timó), attualmente sbarrato da una grata. Ciò non impedisce di vedere che si tratta di un vicolo cieco, interrotto al fondo da una porta. A quanto pare, questa porta faceva anticamente parte del complesso templare e fu il re Jaume i – che era stato educato dai templari fino ai nove anni di età e li vedeva particolarmente di buon occhio – a concederne l’apertura. Secondo alcuni, essendo ricavata direttamente nelle mura romane, era una porta che metteva in comunicazione con l’esterno, permettendo dunque ai templari di muoversi liberamente dentro e fuori la città.

    La porta dei templari naturalmente non bastò a salvarli dalla disgrazia in cui cadde l’ordine con la sua dissoluzione, nel 1312. Una cinquantina di anni dopo, nel 1367, il palazzo divenne proprietà reale, assumendo, come abbiamo visto, il nome di Palau Reial Menor (per distinguerlo dal Major, in plaça del Rei). Il palazzo venne più volte ristrutturato, diventando una sovrapposizione di vari ordini architettonici, dal romanico al barocco. È solo grazie ad alcuni dipinti ottocenteschi che possiamo farci un’idea della maestosità dell’edificio, dato che, come abbiamo visto, fu abbattuto nel 1846 per volere della contessa di Sobradiel – che ne era diventata proprietaria – per fare posto a nuovi edifici per la borghesia.

    Anche la speculazione edilizia, a Barcellona, ha il suo pedigree di noblesse.

      6.

    Cercare un paio di espadrillas e ritrovarsi in

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