Alta marea
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In uno scenario denso di intrighi, inganni e lotte per il potere, s’intrecciano le vicende di Ramon Arada, uno dei capi della rivolta, sua sorella Veronica, bellissima e fragile, suo marito Jorge, proprietario terriero e medico di fama che non vuole perdere i propri privilegi, e Julian Dewers, ingegnere americano innamorato di Veronica.
Sotto il caldo sole dei Tropici si accende la passione fra Veronica e Julian, mentre ai vertici del potere si tessono oscure trame e il paese rischia di precipitare verso la catastrofe.
L’amore dei due amanti appare senza speranza, ma proprio quando tutto sembra perduto accade l’inaspettato…
Alta Marea, romanzo contemporaneo, già pubblicato da Editrice Nord nella “Collana Romantica” nel 1997, viene ora riproposto con una nuova veste grafica in una nuova edizione in formato digitale.
Alexandra J. Forrest è lo pseudonimo con cui Angela Pesce Fassio firma i suoi romance storici. Nata ad Asti, dove risiede tuttora, è un’autrice versatile, come dimostra la sua ormai lunga carriera e la varietà della sua produzione letteraria.
L’autrice coltiva altre passioni, oltre alla scrittura, fra cui ascoltare musica, dipingere, leggere e, quando le sue molteplici attività lo consentono, ama andare a cavallo e praticare yoga. Discipline che le permettono di coniugare ed equilibrare il mondo dell’immaginario col mondo materiale.
I suoi libri hanno riscosso successo e consensi dal pubblico e dalla critica in Italia e all’estero.
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Anteprima del libro
Alta marea - Alexandra J. Forrest
Alexandra J. Forrest
Alta marea
Romanzo
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Alta marea
I edizione digitale: giugno 2018
Copyright © 2018 Angela Pesce Fassio
Tutti i diritti riservati. All rights reserved.
Sito web
ISBN: 9788828335498
Copertina:
Archivio fotografico: 123RF | Konstantin | Michal Bednarek
Modelli: Period Image | Jax e Max
Progetto grafico: Consuelo Baviera
Sito web
Edizione digitale: Gian Paolo Gasperi
Sito web
1
Gualamera, capitale dell’Orinagua, America Latina
Guardando la propria immagine riflessa nello specchio, Veronica trasse un profondo sospiro.
Non provava alcun entusiasmo all’idea di recarsi al ricevimento dei Calveras, che erano abitualmente noiosi e frequentati da persone che non le erano gradite. Ma suo marito aveva così tanto insistito che non aveva potuto esimersi dall’accompagnarlo.
Jorge non partecipava mai da solo a una serata mondana e non riusciva a capire come lei potesse rinunciare senza rimpianti all’occasione di frequentare il bel mondo della capitale per rimanere a casa e immergersi nella lettura di un libro, oppure per ascoltare musica.
Dopo il suo lavoro, Jorge amava i cavalli da corsa, le partite di polo, le feste e le belle donne, il tutto non necessariamente in quest’ordine, come lei ormai ben sapeva. All’inizio era stato difficile e doloroso rendersi conto che non era l’unica donna della sua vita, ma a poco a poco ci aveva fatto l’abitudine e ora non le importava più. Erano buoni amici, sebbene avessero pochi interessi in comune, e il loro matrimonio non era peggio di tanti altri. Forse un giorno quel precario equilibrio si sarebbe spezzato, ma fino allora tutto sarebbe continuato come sempre.
Si passò un velo di cipria sul viso con un gesto meccanico, smarrita dietro le proprie riflessioni. Rimpiangeva di non aver potuto avere figli, ma dopo il terzo aborto gli specialisti a cui si erano rivolti avevano sconsigliato di compiere altri tentativi. Veronica si era rassegnata, ma Jorge si era sentito come defraudato del suo diritto di avere un erede e non era stato capace di perdonarla. Era stato proprio allora che fra loro avevano cominciato a crearsi dei dissapori, delle piccole incrinature che avevano minato il loro matrimonio. Nonostante ciò, Jorge le aveva detto chiaramente che non intendeva divorziare e lei era stata costretta ad accettare quella convivenza inquinata da compromessi, che sempre più spesso ormai sentiva intollerabile.
