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Il Bologna di padre in figlio: Diario di una passione che non conosce retrocessioni
Il Bologna di padre in figlio: Diario di una passione che non conosce retrocessioni
Il Bologna di padre in figlio: Diario di una passione che non conosce retrocessioni
E-book500 pagine7 ore

Il Bologna di padre in figlio: Diario di una passione che non conosce retrocessioni

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Info su questo ebook

Questo è “diario di una passione”, passione per il calcio e in particolare per la squadra del Bologna (nata anni dopo la conquista dell’ultimo scudetto), che spesso diventa quella che viene comunemente definita “la malattia del tifoso”. Non un percorso da irriducibile, ma un’irresistibile attrazione per l’adrenalina sprigionata dall’evento sportivo. La “malattia” del padre è stata tramandata anche al figlio quindicenne, con il quale condivide ansie ed emozioni per la propria squadra, il Bologna, e per il mondo del calcio in generale. L’orgoglio di essere bolognesi, di rappresentare una gloriosa squadra che “tremare il mondo faceva” e che purtroppo oggi fa tremare dalla paura solo i propri tifosi.
L’autore fa una vera e propria cronaca di una stagione calcistica finita malissimo, vista oltre la rete, sui gradoni degli stadi, sulle autostrade, in improbabili punti di ritrovo, nelle lunghe settimane tra una partita e un’altra. Non manca di approfondire alcuni aspetti del complesso mondo ultras, solo sfiorato e mai condiviso, forse per questo analizzato in modo lucido, con un occhio privo dei condizionamenti tipici dell’appartenenza o del totale distacco. E parallelamente ci riporta anche uno spaccato di vita reale ai tempi della crisi economica, narra le difficoltà della sua famiglia così come di tante altre famiglie italiane, della crescita di un adolescente, del suo difficile percorso nel calcio giocato in una squadra giovanile dilettantistica; e analizza il perché il calcio sia così importante nella nostra società, quali vuoti va a riempire ancora per tante persone.
Uno scritto partorito in nove lunghi mesi, cresciuto settimana dopo settimana, senza cercare coerenza e formalità, ma semplicemente fotografando le emozioni scaturite dall’amore per la squadra della propria città.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ott 2015
ISBN9788861556249
Il Bologna di padre in figlio: Diario di una passione che non conosce retrocessioni

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    Anteprima del libro

    Il Bologna di padre in figlio - Claudio Baratta

    Claudio Baratta

    Il Bologna

    di padre in figlio

    Diario di una passione che non conosce retrocessioni

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

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    www.giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-624-9

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2015

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.

    Dedicato a tutti quelli per i quali il Bologna è una cosa importante,

    e sono tanti, che avrebbero tante cose da dire

    ma che non hanno mai voluto o saputo scrivere.

    Premesse

    Noi ci siamo ancora e ci saremo sempre, anche senza la pezza e con le pezze al culo. Ci saremo per cercare di far capire ai giovani cosa eravamo e cosa rappresentavamo, con la nostra spavalderia, la nostra rabbia e anche le nostre contraddizioni.

    (Un ultras anonimo, in servizio permanente da molti anni).

    È come quando non vedi la tua fidanzata da un po’… avete litigato, ma nel tuo cuore c’è posto solo per lei… e arriva il giorno che sai che lei è là… e che potresti rivederla… e allora ti fai bello...

    Cerchi di cancellare tutto quello che di brutto c’è stato e ti riempi solo dei ricordi più dolci, quelli che non ti fanno dormire la notte, che ti tolgono il respiro ogni volta.

    Sabato prossimo il nostro amore è a Sestola… facciamoci belli e andiamo a dimostrarle quanto la amiamo.

    Vogliamo quella collinetta piena.

    Per farle vedere chi siamo e cosa è lei per noi.

    Avanti Andrea Costa fino alla fine.

    (Un innamorato pazzo dei nostri colori, in crisi di astinenza dopo poche settimane dalla fine del campionato).

    Era la stagione 2007/2008 in quel periodo non ero fidanzato e mi vedevo talvolta con una ragazza, un venerdì dopo aver cenato da lei ad una certa ora prendo la mia roba e mi dirigo verso la porta, a quel punto lei mi chiede dove sto andando e io con molta naturalezza gli dico vado a Messina. Lei con occhi increduli mi domanda a fare cosa e io gli rispondo con altrettanta naturalezza a vedere il Bologna... a quel punto con immenso stupore mi dice: Tu te ne vai da qua per vedere 22 uomini che rincorrono un pallone???... a quel punto io rispondo: No io me ne vado da qua per seguire altri 49 uomini che credono nel mio stesso ideale e dopo quella frase mi lascio la porta alle spalle e da quel momento non la rivedo mai più. Questo per dire che chi sceglie di fare la nostra vita si troverà sempre a dover vivere con dei sacrifici, quante volte sono partito dalla mia città mentre tutta la mia balotta era a far serata senza di me, quante volte sono partito con il buio e sono tornato con il buio, quante volte sono andato diretto al lavoro, quante volte l’ho fatto e quante volte finché potrò lo farò... Non tutti vivono lo stadio nella stessa maniera, ma tutti per viverlo sacrificano qualcosa nella vita… Potevo essere tante cose nella vita ma ho scelto di essere semplicemente me stesso... Lunga vita agli ULTRAS.

    (Considerazioni di un giovane ultras rossoblu).

    Prefazione

    Ci siamo, dopo aver cullato per molto tempo l’idea di un libro che documenti un anno di passioni attorno alla nostra squadra del cuore, il Bologna F.C., a quattro giorni dall’inizio del campionato 2013/2014, un progetto può diventare possibilità concreta.

