Reichland. L'aquila delle dodici stelle
Di G. L. Barone
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Info su questo ebook
Dall'autore del bestseller La cospirazione degli Illuminati
Cinque gerarchi assassinati.
L'archivio di Stato svaligiato.
Chi attenta all'unità della nuova Europa?
Anno 2024. L'Unione Confederata, il nuovo stato unitario Europeo, è stretta nella morsa di una lunga crisi economica e politica. L'inflazione è ai massimi livelli storici, la popolazione è allo stremo, il governo provvisorio di Berlino è controllato da potenti lobby e ogni settore del commercio è in mano alla malavita. Alla vigilia delle elezioni, vitali per il futuro dello stato Confederazione, il cadavere di un uomo viene trovato sulla riva del fiume Aar, nei pressi di Berna. L'indagine, affidata al tenente Alexander Lang della Polizia Criminale Europea, sembra all’inizio semplice routine, tuttavia dall'identificazione dei resti emerge che si tratta di un importante uomo politico, membro della stessa Loggia che detiene il potere, scomparso due anni prima. Lang non può certo immaginare che la sua scoperta celi il segreto più importante dello Stato. Quando se ne renderà conto sarà ormai troppo tardi e la sua stessa vita sarà in pericolo. Tallonato dai Servizi Segreti Europei è costretto a scappare dalla sua città e dal suo lavoro. Aiutato da Clara, una donna enigmatica conosciuta durante la fuga, nel suo viaggio tra Lugano, Bruxelles e Berlino, per cercare di scoprire la verità e salvarsi così la vita, ripercorrerà tutti gli eventi che hanno portato alla nascita dell'Unione Confederata. Sul suo cammino troverà molti altri cadaveri eccellenti, segno inequivocabile che per proteggere il segreto più importante dell'Unione in molti sono disposti ad uccidere…
G. L. Barone
È nato a Varese nel 1974 e si è laureato in Giurisprudenza. Appassionato di economia, nel tempo libero suona in un gruppo heavy metal. Con la Newton Compton ha pubblicato La cospirazione degli Illuminati, Il sigillo dei tredici massoni, La chiave di Dante, I manoscritti perduti degli Illuminati. Dopo La settima profezia e Il settimo enigma, Il settimo oracolo è il capitolo conclusivo della Codice Fenice saga. È anche autore del serial ebook Il tesoro perduto dei templari, di uno dei racconti della raccolta Sette delitti sotto la neve e, in ebook, di Reichland. L'aquila delle dodici stelle. I suoi libri sono tradotti nei Paesi di lingua anglosassone, portoghese e spagnola.
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Reichland. L'aquila delle dodici stelle - G. L. Barone
2187
Prima edizione ebook: dicembre 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-2804-3
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Immagine44474.JPGIndice
L’unione nel 2024.
Domenica, 13 ottobre.
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Lunedì, 14 ottobre.
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Martedì, 15 ottobre.
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Mercoledì, 16 ottobre.
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Giovedì, 17 ottobre.
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Venerdì, 18 ottobre.
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Sabato, 19 ottobre.
Capitolo 69
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Capitolo 74
Capitolo 75
Capitolo 76
Capitolo 77
Capitolo 78
Capitolo 79
Domenica, 20 ottobre.
Capitolo 80
Capitolo 81
Capitolo 82
Capitolo 83
Capitolo 84
Capitolo 85
Capitolo 86
Capitolo 87
Capitolo 88
Epilogo
Nota dell’autore
Era il quinto anno dell’Unione, il nuovo stato unitario europeo.
Era l’autunno in cui l’inflazione volava ai massimi storici.
Era l’autunno in cui, mai come prima, l’invasione dell’esercito russo sembrava imminente.
Era l’autunno in cui le forze secessioniste attentavano all’unità europea.
Era l’autunno delle prime elezioni su base continentale.
L’unione nel 2024.