Si scosse dalle amare riflessioni in cui era immersa per finire di truccarsi. Mentre dava un ultimo tocco ai riccioli scuri entrò Jorge, già in abito da sera.
«Sei pronta, mia cara?» le chiese con un sorriso.
«Lo sarò fra qualche minuto», rispose alzandosi e lasciando scivolare sulla moquette la vestaglia di seta color crema. Le sue movenze aggraziate ricordavano quelle di un felino e lui ammirò il corpo statuario, rivelato più che celato dal pizzo della biancheria intima, senza però provare il minimo desiderio.
«Sei sempre splendida, Veronica», osservò.
«Merito degli esercizi in palestra.» Indossò l’abito di raso grigio perla che la cameriera aveva preparato e voltò le spalle. «Mi chiudi la lampo, per favore?»
Lui esaudì la richiesta, poi disse: «Ho qui un piccolo regalo. Spero che ti piaccia». Le porse un astuccio di pelle nera e lei lo prese.
«Che cos’è?» chiese facendone scattare la chiusura. Al sollevarsi del coperchio, i diamanti sfavillarono sotto le luci come una cascata di freddo fuoco iridescente. «Oh, ma sono davvero stupendi!» esclamò lei sorpresa.
«Vorrei che li indossassi questa sera.»
«Non ci rinuncerei per nulla al mondo», disse con un sorriso.
Jorge le agganciò al collo il gioiello, poi la guardo soddisfatto. «I diamanti sono perfetti su di te.»
«I diamanti sono perfetti per qualsiasi donna, purché se li possa permettere», ribatté con un sospiro. Jorge era sempre molto generoso e la colmava di regali costosi. Peccato che assai spesso quei doni significassero che stava per allacciare un’altra relazione. Era una specie di rituale che ormai conosceva bene e che suo malgrado continuava a ferirla.
«Ti aspetterò in salotto. Vuoi che ti prepari qualcosa da bere?» le chiese avviandosi verso la porta.
«No, grazie. Immagino che ci serviranno liquori in abbondanza dai Calveras e preferisco non eccedere.»
«Come preferisci. Non ti attardare troppo, ti prego. Lo sai che mi piace arrivare puntuale.»
«Concedimi ancora cinque minuti e sarò pronta.»
Lui le fece un cenno d’assenso e uscì.
Mentre si drappeggiava sulle spalle la sciarpa di mussola, Veronica si chiese chi potesse essere questa volta la nuova fiamma di suo marito. L’ultima, in ordine di tempo, era stata una modella californiana che era transitata nella sua vita rapida come una meteora, una passione bruciante consumata nell’arco di poche settimane. Jorge, lei lo sapeva bene, non era un tipo costante.
Poco tempo dopo lasciarono la villa a bordo della limousine. Al volante c’era Benito, l’autista che era alle loro dipendenze da molti anni e nel quale Jorge riponeva la massima fiducia.
Era una notte di plenilunio, chiara e serena. Il vento sussurrava fra le palme, il mare, simile a una colata d’argento fuso, riversava piccole onde crestate di spuma sulla sabbia bianca della lunga spiaggia. Le auto sfrecciavano sul nastro stradale che attraversava l’elegante zona residenziale e in lontananza si scorgevano le variopinte e ammiccanti luci dei grattacieli, snelle torri di cemento armato, acciaio e cristallo che si stagliavano contro il cielo.
