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Jude l'oscuro
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E-book602 pagine8 ore

Jude l'oscuro

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Info su questo ebook

A cura di Erberto G. Petoia
Edizione integrale

Pubblicato inizialmente a puntate e poi in volume nel 1895, Jude l’oscuro fu l’ultimo romanzo di Hardy e fu stroncato senza riserve dalla critica e dal pubblico vittoriano del tempo, a tal punto che Hardy ritenne conclusa la propria carriera di romanziere. Il libro, ribattezzato dalla critica «Jude the Obscene» (Jude l’Indecente), venne inoltre bruciato pubblicamente dal vescovo di Exeter lo stesso anno. Il protagonista della storia è Jude Fawley, un giovane uomo appartenente alla classe più umile della società, il cui sogno nella vita è divenire letterato. Altri due personaggi cruciali del racconto sono la volgare prima moglie di Jude, Arabella, e Sue, la cugina di cui si innamora perdutamente. Opera cupa e pessimista, ha avuto un’efficace trasposizione cinematografica nel 1996, per la regia di Michael Winterbottom, con Christopher Eccleston e Kate Winslet nei panni di Jude e Sue.

«Parlarono per un po’ di tempo, guardandosi e appoggiandosi al parapetto del piccolo ponte. Il richiamo muto della donna, pronunciato chiaramente dalla personalità di Arabella, teneva Jude incollato a quel posto contro la sua intenzione, quasi contro il suo volere, con un sentimento del tutto nuovo per lui.»


Thomas Hardy

nacque nel 1840 in un’umile famiglia del Dorset, compì studi di architettura ma presto abbandonò l’idea di praticare quella professione per dedicarsi alla letteratura. Stabilitosi con la moglie, Emma Gifford, in una casa di campagna presso Dorchester, vi trascorse l’intera vita senza alcun evento degno di rilievo. Romanziere di grande successo, dopo la condanna moralistica di Jude l’oscuro smise di scrivere in prosa e divenne autore di poesie. Morì nel 1928 e fu sepolto nell’Abbazia di Westminster. Tra le altre sue opere vanno ricordate almeno Via dalla pazza folla (1874) e Tess dei D’Urbervilles (1891).
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854138551
Jude l'oscuro
Autore

Thomas Hardy

Thomas Hardy (1840-1928) was an English poet and author who grew up in the British countryside, a setting that was prominent in much of his work as the fictional region named Wessex. Abandoning hopes of an academic future, he began to compose poetry as a young man. After failed attempts of publication, he successfully turned to prose. His major works include Far from the Madding Crowd(1874), Tess of the D’Urbervilles(1891) and Jude the Obscure( 1895), after which he returned to exclusively writing poetry.

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    Anteprima del libro

    Jude l'oscuro - Thomas Hardy

    Indice

    Introduzione di Maria Stella

    Nota biobibliografica

    JUDE L’OSCURO

    Prefazione alla prima edizione

    Poscritto

    Parte prima. A Marygreen

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    XI.

    Parte seconda. A Christminster

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    Parte terza. A Melchester

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    Parte quarta. A Shaston

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    Parte quinta. Ad Aldbrickham e altrove

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    Parte sesta. Di nuovo a Christminster

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    XI.

    308

    Titolo originale: Jude the Obscure

    Traduzione di Gian Dauli

    Revisione di Erberto G. Petoia

    Prima edizione ebook: gennaio 2012

    © 1996 Newton & Compton editori s.r.l.

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3855-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Thomas Hardy

    Jude l’oscuro

    A cura di Erberto G. Petoia

    Introduzione di Maria Stella

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Si pensa in genere a Jude l’oscuro (1896) come al romanzo che chiude la lunga attività di prosatore di Thomas Hardy, ma in effetti non è l’ultimo in ordine di pubblicazione: lo segue nel 1897 L’amata, scritto in realtà qualche anno prima, che presenta però - nella struttura ciclica tripartita, nel tono ironico, nei rifacimenti shelleyani - alcuni tratti espliciti di stilizzazione e di commedia che lo rendono in certo senso atipico, e dunque meno conclusivo, rispetto al resto del canone dell'autore. Al di là dell’ordine cronologico, altri fattori contribuiscono a collocare Jude l’oscuro nella sua posizione terminale: dalle difficoltà di ricezione esterna (incomprensioni critiche, censure, addirittura un rogo del libro), alla concomitante e risoluta volontà dell’autore di abbandonare la prosa per dedicarsi alla sola poesia (dal 1898 al 1928 pubblicherà infatti ben otto raccolte di versi), alla esasperazione interna al romanzo stesso di quelle che erano state fino ad allora le forme, i temi e le disposizioni filosofiche della narrativa hardyana.

    Apertosi nel 1867 con The Poor Man and the Lady, il canone romanzesco di Thomas Hardy si era esteso - con alterne fortune critiche e il susseguirsi di dodici romanzi, tra cui, più noti anche al pubblico italiano, Via dalla pazza folla (1874), La brughiera (1878), Il sindaco di Casterbridge (1886), Nel bosco (1887) - fino alla pubblicazione nel 1891 di Tess of the D’Urbervilles, che per certi versi prefigura, in alcuni temi e nel destino critico, il successivo Jude l’oscuro: ritenuto troppo trasgressivo, dovette essere sottoposto dall’autore a numerosi e dolorosi tagli. La qualifica attribuita dal sottotitolo a Tess - «una donna pura» - anticipa quel processo di ridefinizione anticonvenzionale dell’individuo e delle sue valenze di tipo, che si renderà ancor più evidente nell’identificazione di Jude Fawley, nel titolo, con il solo appellativo «l’oscuro». La polemica hardyana - che si diriga all’archetipo vittoriano della donna caduta o allo status di invisibilità di un’intera classe sociale - possiede nei due romanzi la stessa forza, e la dimensione irrimediabilmente tragica delle vicende personali deforma in entrambi i casi le tradizionali strutture narrative ottocentesche, relativizzandole e stilizzandole. Esattamente come l’assurdo e l’ironia faranno nei confronti dell’archetipo dell’amore platonico in L’amata, dove il protagonista si ritrova a venerare la stessa idea astratta di donna in tre generazioni successive: la nonna, la madre, la figlia.