    Un fenomeno che coinvolge tante persone, nello scatenarsi di sentimenti legati allo spirito di appartenenza, all’orgoglio di esserci, al gusto della vittoria, al bisogno di riconoscersi parte di un gruppo, penso che meriti di essere raccontato, nelle tante tappe di una lunga stagione.

    Senza scomodare analisi sociologiche, oggi si può tranquillamente affermare che in un mondo in profonda crisi, oltre che economica, di valori etici, tanti individui trovano interesse per la vita anche alimentando la componente emotiva legata allo sport, spesso per compensare delusioni derivanti da un vivere quotidiano sempre più avaro di soddisfazioni e mi stimola l’idea di poter vedere il mondo dei tifosi anche attraverso gli occhi di un sedicenne, privo dei condizionamenti che caratterizzano la personalità di un disincantato cinquantottenne.

    La molla scattò anni fa, dopo aver letto Questa pazza fede, il libro che il professore tifoso inglese Tim Parks aveva scritto, accompagnando in tutta Italia le Brigate Gialloblu, punta estrema del tifo veronese, in un lungo anno vissuto pericolosamente.

    La lettura non era stata del tutto casuale, in quanto molti anni prima mi ero affezionato alle vicende del mitico Verona di Bagnoli, ultima squadra provinciale ad aver vinto uno scudetto, esempio della lungimirante valorizzazione degli scarti degli altri, dicevo io per giustificare il mio tradimento.

    I Galderisi, i Fanna, i Tricella, i Di Gennaro e tanti altri, poco più che riserve nelle grandi squadre, erano riusciti a diventare protagonisti incontrastati sotto l’abile guida del saggio Bagnoli, con ciò contribuendo, oltre che a riempire di gioia i propri tifosi, anche a dare qualche speranza a tante squadre senza il grande magnate alle spalle.

    Poi erano passati diversi anni in cui il Verona era tornato nell’inferno delle categorie inferiori e gli scudetti li avevano continuati a vincere i soliti noti, mentre il Bologna era finalmente riuscito a ristabilizzarsi nel palcoscenico della serie A, anno dopo anno difficile da confermare.

    La passione che da sempre mi lega alla squadra della mia città, trasmessa anche al figlio Mattia, inseparabile presenza da molti anni nelle partite al Dall’Ara, oltre che in diverse trasferte, mi ha motivato a capire se poteva esserci spazio, anche dalle nostre parti, per un racconto dell’attaccamento ai nostri colori di tanti comuni mortali, vissuto sui gradoni degli stadi, sui pullman attraversando le autostrade, dentro gli autogrill, davanti alle porte di accesso del settore ospiti, oltre che tra gli sporchi seggiolini gialli della curva Andrea Costa o in improbabili punti di ritrovo.

    L’idea si prestava anche come pretesto per poter finalmente seguire il Bologna ovunque, senza doversi sempre scontrare con le resistenze di moglie e figlie, impreparate a comprendere il coinvolgimento emotivo di un padre e di un figlio per undici ragazzoni in mutande, impegnati a buttare un pallone in rete.

    Le premesse della nuova stagione non avrebbero certamente giustificato un grande entusiasmo, vista la mancata conferma di Gilardino e Gabbiadini, ma soprattutto la cessione all’ultimo momento del talentino Taïder, alla corazzata Inter, che ci aveva già rubato il prospetto Capello, a cifre oltretutto molto inferiori rispetto alle richieste iniziali.

    Del resto non poteva essere stata la vittoria in Coppa Italia con il Brescia, grazie alla solita pennellata di Diamanti, ad aver alimentato speranze di una stagione piena di soddisfazioni.

    In realtà l’idea era sempre rimasta lì, allo stato latente, pronta a riemergere nel momento in cui le circostanze lo avessero consentito, fregandosene dell’imprimatur di un possibile editore, oltre che della qualità della squadra, anche perché in fondo una squadra la si ama sempre e comunque, a prescindere, e la si sostiene con maggior passione proprio quando si è consapevoli che al valore tecnico occorre aggiungere tanto cuore, non come colpevolmente avevo fatto io trent’anni fa rivolgendo il mio interesse calcistico ai gialloblu veronesi.

    Negli anni avevo poi voluto approfondire le tematiche delle curve, acquistando diversi volumi incentrati sull’argomento, alcuni rari casi italiani, ma soprattutto molti concepiti dai discendenti britannici degli inventori di questo sport, trovando anche tanta delinquenza, oltre che onore e attaccamento alla maglia.

    Qualche preoccupazione aveva accompagnato la mia mente, nella consapevolezza che stavo portando per mano un figlio in un mondo carico di insidie, oltre che di positive emozioni, ma aveva comunque sempre prevalso in me l’immagine positiva del bambino con gli occhi luccicanti, spettatore entusiasta a fianco del papà, in occasione della prima partita della sua vita, col Fulham in Coppa Uefa nei distinti di un Dall’Ara quasi esaurito in una serata di fine agosto.

    Il pensiero dell’incredibile esordio del ritorno in A, coronato da una imprevista vittoria a San Siro, mi aveva spinto a concepire l’idea di assecondare il desiderio di Mattia di seguire la squadra nella prima di campionato a Napoli, quando erano stati comunicati i nuovi calendari.

    Me lo aveva chiesto col cuore, pensando che poteva essere per lui il miglior regalo per il suo sedicesimo compleanno, calendarizzato solo tre giorni dopo la notte partenopea.