Jorge si voltò per scrutare il volto di sua moglie nella penombra dell’abitacolo. Adagiata contro il sedile, Veronica lasciava scorrere lo sguardo fuori dal finestrino e sembrava assorta in chissà quali pensieri. Era abituato ai suoi lunghi silenzi, ma talvolta avrebbe desiderato che parlasse con lui come faceva una volta. Spesso il suo freddo distacco lo turbava e si domandava che cosa si nascondesse, in realtà, dietro quell’indifferenza. Veronica era una donna per molti versi straordinaria e l’ammirava profondamente. Con molta signorilità aveva saputo accettare le sue numerose amanti e aveva continuato a essere per lui una buona moglie. Jorge era certo che, nonostante tutto, gli fosse rimasta fedele. Veronica aveva troppa classe per tradirlo soltanto per il gusto di rendergli la pariglia. Qualche volta provava un vago rimorso per il suo deplorevole modo di comportarsi, ma non tanto da indurlo a cambiare. E in fondo Veronica sapeva di essergli necessaria.
«Chi ci sarà dai Calveras?» chiese lei a un tratto infrangendo il silenzio e distogliendolo dalle proprie considerazioni.
«I soliti, credo. Probabilmente anche i Montoya. Ho saputo che sono tornati dalla Polinesia un paio di giorni fa.»
«Ci sarà anche il tuo amico Gamora?»
«Gamora non è mio amico», replicò lui lanciandole un’occhiata.
«Davvero? Avrei scommesso il contrario.»
«Invece ti sbagli. Il generale Gamora non mi piace più di quanto piaccia a te, ma le relazioni con le persone come lui possono rivelarsi estremamente utili. Anzi, a questo proposito ti sarei grato se volessi mostrarti un po’ meno scostante. Ogni volta che lo incontriamo ti comporti come un’istrice.»
«Lo sai che non riesco a fingere, Jorge. Gamora è un individuo spregevole, viscido e repellente.»
«Non ti pare di esagerare? Il generale Gamora non sarà uno stinco di santo e ammetto che i suoi metodi sono discutibili, tuttavia…»
«Mio caro, definirli discutibili è un vero e proprio eufemismo. Non è un segreto per nessuno che è il capo della Polizia Segreta e che si occupa degli affari più loschi su incarico del Presidente. È un aguzzino feroce e spietato.»
«Compie soltanto il proprio dovere. Non è un delitto servire lo Stato e far rispettare la legge.»
«È un boia e un carnefice», dichiarò lei seccamente.
«Ti prego, non parlare così», la rimproverò lui preoccupato.
«Qui non ci può sentire nessuno», ribatté lei scoccandogli un’occhiata. «E poi non lo sto calunniando.»
«No, stai dicendo cose che potrebbero mettere a repentaglio la nostra sicurezza. Hai forse qualche motivo per lamentarti?»
«Io no, ma molta gente sì. Per esempio tutti coloro che sono stati arrestati e gettati in galera proprio da Gamora.»
«La gente di cui parli dovrebbe semplicemente finirla di contestare il sistema e di voler cambiare le cose a ogni costo. Qui non siamo negli Stati Uniti.»
«Già, in questo paese soprusi, ingiustizie e miseria vanno di pari passo. Qui non c’è democrazia, non si è liberi di esprimere la propria opinione… Come si può non desiderare di lottare per cambiare le cose?»
«D’accordo, la realtà di questo paese è molto dura e la giunta militare al potere non permette che si alzi la testa, ma visto che non si possono attuare dei cambiamenti, almeno per ora, tanto vale adattarsi.»
«Tu vorresti che tutti fingessero di ignorare quello che accade, ma la gente non ne può più. Il potere, la ricchezza e i privilegi sono nelle mani di pochi e qualcuno comincia a chiedersi perché.»
«Hai una soluzione a questo problema?»
«Purtroppo no, ma non chiedermi di dimostrare amicizia o stima per un individuo come il generale Gamora.»
«Non me lo sognerei mai, mia cara. Vorrei soltanto che fossi meno ostile. È un uomo potente e potrebbe procurarci molti fastidi.»
«È questo che ti preoccupa, non è vero? Temi di veder minacciata la tua posizione e sei disposto a strisciare davanti a Gamora pur di guadagnarti la sua simpatia.»
