Ballando col milionario: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Luke Forster riconoscerebbe quel corpo e quel viso ovunque, nonostante tutto. Lui è cresciuto ammirando il suo fascino, e anche se quella che ha di fronte a sé sembra così diversa, lui sa che la vera Lucia Acosta è ancora lì, nascosta da qualche parte, in attesa solo di essere risvegliata.
Susan Stephens
Autrice di origine inglese, è un ex cantante professionista oltre che un'esperta pianista.
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Anteprima del libro
Ballando col milionario - Susan Stephens
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Man From her Wayward Past
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Susan Stephens
Traduzione di Cristina Proto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-118-8
Prologo
LA LISTA DI UNA SINGLE DI COSE DA FARE
Tutte le strade portano a Roma e l’obiettivo è uno solo: il numero 10!
1 Trovare un lavoro
2 Trovare un appartamento
3 Farsi la ceretta
4 Farsi una lampada
5 Andare dal parrucchiere
6 Farsi un nuovo guardaroba alla moda
7 Iscriversi in palestra
8 Trovarsi un grande insegnante di ballo
9 Imbavagliare i fratelli giocatori di polo
10 Trovarsi un uomo (che non giochi a polo)
Come unica ragazza di una famiglia di quattro fratelli che giocavano a polo ne avevo abbastanza di fruste, speroni e maschilismo, mattina, pranzo e sera.
1
Trovare un lavoro
Non è esattamente l’impiego che immaginavo, ma ho le mie ragioni. Quali sono queste ragioni?
In realtà mi ero procurata il lavoro ideale: assistente di direzione in un hotel londinese di lusso. Era la ciliegina sulla torta dopo aver ottenuto un buon diploma alberghiero in Argentina, dove una carriera nel settore accoglienza sembrava la scelta ovvia per me, che avevo servito per anni quattro esigenti fratelli. Ma mi sarei mangiata le mani prima di mantenermi quel lavoro andando a letto con un viscido portiere che cercava di ricattarmi minacciando di rivelare chi fosse in realtà Anita Costa.
Le persone che mi conoscevano prima di questa nota sul diario potrebbero chiedersi cosa ne è stato della piccola, ribelle Lucia, la ragazzina affascinante e divertente che animava le feste, e che ora sembra essere scesa così in basso. Se sei una di queste persone, faresti bene a continuare a leggere.
Noterai che l’unica cosa che ho conservato è il senso dell’umorismo. Una vera fortuna, dato che al momento le cose non potrebbero essere più deprimenti.
Nessuno sapeva meglio di Lucia che un locale notturno alla luce del sole era un luogo triste e brutto.
Nei giorni precedenti aveva avuto la sensazione di aver passato gran parte della vita a quattro zampe, strofinando pavimenti appiccicosi. Abbagliante e attraente di sera sotto le luci colorate, il locale, situato lungo la costa selvaggia più nota della Cornovaglia, era molto frequentato, anche grazie alla splendida spiaggia vicina. Da giovani i fratelli di Lucia avevano scorrazzato in quella zona con il loro affascinante amico Luke.
Luke... Un uomo che era fuori dalla sua portata.
E che si dava il caso giocasse a polo. E questo contravveniva al punto dieci della sua lista prima ancora di spuntare le altre voci.
«Non hai abbastanza da fare?»
Lucia scattò in piedi davanti al direttore del locale. Da giovane Van Rickter era stato una stella nel giro dei locali, come aveva spiegato a Lucia quando lo aveva implorato di darle un lavoro. Ora era un affascinante uomo di mezz’età carico di risentimento, che amava fare il prepotente con i suoi dipendenti. Lucia tornò in fretta a strofinare mentre Grace, un’altra schiava di Van Rickter, entrava nel locale.
«Ho sentito che stasera c’è una grande festa» annunciò Grace, mollando la borsa su un tavolo. «Vorrei non avere il raffreddore. Naso rosso e occhi umidi non aiutano con le mance. Speravo di incontrare un uomo favoloso che mi portasse via da tutto questo...»
