L'uomo perfetto non esiste
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Info su questo ebook
Anni prima Clay e Natalie erano innamorati. Ma una proposta di matrimonio rifiutata ha messo fine alla loro storia. Tutto questo avveniva prima che Clay e i suoi fratelli diventassero favolosamente ricchi grazie al ritrovamento di un giacimento petrolifero. E adesso Clay intende sistemare le cose con Natalie una volta per tutte.
Natalie non crede più nell'amore da quando la crudeltà del destino ha distrutto tutti i suoi sogni. Rifiutare la proposta di Clay è il più grande rimpianto della sua vita. E adesso che lui è tornato, Natalie guarda con sospetto all'offerta che ha ricevuto: sistemare i debiti di suo padre accettando di diventare l'assistente personale di un miliardario dal cuore spezzato...
«Uno stile vivace e irresistibile.»
Kirkus Reviews
«Davvero rovente.»
USA Today
Jessica Clare
È lo pseudonimo con cui l’autrice firma i suoi libri erotici. Scrive storie paranormali con il nome di Jessica Sims e come Jill Myles è autrice di romanzi di vario tipo, dagli urban fantasy alle storie di zombi. Vive in Texas. Della serie dedicata ai membri del Billionaire Boys Club la Newton Compton ha pubblicato Scommessa indecente, Troppo bello per dire di no, È l’uomo per me, Ho scelto di amarti, L’amore è un gioco, L'amore non esiste e, in ebook, Sempre più vicino, Per me esisti solo tu, Aspettavo solo te e, in ebook, L'uomo perfetto è un bugiardo e L'uomo perfetto non esiste.
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Anteprima del libro
L'uomo perfetto non esiste - Jessica Clare
2388
Titolo originale: Dirty Scoundrel
Copyright © 2017 by Jessica Clare
Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione
Prima edizione ebook: giugno 2019
© 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-3434-1
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Jessica Clare
L’uomo perfetto non esiste
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Epilogo
1
Clay
Quando busso da mio fratello Boone, il suo non si può nemmeno chiamare saluto. Di solito commenterei le pesanti doppie porte di legno del suo nuovo e lussuoso ranch, facendogli presente che sono più grandi della mia roulotte, ma oggi non ho molta voglia di ridere.
Da giorni ho un nodo freddo allo stomaco che sembra crescere ogni secondo di più. Se continua così comincerò ad assomigliare alla delicata Ivy, tutta coda di cavallo e pancione. Be’, a parte la coda.
Boone apre la porta e rimane lì a guardarmi. E non parla. Di solito ha sempre qualcosa da dire, ma forse ha il mio stesso nodo allo stomaco. Osserva i miei abiti, il miglior paio di jeans e l’unica camicia bianca a maniche lunghe che possiedo, rimasta in fondo all’armadio dall’ultimo funerale a cui sono andato. Mi va stretta sul petto e al collo, ma fanculo. Oggi non gliene fregherà un cazzo a nessuno. Do un’occhiata agli stivali, ma la pioggia scrosciante che sta scendendo ha lavato via tutta la polvere. Sono quasi del tutto presentabile. Quasi.
Mio fratello, però, non è soddisfatto. Scuote la testa. «Niente giacca?».
Ho sulla punta della lingua un’altra replica saccente; me la rimangio. Non sembra decoroso scherzare, per quanto mi venga spontaneo. Non oggi. «No. Non ce l’ho».
Un grugnito. «Come tutti i miei fratelli, a quanto pare; ma Ivy vuole che la mettiamo, quindi entra. Ti presto una delle mie».
Mio fratello è sposato da quasi un anno ormai e la novella sposa l’ha rivoltato come un calzino. Nuova casa, nuovi vestiti, idee per investire, di tutto. Ivy ottiene qualsiasi cosa voglia. È un bene che sia una ragazza dolcissima senza un granello di avidità in corpo, perché Boone è pazzo di lei e le darebbe tutto il suo patrimonio pur di vederla sorridere. Fa tenerezza, in un certo senso, succube com’è.
«Ivy veste tutti?».
Mio fratello si limita a inarcare un sopracciglio.
Mentre mi scuoto di dosso la pioggia nell’ingresso, scommetto tra me e me che ci ho visto giusto. Quando non sgocciolo più sul pavimento di marmo, seguo Boone nel soggiorno al piano terra. E come previsto troviamo Ivy intenta a spazzolare via la lanugine dalla giacca presa a prestito che indossa Seth. Gage è seduto su una sedia lì vicino, tutto elegante, vestito Gucci o Armani, ma è l’unico. Knox, non lontano, indossa anche lui una giacca di Boone, ma a giudicare da come si sistema il colletto immagino che stia decidendo se portarsela a casa di nascosto. Non importa che sia ricco quanto tutti noi – gli piace sgraffignare roba. Non so perché. Nessuno sa cosa passi per la testa di Knox.