    Sicché forse alcune delle peculiarità che sembrano isolare Jude l’oscuro, potrebbero trovare una loro reintegrazione nel canone se venissero lette sullo sfondo di una ricerca forte di rinnovamento formale comune a tutti i romanzi dell’ultima fase. Traspare qui un tentativo di andare oltre la verosimiglianza, che si serve di tecniche di simbolizzazione più o meno esplicite (si pensi solo al nome del figlio di Jude, Piccolo Padre Tempo) e fa risaltare l’elemento artificiale, costruito della narrazione. I blocchi in cui si articola la struttura sono resi geometricamente evidenti, ma il loro ricorrere e susseguirsi elude ogni rigida causalità e linearità. Prevale un criterio di verità poetica, colta nel suo farsi e ricca di non detto: "oscure" sono le motivazioni di Jude a se stesso e al lettore, e la sospensione interrogativa e problematica così generata stimola a produrre il proprio senso nell’atto di lettura. Non a caso, già nel saggio The Science of Fiction (1891), Hardy aveva polemizzato con il copismo naturalista, in nome di una più sottile e magica capacità di creare illusione, di percepire la vita nella sua globalità. E aveva auspicato un nuovo senso ibrido, «la tattilità mentale», più acuto dell’occhio e dell’orecchio, per catturare le sfumature a un tempo intellettuali e sensuali, maschili e femminili, naturali e artificiali di una realtà comunque sfuggente e transitoria. Di un universo «del quale probabilmente non esiste comprensione alcuna in alcun luogo».

    Dal punto di vista dell’ambientazione spaziale nessuno degli ultimi romanzi fuoriesce dai confini di quel territorio dell’antico Wessex (corrispondente all’attuale Dorset) che costituisce il palcoscenico privilegiato dell’intera produzione hardyana: una scena circoscritta, essenziale come quella del teatro greco e carica di risonanze drammatiche e speculative altrettanto universali. Ma anche un territorio storicamente definito, sineddoche della vita della nazione, indagato nelle sue modifiche su breve e lungo periodo con la passione di uno studioso di storia locale. Non una storia che ricostruisca eventi importanti o personalità eroiche (anche se l’eco delle guerre napoleoniche è percepibile in più di un romanzo), ma una storia dal basso, dove le vicende individuali dei protagonisti incarnano i lenti cambiamenti connessi al declino e alle trasformazioni di una intera comunità agraria, contribuendo a redigere quelli che Charlotte Brontè, nel lontano Yorkshire degli anni Quaranta, aveva definito «gli annali segreti di ogni rozzo vicinato». E si pensa al potere mitopoietico di altre contee letterarie a metà tra reale e immaginario: al Distretto dei Laghi di W. Wordsworth, alla Yoknapatowpha di W. Faulkner.

    Di rado nelle sue cronache fittizie Hardy risale indietro più di due o tre generazioni, ma tale passato prossimo è messo in profondità dalle tracce che il passato archeologico imprime sia sulla geografia della regione, sia sui paesaggi mentali dei suoi abitanti. Si andrà così dalla presenza di rovine architettoniche di periodi precedenti (chiese, torri, mura, ma anche monumenti dell’importanza di Stonehenge, o dei college di Christminster/Oxford), all’affiorare di reperti domestici tradizionali: mobili, oggetti, strumenti appartenenti all’antica cultura dei padri, memorie legate alle tradizioni orali. Sicché in Jude l’oscuro, come in ogni altro romanzo, avremo echi di antichi modi di produzione e di superstizioni locali (bastipensare ad esempio alle scene della lavorazione del maiale e dell’elisir d’amore). Mentre più legati all’attualità appaiono il dibattito su matrimonio e divorzio, e il problema degli accessi «dal basso» alla cultura e all’istituzione accademica. Argomenti che coinvolgono, oltre all’eroe eponimo, tutti i personaggi nel loro evolversi nel romanzo: dal maestro Phillotson, all’allieva-insegnante-moglie Sue, alla rozza e istintiva Arabella. Inoltre il tema del lavoro artigianale - quell’intaglio della pietra e restauro di monumenti sempre ricco in Hardy di risvolti autobiografici per il suo lungo apprendistato di architetto - diventa qui una sorta di struttura portante della narrazione, che allude metanarrativamente ai problemi di costruzione del romanzo stesso. Non a caso uno dei momenti più pieni e felici della vicenda di Jude e Sue vede l’intenta collaborazione della coppia alla stessa attività artistica: all’incisione delle tavole dei dieci comandamenti nella chiesetta vicino Aldbrickham. Momento apicale - e ad occhi convenzionali fortemente trasgressivo - del romanzo, da cui non potrà esserci che caduta, distruzione.

    Un passato ancor più remoto, significativo sia per lo studioso di architettura, che per lo storico locale, si rende leggibile nel paesaggio naturale del Wessex: fossili, pietre, stratificazioni del suolo parlano del permanere quasi atemporale delle ere geologiche. Collocati contro questo sfondo arcaico e immutabile, gli eventi umani nella loro quotidianeità acquistano una dimensione diversa, diventando essi stessi parte della lentissima evoluzione della terra. Le generazioni si allungano nel passato, una dietro l’altra, fino a un’origine irraggiungibile, riassorbendo il destino dell’individuo, come quello di ogni altro animale, in quello biologico della specie. Anche gli errori dei padri e delle madri sembrano ripetersi geneticamente, nonostante il cambiamento generazionale e le mutazioni operate dal caso. Paesaggio e personaggio, esposti a forze impersonali e collettive, non possono che mettere in atto una sorta di stoica strategia di sopravvivenza, di endurance, nel duplice senso di capacità di sopportare e di durare dentro il tempo della sconfitta e della soggezione. E giustamente Guido Fink insiste sulla presenza forte, in Jude, del libro di Giobbe.

    La condizione umana, in assenza di un qualsiasi schema redentivo, culturale o religioso, finisce col coincidere con quello stato creaturale che era stato di Edgar e del re nella brughiera del King Lear di Shakespeare: un testo più volte esplicitamente citato nel canone hardyano (basti pensare alla prefazione a La brughiera), e un autore la cui memoria, insieme a quella dei tragici greci e latini e del libro di Giobbe, emerge continuamente alla pagina. La parabola dell’orfano Jude, apertasi con l’inane assurda occupazione del ragazzo spaventa-cornacchie, si conclude col suo gesto di vagabondo ormai morente che si accovaccia contro la pietra a riposare sotto il cielo. Nell’universo indifferente degli ultimi romanzi hardyani non c’è, come poi anche nelle poesie, distinzione alcuna tra il destino dell’uomo e quello delle più umili forme viventi: la stessa inarticolata sofferenza accomuna Jude e Sue al coniglio straziato nella trappola, alle piante tagliate che sanguinano. Riprendendo, a fine secolo, una convenzione che era stata dell’ottocento di Charles Dickens, George Eliot e delle sorelle Bronte, anche Hardy pone al centro del romanzo un orfano dagli oscuri natali e dalle grandi speranze, ma solo per accompagnarlo, di sconfitta in sconfitta, all’estrema negazione di ogni forma di amore, di vita, di pace. Difficile, dopo la scena impietosa della morte dei bambini e dello stesso Jude, sottrarre Hardy a quell’etichetta di pessimista contro cui sempre si era battuto.