Fino a poco tempo prima un accenno a una grande festa sarebbe stato una chiamata alle armi, rifletté Lucia. Aveva sempre adorato flirtare e ballare: con quattro fratelli pronti a stendere chiunque l’avesse anche solo guardata nel modo sbagliato, era cresciuta senza l’idea del pericolo e si era sentita libera di civettare come le piaceva. Al minimo accenno a una festa avrebbe indossato un tacco dodici, un vestito di una taglia troppo piccola, lustrini, ciglia e unghie finte. Ma erano altri tempi, e le cose ora erano molto diverse.
Girandosi verso Grace, vide che l’amica sembrava insolitamente pallida, quella sera. «Ti sostituisco io se non ti senti bene» le propose.
«Un altro turno subito dopo questo?» Grace scosse la testa con decisione. «Non hai smesso di lavorare da quando sei arrivata qui. Ti ammalerai se continui così. Stasera tu metti i tacchi e dai uno sguardo in giro. Accidenti... Arrivano guai» l’avvertì Grace quando tornò Van Rickter.
Mentre l’amica si affrettava sul retro per cambiarsi, Van Rickter se la prese con Lucia. «Ehi, Anita dei poveri» sogghignò. «Usa olio di gomito per strofinare. Posso sempre rimpiazzarti.»
Tutti al locale la conoscevano come Anita. Era il personaggio portoricano preferito di Lucia nel musical West Side Story. Trovare poi un cognome era stato facile. Seduta in un caffè aveva pensato: Elimina solo la A. E così Lucia Acosta era diventata Anita Costa.
Appoggiandosi le mani sulla schiena dolorante, Lucia sognò l’Argentina e la libertà infinita delle pampas. La sua casa accogliente in Sudamerica non le era mai sembrata più lontana: dopo Londra la sua vita era stata un’unica china discendente.
«Tutto bene?» trillò Grace passandole accanto con una cassa di bevande.
«Mai stata meglio.»
Lucia riprese a strofinare. Era felice di avere un lavoro in un locale dove nessuno la conosceva. Sua madre le aveva sempre detto: Mantieni la prontezza di spirito. Be’, a Londra aveva sicuramente fallito, pensando che il portiere fosse suo amico.
Era difficile credere che sua madre fosse rimasta uccisa quasi dieci anni prima in una tragica alluvione. Demelza Acosta proveniva dalla Cornovaglia, e per questo la famiglia aveva sempre passato le vacanze a St Oswalds. E per questo Lucia vi si era rifugiata.
Abbassò la testa quando Van Rickter riapparve. «È il tuo giorno fortunato, Anita» osservò sarcastico. «Ho mandato Grace a casa. Nessuno vuole una cameriera con il naso che cola sui drink, quindi servirai tu al bar stasera. E non pensare neanche di lamentarti che il tuo turno di pulizie finisce solo alle sette» la avvertì. «Avrai molto tempo per prepararti.»
Mezz’ora: per correre, lavarsi con l’acqua fredda e tornare al locale. Poteva farcela, se non mangiava. «Mi sta bene.» Aveva bisogno di soldi.
«Assicurati di ripulirti. E metti della crema sulle mani. Quelle cose grinzose farebbero passare a chiunque la voglia di champagne.»
Essere carina e pulita era più importante di uno stomaco pieno nel suo lavoro. Nessuno voleva una cameriera puzzolente, e sicuramente non avrebbe riscosso mance, ragionò Lucia, battendo i denti mentre si legava i capelli. Si era appena fatta una doccia gelata nella roulotte malridotta che aveva avuto grazie all’altro lavoro. Sì, aveva trovato non uno ma due lavori, anche se per quello che le procurava la roulotte non veniva pagata. Non ancora almeno. Stava cercando di aiutare Margaret a rimettersi in piedi: era l’anziana signora che possedeva la locanda Sundowner e l’Holiday Park, dove Lucia aveva soggiornato da bambina.
Continuando a battere i denti si strofinò con un asciugamano ruvido lanciando occhiate ansiose alla divisa di Grace. Il minuscolo completo da cameriera sembrava fin troppo piccolo. Da quando era arrivata in Cornovaglia aveva messo su peso, e la natura le aveva già regalato forme generose.
Dopo essere riuscita finalmente a strizzarsi nel top, si avvicinò diffidente ai pantaloni, come fossero un nemico da tenere a bada.
Ohi!