Quinto anniversario di fondazione.
image001.jpeg1. Berlino, sede del governo provvisorio
2. Bruxelles, sede del parlamento dell’Unione
3. Berna, capitale Regio-Elvetica
4. Lugano, capoluogo Regio-Insubrica
Durante le rivoluzioni vi sono solo due specie di uomini: coloro che le fanno e coloro che ne approfittano.
HONORÉ DE BALZAC
Domenica, 13 ottobre.
L’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi…
Preambolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
26 agosto 1789
Capitolo 1
Berna, Regio-Elvetica
L’alba aveva portato con sé una giornata grigia, piovosa e piena di ombre. La riva ovest del fiume Aar, che un tempo aveva segnato il confine della città, era sferzata da un vento gelido e tagliente. Nuvole maligne formavano una cappa opprimente del colore del piombo e lungo l’orizzonte il cielo sembrava fondersi con il pelo dell’acqua nera. L’abbaiare di un cane in lontananza era l’unico suono che riusciva a sovrastare il tamburellare della pioggia sulle foglie degli alberi.
Erano da poco passate le sette di mattina e gli agenti dell’
EK
– Europäische Kriminalpolizei, la Polizia Criminale Europea – avevano raggiunto a piedi il torrente artificiale. Avevano lasciato le poche automobili consentite dai regolamenti dell’Unione all’ingresso del cantiere, a circa un chilometro di distanza, dove finiva la strada asfaltata. Poi avevano proseguito a piedi, sporcandosi gli anfibi di fango, fino alla frana che aveva eroso gran parte della collina e riversato nel canale di drenaggio terra mista a rifiuti di ogni tipo.
Il tenente Alexander Lang osservò gli agenti mentre si avvicinava. Anche lui aveva camminato sotto la pioggia, ma a differenza dei colleghi che se ne stavano immobili, riparati da ingombranti ombrelli, la cosa non lo aveva affatto infastidito. Oltre ai quattro in uniforme nera, con il grado intermedio di Polizeimeister, c’era una quinta persona in abiti civili: il fotografo della Scientifica.
Lang affondò le mani nelle tasche del cappotto, che nascondeva un completo stropicciato e dozzinale, e si avviò lungo un viottolo fiancheggiato da betulle. Era un cinquantenne di altezza e corporatura medie, con capelli castani tagliati alla mullet e baffi sottili da popstar degli anni Ottanta. Suo padre era per metà siriano e per metà tedesco, e da lui aveva ereditato i lineamenti esotici e l’incarnato lievemente ambrato. Non aveva mai saputo invece cosa avesse preso dalla madre, che se ne era andata quando lui era ancora in fasce.
«Cittadino tenente, ben arrivato. Ha avuto difficoltà a trovare il posto?». Il piantone, incaricato di aspettarlo all’ingresso di quello che era stato un lussuoso golf club, gli andò incontro e tese la mano.
Lang si limitò a scuotere il capo. Davanti a lui, galleggianti nella nebbia, si stagliavano i bracci arrugginiti di due grandi gru, che sembravano gettare le radici direttamente nell’acqua del fiume.
«Venga, le faccio strada», continuò l’agente, che scattò davanti al tenente.
Si addentrarono tra gli alberi serpeggianti sul fianco della collina. Si trovavano in un cantiere abbandonato da anni, e la luce filtrava a fatica tra le foglie grondanti di pioggia.
«Chi l’ha rinvenuto?», chiese Lang mentre camminava. Già da dove si trovava, tra la terra, le radici, i frammenti di mattoni e di eternit, riconobbe prima lo scheletro di una mano e poi un braccio che fuoriusciva da un cumulo di detriti. Notò altri tre agenti che in precedenza non aveva visto intenti a rimuovere i sedimenti attorno al corpo. Erano vestiti con tute bianche aderenti e stavano pulendo la zona con piccoli pennelli da archeologo.
«Un bracconiere», rispose il giovane allampanato. «Da quando il golf club ha chiuso, questa è diventata una riserva di caccia abusiva. Sembra che gli scoiattoli e le volpi si siano riappropriati della zona».