«Io non striscio davanti a nessuno, ricordalo! Un Vargas de la Fuente non ha bisogno di favori, semmai ne concede.»
Veronica rimase in silenzio per alcuni minuti, il viso girato verso il finestrino. Poi tornò a guardarlo e chiese: «Perché non ce ne andiamo da qui, Jorge? Siamo ricchi e liberi di andare a vivere dovunque ci piaccia.»
«Dove vorresti andare?»
«Negli Stati Uniti, per esempio. Potremmo trasferirci in California.»
«Se espatriassimo come suggerisci tu, probabilmente dovremmo lasciare qui ogni cosa. La legge non consente l’esportazione di capitali all’estero.»
«Non saremo certo poveri. Dimentichi che abbiamo delle proprietà anche negli States?»
«No, ma io non voglio abbandonare il mio paese. Questa è la terra dei miei avi ed è anche la mia. Se vuoi fare un viaggio negli Stati Uniti, non ho nulla in contrario, ma l’espatrio è tutt’altra cosa. Detesto ripetermi, Veronica, ma questi sono discorsi pericolosi.»
«Sta’ tranquillo, so tenere nascoste le mie opinioni.»
«Me lo auguro. Se dovessi lasciarti sfuggire qualcosa…»
«Non metterò in pericolo la tua posizione, né il prestigio della tua famiglia, te lo assicuro», ridacchiò lei.
«Non scherzare su queste cose. Gamora ha spie dovunque e tu lo sai benissimo. Non sfidarlo, per favore.»
«Qualcuno, prima o poi, lo farà.»
«Veronica… hai visto o sentito tuo fratello, di recente?» le chiese a un tratto.
Lei scosse il capo. «No, perché? Ah, credo di capire. Tu pensi che possa avermi influenzata. No, non temere mio caro, non ho sue notizie da quasi tre anni. Non ho la più vaga idea di dove si trovi attualmente, ammesso che sia ancora vivo.»
«Meglio così, ma se per caso dovesse tornare… o chiamarti, devi promettere che non lo vedrai.»
«Come puoi chiedermi questo? Ramon è mio fratello e io gli voglio bene. Lui è tutto ciò che resta della mia famiglia.»
«D’accordo, se proprio non potrai farne a meno ti concedo di vederlo, ma non farti coinvolgere per nessuna ragione. Te lo chiedo come favore personale. Ramon ci procurerebbe soltanto dei guai.»
«Va bene, ti prometto che non lo seguirò in una delle sue crociate. Sei contento?»
Una decina di minuti dopo la limousine entrava nel parcheggio privato del palazzo dei Calveras.
Jorge e Veronica scesero dall’auto e il custode in livrea li guidò verso l’atrio silenzioso ed elegante. I Calveras, ricchissimi proprietari terrieri, si erano trasferiti di recente in quella costruzione che avevano fatto ristrutturare e che era tornata al suo antico splendore.
L’enorme salone in cui la coppia fece il suo ingresso era gremito di ospiti. Gli abiti da sera e i gioielli sfavillavano sotto le luci dei preziosi lampadari di cristallo di Boemia. Nell’aria si mescolavano profumi, suoni di voci e risate, accompagnati dalle note musicali della piccola orchestra che suonava nel salone attiguo. Dai Calveras, quella sera, era riunita quasi tutta l’aristocrazia terriera e industriale della capitale.
La padrona di casa, elegantissima e affascinante, andò loro incontro per accoglierli con la consueta cordialità.
«Miei cari, sono felicissima di vedervi», disse con un luminoso sorriso.
«Come stai, Dolores?» le chiese Jorge baciandole la mano.
«Molto bene, grazie», gli rispose, mentre il suo sguardo si spostava su Veronica. «Tesoro, sei un vero incanto!» esclamò. «E che diamanti! Un altro regalo principesco del tuo Jorge, non è vero?»
«Sì, infatti. È stata una sorpresa molto piacevole. Ti trovo in splendida forma, Dolores. Spero che uno di questi giorni mi dirai il nome del tuo chirurgo estetico, così potrò andarci anch’io se mai ne avrò bisogno.»