Anche i pantaloni attillati erano al loro posto.
Luke Forster aveva appena appoggiato gli stivali da cowboy su un tavolino da caffè nella suite del Grand Hotel di St Oswalds quando ricevette una telefonata dall’Argentina.
«Terresti d’occhio Lucia mentre ti trovi in Cornovaglia?» gli chiese Nacho Acosta, il suo migliore amico, dopo una discussione sull’ultima partita di polo.
«Lucia è in Cornovaglia?»
«Così mi ha detto» confermò Nacho.
Devo?, fu il suo primo pensiero.
Lucia era la sorella di Nacho, un guaio troppo grande per qualunque uomo.
«È andata di nuovo fuori controllo, Luke. Anche se questa volta mia sorella è stata abbastanza brava da lasciare un messaggio in segreteria con la notizia che stava rivisitando vecchi luoghi.»
Passandosi le dita tra i capelli scuri, Luke decise di aggiungere un paio di giorni alla sua agenda già zeppa. Seguire gli interessi dell’enorme fondazione benefica della famiglia, come anche giocare a polo a livello internazionale, richiedeva già abbastanza del suo tempo senza andare all’inutile ricerca della sorella ribelle di Nacho. Non che la scomparsa di Lucia fosse una novità. Unica femmina in una famiglia con quattro fratelli energici, Lucia era scappata presto, guadagnandosi la reputazione di straordinaria festaiola.
«So che è una donna adulta ora, ma mi sento ancora responsabile per lei» stava spiegando Nacho. «Lo farai per me, vero, Luke?»
Come poteva rifiutare? Nacho si era assunto la responsabilità dei suoi fratelli quando i genitori erano rimasti uccisi in un’alluvione: i fratelli, tutti più grandi di Lucia, l’avevano superata bene, e anche lei all’inizio. Ma giunta all’adolescenza...
«La troverò» gli confermò. «Se sta visitando vecchi luoghi, che mi dici della scuola?»
«Quale scuola?» chiese Nacho.
A quella battuta risero entrambi.
Estremamente intelligente e indisciplinata, Lucia aveva ridotto a pezzi diversi presidi. «Se si trova in Cornovaglia» mormorò, riflettendo ad alta voce, «non dovrebbe essere difficile trovarla. Il villaggio è deserto, a parte il locale. Lasciami seguire un’intuizione» disse, ricordando Lucia ballare alle nozze. Quella ragazza sapeva muoversi.
«Non posso chiederti di più.»
Ripresero a parlare di polo, ma Lucia aveva preso possesso della mente di Luke. Entrambe le madri venivano dalla Cornovaglia e le due famiglie si erano incontrate ogni anno, trascorrendo le vacanze nella stessa pittoresca locanda sulla costa frastagliata.
Il Sundowner aveva eccellenti scuderie e un accesso diretto alla spiaggia. La locanda era intima e privata, e la proprietaria trattava ogni famiglia come la propria: un dettaglio che il denaro non poteva comprare.
Luke amava molto la Cornovaglia. Era felice di esserci tornato per lavoro: era l’unico posto in cui si sentiva libero. Forse da ragazzo non se n’era reso conto, ma quando aveva galoppato sulla spiaggia con i fratelli di Lucia era stato se stesso. Ora che aveva successo voleva recuperare quelle sensazioni di euforia e libertà.
«Fammi sapere appena scopri qualcosa, Luke» insistette Nacho. «Ti invidio perché ti trovi a St Oswalds. Ricordi come abbiamo sconvolto la spiaggia su quei pony selvaggi?»
«Come potrei dimenticare? Torneresti se ripristinassi il Polo sulla spiaggia?»
«Puoi scommetterci» gli assicurò Nacho.
Con la partecipazione di uno dei migliori giocatori al mondo, il suo progetto stava già prendendo forma, ma mentre Nacho continuava a parlare del polo in Cornovaglia, Luke seguitava a pensare a Lucia.
Lui e Lucia erano così diversi. Luke era figlio unico, educato, elegante e obbediente, e da ragazzo gli Acosta gli erano sembrati un gruppo esotico, con gli occhi scuri scintillanti e uno straordinario talento per l’equitazione. Si era messo in testa di correre sulla spiaggia come