Ivy mi lancia un’occhiata e subito si avvicina di corsa, spazzola in pugno. «Clay, non sei vestito». Mi esamina con disappunto, la fronte aggrottata. «Dovremo darti una delle giacche di Boone».
«Eddie non ci farebbe caso». Mi sforzo di sorridere. «È un vecchio trivellatore fino al midollo. Dubito che ne possedesse una. Non si aspetterebbe nulla di diverso da me».
«Importa a me». Ivy ignora le mie parole. «E importerà alla vedova. E ai figli. È fondamentale, Clay». Mi parla come fossi un bambino, ma io non me la prendo. È un po’ fissata con le apparenze, ma lo fa a fin di bene, vuole solo che ci presentiamo nella maniera giusta alla funzione.
E anche se ognuno dei fratelli Price sa che a Eddie Murteen non fregherebbe un fico secco di come ci vestiamo al suo funerale, per lei è importante che gli rendiamo omaggio abbigliati a dovere.
Quindi, mi stringo nelle spalle e allargo le braccia. «Vieni a vestire Ken, Barbie». Sogghigno quando mi colpisce con la spazzola. Forse, in fondo non mi sono spento del tutto.
Infilo una giacca e lascio che Ivy armeggi con i miei capelli: mi toglie il mio berretto da baseball preferito, li bagna e pettina le vertigini come se fossi un bimbo piccolo. Non cerco di fermarla. È l’unica donna delle nostre vite, quindi immagino che ne sappia più di noi, riguardo a questo genere di cose. Abbasso gli occhi sul pancione e il vestito nero svasato. «Junior diventa sempre più grande».
«Non si chiamerà Junior».
«Mason, allora. È un bel nome».
«Come la marca di barattoli? No, grazie».
Boone, alle sue spalle, fa un sorrisetto da scemo senza cervello. Non mi sarei mai aspettato di vedere il giorno in cui quel mulo di mio fratello avrebbe permesso a una biondina di rigirarselo come voleva, eppure è così che è andata. Scommetto che il bambino avrà un qualche schifoso nome di tendenza, tipo Juniper o Pastel o cazzate del genere.
«Ford?», propongo.
«Come la macchina?»
«Ottime auto affidabili».
«No. Assolutamente no». Ivy smette di darsi da fare con i miei capelli e mi passa la spazzola sulla giacca. «Okay. Stai bene. Le corone di fiori sono in macchina? Avete tutti l’ombrello?»
«Abbiamo i cappelli», risponde Seth; dal tono di mio fratello minore si capisce che è un po’ imbronciato.
«Serve l’ombrello», ripete Ivy con fermezza. «Andiamo a un funerale, non alla pista da bowling». Giocherella con il filo di perle che porta al collo; ha l’aria preoccupata. «Voglio che siate all’altezza della situazione. Tutti noteranno la partecipazione della famiglia Price…».
«Stiamo bene, piccola». Boone bacia la moglie su una guancia. «Ti prendono per i fondelli. Andrà tutto bene, giuro».
Ivy gli sorride, rassicurata dal suo tono calmo.
Vorrei che fosse così facile tranquillizzare anche me. Ho di nuovo un nodo allo stomaco e continua a crescere. Non c’è modo di svignarsela. Eddie merita di andarsene con tutti gli onori e noi ci saremo. Vorrei solo…
Cazzo, non lo so cosa vorrei.
Immagino che sia un buon funerale. È solo il secondo a cui partecipo, ma in confronto a quello di mio padre questo sembra organizzato a regola d’arte. Eddie è nella bara più costosa che possano permettersi dei Price, visto che è morto su uno dei nostri pozzi petroliferi. La cappellina è stracolma di fiori e corone e ce ne sono altre vagonate vicino alla fossa. La funzione è ben fatta e c’è abbastanza gente; cerco di non guardare la vedova di Eddie e i tre bambini seduti accanto a lei; altrimenti, il nodo allo stomaco non farebbe che ingigantirsi.
Eddie era troppo vecchio per stare sui pozzi. Be’, non vecchio: troppo acciaccato e lento. È un lavoro da uomini giovani e lui si avvicinava ai quarantacinque. Non era più agile come un tempo e quando una delle attrezzature scatta (come è successo la settimana scorsa) devi spostarti in fretta. La buona notizia è che nel momento in cui il tubo si è inceppato e lo ha colpito, l’ha preso in testa. Non ha sentito niente. Gli ha spezzato l’osso del collo come una patatina e boom, addio Eddie. Se è arrivata la tua ora, immagino che sia un buon modo per andarsene.