Lang annuì e si spostò di qualche passo verso i pali divelti della recinzione del cantiere, che la frana aveva trascinato fin quasi nel canale.
«L’uomo ha dichiarato di avere visto il corpo da laggiù». L’agente indicò alcuni piloni di cemento coperti da arbusti, distanti una ventina di metri. «Ha detto che passa di qui tutte le mattine».
Lang assunse un’espressione non troppo convinta. Volse lo sguardo prima verso i piloni delle fondamenta di un edificio mai terminato, e poi in direzione della terra smossa, che si riversava nel corso d’acqua. Non sapeva molto di quel cantiere ma gli avevano spiegato che il Golf du Domaine Impérial aveva chiuso diversi anni prima a causa della crisi. I lavori di ristrutturazione erano stati interrotti e la vegetazione si era riappropriata di quella sponda dell’Aar.
«Dov’è il testimone adesso?»
«L’hanno portato via pochi minuti prima del suo arrivo. Dev’essere nell’ambulanza, sulla strada».
Nel frattempo aveva cominciato a piovere con maggiore insistenza. Tra le imprecazioni di qualcuno, i fasci di luce del flash del fotografo brillarono come dardi sulla scena ombrosa.
Facendo attenzione a dove metteva i piedi, Lang si spostò nuovamente, questa volta per avvicinarsi al cadavere. Scese lungo la rivetta scoscesa e arrivò sulla sponda del torrente. «Ascoltate bene», proclamò, il tono più autoritario di quanto lui stesso avrebbe voluto. «Finite i rilievi della scena e poi estraete il corpo; mi pare che sia vestito, potrebbe avere addosso qualcosa di interessante».
Subito dopo tornò sui suoi passi e risalì in direzione del sentiero.
«Alex, aspetta». Era la voce di Alfred Orlando, il suo collega.
Il tenente si voltò e lo squadrò da dietro gli occhiali. Era un omino piccolo e quasi del tutto calvo, con la faccia bianco latte e qualche sparuto ciuffo di peli sulle guance. Mentre si apprestava a scendere sul letto del torrente, disse: «Ero con il testimone. A meno che non sia l’uomo bionico, la sua dichiarazione è quantomeno… singolare».
«Singolare?». Lang aggrottò la fonte. «Cosa intendi esattamente?»
«È meglio che lo ascolti con le tue orecchie».
Capitolo 2
Da poco aveva ricominciato a piovigginare e il gelido Burian proveniente dalla Siberia si insinuava tra i palazzi grigi della periferia. Lang salì a due a due i gradini dell’edificio della Polizia Criminale Europea di Berna – un grattacielo spoglio punteggiato di finestre tutte uguali – poco prima delle otto di quella stessa mattina.
La porta a doppia anta di vetro era socchiusa e il grande atrio spoglio e semivuoto. In fondo all’ingresso, all’ombra di una rampa di scale, sedeva un’agente di guardia.
Lang le passò accanto senza notarla e si avviò lentamente lungo la scala.
«Buongiorno, tenente», lo salutò manierosa la donna di mezz’età, decisamente sovrappeso e con l’aria di chi è scomodo sulla sedia.
Alex si fermò e fece un passo indietro. «Mi scusi, Milly, ero sovrappensiero». Si strofinò le palpebre. «Lavora anche di domenica?»
«Anche lei vedo», sorrise.
«Come mai al buio?», borbottò, interessato.
«Le candele le tengo per la sera, adesso mi accontento della penombra…».
Il tenente alzò le spalle e salutò.
Dalla fine dell’estate, la corrente elettrica era stata interrotta anche nei palazzi Statali. Il governo provvisorio dell’Unione, non riuscendo a sostenere le spese per gli interessi sul debito pubblico, aveva dovuto tirare la cinghia. In ogni caso, anche prima che scuole, ospedali e caserme rimanessero al buio per legge
, le cose non andavano molto meglio: la rete elettrica era vetusta e malridotta e le centrali, a causa dei continui attentati, erano più spesso fuori servizio che operative. La maggior parte dei cittadini – quelli che non avevano potuto fare fronte all’aumento di oltre quaranta volte del costo dell’energia – erano comunque al buio da diverso tempo. Chi poteva andava avanti con le candele o con le lampade a olio che lo Stato metteva a disposizione; chi era meno fortunato, invece, lavorava nella penombra. Come Milly.