«Che cara! Sei sempre tanto spiritosa, Veronica. Accomodatevi e andate a salutare gli altri amici. Credo che li conosciate tutti.» Indicò con un cenno il salone e si dileguò.
Non appena si inoltrarono in mezzo agli invitati, furono letteralmente circondati da amici che li salutarono calorosamente e che si trattennero a parlare con loro, poi si scambiarono un cenno di tacita intesa e si separarono.
Jorge intravide la bionda Eunice e fece in modo di attirare la sua attenzione. Lei sorrise al vederlo e dopo essersi scusata con i due uomini che la stavano intrattenendo, si allontanò dirigendosi verso di lui. Al suo passaggio Eunice attirava sguardi pieni d’ammirazione e Jorge sentì di desiderarla pazzamente. La ragazza era consapevole dell’effetto che produceva e camminava a testa alta, muovendosi con la grazia sinuosa di una pantera.
«Jorge, carissimo, come stai?» gli chiese fermandosi di fronte a lui. L’abito nero e molto scollato le aderiva come una seconda pelle e sottolineava le sue curve mozzafiato.
«Molto bene, grazie. Sei sola?»
«No, naturalmente. E tu?»
«Neanch’io, sono venuto con mia moglie.»
«Ah, la tua deliziosa consorte. Siete arrivati da molto?»
«No, saranno dieci o quindici minuti. Andiamo a bere qualcosa?»
«Volentieri», rispose prendendolo sottobraccio. Eunice aveva una voce calda, incredibilmente sensuale. Ogni volta che la udiva Jorge si sentiva assalire da un fremito.
Si diressero verso il buffet allestito in una saletta adiacente. Lui la teneva così stretta che poteva percepire il calore del suo corpo attraverso il tessuto dell’abito e quel contatto lo eccitava.
Sorseggiarono dello spumante ghiacciato. I loro sguardi s’incontrarono al di sopra delle coppe e si trasmisero un inequivocabile messaggio erotico.
«Troviamo un posto un po’ più appartato, vuoi?» chiese lei sottovoce.
«Non possiamo andarcene senza farci notare», replicò lui.
«Lo so, ma potremmo andare in biblioteca. Portami via di qua, Jorge.»
Lui non se lo fece ripetere e la prese per mano guidandola attraverso il salone e i gruppetti che si erano formati. Lasciò scorrere attorno lo sguardo distrattamente, senza soffermarsi su nessuno in particolare.
Veronica stava conversando con alcune persone che conosceva superficialmente e non badava a lui. Rideva, beveva champagne e sembrava divertirsi.
Nel momento in cui stavano per uscire dal salone e varcare la soglia della biblioteca, Jorge vide che il generale Gamora gli stava facendo segno di raggiungerlo. Sospirò imprecando fra sé.
«Che cosa c’è?» chiese Eunice avvedendosi della sua esitazione.
«Mi spiace, ma devo lasciarti. Gamora vuole parlare con me.»
«Proprio adesso?»
«Sì. Scusami, ma non posso esimermi.»
«Ti aspetterò.»
Jorge le sorrise e si allontanò a malincuore.
«Caro dottor Vargas», gli disse il generale con il suo raccapricciante sorriso da squalo. «Mi duole d’aver interrotto la sua conversazione con la bella signorina Serrano, ma desidero scambiare qualche parola con lei.»
«È un piacere, generale», rispose Jorge con un sorriso forzato. Era costretto a mostrarsi cortese e rispettoso nonostante dentro di sé avesse una gran voglia di mandarlo al diavolo.
Nel frattempo, Veronica riuscì a liberarsi di alcuni conoscenti petulanti e dall’insistenza di un paio di corteggiatori tediosi per rifugiarsi in un angolo relativamente tranquillo. Aveva chiacchierato con un numero imprecisato di persone noiose e sorriso a battute insulse fino a farsi dolere le mascelle. Era stanca e se ne sarebbe andata volentieri se soltanto le fosse stato possibile farlo senza urtare la sensibilità dei padroni di casa. Jorge era sparito e riteneva che si trovasse in piacevole compagnia. Come aveva previsto, la serata prometteva di essere uno strazio.