    In assenza di un qualsiasi approdo rassicurante all’interno della società, nelle varie branche del sapere o nei rapporti interpersonali, si consuma ogni idea di crescita o di progresso lineare nel romanzo. Non a caso le sei parti in cui questo è diviso corrispondono ad una serie di stati in luogo nelle piccole città di provincia in cui l’azione di volta in volta si svolge: da Mary green a Christminster, Melchester, Shaston, «Aldbrickham e altrove», per ritornare «di nuovo a Christminster». Strutture urbane fisse e buie, prive di dinamismo, abitate da uomini a una sola dimensione, senza solidarietà. Anelli di una catena chiusa corrispondente sul piano spaziale a quell'ineludibile movimento di ritorno che costringe i protagonisti, dopo tante false partenze, esattamente al punto iniziale.

    Rispetto ai caratteri fondamentali comuni alle cronache del Wessex, negli ultimi romanzi si rileva una maggiore concentrazione dello sguardo sulle tematiche di coppia. Le vicende ripetutamente intrecciate e sciolte dei coniugi Sue/Phillotson, Jude/Arabella, Vestenuante oscillazione della coppia Jude/Sue tra legame platonico e consumazione sessuale, fino alla cancellazione finale di tutti i segni e i frutti dell’amore, bastano da sole a tenere la scena. Tutte le altre questioni di ordine sociale - l’inserimento nel mondo del lavoro, Vistruzione intellettuale, la fortuna economica - si dipanano sull’esterno a partire da una irrisolta e lacerata condizione di coppia. La vita collettiva e corale che aveva caratterizzato la comunità rurale in Nel bosco o La brughiera, si riduce qui alla presenza di pochissimi personaggi (la signora Edlin, Gillingham) con funzione di commentatori che allarghino il senso delle vicende dei protagonisti a un più ampio contesto storico sociale. Ed è anzi come se quelle figure solitarie e nomadi che in precedenza avevano occupato i margini della scena collettiva balzassero in primo piano: senza fissa dimora, senza genitori, Jude e Sue sono destinati a restare anche senza prole, privi di qualsiasi continuità e legame biologico. E la loro condizione di emarginati e diseredati che fa romanzo.

    Per questo ridursi della vita comunitaria, e per questo rovesciamento di posizioni tra individuo e società, si possono ovviamente addurre ragioni realistiche e di coerenza interne al romanzo stesso: come il fatto che la vicenda si svolga nel Nord Wessex, dove l'antico universo agricolo si disgrega più velocemente a contatto con le forme del vivere moderno, o il fatto che i protagonisti stessi tendano a ritrarsi dalla socialità nel loro mondo a due, «in un paradiso fantastico fatto di solitudine immaginaria». Ma la produzione dell'ultimo Hardy impone di tenere in considerazione anche altri tipi di ragioni, più specificamente legate ad una ricerca dell’autore sulla forma stessa del romanzo.

    Concentrare lo sguardo sul rapporto a due significa anche delegare ai protagonisti gran parte della narrazione, lasciarli esprimere attraverso dialoghi ossessivamente ripetitivi, senza quasi consentire che il narratore intervenga a mettere ordine, spiegare, interpretare. Si avvia così, in anticipo rispetto al transito delle tecniche freudiane nella letteratura modernista, un processo a due voci di analisi della psiche, diverso sia dal flusso di coscienza sia dal monologo interiore. Un processo che prelude alla deformazione della forma romanzesca operata da D.H. Lawrence in Sons and Lovers (1913) e Women in Love (1920), dove si attua un analogo continuo transfert tra personaggi, autore e narratore, e i dialoghi assumono il carattere stilizzato e astratto che sarà del romanzo-conversazione.

    Il criterio ottocentesco dell’onniscienza del narratore viene ridotto e circoscritto, reso comunque sempre più esterno ed estraneo rispetto al determinarsi degli eventi, sicché in molti casi la voce autoriale apparirà immersa nelle sue stesse elucubrazioni autoreferenziali. Come in molte composizioni poetiche hardyane, siamo di fronte a un processo di drammatizzazione totale, che non coinvolge solo il discorso direttamente interlocutorio tra personaggi, ma l’argomentazione interna ad ogni singola emittente di discorso, il conflitto interiore di una coscienza scissa. Lo sfasamento della comunicazione che ne consegue finisce col vanificare ogni autentica ricezione e ascolto del discorso dell'altro.

    Indeciso, dubbioso, spaccato in due fino alVautonegazione appare soprattutto il personaggio femminile, Sue, una new woman acculturata ed emancipata, per la quale tuttavia, come già per la contadina Tess, non c’è salvezza. E non è solo "la lettera " della norma matrimoniale esterna - che non prevede divorzio - che stringe e uccide (come dice appunto il sottotitolo del romanzo, tratto da san Paolo, «la lettera uccide»), ma è anche l’impossibilità di elaborare una visione interiore autenticamente immaginativa e libera. Sicché indirettamente l’invito rivolto dal sottotitolo al lettore è a non mortificare il testo, a lasciarne vivere tutte le implicazioni non letterali. Perché, come Hardy dirà, con intuizione modernissima, a proposito del suo dramma epico The Dynasts, «il canovaccio scritto non è una rappresentazione ma un mezzo per produrre una rappresentazione»: siamo noi i registi e gli interpreti del dramma.

    Rigida nelle sue letture della realtà, Sue ribalta continuamente la libertà in autocostrizione, il coraggio in paura, l’ateismo in bigottismo, il paganesimo in puritanesimo. Sola sulla sua lunghezza d’onda, non si incontra mai davvero con Jude. E se da un lato questa conflittualità interna la rende la prima donna moderna vera descritta da penna maschile, dall’altro è chiaro che la visione hardyana va oltre quella del suo personaggio. Più di una volta il narratore rileva come il progetto utopico di vita a due con Jude venga assunto in modo letterale, e risulti dunque esso stesso profondamente distruttivo: diversamente da Sue, Hardy non crede affatto che attraverso la negazione della sessualità e della vita del corpo si conquisti una più alta spiritualità. Ma né la carnalità di Arabella né il deterioramento fisico e mentale di Jude costituiscono o consentono alternative.

    E d’altra parte l’omissione dal sottotitolo della seconda parte della citazione paolina («è lo spirito che dà la vita») sembra negare tout court la presenza spirituale nell’universo del romanzo. La volontà immanente nelle vicende di coppia e individuali è una volontà inconscia di morte, cui l’opposta pulsione di vita, l’eros, soggiace. Come l’autore dirà nella Preface del 1912 al romanzo, «la tragedia nasce dall’adattamento forzato degli istinti umani dentro stampi vecchi e costrittivi che non gli si adattano». E vecchi e costrittivi sono diventati, per Hardy, anche gli stampi del romanzo: rifiutandone la rigidità, muove così alla poesia, nell’auspicio di una scrittura più libera e fine a se stessa. Una scrittura animata, come la pietra gotica che tanto aveva studiato e lavorato, da un principio di «irregolarità e spontaneità», rispettosa delle qualità imprevedibili e incoercibili del vivente.