Lang salì le scale a testa bassa e raggiunse l’ufficio che condivideva con Alfred Orlando. Entrò in una stanza disadorna, riflesso della sua inclinazione militaresca all’ordine. Sulla scrivania, illuminata da un raggio lattescente che filtrava dalla piccola finestra, le carte erano ben impilate e alle pareti c’erano scaffali carichi di pratiche perfettamente allineate. Accanto alla porta faceva bella mostra la bandiera dell’Unione su cui campeggiava lo slogan del momento: Dagli Urali all’Atlantico: un continente, un popolo, una nazione
.
Era stato trasferito in quell’ufficio da una piccola cittadina austriaca cinque mesi prima. Dopo l’annessione della Svizzera, il governo provvisorio aveva sostituito i vertici di tutte le istituzioni statali con funzionari provenienti dall’estero e lui era stato uno dei prescelti. Era consapevole di aver ricevuto un incarico importante nella capitale della Regione Elvetica e, proprio per questo, non si capacitava di tanta fortuna. Certo, in passato era stato un poliziotto brillante. Quand’era in Austria aveva risolto molti casi grazie al sesto senso e alle intuizioni; ciò che gli mancava del tutto, però, da figlio d’immigrati qual era, erano le raccomandazioni indispensabili per fare carriera. E gli amici influenti. Anzi, a pensarci bene, non aveva proprio amici. Persino Antonia, sua moglie, lo aveva abbandonato due anni prima: ufficialmente aveva voluto una pausa di riflessione, la verità era che la pausa di riflessione l’aveva presa con un suo collega.
Da allora era solo, ma a differenza di tanti altri non gli dispiaceva troppo esserlo.
aquila.png«Toc toc», bisbigliò Orlando mentre bussava piano alla porta. Un fascio di luce fioca rischiarò il locale. Poggiò sulla scrivania una candela e fece sedere un anziano di fronte a Lang.
«Ben arrivato», lo accolse Lang.
«Dormivi?»
«Perché, ho quest’aria?».
Orlando sorrise. Afferrò una sedia di legno addossata alla parete e si sistemò a cavalcioni sull’angolo. «Ti ho portato il testimone. Si chiama Peter Rizigher, nato a Zurigo il 25 aprile 1965, pensionato».
«Hai la deposizione del signor Rizigher?», domandò stancamente.
«Certo». Il collega estrasse un piccolo blocco di appunti dalla giacca sgualcita. Cominciò a leggere, senza alzare lo sguardo: «Erano le sei e qualche minuto, stavo andando a caccia e ho visto, giù sul letto del fiume, qualcosa di strano. All’inizio credevo fosse la carcassa di un animale, ma poi mi sono avvicinato e ho riconosciuto una mano…
. Questa è quanto il signor Rizigher ha dichiarato subito dopo il nostro arrivo».
Lang contemplò il testimone in silenzio: indossava un giaccone logoro, aveva la pelle bianca e vistose macchie rosse causate dal freddo sul viso. I capelli erano arruffati, la barba lunga e ispida e gli occhi scavati. «Nient’altro d’aggiungere, cittadino Rizigher?», lo interrogò, picchiettando con la penna sul bordo del tavolo.
«No», mormorò il vecchio dopo un’interminabile respiro. Gli mancavano due incisivi.
Il tenente aggrottò la fronte. Da quel poco che il testimone aveva detto, era chiaro cosa intendesse Orlando quando aveva parlato di uomo bionico e di dichiarazione singolare
. «Lei ci vede bene?», gli chiese.
«Si! Cittadino».
