Non ho mai smesso di amarti
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The Heartbeats Series
Dall’autrice del bestseller E poi ho trovato te
Damien Scott è arrabbiato con il mondo intero. Il suo gemello è stato incastrato, sono stati allontanati e, come se non bastasse, la ragazza che gli aveva spezzato il cuore è riapparsa. Dopo un periodo trascorso lontano dal Minnesota, Mariam è tornata, ma la situazione che trova è più complicata di quella che aveva lasciato tanto tempo prima. La sua migliore amica è a pezzi, suo fratello sta cercando di rimettersi in piedi e il ragazzo che ama la odia. Lei brucia per lui, mentre lui arde dal desiderio di distruggerla. C’è una cosa, però, che nessuno dei due riesce a controllare: la passione. I loro corpi si sono cercati, desiderati, amati un tempo, e questo non è cambiato. Damien vuole respingerla, Mariam conquistarlo di nuovo. Le loro anime sembrano essere ancora incatenate l’una all’altra, ma riusciranno a trovare il modo di ricominciare insieme?
Lui la amava, ma lei se n’era andata.
Ora è tornata, ma non le permetterà più di ferirlo.
«Adelia Marino è una boccata d’aria fresca per le amanti del genere rosa.»
«Una scrittura meravigliosa che ti prende per mano e ti fa volare.»
«Non posso più fare a meno di leggere le storie di questa autrice.»
Adelia Marino
è italo-canadese e vive in Germania. Ama leggere, aggiornare il suo blog e scrivere. Adora parlare con chi condivide la sua stessa passione ed è una divoratrice di serie TV. Deve alla nonna il suo amore per i libri. La Newton Compton ha pubblicato Ogni giorno per sempre, Il mio segreto più dolce, E poi ho trovato te, Mai come te e Un altro battito del tuo cuore.
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Anteprima del libro
Non ho mai smesso di amarti - Adelia Marino
Parte prima
1
Mariam
«N
on importa cos’è successo fra di noi, io ti voglio bene».
«Be’, questo è un bel problema, perché io invece ti amo. Ti amo come non ho mai amato nessun’altra».
Ogni volta che lo guardavo nella mia testa si riaffacciavano queste parole. Me n’ero andata, ferendolo, ferendo entrambi in realtà, ma non avevo avuto scelta. Lo guardai da sopra la spalla di Dakota, che era seduta davanti a me. Damien era dietro il bancone dell’Apocalypse. Indossava una camicia bianca button down che gli aderiva perfettamente al busto, troppo a dire il vero. Aveva arrotolato le maniche fino ai gomiti e ogni volta che tendeva il braccio riuscivo a scorgere i muscoli guizzare sotto quella stoffa leggera. Portava una sottile cravatta nera, ma ne aveva infilato una parte dentro la camicia, così da non finirgli nei drink che preparava. Era alto, tanto alto, e da dove mi trovavo riuscivo a vedergli quasi interamente il busto. Sospirai. I capelli corti e scuri erano sistemati sul lato non rasato. Ogni volta che alzava lo sguardo furioso e sorrideva a qualcuna delle ragazze al bancone mi veniva voglia di svuotare il mio drink sulla testa dell’ochetta di turno.
«Lo stai fissando», mi ribeccò Dakota. «Ancora». Guardai la mia migliore amica. Era uno straccio. Da quando Blake era stato incastrato, arrestato e mandato in California per aiutare la polizia a risolvere un caso ottenendo così la libertà, lei si stava spegnendo.
«Non posso farci niente», ammisi prendendo la ciliegia al maraschino che mi era stata servita con il mio cocktail Orgasm in versione shot. In quel momento Damien stava parlando e sorridendo con la ragazza del momento. Posò gli occhi su di me e mi lanciò uno sguardo truce, come ogni volta che mi vedeva. Avvicinai alla bocca la ciliegia del mio drink. La biondina gli stava dicendo qualcosa, ma lui fissava me. Non appena aprii le labbra per assaggiare il frutto lo vidi leccarsi le sue e sorridermi. Aggrottai la fronte: non era normale, infatti subito dopo lui si girò verso la ragazza che aveva davanti, le prese il viso fra le mani e le sussurrò qualche parola. Storsi la bocca. ’Fanculo. Posai la ciliegia e mandai giù lo shot.