    MARIA STELLA

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1840. Thomas Hardy nasce il 2 giugno a Higher Bockhampton, nel Dorset, da Thomas Hardy e Jemina Hand, in una famiglia di proprietari terrieri da tempo decaduta. Dal lato paterno filtrano memorie delle guerre napoleoniche, amore per la musica e la lavorazione della pietra, dalla madre il gusto per la letteratura.

    1849-56. Viene mandato a scuola a Lower Bockhampton, poi a Dorchester per il latino. Legge i romanzi del Settecento e i classici, suona il violino a danze e feste locali, fa parte del coro.

    1857-61. Lavora come apprendista presso John Hicks, architetto e restauratore di chiese. Studia il greco con Horace Moule e conosce il filologo e poeta William Barnes, che molto influirà sulla sua formazione. Legge nel 1859 L’origine delle specie di C. Darwin e ne rimane fortemente influenzato.

    1862-67. Va a Londra come assistente dell’architetto A. Blomfield. Frequenta opera e teatri, passa lunghe ore alla National Gallery. Continua le letture filosofiche (Mill, Spencer, Huxley) e letterarie (Scott, i poeti romantici). Invia ai periodici le prime poesie.

    1867-70. Torna a Higher Bockhampton, per seguire con Hicks i restauri di una chiesa. Alla morte di questi lavora con l’architetto Crickmay di Weymouth. Inizia il primo romanzo, The Poor Man and the Lady (1867-68), che verrà rifiutato. Si innamora della cugina Triphena Sparks (possibile prototipo di alcune sue figure femminili, tra cui Sue in Jude the Obscure). Continua a scrivere poesie che però non pubblica, e inizia Desperate Remedies. Durante il restauro della chiesa di St. Juliot conosce la cognata del parroco, Emma Lavinia Gifford, che diventerà poi sua moglie e influirà largamente sulla sua produzione.

    1870-74. Lavora per un periodo a Londra. Viene convinto da Emma a continuare a scrivere dopo il parziale insuccesso di Desperate Remedies (1871). Migliore è la ricezione critica di Under the Greenwood Tree (1872). Nonostante l’opposizione, per motivi di classe, del padre di lei, continua la relazione con Emma. Inizia a scrivere A Pair of Blue Eyes. Dopo il suicidio dell’amico e mentore Horace Moule, torna di nuovo a casa e scrive Far from the Madding Crowd, che verrà pubblicato a puntate sul «Cornhill Magazine», con un certo successo di pubblico e di critica. Sposa Emma nel 1874.

    1875-79. Dopo un breve giro sul continente, decide di abbandonare definitivamente l’architettura. Nel 1876, anno in cui esce The Hand of Ethelberta, la coppia si stabilisce per due anni a Sturminster Newton. Dal 1878, finito «il periodo più felice» del loro rapporto, i due sono a Londra, dove Hardy è ormai noto nell’ambiente letterario (frequenta E. Gosse, A. Tennyson, R.L. Stevenson).

    1880- 85. Tra il 1880 e il 1881, nel corso di una lunga e seria malattia, scrive il romanzo storico sulle guerre napoleoniche The Trumpet Major, e poi A Laodicean. Alla fine del 1883, dopo un viaggio in Scozia e a Parigi e dopo la pubblicazione di Two on a Tower, si trasferisce nel Dorset, dove si interessa attivamente alla vita locale e segue i lavori per la costruzione della casa di Max Gate, che abiterà dal 1885.

    1885-93. Inizia la fase dei grandi romanzi. Nel 1886 esce The Mayor of Casterbridge, seguito da The Woodlanders (1887) e dalla prima raccolta di racconti, Wessex Tales (1888). Dopo un viaggio in Italia nel 1887 alterna soggiorni a Londra alla residenza a Max Gate: incontra e riceve R. Lowell, R. Browning, M. Arnold. Nel 1890 pubblica i racconti di A Group of Noble Dames e nel 1891 prepara Tess of the D’Urbervilles per la pubblicazione a puntate, con molti tagli richiesti dalla censura. Comincia a concepire il poema epico The Dynasts, raccogliendo materiale storico sulle guerre napoleoniche.

    1894-97. Pubblica i racconti di Life Little Ironies e inizia a lavorare a The Well-Beloved, che uscirà più tardi. Sono gli anni di maggior tensione nel rapporto con Emma e di massima sfiducia nella forma romanzesca. Rifiuta tagli e compromessi per la pubblicazione di Jude the Obscure nel 1896. Amareggiato e depresso per l’accoglienza riservata a quest’ultimo, decide di non scrivere più romanzi. Seguirà infatti solo la pubblicazione di The Well-Beloved, nel 1897. Si reca in Belgio a Waterloo a documentarsi per The Dynasts.

    1898-1912. Dà alle stampe la prima raccolta di poesie, Wessex Poems, accompagnata dalle sue stesse illustrazioni. Nel 1902 escono, presso Macmillan, i Poems of the Past and the Present, dove si affiancano, spesso senza date esplicite, composizioni risalenti a periodi diversi. The Dynasts lo assorbe fino al 1904, anno della pubblicazione della prima parte (seguiranno la seconda, nel 1906 e la terza nel 1908). Muore la madre. Cura un’edizione delle opere di W. Barnes, fa visita a Swinburne. Nel 1909 esce Time's Laughingstocks; riceve l’Ordine del Merito del Dorcester. Nel 1912 rivede i romanzi per l’edizione generale. Muore all’improvviso Emma.

    1913-17. Compie un pellegrinaggio sui luoghi dove era nato l’amore per la moglie: ne nasce l’intensissimo canzoniere «alla memoria» Poems of 1912-13, che appare nella raccolta Satires of Circumstance del 1914. Raccoglie alcuni racconti precedenti in A Changed Man. Sposa Florence Emily Dugdale, sua segretaria e assistente già dal 1912. Nel 1913 riceve la laurea ad honorem a Cambridge (seguirà, nel 1920, Oxford). Lo scoppio della prima guerra mondiale incupisce ulteriormente la sua visione pessimistica, come si vede nelle poesie dedicate a questo tema nella raccòlta Moments of Vision (1917).

    1918- 28. Nel 1922 pubblica poesie di periodi diversi in Late Lyrics and Earlier. Nel 1923 scrive un dramma in versi, The Famous Tragedy of the Queen of Cornwall Un’ulteriore raccolta di poesie, Human Shows, esce nel 1925. Lavora, per l’interposta persona della moglie, alla propria «autobiografia spettrale», The Early Life of Thomas Hardy; brucia tutte le vecchie lettere, note, appunti. Ancora nel 1927 è intento a revisionare vecchie e nuove poesie. Muore il 10 gennaio del 1928. È sepolto nel Poets’ Corner a Westminster Abbey. Per suo espresso desiderio il cuore è seppellito a Stinford nella tomba di Emma Hardy. La raccolta Winter Words uscirà postuma nel 1928.