    Lentamente, ma inesorabilmente, era ricresciuta la voglia di lasciare una mia traccia nel percorso del Bologna, più che descrivendo le piroette di Diamanti, già ampiamente documentate da giornalisti pagati per questo, registrando le parole, le emozioni, le incazzature, gli sfoghi, gli amori e gli odi di tanti protagonisti sconosciuti della nostra curva, in servizio permanente al sostegno dei nostri colori.

    1

    NAPOLI – BOLOGNA

    Abbiamo deciso di andare in pullman, proprio come fece Parks a suo tempo alla prima a Bari, oltre che per comodità, soprattutto per condividere aspettative e pronostici con cinquanta tifosi speciali, disposti ad affrontare quindici e più ore di viaggio, per vedere una partita di novanta minuti, dal risultato pressoché scontato, con probabile finale di sfottò napoletani.

    Noi ci eravamo divertiti l’anno passato, vincendo due volte, ma purtroppo io e Mattia avevamo gioito in casa davanti al televisore, non in un San Paolo ammutolito.

    A pochi giorni dall’esordio siamo andati a Casteldebole, alla ripresa degli allenamenti dopo la sosta del fine settimana, curiosi di vedere la contestazione, annunciata in rete, nei confronti del presidente, ancora una volta smentito dai fatti rispetto alle dichiarazioni ottimistiche rilasciate da lui ad inizio stagione.

    Taïder non è ancora un fuoriclasse, ma per il Bologna, e soprattutto per Pioli, era considerato un elemento imprescindibile; essersene privati a ridosso dell’inizio del campionato ha rafforzato in molti l’idea che la società sia allo sbando, dominata esclusivamente dalla preoccupazione di non riuscire a far fronte agli impegni finanziari stringenti, non volendo, o non potendo, immettere denaro liquido nelle casse societarie.

    Manca un progetto, si naviga a vista, non si capisce dove si possa arrivare, si spera unicamente di trovare tre squadre inferiori anche quest’anno.

    Sulla tribunetta e sul prato i tifosi e i curiosi sono in tanti, per i nostri standard, molti sono i soliti pensionati che preferiscono il Bologna alla partita a tressette, tuttavia non mancano anche diversi rappresentanti del tifo organizzato.

    Quando entrano i campioni, si fa per dire, parte un coro che indica immediatamente lo stato d’animo di molti presenti …vendi tua moglie, Guaraldi vendi tua moglie…, sui lati qualche buontempone si permette di osservare, a bassa voce per non passare due brutti minuti, che a ridosso dei sessant’anni la moglie la potrebbe anche vendere, per prenderne una di trenta.

    Si accendono anche alcune torce, ma tutto si esaurisce in qualche altro coro di contestazione, niente a che vedere con ciò che sarebbe successo dalle parti di Roma o Napoli.

    Fortunatamente dico io.

    Prima di salutarsi c’è chi afferma che questo incosciente, riferendosi carinamente al nostro presidente, prima della fine della campagna acquisti è buono di vendere anche Diamanti, che tra l’altro pare non sia al top della soddisfazione, nel pensare di dover rimanere in una squadra che, più che rinforzarsi, pensa a smantellare la rosa per far cassa.

    Veniamo colpiti dall’immagine di un ragazzo in carrozzina, un bel ragazzo di un’età compresa tra i venticinque e i trent’anni, paralizzato da una probabile poliomelite infantile, orgoglioso anche lui di tifare Bologna, bandiera rossoblu tra le mani e occhi puntati sul campo.

    Per un momento il pensiero corre a mia figlia Alice, con cui ho discusso prima di uscire di casa, spesso esasperata per problematiche di tutt’altro tipo. Spiazzandoci, di tanto in tanto viene travolta dallo sconforto e questo fa soffrire papà, mamma e fratelli, nella incapacità di poterle essere d’aiuto nel superamento della sua angoscia. Riflettendo tra un tunnel e un contrasto, penso che forse un po’ di sano Bologna potrebbe far bene anche a lei, del resto io stesso sono consapevole di nutrirmi di tanta emotività rossoblu, anche per cercare di lenire le delusioni umane e professionali patite col fallimento dell’attività professionale.

    Usciamo, senza nemmeno aspettare la fine dell’allenamento, fermandoci a scambiare due chiacchiere con un altro che nel Bologna ha investito molto, non in denaro, ma in emozioni. Gli chiedo se anche lui sarà a Napoli, rendendomi poi presto conto di aver toccato un tasto delicato, in quanto fino ad inizio ottobre, in occasione delle partite del Bologna, in casa e fuori, lui dovrà essere da altre parti, rispetto allo stadio in cui la sua squadra sarà protagonista. Chissà cosa ha combinato questa volta, di sicuro è stato diffidato e fino ad allora dovrà accontentarsi di un coro in suo onore, che ogni domenica gli ultrà non fanno mai mancare in ogni stadio: …diffidati con noi… onore ai diffidati..., come molti altri sarà assente giustificato.

    Oggi il ritorno di Perez e l’arrivo di Cech, terzino slovacco con cinquantasette presenze nella sua nazionale, che in altri momenti avrebbe portato un certo entusiasmo, sono passati in secondo ordine, sovrastati dal caso Taïder.

    Prima di salire in macchina ci avviciniamo allo striscione appeso di fianco all’entrata del centro tecnico, su cui è espressa, in caratteri ben leggibili e molto crudi, l’opinione probabilmente condivisa da molti oggi a Bologna: CREDI DAVVERO DI FARCI FESSI PER I TUOI INTERESSI?! SCIACALLO!.