«Siete ridicoli, sul serio. Almeno voi che potete stare insieme dovreste evitare questi giochetti».
Riportai lo sguardo su Kota e incontrai i suoi occhi azzurri e tristi. Le presi la mano, stringendola.
«Tesoro, Blake tornerà presto. Te lo ha promesso». Lei annuì abbassando gli occhi.
«E se invece gli accadesse qualcosa? Che succederà se quelle persone si accorgono che è lì sotto copertura? Blake è una testa calda, finirà nei casini». Si asciugò una lacrima ribelle e scesi dallo sgabello dov’ero seduta per abbracciarla.
«Tesoro, Blake non fa mai promesse che sa di non poter mantenere. Andrà bene. Gli copriranno le spalle. Sta facendo tutto questo per non finire in carcere e soprattutto perché così starete insieme», cercai di rincuorarla.
«Dakota, tutto ok?». Una voce dietro di me mi fece sussultare. Sciolsi l’abbraccio e Dakota annuì asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Damien mi superò e abbracciò la ragazza di suo fratello. «Perché non vieni da me e t’infili nel letto di Blake? Ti accompagno io domani mattina ai corsi», le suggerì e mi si strinse il cuore. Era adorabile.
«Ma devo andarci presto», ribatté lei.
«Non importa, ti porto io, tranquilla». Presi la giacca e la borsa.
«Pago il conto e andiamo», conclusi sorridendole.
«No, resta», si affrettò a dire la mia amica. «Mariam, non c’è bisogno che prendi un taxi per portarmi lì e andare al dormitorio». Scese dallo sgabello e lui la aiutò a indossare il cappotto. «Rimani pure qui, vado sola».
«Ma Kota…». Scosse la testa.
«No, ho bisogno di starmene un po’ per i fatti miei». Mi baciò una guancia e si allontanò. Mi misi di nuovo a sedere sullo sgabello, sbuffando. Mi passai una mano fra i capelli e alzai lo sguardo verso l’uomo più sexy che avessi mai incontrato. Della dolcezza riservata agli altri con me neanche l’ombra. Mi guardava duro, incazzato e sembrava sempre pronto a urlarmi contro qualcosa, forse a divorarmi o chissà che altro!
«Damien, mi fai portare un altro Orgasm, per favore?». Chiusi gli occhi. Orgasmo e Damien nella stessa frase. Qualsiasi cosa fosse uscita dalla sua bocca me l’ero andata a cercare. Alzò un sopracciglio scuro e prese la ciliegia che io non avevo più mangiato. Tirò fuori la punta della lingua allungandola verso il frutto per poi portarlo alla bocca. Strinsi le cosce. Andavo a fuoco. Si avvicinò a me, prese il bicchiere vuoto, si chinò e una delle sue mani vagabonde s’infilò fra le mie gambe serrate, ma non la mise dove la volevo io.
«Non vorrai dirmi che il tuo cagnolino non ti fa venire come ti ho fatta venire io». Bastavano quel respiro leggero, che mi solleticava l’orecchio, la mano troppo vicina e al contempo ancora troppo lontana, per farmi rischiare di averlo per davvero, un orgasmo.
«Non. Stiamo. Più. Insieme», ripetei per la centesima volta.