Agito il piede nella scarpa e sento il vuoto dove mancano due dita. Quando le ho perse in un incidente sulla piattaforma mi ha fatto un cazzo di male. Sanguinavo come un maiale scannato. Lui, invece, dev’essersene andato in un lampo. Ora sei qui, il momento dopo non ci sei più. Un battito di ciglia e il mondo ha un Eddie Murteen in meno.
Quand’ero adolescente lo veneravo. Era un grand’uomo. Lavorava con me nella piattaforma su cui ho cominciato. All’epoca ero uno stronzetto permaloso e con il cuore a pezzi. Mi ha offerto una birra quando papà è morto e io non riuscivo a farmi coraggio e smettere di piangere, nemmeno al lavoro. È stato un mentore e un amico sia per me sia per Boone e quando la Price Brothers Oil ha preso il volo gli abbiamo offerto un posto. Non è il migliore in quello che fa, ma è leale come nessun altro. È una cosa che vale parecchio.
Immagino che adesso dovrei parlarne al passato.
Mi si stringe lo stomaco, di nuovo.
Guardo verso Ivy che accarezza la schiena della vedova, mentre Boone le dice qualcosa. So di che parla: copriremo le spese del funerale e le garantiremo una pensione. Il vantaggio di essere ricchi è che puoi coprire la gente di soldi e avere l’impressione che questo aggiusterà tutto. Solo che a me non sembra affatto così. Mi sembra uno schifo e il nodo allo stomaco non vuole saperne di sciogliersi.
Qualcuno si siede al mio fianco. Anche se la maggior parte dei parenti e degli amici si sta alzando per andare alla veglia, io non riesco a muovermi dal banco. Fisso l’altare in fondo alla chiesa, dove fino a un attimo fa c’era la bara. Eddie se n’è andato, due metri sottoterra. Cazzo, non posso crederci.
Mi sfrego la bocca e lancio un’occhiata alla persona accanto a me – Knox, mio fratello minore. «Che vuoi?»
«Sembri uno che sta per vomitare», commenta, poi prende una Bibbia appoggiata sul retro di un banco e comincia a sfogliarla.
Gliela tolgo di mano e la rimetto a posto. Buffo che Knox sia riuscito a intuire come mi sento – di solito nessuno capisce cosa penso. Oggi non mi devo certo sforzare per mantenere la mia faccia da poker.
«Non volevo portarmela via», dice, ma non nasconde il divertimento per il mio gesto. «E sembri comunque pronto a rimettere l’anima. Che ti piglia?».
Mio fratello piccolo è un cretino, ma l’istinto non lo tradisce. Incrocio le braccia e mi stringo nelle spalle, poi scivolo scomposto sulla panca come se fossi un ragazzino, e non un uomo fatto e finito. «È solo che… cazzo. Mi ricorda il funerale di papà. A te no?».
Knox ci riflette un attimo, poi scuote lentamente la testa. «No». Indica l’altare. «Un sacco di fiori. Papà non ne aveva neanche uno». Fa un gesto della mano verso la vedova e i figli. «Ha la famiglia a piangerlo. Papà aveva solo noi. Nessuna delle sue amiche si è fatta viva». Mi lancia un’occhiata. «E la compagnia paga per tutto. Quindi no, non somiglia granché al funerale di papà».
Odio ammetterlo, ma ha ragione. Odio sapere che nostro padre è stato sepolto in una bara da poveracci dopo un funerale per pochi intimi. Odio il fatto che non importasse a nessuno tranne che a noi. Persino dopo tanto tempo, brucia ancora.
«Però, papà era un pezzo di merda», continua Knox. «Lo so cosa pensi: quando te ne vai, dovresti essere circondato dalle persone che ami, ma papà era uno sfruttatore. Cioè, guarda me e Gage». Un sorriso amaro.
Sì, so cosa intende. Sono nati a due mesi di distanza l’uno dall’altro, da due madri diverse. All’epoca, papà era sposato con la mia. Non era una brava persona, però, dài, meritiamo tutti qualcuno che ci ami fino alla fine, no? «Forse è solo che penso a quanto sia breve la vita, sai? Eddie non aveva ancora cinquant’anni. Avrebbe dovuto godersene ancora parecchi, e belli anche». Indico i tre bambini con un cenno del capo. «Avrebbe dovuto vederli laureati e tutto il resto».
«Mmm. Quindi non si tratta di papà. Il problema sono i rimpianti, eh?». Knox si appoggia allo schienale del banco, sistemando il braccio sopra di esso. Per un attimo sembra più saggio dei suoi anni.
Sono davvero i rimpianti? Ho una palla di fuoco incandescente nella pancia perché immagino il mio, di funerale? Perché ci vedo solo un pugno di dipendenti e i miei fratelli? Cerco di raffigurarmi Natalie, ma è una follia. Nemmeno trascinandocela con un tiro di cavalli selvaggi.