    Rimarrà lì solo poche ore, prima che un’inserviente zelante si incarichi di rimuoverlo, ma intanto il messaggio è stato lanciato, chiaro e forte!

    Auguri, direbbe il Civ.

    Quattro giorni prima della trasferta abbiamo comprato i biglietti per il nostro posto nella tribuna ospiti inferiore del San Paolo, a sedici euro l’uno, prevendita compresa, fugando ogni dubbio circa la nostra presenza a Napoli, legittimo nella testa di Mattia, che non si era mai spinto tanto lontano per seguire la sua squadra del cuore.

    Il tabaccaio tifoso, autorizzato a vendere i biglietti del circuito Lottomatica, ci dice che le vendite sono molto lente, spingendosi a prevedere una presenza di tifosi bolognesi inferiore alle cento unità, anche in considerazione dell’orario serale, in una giornata che per molti rappresenta l’ultimo giorno di vacanza.

    Pur immaginando un esodo ridotto, anche in funzione del chiaro indebolimento della squadra, conoscere queste previsioni ci delude un po’, pensando che sarebbe stato bello condividere con tanti l’emozione della prima trasferta della nuova stagione.

    Considerato il suo attaccamento ai colori, testimoniato anche dalle molte maglie autografate appese alle pareti del suo negozio, mi spingo a chiedergli un consiglio circa il pullman più indicato per una coppia come la nostra, composta da un minorenne e da un cinquantottenne molto appassionato, ma a digiuno di risse, indigesto agli alcolici e senza tatuaggi sul corpo.

    Mi viene confermata l’opportunità di optare per la tranquilla soluzione di Ivano, del Club Andrea Costa, del resto già da noi conosciuto in passato in occasione di trasferte più tranquille, in quanto altri gruppi potrebbero riservare viaggi un po’ troppo avventurosi per un minorenne.

    Considerato che lo stesso consiglio ce lo sentiamo ripetere da giorni da tutti coloro a cui abbiamo chiesto un parere, tutte persone abituali frequentatori di trasferte, capisco definitivamente che non è il caso di praticare la possibilità di salire su un pullman gestito da un gruppo ultras, nonostante il prezzo più contenuto e gli spunti narrativi che un tal viaggio potrebbe garantire.

    Devo assolutamente salvaguardare l’incolumità fisica e psicologica di Mattia, va bene l’ardire di portarlo in trasferta, ma non esageriamo, penso, facendo prevalere la componente razionale su quella emotiva. So che lui preferirebbe salire su quei mezzi, calamitato dal fascino di uno dei nuovi leader della curva, tuttavia saranno sufficienti le ore all’interno dello stadio per condividere con loro cori, commenti, gioie e dolori, speriamo pochi.

    Vista la disponibilità dell’interlocutore, mi spingo anche a comunicargli l’idea del libro, forse per giustificare l’aver anche solo pensato di condividere il viaggio con i gruppi più estremi. Imparo che anni fa c’era già chi aveva concepito un tale progetto, l’esito del quale è tuttavia a lui sconosciuto. Mi dice di averlo saputo dal comune amico Enrico Brizzi, noto scrittore bolognese, anche lui tifoso. È invece purtroppo risaputa la fine dell’improvvisato scrittore/tifoso, drammaticamente suicidatosi attorno ai trent’anni, quando non bastava più il Bologna per giustificargli la sofferenza di una vita difficile.

    Mattia ha postato il biglietto sulla bacheca di Facebook, orgoglioso di dimostrare al mondo intero il suo attaccamento ai nostri colori. In pochi minuti ha ricevuto decine di mi piace, ma si è anche sentito rispondere, dal suo ex allenatore, che è meglio pensare ad altro in quanto oggi il calcio è marcio.

    Me lo comunica con un’espressione carica di delusione, ed io non me la sento di infierire, confermando l’opinione di molti relativa ad un mondo dove ciò che conta sono solo gli interessi economici, più che i valori sportivi e preferisco fargli credere che c’è chi parla in questo modo, magari invidiando la nostra scelta.

    In serata telefono ad Ivano per prenotare il pullman, preoccupato di garantirmi due posti per l’inferno e, come aveva previsto l’amico, imparo che i posti non mancano, in quanto le adesioni sono al momento limitate, tanto che se non si dovesse riempire il pullman per intero, il prezzo potrebbe salire, rispetto alla cifra base prevista. In compenso ci tiene ad informarmi sul fatto che si tratta di un mezzo confortevole, con bagno incluso.

    Si parte alla mattina alle dieci, e si tornerà non prima delle sei o sette del mattino seguente.

    Pensandoci è ovvio, tuttavia sentendomelo dire non riesco a non condividere le opinioni di chi pensa che ci vogliano dei matti ad affrontare una simile sfaticata, pagando, per assistere ad una partita di calcio.

    Ormai è fatta, sono salito sulla giostra e devo girare!

    A meno due dall’inizio dell’avventura, non riesco a non riaccendere il portatile, digitando la password perez.15, memorizzata quando il Ruso era uno dei nostri punti di forza, ed oggi tornata d’attualità col suo ritorno, dopo due mesi di tribolazione.

    Ho fame di cronaca, di spunti di cui parlare, dell’adrenalina del prepartita, sapendo che domenica le occasioni non mancheranno, oggi mi piace pensare alle origini della mia passione, al percorso compiuto seguendo i nostri colori.