«Come preferisci. Ti farò avere quello che hai chiesto». Non sapevo più se intendesse il drink o la mia richiesta silenziosa di avere di nuovo le sue mani addosso. Appena si allontanò cercai di respirare o quantomeno tentai di ricordare come si facesse. Mi ero messa con Cooper perché lui mi aveva detto, senza troppi giri di parole e senza apparire e scomparire a suo piacimento, che mi voleva, che gli piacevo e che avrebbe voluto provare a stare con me. Avevo accettato perché non era qualcosa in cui mi sarei dovuta impegnare. Lui mi voleva, a me lui piaceva, niente drammi, niente incomprensioni, nulla di più facile, eppure dopo neanche un mese mi ero stufata. Forse la verità era che i drammi e le incomprensioni mi piacevano. Forse non ero fatta per avere una storia o, più semplicemente, il problema era che, nella mia testa, quando chiudevo gli occhi, continuavo a vedere una persona diversa rispetto a quella con cui stavo insieme; quando sognavo, il ragazzo a sfiorarmi con le mani, con le labbra, era l’opposto di Cooper. Gli avevo detto che non potevo stare con lui, che ci tenevo, ma che non provavo i suoi stessi sentimenti e lui, da vero gentiluomo, mi aveva detto che accettava la mia decisione. Forse questo era un altro motivo per cui non riuscivo a provare niente per Cooper. Perché non urlava? Perché non lottava per tenermi con sé? E perché invece il ragazzo che mi piaceva faceva queste cose, ma cercava, allo stesso tempo, di tenermi alla larga? Bevvi l’altro shot che mi portò una cameriera gentile. Quando finii anche il terzo bicchierino mi resi conto di essere decisamente brilla e che la cosa migliore per tutti era che tornassi a casa. Scesi dallo sgabello, mi sistemai la minigonna di jeans e mi sembrò di vedere un buco sulle calze nere, ci passai le mani e magicamente scomparve. Ok, ero un po’ più che brilla. Lasciai i soldi sul tavolo e presi la borsetta. Ero appena uscita quando qualcuno mi prese per un polso. Mi voltai, una figura slanciata mi trascinò al coperto.
«Dove stai andando?». Gli occhi di Damien scesero lungo la scollatura della mia maglietta e io sorrisi. «Allora?». Aggrottai la fronte. Oh giusto, la domanda.
«Ehm, al dormitorio». Mi passai la mano fra i capelli lunghi, era un’abitudine. «Chiamo un taxi, se mi lasci andare», poi notai che stringeva la mia giacca di pelle nella mano libera.
«Già, l’hai lasciata dentro. La primavera è vicina, ma non fa ancora abbastanza caldo da andare in giro con solo una maglietta addosso». Lo guardai stranita.
«Tecnicamente ho anche la gonna, le calze, le scarpe, il reggiseno…». Ridacchiai e abbassai la voce. «Però non ho le mutandine». Non avrei bevuto mai più. Assolutamente no. Damien strinse le labbra e mi guardò con gli occhi verdi e irresistibili.
«Il mio turno è finito», disse. «Ti accompagno io». Scossi la testa.
«Ti sto antipatica, ricordi?». Sbuffò rumorosamente e poi mi trascinò verso la sua macchina. Aprì la portiera e io salii, sprofondando sul sedile comodo. Lui salì dall’altra parte e partì. Blake non era l’unico ad amare la velocità. Arrivammo davanti al dormitorio e feci per scendere quando Damien mi bloccò, di nuovo.
«Che c’è?», chiesi.
«Ce la fai?». Annuii. «Prendi le chiavi adesso così non devi cercarle». Mi lamentai, ma poi aprii la borsa e cercai le chiavi, trovando solo quelle dell’appartamento di mio fratello.
«Cavolo, le ho perse», dissi spaventata, lui alzò gli occhi al cielo, aprì la portiera e scese. Poco dopo aprì la mia e si chinò avvicinando troppo il suo viso al mio.