«Ah, eccoti, finalmente!» esclamò Dolores con voce squillante. «Che ci fai qui tutta sola? Vieni con me, voglio farti conoscere una persona.»
«Non potremmo rimandare a un altro momento? Ho una terribile emicrania», rispose con un sospiro.
«Ti procurerò un paio di aspirine, ma devi assolutamente conoscere questo giovanotto affascinante. Coraggio, vieni», insistette l’amica senza lasciarsi scoraggiare.
«D’accordo», accondiscese rassegnata.
Il giovanotto in questione stava ammirando il ritratto equestre di Don Diego Calveras, il trisavolo di Enrique, il marito di Dolores. Mentre si avvicinavano Veronica lo osservò suo malgrado con curiosità. Era alto, con le spalle larghe e una solida muscolatura atletica. Folti capelli scuri s’arricciavano sul collo della giacca da sera di taglio impeccabile che lui indossava con elegante noncuranza. Quando volse il viso per guardarle e sorrise, Veronica scoprì che era esattamente come l’aveva immaginato: bello, molto maschio, dotato di un fascino pericoloso. La sua sfrontata sicurezza era paragonabile a quella di un corsaro, oppure di un giovane stallone selvaggio. I suoi occhi grigio acciaio la scrutarono a lungo e lei provò una strana sensazione di vulnerabilità. Emanava un fluido magnetico al quale era impossibile resistere.
«Julian», disse Dolores infrangendo l’incantesimo. «Voglio presentarti una mia carissima amica…»
2
Il giovane le baciò la mano. «Sono felice di conoscerla signora Vargas.»
«È un piacere anche per me, signor Dewers», rispose sottraendosi con garbo alla sua stretta prolungata.
«Julian è ingegnere minerario e vive nel Texas. È venuto qui su invito del governo per compiere delle ricerche geologiche nel territorio di Capo Nigro. È una delle zone più impervie e ostili dell’Orinagua, ma è anche molto suggestiva.»
«Il vostro è un paese ricco di contrasti, e sebbene finora non abbia potuto visitarlo a fondo, sento che mi conquisterà.»
«Scusatemi, ma devo lasciarvi ora. I miei doveri di padrona di casa mi reclamano», disse Dolores con un sorriso. Si dileguò rapidamente lasciandoli soli.
Dopo alcuni istanti di imbarazzato silenzio durante i quali si limitarono a guardarsi e a studiarsi, Veronica propose di sedere.
«Non vorrebbe ballare?» chiese lui.
«No, grazie, preferisco di no.»
«La prego di scusare il mio pessimo spagnolo, ma ho fatto un corso accelerato prima di partire e ora dovrò perfezionarlo.»
«Se la cava piuttosto bene, ma se vuole potremo parlare in inglese.»
«No, lei è molto gentile, ma devo fare esercizio.»
«D’accordo», sorrise lei. «Perché non mi racconta qualcosa di sé?»
«Cominci lei. Dolores mi ha dato qualche notizia, ma è stata alquanto vaga e le confesso che vorrei conoscerla meglio.»
«Nella mia vita non c’è niente che valga la pena di essere raccontato.»
«Mi è difficile crederlo. Penso piuttosto che lei sia troppo modesta. È sposata vero?»
«Sì, da dieci anni.»
«Ed è felice?»
«Felice? Non saprei. Lo sono stata, all’inizio, ma poi col tempo sono cambiate tante cose… Il mio è un matrimonio che può definirsi solido. Tutto qui.»
«Avete figli?»
«No, non ne abbiamo.»
«Questo l’addolora molto, mi pare di capire.»
«Sì, è vero. Avrei desiderato dei bambini, e mio marito pure. La prego, cambiamo argomento.»