    A differenza di Mattia io non ho avuto un padre che mi ha portato a sei anni allo stadio. Papà, pur essendo interessato alle sorti della squadra della sua città, era allora troppo impegnato dalla sua carriera artistica, di cantante di buon livello, cresciuto alla corte della maestra Scaglioni, la stessa che scoprì il talento di Morandi, l’attuale presidente onorario. Il lunedì non mancava mai di leggere «Stadio», ma non credo abbia mai avuto l’abbonamento e non ricordo tante presenze insieme a lui sui gradoni del Dall’Ara.

    Ricordo invece la passione di uno zio, abbonato fisso nei distinti, che spesso aveva l’ardire di andare anche in trasferta guidando le sue veloci Alfa Romeo.

    In una di quelle occasioni papà mi ha sempre raccontato di essersi voluto aggregare anche lui, per andare, guarda caso, proprio a Napoli, quando ancora non c’era separazione tra tifosi ospiti e locali, e dovendosi per questo anche sorbire un’ombrellata sul gol del Bologna e la conseguente esultanza, senza reazione per evitare conseguenze peggiori.

    Dico subito che a Roma io non c’ero, così come non ho mai avuto talento per il calcio giocato e non mi sono mai rotto un ginocchio precludendomi una carriera professionistica, nonostante che l’età me lo avrebbe potuto consentire, e che di quella vittoria ho solo un pallido ricordo del silenzio durante e del frastuono dopo.

    In compenso provai a recuperare andando a Roma, dieci anni dopo, per la finale di Coppa Italia, non riuscendo tuttavia a gioire appieno di una vittoria mezza rubata ad un Palermo, all’ora abituato più alla C che alla A.

    La prima trasferta importante, sull’Alfa di mio zio, fu a Genova contro la Sampdoria, al seguito di un Bologna in cui militava Savoldi, che fece gol, anche lì in mezzo a tanti portuali grandi e grossi, ma senza la paura del contatto.

    Firenze, Milano, Varese e poche altre trasferte, prima di attraversare un lungo periodo di grande impegno lavorativo, in cui il calcio ritornava ad essere vissuto in famiglia, più sulle colonne dei giornali e nelle immagini televisive che sui gradoni dello stadio.

    La finale mondiale dell’82, vissuta in diretta al Bernabeu, facendo capriole sull’asfalto all’uscita dallo stadio, davanti a gruppi di inebetiti tifosi tedeschi.

    La simpatia per il Verona, con un modestissimo Bologna in C e la codardia di seguire più le gesta di Elkjær e compagni che le trasferte di Lodi e Trento.

    A metà degli anni Novanta il riavvicinamento al calcio in diretta sia al Dall’Ara che, a volte, in trasferta, in particolare il ricordo di una infrasettimanale a Udine, in macchina con cinque amici, al freddo, col gol del pareggio del mitico Villa, improvvisatosi centravanti, che oggi mi tocca sorbire in discutibili commenti televisivi, rimpiangendo i tempi in cui si esprimeva al meglio come calciatore.

    Gli inizi delle trasferte con Mattia coincidono con gli anni di B, di cui ricordo quelle di Pisa, Livorno, Bergamo, Grosseto, puniti da un Pioli che quel giorno ho odiato, e poi fortunatamente Mantova, con il tripudio degli ottomila per il ritorno in A.

    L’apoteosi di Milano, nel ritorno in A, in una partita che doveva essere una formalità per una squadra stellare; tante volte a Verona, sponda Chievo, tranquillo di non far correre rischi a Mattia; a Genova, con il Genoa, sotto una pioggia battente, e con la Samp, con saluto iniziale alla curva del presidente ad interim Pavignani, con cappello a grandi falde; a Bergamo, ringraziando Peluso, costretti ad assistere ai tafferugli tra ultras bergamaschi e polizia; a Firenze, sia nel giorno del trionfo di Gimmy, che in diverse altre occasioni; a Cesena, per respirare l’odio che ci divide; a Siena, non prima della classica passeggiata nel centro storico con l’orgoglio di indossare la sciarpa rossoblu; a Parma nel giorno in cui scoprimmo il talento di Belfodil; a Milano, in un quarto di finale di coppa contro l’Inter, per sognare l’accesso in semifinale dopo tanti anni, per poi maledire il povero Agliardi, che fa una papera sul più bello; fino ad arrivare all’umiliante zero a sei di Roma, sponda Lazio, della scorsa stagione, col rifiuto della curva al lancio delle maglie.

    Non un percorso da irriducibile, comunque l’espressione di una passione cementatasi negli anni, con la complicità di un figlio irrimediabilmente contagiato.

    ***

    Siamo a meno uno. Scommettendo un euro sulla vittoria del Bologna a Napoli se ne vincerebbero otto e mezzo. Ogni opinionista è autorizzato ad affermare che il nostro campionato inizierà realmente dalla partita in casa con la Sampdoria, e che a Napoli sarebbe già un bel successo uscire dal campo con una sconfitta onorevole.

    Tutto difficilmente contestabile, se non aggrappandosi all’imponderabilità del calcio, in fondo anche l’anno scorso le due partite al San Paolo dovevano essere una formalità per gli azzurri, poi è andata come è andata.

    I numeri espressi dal Napoli delle ultime annate sembrano essere fuori portata per la nostra squadra, tuttavia un’analisi retrospettiva che parta dall’inizio del campionato italiano a girone unico, nel ’29 ottantaquattro anni fa, colloca il Bologna nella top ten del calcio nazionale.

    Nutro il mio orgoglio leggendo, sul paginone che la «Gazzetta dello Sport» ha dedicato all’inizio del campionato, che dopo gli squadroni metropolitani, Juve, Inter, Milan, Roma, Fiorentina, Lazio e Napoli, veniamo noi, per punti fatti nei campionati disputati nella massima serie, prima di Torino, Sampdoria, Genoa (che ha vinto molto in un calcio preistorico), Udinese, Parma e compagnia cantante.