    BIBLIOGRAFIA

    Edizioni

    Prima di essere pubblicati in volume, molti romanzi di Thomas Hardy apparvero a puntate su riviste sia inglesi («Graphic», «Belgravia», «Cornhill Magazine») sia americane («Atlantic Monthly», «Harper’s New Monthly Magazine», «Harper’s Bazaar»), che ospitarono anche alcuni racconti.

    Le prime edizioni singole furono: Desperate Remedies, London, Tinsley, 1871; Under the Greenwood Tree, London, Tinsley, 1872; A Pair of Blue Eyes, London, Tinsley, 1873; Far From the Madding Crowd, London, Smith Elder and Co., 1874; The Hand of Ethelberta, London, Smith Elder and Co., 1876; The Return of the Native, London, Smith Elder and Co., 1873; The Trumpet-Major., London, Smith Elder and Co.,1880; A Laodicean, London, Smith Elder and Co., 1881; Two on a Tower, London, Smith Elder and Co., 1882; The Mayor of Casterbridge, London, Smith Elder and Co., 1886; The Woodlanders, London, Osgood, Mcllvaine and Co.,1887; Tess of the D’Urbervilles, London, Osgood, Mcllvaine and Co., 1891; Jude the Obscure, London, Osgood, Mcllvaine and Co.,1895; The Well-Beloved, London, Osgood, Mcllvaine and Co., 1897. Ai romanzi si aggiungono quattro volumi di racconti: Wessex Tales (1888), A Group of Noble Dames (1891), Life Little Ironies (1894), A Changed Man and Other Tales (1913).

    A Londra, presso Macmillan, furono pubblicate, nell’ordine, le raccolte di poesie: Wessex Poems and Other Verses, 1898; Poems of the Past and the Present, 1902; Time’s Laughingstocks and Other Verses, 1909; Satires of Circumstance, Lyrics and Reveries, 1914; Moments of Vision and Miscellaneous Verses, 1917; Late Lyrics and Earlier, 1922; Human Shows, Far Phantasies, Songs and Trifles, 1925; Winter Words in Various Mood and Metres, 1928. La prima edizione completa dell’opera in prosa, la Wessex Edition di Macmillan, venne curata nel 1912 dallo stesso Thomas Hardy.

    Le edizioni standard sono al momento: The New Wessex Edition of Thomas Hardy’s Novels ed. P.N. Furbank, 14 vols., London, Macmillan, 1975-76; The New Wessex Edition of Thomas Hardy’s Stories, ed. F.B. Pinion, 3 vols., London, Macmillan, 1977; The Complete Poetical Works of Thomas Hardy, ed. S. Hynes , Oxford, Clarendon Press, 1982-95; The Literary Notebooks of Thomas Hardy, ed. L.A. Bjork, London , Macmillan, 1985; The Collected Letters of Thomas Hardy, eds. R. Purdy and M. Millgate, Oxford, Clarendon Press, 1978; Thomas Hardy’s Personal Writings, ed. H. Orel, London, Macmillan, 1967.

    Traduzioni italiane

    Non esiste una edizione completa in italiano delle opere di Thomas Hardy. Tra le traduzioni più importanti ricordiamo: Via dalla pazza folla, trad, di P. JAHIER e M.L. RISSLER STONEMAN, introd. di P. JAHIER, Milano, Garzanti, 1955 (rist. 1973, con pref. di A. BERTOLUCCI); Ritorno al paese, trad . di L. JERVIS ROCHAT, Milano, 1st. Edit. Italiano, 1948; La brughiera, trad, di A. PROSPERO, introd. di A. BERTOLUCCI, Milano, Garzanti, 1981; Il sindaco di Casterbridge, trad, di M. LOMBARDI, Torino, Einaudi, 1944 (rist. 1965); Il sindaco di Casterbridge, trad, di L. BERTI, Milano, Rizzoli, 1953 (rist. 1981, con nota di e. siciliano e nota bibl. di A. BRILLI); Nel bosco, trad, di S. TUMMOLINI, introd. di V. PAPETTI, Roma, Elido Fazi, 1995; Una donna pura: Tess dei d’Urberville, Milano, Sonzogno, 1894 (rist. 1904); Tess dei d’Urberville, trad, di A. ZANCO, Torino, Einaudi, 1950 (rist. 1970, con pref. di A. ZANCO); Tess dei d’Urberville, trad, di M.G. GRIFFINI, introd. di C. CASSOLA, Milano, Oscar Mondadori, 1979; Tess dei d’Urberville, trad, di G. ALDI POMPILI, intr. di P. CITATI, pref. di A. BRILLI, Milano, Rizzoli, 1980; Giuda l’oscuro, trad, di N. DE SANCTIS, Coop. Usher ed., Roma, 1904; Giuda l’oscuro, trad, di S. CHECCI D'AMICO, Torino, Einaudi,1942 (rist. 1992, con pref. di G. FINK); Jude l’oscuro, trad, di G. DE ANGELIS, Casini, Firenze-Roma, 1964; Jude l’oscuro, trad, di G. ALDI POMPILI, Milano, Rizzoli, 1960 (rist. 1981, con pref. di C. GORLIER e app. critico di A. BRILLI); Jude l’oscuro, trad, e intr. di G. LUCIANI, Milano, Garzanti, 1995; L’ideale, Milano, S. A. ELITE, 1933; L’amata, trad, e nota di R. CAMERLINGO, Napoli, Guida, 1987; Il meglio di T. Hardy, trad, di M. HANNAU, intr. di G. BRUNACCI, Milano, Longanesi, 1953; T. Hardy - Romanzi, a cura di C. CASSOLA, Milano, Meridiani Mondadori, 1973 (contiene: La Brughiera, trad, di A. PROSPERO; Tess dei d’Urberville, trad, di A. ZANCO; antologia di poesie); T. Hardy - Racconti, a cura di F. MACHERELLI, Milano, Mursia, 1992; Thomas Hardy - Storie del Wessex, a cura di G. LUCIANI, Firenze, Giunti, 1995; Piccole ironie della vita, trad, di N. e A. MESSINA, Milano, Bompiani, 1949; Life’s Little Ironies, a cura di R. LO SCHIAVO, Milano, Mursia, 1967; Piccole ironie della vita, trad, di M.P. COLASANTI e C. MAGGIORI, pref. di P. FAINI, Roma, Lucarini, 1985; Selected Tales and Poems. intr. e note di W. COLOSIMO, Roma, Signorelli, 1960; Il suonatore di danze scozzesi e altri racconti, a cura di R. BARONE, Milano, Sugarco, 1984; La tragedia di due ambizioni, trad, di P. MEZZADRI, Milano, Treves, 1935; Il braccio avvizzito, trad, di C. CASTANO, Catanzaro, Abramo, 1991; Barbara dei Grelbe, trad, di A. GASPAROTTI, a cura di F. MARRONI, Chieti, Solfanelli, 1991; Una romantica avventura, trad, di S. MODICA, intr. di T. KEZICH, Palermo, Sellerio, 1994; I dinasti, trad, e cura di G. SINGH, Firenze, Passigli, 1989. Alcune poesie di Thomas Hardy sono tradotte in Poesia inglese del novecento, a cura di C. IZZO, Parma, Guanda, 1967. La scelta antologica più ampia è a cura di G. SINGH, Thomas Hardy: Poesie, Parma, Guanda, 1968 (con pref. di E. MONTALE). Le traduzioni di ottanta liriche con testo a fronte sono contenute in M. STELLA, Momenti di Visione: identità poetica e forme della poesia in Thomas Hardy, Milano, Franco Angeli, 1992. A. BERTOLUCCI ha tradotto alcune poesie in Imitazioni, Milano, 1994.