«Sono stato indiscreto, mi scusi.»
«Non fa niente», sospirò lei.
Julian la guardò, pensando che era la donna più affascinante che avesse mai incontrato. Era incantevole e la sua aria distaccata la rendeva ancora più seducente. Nei suoi occhi scuri c’erano ombre indefinibili che le conferivano un tocco di mistero. Si chiese se non vi fosse qualche punto debole nell’algida torre d’avorio che aveva eretto intorno a sé per proteggersi e si ripromise di scoprirlo.
«Non voglio essere scortese nei riguardi di Dolores, ma questa festa è mortalmente noiosa», disse dopo qualche istante. «Verrebbe con me a fare una corsa in macchina?»
«Che genere di proposta è?» chiese Veronica scrutandolo con gli occhi socchiusi.
«Una semplice proposta amichevole, niente di più. Fuori da questo mausoleo potremmo conoscerci meglio.»
«La ringrazio, ma non è possibile. Non sarebbe educato andarsene alla chetichella. Inoltre, non sono sola.»
«Allora potremmo rimandare a domani, che ne dice? Ho qualche ora a disposizione per fare il turista e mi piacerebbe visitare la città insieme a lei.»
«Temo di non poter accettare, mi spiace. Ho degli altri impegni per domani.»
«In tal caso, le telefonerò e mi dirà quando sarà libera.»
«Va bene, telefoni pure.»
«Non ho il suo numero e…»
«Sono sicura che saprà scoprirlo se davvero le interessa…» In quel momento vide Jorge in compagnia del generale Gamora e fu assalita da un brivido improvviso. Il lampo di smarrimento che per un istante attraversò i suoi occhi non sfuggì al giovane.
«Qualcosa non va?» le chiese.
«Cosa? Oh, no, no, non c’è niente», rispose alzandosi di scatto, incapace di controllare l’oscura inquietudine che l’aveva pervasa. «Devo andare, mi scusi.»
Si allontanò rapidamente, seguita dallo sguardo stupito del giovane, che non seppe trovare una spiegazione al suo strano comportamento. La vide raggiungere i due uomini che stavano parlando presso l’arco di una porta. Uno di essi indossava un’uniforme grigia ornata di mostrine: un generale. Probabilmente era lui la causa dell’improvviso turbamento, ma perché? Chi era quell’uomo per incuterle tanto timore?
«Qualcosa da bere, signore?» gli chiese un cameriere distogliendolo dalle sue riflessioni.
«Sì, grazie», rispose Julian prendendo un bicchiere. Sorseggiò lentamente la bibita continuando a osservare Veronica e non si avvide che Dolores gli si era avvicinata.
«Qualcosa non va, Julian?» chiese la padrona di casa aggrottando la fronte.
«No, mi stavo solo chiedendo chi è il generale che sta parlando con Veronica Vargas e suo marito.»
«È il generale Gamora, l’uomo più potente del paese. Non te l’ho presentato?»
«No, ma non importa. C’è qualcosa di inquietante in lui. Ho la sensazione che Veronica ne abbia paura.»
«Tu hai troppa immaginazione, mio caro.»
«È possibile», ammise lui con un sorriso. «Forse è perché non ho mai avuto molta simpatia per i militari.»
«Davvero? Credevo che avessi prestato servizio nell'esercito.»
«Appunto. Proprio per questo non mi piacciono.»
«Temo che ti dovrai adattare. Qui da noi sono loro che hanno il potere.»
«Ma questo paese ha un presidente eletto dal popolo», obiettò il giovane.
«Sì, ma la politica in Orinagua è una faccenda molto complessa. Il presidente eletto è un uomo del generale Gamora e fa soltanto ciò che lui gli dice di fare. In realtà non ha alcun potere esecutivo.» Sorrise e lo prese sottobraccio. «Ora basta parlare di cose serie, mio caro, voglio che tu ti diverta. Vieni, c’è un’amica che desidero farti conoscere. Veronica è troppo seria per te.»
«Veronica è una donna affascinante», dichiarò lui seguendola.