    Il dato coincide con il lavoro che volli sviluppare alcuni mesi fa, analizzando piazzamenti, vittorie (scudetti, coppe Italia), partecipazioni ai vari campionati (A, B, C, D), di tutte le squadre partecipanti almeno un anno alla massima divisione, a partire dal ’29, ed assegnando un punteggio a ciascuna, anno dopo anno.

    Pur penalizzato dagli anni in C e in B, il Bologna si piazzava al settimo posto, con stupore di Mattia, abituato a vivere le vicende di una squadra perennemente in sofferenza. Forse questi dati li dovrebbero leggere quei giocatori che ritengono Bologna come una soluzione di ripiego rispetto a piazze più importanti.

    Per questo ho apprezzato le dichiarazioni di Pioli, pur sapendo che potevano essere condizionate dal ruolo e non del tutto spontanee, in cui si affermava con vigore che per la storia ed il blasone della società è giusto che l’asticella degli obiettivi venga riposizionata ogni anno sempre più in alto.

    Guaraldi ha tanti limiti, sia nella comunicazione che nella capacità di attorniarsi di professionisti capaci, oltre che avere il torto di non possedere un portafoglio che consenta di gestire al meglio una società di A, tuttavia io non ho mai creduto troppo nella possibilità concreta dell’arrivo del magnate. Per questo sono tra quelli che si accontentano di quello che passa il convento, magari sbagliando, ma cercando di assaporare attimi di soddisfazione nel possibile rinnovo di Diamanti fino al duemiladiciotto e nel positivo debutto di Cech e del giovane uruguaiano Laxalt.

    Scatta in me un meccanismo legato all’istinto di sopravvivenza, in quanto ho già tanti problemi io che non posso permettermi di ingastrirmi il fegato anche per il Bologna, da lui devo cercare di ricevere possibilmente solo carezze.

    Domani questa è un’opinione che è meglio che tenga per me, in quanto, con l’esasperazione che serpeggia tra i tifosi più accesi, contro l’attuale dirigenza, ci potrebbe essere il rischio di avventurarsi in antipatiche discussioni, che voglio risparmiare sia al sottoscritto che a mio figlio.

    Ci siamo, alle sette e quaranta mi sveglio in anticipo. È stata una notte particolare in cui mi sono rigirato nel letto tra un’immagine di uno striscione e l’apoteosi dopo il gol.

    Mattia dorme al mio fianco, probabilmente è stato un sonno agitato anche per lui.

    Mi faccio la doccia, indosso la maglia celeste col numero dieci di Ramirez, con dedica incorporata, prima di preparare sei panini pieni di tutto quello che trovo in frigo; lo specchio del bagno mi restituisce l’immagine di un lontano parente del distinto signore in giacca e cravatta, che tutte le mattine affronta la sfida della vendita di se stesso di fronte ad incolpevoli clienti.

    Alle dieci meno un quarto arriviamo al pullman, accompagnati da Elena e Patrizia, interessate a disporre della macchina in una domenica di fine estate. Domani mattina dovranno alzarsi alle sei per venirci a prelevare nello stesso punto.

    Come previsto siamo in venticinque, la metà dei possibili passeggeri, nonostante ciò il costo del viaggio è incredibilmente inferiore rispetto alle previsioni.

    Rivediamo facce note, in particolare due ragazzi di Budrio con cui a Roma scoprimmo di avere delle amicizie in comune, tra i pochi compagni di viaggio che avrebbero potuto optare per un torpedone ultras, senza sfigurare.

    Il tempo di imboccare l’autostrada ed Ivano, per tutti il Pressss!, non resiste alla tentazione di raccontare episodi del Bologna da trasferta. Impariamo che il soggetto incontrato qualche giorno fa a Casteldebole la diffida se l’è beccata a Verona, quando non è riuscito a dominare l’animale che è in lui per evitare di rompere un vetro, dopo un deludentissimo due a zero, in un inizio di campionato come questo. Per lui pare non sia stata una novità. Dopo otto anni di trasferte vissute in compagnia dell’ingombrante supporter, Ivano non si meraviglia che oggi sia costretto a vedere la partita in televisione. Ubriacature, risse, trasgressioni in genere, sono state per anni il suo pane quotidiano, solo negli ultimi tempi sembrava aver capito che non valeva la pena esagerare per poi rovinarsi la vita, poi a Verona deve essergli saltata la catena, ed è rientrato come protagonista in un film già visto. Con sollievo imparo che l’occhio di vetro, con cui da anni è costretto a convivere, non lo deve alla passione per il Bologna, ma ad un drammatico incidente sul lavoro.

    Poco dopo le dodici, la prima sosta in autogrill, dove non manca la coppia napoletana meravigliata nel vedere gente che affronta un viaggio del genere per consegnarsi nelle braccia del loro grande Napoli, così ci sta un caffè al gusto di Diamanti, contro un cappuccino all’Higuain.

    Con Ivano da sempre si aggregano tante persone normali, molto appassionate ma poco disposte a compromettersi per una fede calcistica.

    Uno di questi, pur essendo ancora molto giovane, è andato ovunque per seguire il Bologna, a Cagliari, Londra, Marsiglia, Lublino, Edimburgo, Catania, Palermo… Lui è uno che non concede niente all’immagine, ma parlandoci capisci che non è stupido e che è uno dei tifosi più informati e competenti. Ha trascorso l’estate tra Andalo e Sestola, seguendo le giornate rossoblu del ritiro in altura. Di alcune giovani promesse emette un giudizio poco edificante, raccontando di ubriacature serali e di atteggiamenti scostanti.