    Studi

    Gli studi bibliografici fondamentali su Thomas Hardy sono: R.L. PURDY, Thomas Hardy: A Bibliographical Study, Oxford University Press, 1968; H.E.GERBER and W.E. DAVIES (eds.), Thomas Hardy: An Annotated Bibliography of Writings about Him, DeKalb, North. Illinois, 1973; D P. DRAPER and M.S. RAY, An Annotated Critical Bibliography of Thomas Hardy, Hemel Hampstead, 1989; J. MAGOON, A Thomas Hardy’s Bibliography 1970-1985, London, 1990. A questi si rimanda per tutti i contributi critici fino agli anni Ottanta. Biografie fondamentali, oltre a quella curata dalla moglie, F.E. HARDY, The Life of Thomas Hardy 1840-1928, London, Macmillan, 1962, sono: M. MILLGATE, Thomas Hardy: A Biography, Oxford University Press. 1982; J. GIBSON, Thomas Hardy: a Literary Life, London, Macmillan, 1996.

    Tra gli studi i più recenti si segnalano: F.B. PINION, A Thomas Hardy Dictionary with Maps and Chronology, London, Macmillan, 1989; s. BERGER, Thomas Hardy and Visual Structures. Framing, Disruptions, Process, New York, New York Univ. Press, 1990; T. JOHNSON, A Critical Introduction to the Poems of Thomas Hardy, London, Macmillan, 1991; R.P. DRAPER (ed.), Thomas Hardy: The Tragic Novels, London, Macmillan, 1991; M.R. HIGONET, The Sense of Sex: Feminist Perspectives on Hardy, Chicago, Univ. of III. Press, 1993; J. REILLY, Shadowline: History and Representation in Hardy, Conrad and G. Eliot, London, Routledge, 1993; P. WIDDOWSON (ed.), Tess of the d’Urbervilles: A Casebook, London, Macmillan, 1993; M. MILLGATE, Thomas Hardy: His Career as a Novelist, London, Macmillan, 1994; R. EBBATSON, Hardy: the Margin of the Unexpressed, Sheffield, Sheffield Academic Press, 1995; T. HANDS, Thomas Hardy, London, Macmillan, 1995; J. JEDREJEWSKI, Thomas Hardy and the Church, London, Macmillan, 1995; p. BOUMELHA (ed.), Jude the Obscure: A New Casebook, London, Macmillan, 1996; B.GREEN, Hardy’s Lyrics: Pearls of Pity, London, Macmillan,1996; C. P.C. PETTIT (ed.), Celebrating Thomas Hardy: Insights and Appreciations, London, Macmillan, 1996.

    Tra i contributi italiani si ricordano: G. SERTOLI, La strada e il desiderio: «The Woodlanders» di Thomas Hardy, in «Annali della Facoltà di lettere e filosofia», Università di Perugia, XIII (1975-76); G. SPINA, I romanzi provinciali di Thomas Hardy, Genova, Tilgher, 1977; F. BINNI, Thomas Hardy, in I contemporanei - Letteratura Inglese, a cura di V. AMORUSO e F. BINNI, Roma, Lucarini, 1977; F. BINNI, Hardy: Forma storica di un’esperienza totale, in Modernismo letterario angloamericano, Roma, Bulzoni, 1978, pp. 19-74; M.T. BINDELLA, Scena e figura nella poesia di Hardy, Pisa, Pacini, 1979; R. BARONE, I racconti di Thomas Hardy, Bari, Dedalo, 1980; G. ROVERA, Poetica dello spazio e dimensione umana in Thomas Hardy, Torino, Giappichelli, 1982; F. BUGLIANI, Hardy e le poesie degli anni sessanta: getting to end of dreams, Pisa, Ets, 1984; E. VILLARI, «Il vizio moderno dell’irrequietezza». Saggio sui romanzi di Thomas Hardy, Bari, Adriatica, 1990; M. STELLA, Momenti di visione: identità poetica e forme della poesia in Thomas Hardy, Milano, Franco Angeli, 1992; F. BINNI, Hardy poeta: immaginazione e necessità, Modena, Mucchi, 1995; G. LUCIANI, Thomas Hardy. Shelley’s Skylark, in La figlia che piange, a cura di A. LOMBARDO, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 181-192; F. MARRONI e N. PAGE (a cura di), Thomas Hardy, Pescara, Tracce, 1995; M. STELLA, Thomas Hardy: il poeta e la lettura del cuore, in La figlia che piange, a cura di A. LOMBARDO, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 169-181.

    M.S.

    Aggiornamento bibliografico

    Tra le ultime traduzioni delle opere di Thomas Hardy ricordiamo: Il ritorno del nativo, trad. di A. PROSPERO (a cura di F. MARRONI), Milano, Mondadori, 2000; Tess dei d’Uberville, trad. di G.A. POMPILI (con intr. di P. CITATI), Milano, bur, 2002; Due sulla torre, trad. di C. VATTERONI (con intr. di G. MONTEFOSCHI), Roma, Fazi, 2003; Giuda l’oscuro, trad. di G. ALDA POMPILI (con pref. di C. GORLIER e apparati critici di A. BRILLI), Milano, bur, 2004; La brughiera, trad. di A. PROSPERO (con intr. di A. BERTOLUCCI), Milano, Garzanti, 2008; Jude l’oscuro, trad. e pref. di G. LUCIANI, Milano, Garzanti, 2010.

    Quanto agli studi sulle sue opere, citiamo: Lo specchio e la clessidra: uno studio sulla narrativa di Thomas Hardy, di E. ETTORRE, Napoli, Liguori, 2007; Tre saggi su Thomas Hardy, di R. CESARANI, I. DUNCAN e E. VILLARI, a cura di P. PEPE, Roma, Bulzoni, 2010.