«Non le hai perse, sei solo troppo ubriaca per ricordarti che si usa la tessera». Mi rubò la borsa dalle mani e trovò da sé la tessera. Iniziai a ridere, trovando la cosa esilarante. «Zitta o ci farai beccare», disse mentre camminavamo verso la mia stanza, non riuscivo proprio a smettere. «Mariam, cazzo, c’è qualcuno. Vuoi farti espellere?». Mi tappai la bocca con le mani per calmarmi. Damien passò in fretta la tessera nel lettore e la porta della mia stanza si aprì, mi trascinò dentro e la richiuse sbattendoci me contro. «Zitta». Era di nuovo troppo vicino. Chiusi la bocca. Era furioso, forse con me, forse con se stesso, forse con tutti. «Me ne vado», disse, eppure non muoveva un passo.
«Il bacio della buonanotte», mormorai io. «Sai che non riesco a dormire senza». Da quando lo conoscevo, che fossimo semplici amici o qualcosa di più, mi aveva sempre baciata, anche solo un bacio casto, non aveva importanza. Dal giorno in cui gli avevo detto di me e Cooper non l’aveva più fatto. Mi mancava.
«Cooper non ti baciava per la buonanotte?». Scossi la testa.
«Le sue labbra non erano le tue», bisbigliai. Accarezzò le mie con il pollice.
«Non voglio», disse lui avvicinandosi ancora, a un respiro di distanza. «Cazzo, io non ti voglio più».
«Ok». Feci un passo avanti e posai le mie labbra sulle sue. Se non altro io lo volevo ancora. Eccome se lo volevo.
2
Mi erano mancate quelle labbra. S’irrigidì non appena io le sfiorai con le mie. Con il peso del suo corpo mi spinse di più contro la porta, posando una mano su quest’ultima, all’altezza del mio viso. Pose fine al nostro bacio.
«Te lo sei presa da sola, il bacio della buonanotte», disse.
«No, questo non era neanche lontanamente un bacio». Sfilai la cravatta da dentro la sua camicia e lo avvicinai a me. Non si fece pregare, ma non rimase impassibile come prima, mi diede un bacio vero. Schiusi le labbra non appena avvertii la sua lingua stuzzicarle. La lasciai entrare e intrecciai la mia alla sua mentre spingeva più in profondità. Sentivo la sua eccitazione premere contro la mia pancia. Mi voleva. Mi aveva sempre voluta. Era impossibile che sentimenti come l’amore e la passione potessero essere cancellati in, non so, sette mesi. Era troppo ferito e arrabbiato per ammetterlo, ma avrei aspettato, mi sarei accontentata di ciò che voleva darmi e se questo voleva dire che mi avrebbe sbattuta contro la porta della mia stanza per divorarmi con la bocca, non avrei opposto resistenza. Mi prese per i fianchi per spingermi verso il letto. Con mani agili mi sfilò la maglietta mentre io gli allentai la cravatta che lui si sfilò dalla testa. Finii sul letto, il materasso si abbassò con il suo peso, lo sguardo era fisso nel mio, poi scese lungo i miei seni per poi tornare ai miei occhi, con le mani trovò il bottone della mia gonna e lo slacciò. Avevo il respiro mozzato. Il semplice fatto che mi stesse sfiorando mi bastava per perdere la testa, lui mi mancava. Mi mancava durante i corsi, mi mancavano i pomeriggi in camera mentre facevamo cose non propriamente innocenti, mi mancavano tutte le volte in cui avevamo disfatto il letto. La dolcezza, l’amore.
«Ti amo», sussurrai sperando che dire queste due parole avrebbero potuto sistemare le cose.
«Ti odio». Mi guardò negli occhi mentre lo disse e, nonostante mi stesse squarciando il petto, non avrei ceduto, non sarei andata via, non mi sarei tirata indietro.
«È un bene», gli dissi, sorridendogli. «L’odio posso trasformarlo in amore». Un lampo attraversò gli occhi verdi. Rabbia. Era sempre arrabbiato.
«È questo che ti ripeti da quando sei tornata? Credi di poter cambiare quello che provo? Guardati». Mi sfilò la gonna e le calze prima di calarsi di nuovo su di me. «Sei nuda, a gambe aperte e