    Ci fermiamo una seconda volta dalle parti di Roma, la sosta è sempre accompagnata dall’orgoglio di entrare in Autogrill indossando le nostre maglie, anche se per i più sei un normale turista in viaggio, non l’eroe al seguito della tua squadra del cuore.

    Ivano ha la testa impegnata nell’organizzazione della prossima cena sociale, il ristorante Nonno Rossi ed il salone adatto ad accogliere il gran numero di tifosi previsti sono al centro dei suoi pensieri, per il momento è poco preoccupato dall’informazione che circola in pullman circa la possibilità che la partita venga rinviata per un diluvio abbattutosi su Napoli da alcune ore. Pare che gli spogliatoi siano allagati e che il campo sia al limite della praticabilità, da ore si sta lavorando per scongiurare il pericolo del rinvio.

    Non sarebbe il modo migliore per iniziare questa avventura, tanto che mi spingo ad ipotizzare che, in caso di rinvio al giorno dopo, potrebbe essere prevedibile la possibilità di fermarsi un giorno a Napoli, spostandoci sul pullman che decidesse di rimanere, visto che dei quattro torpedoni organizzati nessuno pare sia pieno e che il nostro non ha nessuna intenzione di rimanere in giro quarantotto ore.

    A dosi modeste anche tra di noi c’è chi inganna l’attesa bevendo vino e cicchetti di Montenegro, tuttavia senza compromettere una sobrietà consigliabile a chiunque preferisca la tranquillità alla trasgressione, niente a che vedere con quello che probabilmente sta succedendo sugli altri pullman.

    Della partita si parla poco, forse sapendo che la logica non può premiarci, un po’ tutti preferiscono tenere nell’anticamera del cervello l’idea di un’impresa, il cui solo parlarne escluderebbe l’esito positivo.

    Ad una cinquantina di chilometri da Napoli ci aspetta l’ultima sosta, abbastanza pericolosa in quanto da queste parti tutti si sentono autorizzati a difendere i colori partenopei, o così penso dovrebbe essere, prima di incrociare un coppia salernitana, in viaggio per un matrimonio, che manifesta apertamente l’odio per i napoletani, definendoli come una razza estranea allo scibile umano. L’intolleranza e il razzismo non hanno confini, al mondo c’è sempre qualcuno che vive sopra di te, rifletto mentre mi sento augurare una vittoria anche per vendicare la loro sete di vendetta, mai sufficientemente appagata, per chi oggi è costretto a navigare in lega pro.

    Per tenere viva l’atmosfera, qualche buon tempone locale pensa, provocatoriamente, di alzare a tutto volume l’audio dell’autoradio di un’auto parcheggiata davanti all’entrata, che trasmette il famoso pezzo napoletano diventato l’inno della squadra di casa. D’istinto molti di noi sperano che nel frattempo arrivino i tre pullman degli ultras rossoblu, per fare giustizia, con dosi massicce di lasagnone bolognesi, poi subentra la razionalità che suggerisce di riprendere velocemente la strada, accogliendo l’invito dell’autista, preoccupato per eventuali danni al mezzo, onde evitare provocazioni e possibili risposte anche da chi ultras non è, ma non ci sta ad essere sbeffeggiato.

    Siamo in anticipo, del diluvio non c’è più traccia, è ricomparso il sole rendendo il clima particolarmente afoso.

    Il messaggio del tabellone luminoso, al centro della corsia di marcia verso sud, fa entrare nel clima partita molti di noi, nel sentirsi tra i protagonisti del prossimo evento; molti vogliono fotografare l’immagine del testo "Tifosi bolognesi concentrazione parcheggio km 754 per poi postarla agli amici con un commento rubato ai cori della curva: Stanno arrivando, stanno arrivando, stanno arrivando i rossoblu, e se sentirai cantare sempre più, stanno arrivando i rossoblu…".

    Il km 754 arriva presto, contraddistinto da un gran numero di forze di polizia in divisa antisommossa, una presenza che a tutti pare sproporzionata per le nostre scarse forze, in molti pensano cosa ci potrà essere quando da queste parti passeranno i romani o i veronesi.

    Parcheggiato il pullman ad un lato dello spiazzo, ci fanno scendere uno ad uno, con biglietto e documento in mano, mentre il fotografo imprime la nostra immagine sul suo obiettivo. Ho un flash, torno indietro di trentacinque anni, quando in Grecia, a seguito di un incidente stradale in cui io avevo piena responsabilità, fui portato in commissariato dove mi furono fatte le foto segnaletiche, prima di istruire un processo per direttissima, in cui fui condannato a due mesi di reclusione, poi scontati pagando la cauzione. Come allora, anche in questo caso, mi sono sentito come un personaggio ritenuto pericoloso, da trattare con le dovute precauzioni. Nessuno fa obiezioni, nonostante che la schedatura pare possa sconfinare nel mancato rispetto della privacy di ciascuno di noi. Parlando con alcuni militari imparo poi che da un anno la modalità è stata estesa a tutte le trasferte, mentre in passato veniva applicata solo per alcune partite a rischio. Per chi ogni domenica urla "…lo sbirro è, l’animale più feroce che c’è, quando indossa la divisa un leone è, ma nella vita sai che uomo è: di merda!…", immagino che non sia una procedura particolarmente apprezzata, tuttavia il buon senso suggerisce a tutti di evitare rifiuti, per non incorrere in diffide.