«Anche io, però da vicino ho fatto molta fatica a capire cosa stavo guardando. Dice di avere visto qualcosa dal sentiero…». Lang volse lo sguardo interrogativo verso Orlando. «Quanto è lontano il camminatoio dalla riva del canale?»
«Un momento, vediamo». Il collega consultò di nuovo i suoi appunti, sfogliando il blocchetto avanti e indietro. «Ah sì, eccolo: dal luogo in cui è stato rinvenuto il corpo alla parte opposta sono ventotto metri».
«Ventotto», ripeté Lang. «È una bella distanza. Mi sa dire cosa c’è scritto su quel poster?». Il tenente indicò la parete alle sue spalle. Il testimone si voltò per un istante ma non replicò.
«È scritto troppo piccolo?», insistette. «Oltretutto, alle sei di questa mattina era ancora buio, vero?».
Il vecchio rimase nuovamente immobile come un dipinto, la testa bassa.
Trascorsero diversi secondi nel gelido silenzio, poi Lang si alzò e afferrò la candela. «Ci può scusare un istante?», fece, mentre usciva portandosi dietro il collega.
Il corridoio era quasi completamente al buio e la fievole luce della fiammella rischiarava i volti dei due poliziotti. «Cosa ne pensi?», si informò.
«Mente, ovviamente». Orlando si passò il palmo sul cranio pelato. «Per questo volevo che lo sentissi direttamente con le tue orecchie».
«Mente. Sono d’accordo».
«Il corpo era lì da diverso tempo. Forse anni. Di sicuro Rizigher nasconde qualcosa ma non credo che se fosse lui l’assassino avrebbe chiamato la polizia… Forse vale la pena lasciarlo andare e tenerlo d’occhio».
Il tenente annuì, pensoso. Quando rientrò in ufficio l’aria era fredda e stantia.
«Se non ha nient’altro da aggiungere, per adesso può andare», lo congedò, mentre una nuvola di condensa gli usciva dalle labbra screpolate.
«Se si ricorda qualcosa ce lo faccia sapere», aggiunse con un ghigno beffardo Orlando. Subito dopo gli porse due fogli da firmare. «Ho bisogno di un paio di autografi».
Rizigher indugiò, quasi incredulo. Fissò i due poliziotti con evidente diffidenza. Nessuno aggiunse altro quindi si voltò per afferrare la penna e firmò dove Orlando gli indicava. Subito dopo uscì silenziosamente e i due agenti rimasero immobili a osservare gli scrosci di pioggia sul vetro della finestra.
In quel momento squillò il telefono sulla scrivania del tenente. «Sì?».
La telefonata durò pochi secondi, poi Lang riagganciò e scattò in piedi. «Andiamo?»
«E dove, di grazia?»
«Dal coroner. Ci ha appena convocato».
Capitolo 3
«A un primo esame il cadavere presenta gli aspetti tipici di un corpo mummificato».
Nella fioca luce giallognola della sala autoptica dell’
HUG
, l’ospedale universitario di Berna, il dottor Alain Guisen si rivolse a un assistente, che prendeva appunti. «Poiché, a causa dell’alto livello di batteri all’interno della bocca, il tessuto gengivale si decompone più velocemente, si può inizialmente ipotizzare un decesso datato tra dodici e ventiquattro mesi fa. Il tutto fatte salve ulteriori verifiche».
Era un uomo alto e ossuto, pallido, sulla sessantina e con i capelli color latte. Curvo sul tavolo di autopsia, indossava una tuta blu, guanti di lattice e un caschetto con visiera che proteggeva il viso. Chi lo osservava per la prima volta non poteva fare a meno di notare il frequente su e giù
della spalla destra: un tic nervoso che nell’ambiente gli aveva fatto guadagnare il soprannome di Molla.
«Non sono, a prima vista, riscontrabili lesioni da corpo contundente. La quarta costola sinistra risulta lesionata. Gli organi interni sono… un momento». Si avvicinò, socchiudendo gli occhi. «Questa è interessante».
L’assistente fece un passo avanti.