    Di Jude l’oscuro ricordiamo la versione cinematografica del 1971, diretta da Hugh David, con Robert Powell e Fiona Walker, e il film Jude, del 1996, diretto da Michael Winterbottom, con Christopher Deccleston e Kate Winslet.

    JUDE L’OSCURO

    La lettera uccide*

    * La citazione sull’occhiello è tratta dalla Seconda lettera ai Corinti di san Paolo, III, 6.

    Prefazione alla prima edizione

    La storia di questo romanzo (la cui pubblicazione nella presente forma è stata ritardata di molto dalle necessità legate alla sua precedente comparsa a puntate su un periodico) è in breve la seguente. Lo schema fu abbozzato nel 1890, sulla base di appunti presi dal 1887 in poi, mentre alcune circostanze furono dettate dalla morte di una donna l’anno precedente.¹ Le scene furono riviste nell’ottobre del 1892; la narrazione fu scritta a grandi linee nel 1892 e la primavera del 1893, e per esteso, come appare ora, dall’agosto del 1893 in poi, fino all’anno successivo; con l’eccezione di pochi capitoli, fu consegnato all’editore verso la fine del 1894. La prima puntata apparve sull’«Harper’s Magazine» nel novembre del 1894, dove fu poi pubblicato mensilmente.

    Ma, come era già avvenuto per Tess dei D’Urberville, la versione che apparve sulla rivista fu, per vari motivi, abbreviata e modificata in alcuni punti; la presente edizione è la prima a riprodurre il testo originale. La difficoltà sorta per la scelta del titolo, fece sì che il romanzo fosse pubblicato con un titolo provvisorio, cui in seguito se ne aggiunsero altri due. Quello attuale e definitivo, ritenuto complessivamente il migliore, era uno dei primi cui avevo pensato.

    È un romanzo, rivolto da un uomo a un pubblico adulto, che cerca di trattare con naturalezza l’inquietudine e l’eccitazione, la derisione e il disastro che possono incalzare quando le più forti passioni umane si risvegliano, di raccontare senza giri di parole la guerra mortale ingaggiata tra la carne e lo spirito, e di mettere in rilievo la tragedia delle ambizioni non soddisfatte, e mi sembra che non ci sia nulla da obiettare al modo in cui le tematiche sono state trattate.

    Come la precedente produzione creata da questa penna, Jude l’oscuro è semplicemente un tentativo di dare forma e organicità a una serie di apparenze, di impressioni personali, considerando secondarie la loro coerenza o discordanza, la loro permanenza o la loro transitorietà.

    T.H.

    Agosto 1895

    ¹ Molto probabilmente la donna in questione è la cugina dello stesso Hardy, Tryphena Sparks, di cui era stato innamorato da giovane.

    Poscritto

    La pubblicazione di questo libro sedici anni fa, con la Prefazione esplicativa data sopra, fu seguita da polemiche impreviste; a distanza di tempo possiamo ritornare con la memoria, per un attimo, alle sue vicissitudini. Dopo due giorni dalla pubblicazione, i critici letterari si pronunciarono con toni completamente diversi da quelli con cui avevano accolto Tess dei D’Urberville, ad eccezione di due o tre di loro che si dissociarono dal coro. L’accoglienza che era stata riservata al romanzo in Inghilterra raggiunse immediatamente l’America via telegrafo, e la musica si rinforzò da quella parte dell’Atlantico in un acuto crescendo.

    Ai miei occhi, l’aspetto più malinconico di questi attacchi era che la maggior parte del romanzo - quella che presentava gli ideali infranti dei due protagonisti, e che mi interessava in maniera particolare, e direi quasi esclusiva - fu praticamente ignorata dalla stampa avversa dei due paesi; mentre le venti o trenta pagine di dettagli tristi, ritenute necessarie a completare la narrazione e a mettere in evidenza le antitesi nella vita di Jude, furono quasi le uniche a essere lette e giudicate. E fatto ancora più curioso, la ristampa l’anno successivo di un racconto fantastico,¹ pubblicato qualche tempo prima su una rivista per famiglie, attirò sul mio capo, da più parti, una serie di invettive dello stesso genere.

    Troppo per l’infelice inizio della carriera di Jude come romanzo. Dopo questi verdetti della stampa, la successiva sventura fu quella di essere bruciato da un vescovo, probabilmente per la disperazione di non poter bruciare me.

    Poi qualcuno scoprì che Jude era un’opera morale - austera nella trattazione di un tema difficile - come se lo scrittore non avesse già dichiarato esplicitamente nella Prefazione che questa era la sua intenzione. Da quel momento molti smisero di inveire contro di me, e la faccenda finì lì; ma quell’esperienza mi convinse definitivamente a soffocare qualsiasi desiderio di scrivere altri romanzi.

    Tra i molti e spiacevoli inconvenienti che quell’ondata di critica sollevò, uno va ricordato: un americano, un uomo di lettere, che non nascondeva la sua salda moralità, mi scrisse che, essendo stato spinto a comprare una copia del libro dalle critiche scandalizzate, era andato avanti nella sua lettura, chiedendosi quando sarebbe cominciata la parte tanto vituperata, ed aveva finito per gettarlo in mezzo alla stanza imprecando per essere stato indotto da una critica disonesta a sprecare un dollaro e mezzo per quello che si era compiaciuto di definire un trattato etico-religioso.

    Ero d’accordo con lui, e lo rassicurai onestamente che la falsa presentazione del libro non era assolutamente un mio espediente collusivo per aumentare la tiratura tra gli abbonati delle riviste in questione.

    Ci fu poi il caso di una signora, una scrittrice autorevole di una rivista diffusa in tutto il mondo, la quale, dopo aver raccontato in un articolo - il cui titolo preannunciava tutto il suo orrore - di avere provato disgusto nella lettura del libro, mi scrisse a distanza di breve tempo che avrebbe desiderato fare la mia conoscenza.

    Ma ritorniamo al libro. Poiché le leggi del matrimonio sono state usate in gran parte per la struttura tragica del racconto, e il suo significato generale nella vita domestica tende a dimostrare, per dirla con Diderot, che la legge civile non dovrebbe essere altro che l’enunciazione di una legge di natura (un’affermazione che va comunque presa con riserva), sono stato accusato sin dal 1895 di essere il maggior responsabile in questo paese dell’attuale stato di deterioramento del matrimonio (come ha affermato uno scrittore colto alcuni giorni fa). Non saprei. All’epoca la mia opinione, se non vado errato, era la stessa di oggi: un matrimonio si deve poter annullare non appena diventa una crudeltà per una delle due parti, perché a quel punto non è più un matrimonio, né nella sua essenza né da un punto di vista morale; ciò mi sembrava una buona base per l’intreccio di una tragedia, raccontata per presentare dei particolari che contenevano molti elementi universali, non senza la speranza che vi si potessero rilevare delle aristoteliche qualità catartiche.