«Lo so, e non sei certo il solo a subire il suo fascino, ma è anche irraggiungibile e sprecheresti inutilmente il tuo tempo se cercassi di fare breccia nel suo cuore. Credimi, io la conosco molto bene.»
Poco dopo Dolores lo lasciò in compagnia di una graziosa brunetta. Si chiamava Marisol Consalves ed era studentessa di architettura. Julian la trovò simpatica e quando lei gli presentò alcuni suoi amici dell’università si lasciò coinvolgere in un’interessante discussione e cominciò a divertirsi sul serio. Solo molto più tardi, cercando Veronica fra gli invitati, s’accorse che se n’era andata e provò un certo rammarico.
A bordo della limousine che li riconduceva a casa, Veronica serrò le braccia intorno al corpo, improvvisamente assalita da una sensazione di freddo. Si sentiva sempre così ogni volta che incontrava il generale Gamora e quel gelo che le strisciava sulla pelle le procurava un disagio talmente profondo da provare un vago senso di nausea.
«Hai freddo, cara?» le chiese Jorge accorgendosi che tremava.
«Un po’. Ti sarei grata se chiudessi il condizionatore», rispose lei.
«Ma certo», annuì premendo un pulsante. Furono sufficienti pochi secondi perché l’atmosfera nell’abitacolo diventasse più calda. «Va meglio ora?»
«Sì, grazie.»
«Sei sicura di stare bene? Mi sembri pallida.»
«Ho soltanto un po’ di emicrania, ma passerà non appena potrò distendermi.» Lasciò scorrere qualche momento di silenzio, poi chiese: «Di che cosa ti ha parlato il generale Gamora?»
«Abbiamo discusso di politica, soprattutto, ma anche della prossima festa nazionale e del viaggio in Argentina del presidente. Più o meno le solite cose.»
«Non ti ha chiesto notizie di… mio fratello?»
«È questo che ti preoccupa?» domandò lanciandole un’occhiata. Veronica annuì lentamente e lui sorrise. «Non ha accennato neppure lontanamente a Ramon. In fondo sono trascorsi quasi sei anni dall’attentato ed è probabile che Gamora non ci pensi più.»
«Tu lo credi davvero, Jorge? Io sono convinta che il nome di mio fratello sia il primo della sua personale lista nera. Gamora non è tipo da dimenticare facilmente. Sta solo aspettando che Ramon compia un passo falso per vendicarsi.»
«Secondo me ti preoccupi eccessivamente. Ramon potrebbe trovarsi in qualche lontano e sperduto angolo del mondo a combattere qualche guerricciola, oppure ha cambiato identità e connotati per vivere un’esistenza anonima e tranquilla negli Stati Uniti. Potrebbe persino essere morto. Di certo non ha intenzione di tornare in Orinagua e rischiare di finire sulla forca.»
«Forse sono troppo apprensiva», ammise lei con un sospiro. «Tuttavia ho la sensazione che Gamora mi sorvegli aspettando che Ramon e io commettiamo un errore per prenderci in trappola. Quell’uomo mi incute paura.»
«Suvvia, tesoro, non ti pare di esagerare? Fuori dall’ambito del suo lavoro il generale è una persona normale. È sempre cortese, affabile e pieno di deferenza, specie nei tuoi riguardi.»
«È proprio questo che mi spaventa. Preferirei dover affrontare il suo rancore, piuttosto che subire il suo comportamento quasi umile che serve a nascondere ciò che sente realmente.»
«Sono certo che i tuoi timori sono infondati, ma in ogni caso ci sono io a proteggerti. In questo paese i Vargas de la Fuente contano ancora qualcosa e un qualunque generale, per quanto potente, non riuscirà a nuocerti.»
«Ti sono molto grata per la tua pazienza, Jorge. Non dev’essere facile per te essere sposato con la sorella di un guerrigliero sul quale pende una condanna in contumacia.»
«Tu non sei responsabile delle azioni di tuo fratello e