«A quanto pare si tratta di una valvola aortica artificiale». Mosse il bisturi nella cassa toracica come se con un cucchiaino stesse mescolando un caffè. «Il paziente deve essere stato sottoposto a un intervento di sostituzione».
Incerto, il medico alzò lo sguardo verso lo spazio riservato agli studenti della facoltà di Medicina. Sapeva che oltre il vetro c’era una persona con la quale aveva parlato pochi minuti prima. «L’intervento potrebbe risalire a una decina di anni fa», ipotizzò, tornando con lo sguardo sul cadavere.
L’uomo seduto nella sala didattica balzò in piedi e, scesi alcuni gradini, raggiunse un interfono.
Un istante dopo, una luce rossa si accese nella penombra della sala autoptica e costrinse il coroner a riporre gli strumenti. Impassibile, Molla ascoltò con attenzione e infine riagganciò, non troppo convinto.
«Ricucitelo e passiamo al prossimo», tuonò, tornato al tavolo autoptico. L’assistente lo osservò stupito, in silenzio e in attesa di ricevere una spiegazione, che il coroner però non fornì. «Quanti ne abbiamo ancora questa mattina?», si limitò invece a dire.
«Sei in tutto. Cinque omicidi e un apparente suicidio».
Guisen sbuffò. «Allora sbrighiamoci a chiudere almeno questo fascicolo».
Capitolo 4
Il corridoio dell’ospedale, tinteggiato di fresco, era pieno di addetti che correvano su e giù, apparentemente senza una meta precisa.
Superato il bancone dell’accoglienza, Lang e Orlando si ritrovarono davanti a due infermieri che parlavano animatamente.
«È stato sbagliato, io l’avevo detto», commentò il primo, gesticolando con le mani.
«Io non volevo, ho votato contro», rispose garrulo l’altro. Scosse il capo.
«Se ne fossimo rimasti fuori non saremmo in questa situazione…».
Il tenente capì che stavano parlando di politica: i soliti discorsi degli svizzeri. Per di più vecchi di due anni. Perché siete entrati nell’Unione, se nessuno lo voleva?
, si domandò. Sembrava che la Svizzera desse la colpa all’Europa intera per la crisi economica. Il debito pubblico ci avrebbe stritolato ugualmente
, pensò. "Forse voi però stareste meglio… voi siete, anzi eravate ricchi".
Non sapeva se dargli torto o ragione: se la Svizzera fosse rimasta fuori dall’
UCE
adesso l’Europa sarebbe collassata su sé stessa, stritolata dall’austerità e in balia della nuova Russia. Tuttavia, se la Confederazione non fosse entrata nell’Unione, anche lei sarebbe diventata provincia di Mosca.
Camminando nel lucore del corridoio si lasciarono alle spalle i due paramedici, che continuavano a inalberarsi, e raggiunsero una sala d’aspetto. Mentre Orlando si avvicinava a un distributore di merendine – che con ogni probabilità era spento – l’attenzione di Lang fu attratta da una voce femminile: «Le ho già detto di non fumare», stava dicendo a un uomo distinto con la pipa.
Il tenente distolse lo sguardo, spostandolo sulla prima pagina di un quotidiano su un tavolino: Bomba in Ticino, 32 Morti. Liberazione elvetica, diceva la prima pagina.
La solita propaganda.
Non fece in tempo a sedersi che da oltre un paravento sbucò un tizio con l’aria scocciata. «Cittadini tenenti Lang e Orlando?».
Il tenente estrasse il distintivo.
«Sono il coroner, Alain Guisen», bofonchiò porgendo la mano magra e sudata. «Purtroppo posso dedicarvi solo dieci minuti: ho una giornata piena. Se mi seguite nel mio ufficio magari riusciamo ad archiviare il fascicolo velocemente».
I due poliziotti si scambiarono un’occhiata e poi si mossero in fila indiana dietro al medico. Attraversarono la corsia nella penombra, poi un corridoio dal soffitto basso, salirono una scala, e infine si trovarono davanti a una porta chiusa a chiave. Il medicò la aprì estraendo dalla tasca un mazzo rumoroso e fece cenno di sedersi.