    Allo stesso scopo sono state sfruttate le difficoltà di acquisire, venti o trenta anni fa, una cultura nel campo letterario senza mezzi pecuniari; anche se sono stato informato che alcuni lettori hanno pensato che questi episodi fossero un attacco a istituzioni venerabili, e che, in seguito, quando fu fondato il Ruskin College, secondo alcuni lo si sarebbe dovuto chiamare il College di Jude l’oscuro.

    Il prezzo da pagare, per il fatto che l’impegno artistico trovi le sue tragedie nell’adattamento forzato delle passioni umane a modelli vecchi e noiosi e che mal gli si adattano, è sempre molto alto. Per quanto riguarda Bludyer² e la giustizia sommaria del vescovo, possiamo dire che entrambi la pensino in questo modo: «Noi inglesi odiamo le idee e vivremo secondo questo privilegio del nostro paese. Può darsi anche che il vostro quadro corrisponda alla realtà, rappresenti la vita comune, e sia persino contrario ai canoni dell’arte; ma è una visione della vita che, noi che viviamo di convenzioni, non possiamo permettere che venga dipinta».

    Ma cosa volete che importi. Per quanto concerne le scene matrimoniali, malgrado le loro difese e l’allarme isterico di una povera signora lanciato dalle colonne del «Blackwood»,³ secondo la quale ci sarebbe in azione una lega sacrilega contro il matrimonio, il famoso contratto - cioè il sacramento - gode ancora ottima salute, e la gente continua a sposarsi e ad arrendersi a quello che può essere o meno un vero matrimonio, a cuor leggero, come sempre. L’autore è stato anche rimproverato da alcuni onesti corrispondenti epistolari di aver lasciato il problema come l’aveva trovato e di non aver indicato la strada per una riforma indispensabile.

    Dopo la pubblicazione a puntate in Germania di Jude Voscuro, un critico famoso di quel paese fece presente all’autore che Sue Bridehead, l’eroina, rappresentava il primo abbozzo in un romanzo della donna che si stava affermando in quegli anni - la donna del movimento femminista - l’esile, pallida, ragazza indipendente che vive da sola - quel fascio di nervi intellettualizzato ed emancipato che produce la società moderna, per il momento prevalentemente nelle città; che non riconosce, per la maggioranza del suo sesso, la necessità di scegliere il matrimonio come una professione, e si esalta della propria superiorità perché è autorizzata a essere amata in base a queste premesse. Il rammarico del critico, però, era dovuto al fatto che a ritrarre questa donna moderna fosse stato un uomo, e non una del suo sesso, che non avrebbe mai contemplato la sua resa finale.

    Non saprei dire se questa certezza sia basata su dati concreti. Né sono in grado, a distanza di anni dalla stesura del romanzo, di fare una critica generale, se non quella che riguarda la correzione di alcune parole, al di là del suo contenuto. E, indubbiamente, in un libro può esserci più di quanto l’autore vi abbia messo consapevolmente, e ciò può rappresentare, a seconda dei casi, sia un vantaggio che uno svantaggio.

    T.H.

    Aprile 1912

    ¹ Si tratta di The Well-Beloved, un romanzo breve pubblicato sulla «Illustred London News» nel 1892.

    ² Personaggio di un romanzo di W.M. Thackeray, che nel suo ruolo di recensore stronca qualsiasi libro che legge.

    ³ Famosa rivista inglese dell’Ottocento.

    PARTE PRIMA

    A Marygreen

    Sì, molti hanno perso il senno per le donne, e sono diventati servi per amor loro. Molti altri sono morti, hanno sbagliato, anche peccato, per le donne... O uomini, non sono le donne forse potenti se riescono a tanto?

    Esdra ¹

    I.

    Il maestro stava lasciando il villaggio, e tutti sembravano dispiaciuti. Il mugnaio di Cresscombe gli aveva prestato il cavallo e il piccolo carretto coperto con un tendone bianco, che si dimostrò più che sufficiente per gli effetti del maestro in partenza e per trasportare la roba alla città dove era diretto, a circa venti miglia di distanza. Infatti la scuola era stata per la maggior parte arredata dall'amministrazione, e l'unica cosa ingombrante, oltre ai pacchi di libri imballati, era un piccolo pianoforte verticale che aveva comprato a un’asta qualche anno prima, quando aveva pensato di imparare a suonare uno strumento musicale. Ma, svanito l’entusiasmo, non aveva mai acquisito alcuna dimestichezza con le note, e da allora si era rivelato un perenne ingombro ogni volta che doveva cambiare casa.

    Il direttore, uomo che non sopportava di assistere ai cambiamenti, era andato via per tutta la giornata. Non sarebbe ritornato prima di sera, fino a quando non fosse giunto il nuovo maestro e non si fosse sistemato, e tutto avesse ripreso il ritmo normale.

    Il fabbro, l’amministratore rurale, e lo stesso maestro, erano in piedi nel salotto, dinanzi al pianoforte, indecisi sul da farsi. Il maestro aveva fatto notare che, anche se fossero riusciti a caricarlo sul carretto, non sapeva comunque cosa farne al suo arrivo a Christminster, la città in cui era diretto, poiché agli inizi avrebbe cercato un alloggio temporaneo.

    Un ragazzetto di undici anni, che era rimasto ad assistere in silenzio alle operazioni di imballaggio, si avvicinò al gruppo di uomini e, mentre questi si fregavano il mento pensierosi, disse, arrossendo al suono della propria voce: «Mia zia ha una grossa legnaia e potremmo portarlo lì, finché non avrà trovato un posto per sistemarlo, signore».

    «È una buona idea», disse il fabbro.

    Decisero di mandare qualcuno dalla zia del ragazzo - una vecchia zitella che abitava in quel villaggio - a pregarla di tenere il pianoforte nel suo capanno finché il signor Phillotson non avesse mandato a riprenderlo. Il fabbro e l’amministratore rurale si avviarono per verificare le condizioni del luogo che era stato proposto, e il ragazzo rimase solo con il maestro.

    «Ti dispiace che vada via, Jude?», chiese questi con dolcezza.

    Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime: non era uno degli allievi regolari che si avvicinavano senza entusiasmo all’attività sociale del maestro, era uno che aveva frequentato i suoi corsi serali, e solo nel periodo in cui era rimasto in servizio quel maestro. Gli altri alunni, a dire il vero, se ne stavano ben lontani in quel momento, come certi discepoli del passato, restii ad offrire spontaneamente qualsiasi aiuto.

    Il ragazzo, imbarazzato, aprì il libro che aveva in mano, regalo d’addio del signor Phillotson, e ammise di essere dispiaciuto.

    «Anch’io», disse il signor Phillotson.

    «Perché va via, signore?», chiese il ragazzo.

    «Ah... sarebbe una storia molto lunga. Non capiresti le mie ragioni, Jude. Forse un giorno, quando sarai più grande, potrai capire».

    «Credo di poterle capire anche

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