    Il lavoro dei militari diventa più complesso quando arrivano i due pullman dietro di noi occupati dal variegato popolo ultras bolognese. Magliette, cappellini, tatuaggi descrivono l’arcipelago di chi ha deciso l’impegno a tempo pieno a favore dei nostri colori: Beata Gioventù, Settore Ostile, Freak Boys, Forever Ultras, Vecchia Guardia, Contro Tendenza, sono i gruppi oggi rappresentati. Soprattutto i tatuaggi oggi sono un must insostituibile per la militanza in curva. Il logo della propria squadra, lo slogan, il ricordo di particolari momenti della vita, devono essere impressi nel corpo, oltre che nella mente e si fa a gara per trovare soluzioni sempre più fantasiose, del resto anche moltissimi protagonisti in campo si incaricano di essere i primi testimonial di questa arte raffigurativa, sempre esistita anche in epoche lontane in piccole frange di popolazione, ma oggi esplosa ad ogni latitudine. Il linguaggio del corpo sembra aver sostituito la comunicazione tra le persone, nella pochezza di contenuti di tanti disorientati abitanti del mondo moderno. Io non ho mai capito il significato di una violenza sul proprio corpo, per rimediare alla quale c’è poi chi è costretto ad affidarsi a costosi interventi di sofisticati apparecchi laser, ma soprattutto non comprendo chi ricorre a questi segnali per ottenere una effimera sicurezza che evidentemente fatica a raggiungere per altre vie.

    Noi abbiamo preferito stare tra il tranquillo mondo del club Andrea Costa, dove questa moda è molto meno diffusa, ed anche per questo considerato dai duri e puri con molta diffidenza, come conferma anche lo scambio di battute che colgo tra due ragazzi, sul cui corpo sarebbe difficile trovare lo spazio per riprodurre un’altra immagine: …ma che cazzo stanno a fare quelli?. È il solito pullman dell’Andrea Costa, se vuoi divertirti vai con loro, auguri e buona trasferta!.

    I commenti ovviamente non mancano anche dalla nostra parte, mentre Ivano coglie con soddisfazione l’accettazione passiva del controllo della polizia anche da parte dei più intransigenti, c’è chi rivede conoscenze perse di vista da anni, ritrovandole quasi irriconoscibili. Ciò provoca una sagace battuta da parte di un signore, con figlio al seguito, appassionato al punto da essere andato anche in Inghilterra per le partite di precampionato, che, nella sua compostezza, si sente di affermare: …salire su quei pullman invecchia velocemente… sai a volte basta sbagliare numero telefonico per cambiarti la vita!.

    Il tempo passa, tanto che ci stiamo seriamente preoccupando di non riuscire ad arrivare in orario, infatti pare che lo stadio disti ancora trenta chilometri e che il traffico del prepartita possa rendere l’avvicinamento molto lento, nonostante la scorta della polizia. Ne parlo con Ivano che, dall’alto della sua esperienza, mi dice che non si può fare niente, se non aspettare i tempi dei controlli, in quanto non è prevista la possibilità che un pullman possa avvicinarsi allo stadio per conto suo. In realtà uno dei quattro pullman partiti da Bologna pare abbia tirato dritto, di sua iniziativa, ma Ivano assicura che sarà stato fermato poco dopo di noi.

    L’unica macchina che si è aggregata a noi è una Panda con a bordo un unico ragazzo, orgoglioso di indossare una maglietta coi simboli della nostra città. C’è chi lo definisce un eroe, in realtà poi scopriremo che si tratta semplicemente di un tifoso, in ferie in Puglia, che ha pensato di allungare il viaggio prima di tornare a casa.

    Alle otto e un quarto finalmente partiamo, scortati da quattro camionette e da molte pantere con lampeggianti accesi, più che ad una partita sembriamo diretti ad una battaglia.

    Avvicinandoci alla città aumentano gli automobilisti e i motociclisti disposti alla provocazione, alzando il dito o facendo gesti poco amichevoli di varia natura. All’interno del pullman si scatenano le grida e le offese, destinate tuttavia a rimanere circoscritte nell’ambito del nostro acquario, in cui è consigliabile rimanga l’impossibilità del contatto con l’esterno.

    Mattia, come altri, si sente in dovere di esporre la sciarpa, mentre le luci dello stadio, visibili in lontananza, ci indicano che ormai ci siamo.

    Intanto mancano solo dieci minuti dal fischio d’inizio.

    Arrivati scendiamo dai pullman tutti insieme, per dirigerci verso l’entrata, urlando e battendo le mani all’unisono, dove ci aspettano molti poliziotti preparati per darci il benvenuto. L’unione fa la forza è forse uno dei modi di dire più abusati, ma in quei momenti ci sentiamo quasi invincibili, orgogliosi di gridare al mondo intero di essere bolognesi. Ci pensano i poliziotti a riportarci con i piedi per terra, con i loro caschi con visiera abbassata e i manganelli tra le mani, incaricandosi di bloccarci ad un primo controllo, per farci passare all’attraversamento dei tornelli, pochi per volta.

    Dall’interno salgono boati di un’intensità sconosciuta dalle nostre parti, ciò alimenta ancora di più in noi il desiderio di entrare. Fateci passare, sono dieci ore che siamo in viaggio per vedere una partita, in più abbiamo anche speso molti soldi!!!, mi grida nelle orecchie una ragazza con poca paura, facendosi portavoce di quanto in quel momento pensiamo in molti.

    Si incrociano gli sguardi nostri con

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