«Lì c’è l’attaccapanni», indicò, mentre si lasciava cadere sulla poltroncina girevole. La stanza era ampia, ma arredata sommariamente. Accanto alla scrivania del medico troneggiava un manichino di plastica, con gli organi interni colorati. Fuori, oltre i vetri della finestra, si scorgeva la parte sud dell’edificio: quindici piani moderni a specchio che riflettevano il cielo grigio.
«Scusate il disordine ma quest’ala è stata appena aperta», chiosò. «Siamo ancora con gli scatoloni, ma a caval donato…». Il medico stava evidentemente alludendo al fatto che il palazzo dell’ospedale era il dono che Berlino aveva fatto a Berna in occasione del Referendum: un fiore all’occhiello dell’Europa, era stato definito; peccato che tre quarti fossero ancora inagibili per mancanza di fondi e che il rimanente fosse al buio per venti ore al giorno
«Potete ritenervi fortunati…», ribadì Orlando, per fare conversazione. «Almeno avete la corrente per lavorare». Poi estrasse il suo piccolo blocchetto e si preparò a prendere qualche appunto.
«Veniamo a noi», tagliò corto Lang. «Qual è la ragione per la quale ci ha convocato di domenica e con tanta urgenza?»
«Proprio per il motivo che vi dicevo, vorrei archiviare il caso velocemente… date le circostanze».
«Circostanze?»
«Sì, purtroppo abbiamo davanti una salma in condizioni non proprio ottimali. Qualcuno in casi simili lo definirebbe il cadavere di un signor nessuno
».
«Signor nessuno?». Orlando inarcò un sopracciglio.
Guisen annuì e aprì la cartella che era davanti a lui. «Esattamente. L’autopsia non ha rilevato elementi significativi utili all’identificazione. Negli abiti non c’erano effetti personali e purtroppo neppure i documenti. Ecco perché signor nessuno
».
«Credo di non capire», si intromise Lang, accavallando le gambe. «Ci sta suggerendo di archiviare il caso perché a suo parere non ci sono a oggi elementi significativi?». Tacque guardando il collega. «Non dovremmo essere noi a decidere se nel suo referto c’è qualcosa di utile alle nostre indagini?».
Il medico scacciò l’obiezione con un gesto della mano: «Come preferite… Il corpo però, come vi dicevo, non è in condizioni utili ad aiutarci: si trova in uno stato di mummificazione. Posso fare solo delle ipotesi, ma direi che era sottoterra da uno, forse due anni. Non ha placche dentali e ovviamente dopo tanto tempo altri segni di riconoscimento non sono più rilevabili. A mio parere – e ribadisco, a mio parere – non c’è nessun modo di risalire all’identità di questo cadavere. Neanche se avessimo i computer…».
«Ha effettuato i prelievi per gli esami del
DNA
?», provò Orlando, incrociando le braccia. «Chiedendo l’autorizzazione potremmo forse fare un confronto incrociato con la banca dati dell’Interpol. Magari anche con i dati sulle persone scomparse».
Il medico trasse un profondo respiro. Si lasciò scappare un sorriso falso come quello di un giudice. «Non abbiamo i fondi per gli esami del sangue dei pazienti… si figuri per quelli del
DNA
!». Fece una pausa. «Siamo tornati alla medicina di inizio Novecento: osservare, comprendere e trascrivere. Ci limitiamo a questo, adesso».
Orlando annuì più volte ma apparve tutt’altro che persuaso. Il medico era chiaramente reticente.
«Se posso essere sincero», proseguì quest’ultimo, «ed è proprio il motivo per cui vi ho fatto venire, non c’è niente su cui valga la pena indagare. Il vostro signor nessuno è morto probabilmente per cause naturali: un solo trauma alla testa, forse dovuto alla caduta. Non ci sono segni da corpo contundente, nessun foro di proiettile, nessuna evidenza che