È un pensiero deprimente, cazzo – sia il disgusto che Natalie prova per me sia il fatto che dopo tutti questi anni ancora non riesca a togliermela dalla testa. Devo essere proprio idiota. «Ti sbagli. Non rimpiango nulla».
Knox mi ignora e inclina la testa da una parte. «Allora, cos’è che vuoi dalla vita? Soldi? Successo? Li hai già entrambi». Indica con il capo Ivy e Boone. Nostro fratello le tiene una mano sulla curva della schiena e la guarda come se le cadessero perle dalla bocca. Cazzo, è cotto a puntino. Sarebbe buffo, se non fossi geloso da morire. Non di lui e Ivy – insieme sono la coppia perfetta. È solo che…
Mi sfrego di nuovo il mento, sento la ricrescita sotto le dita. Non guardo nessuno in quella maniera da…
Maledizione. Sono due volte che penso a Natalie nello stesso giorno. Sto diventando lunatico. «Non lo so cosa voglio. Non questo, poco ma sicuro».
«Nessuno lo vuole». Knox si stringe nelle spalle. «Ma alla fine tocca a tutti. La domanda è: finirai in quella cassa con dei rimpianti?».
Si riforma il nodo allo stomaco. «Forse».
«Ecco qual è il tuo problema», afferma il mio saggio fratellino. Agita un dito verso di me come se rimproverasse un poppante. «Non sei spietato».
«Eh?». Lo guardo come se fosse impazzito.
«Sei quello buono, Clay».
«Dici?».
Annuisce con aria saputa. «È da te che vengono tutti quando bisogna ammorbidire un po’ Boone. È a te che si rivolgono per farsi una risata o per smussare le situazioni spinose. L’amico di tutti. Non sai essere spietato. Sei così preso dal far felice gli altri da tralasciare quello che vuoi tu».
Sono davvero così? Solo uno stronzo bonario infelice dentro? Non mi sembra; però, pensandoci, forse il mal di pancia vuole dirmi il contrario. Guardo Boone e Ivy. Gli ha appoggiato la testa su una spalla e so che quando se ne andranno lui le massaggerà i piedi o il pancione o tutto quanto. E lei lo riempirà di moine e lo faranno sul divano nell’androne e qualcuno li pizzicherà con le mani nel sacco. Di nuovo. E loro rideranno come a un bello scherzo e Ivy arrossirà e nessuno dei due riuscirà a smettere di sorridere. Cazzo, sono così felici.
Sposto lo sguardo sulla vedova e sui figli che la seguono verso l’uscita; lei ha la faccia rigata di lacrime. Ha singhiozzato per tutta la cerimonia. Amava Eddie con tutto il cuore.
E io ripenso a Nat. A Nat e alla smorfia con cui mi ha guardato l’ultima volta che l’ho vista. A Nat, che non mi giudicava al suo livello. A Nat, che ha preferito il suo paparino e il denaro di famiglia, mentre io le avrei dato anche la luna, se avessi avuto due spiccioli in tasca.
A Nat, al cui pensiero mi masturbo ancora, perché sono un figlio di puttana malato con un’ossessione grossa come una casa.
«Bisogna essere spietati», dice Knox. «Solo così otterrai quello che vuoi».
Forse ha ragione. Forse è arrivato il momento di dare i numeri, prendere un po’ del pacco di soldi che abbiamo e farci un mucchio di cose. Lancio di nuovo un’occhiata a Boone. Non ha badato a spese pur di spingere Ivy a uscire con lui. Forse dovrei sgomitare un po’ e comportarmi come un pezzo grosso. Comprare l’accesso al cuore della ragazza che ho sempre voluto e non ho mai potuto avere.
E poi, una volta acquistato il suo cuore, posso decidere se spezzarlo o tenermelo.
Dopotutto, bisogna essere spietati.
2
Sette anni prima.
Clay
È ora.
Non posso dire di non essere agitato, lo sarebbe chiunque. Infilo nelle tasche dei jeans le mani sudate, ma sono determinato. È una serata importante. Le superiori sono finite, è tempo di passare alla prossima fase della mia vita. In piedi di fronte alla tavola calda in cui ho appuntamento con il padre di Natalie, cerco di rimanere fermo.
Mi sono messo elegante – be’, per quanto lo possa essere uno come me. Non abbiamo molti soldi per i vestiti di classe, ma ho preso in prestito una vecchia camicia formale di papà e l’ho infilata nei miei jeans migliori, quelli meno consumati. Mi va un po’ larga, ma non posso farci molto adesso. E comunque, a Nat non importerebbe. Non ha mai fatto caso alle magliette quasi stracciate e alle scarpe dei grandi magazzini. Non le interessa che divida una stanza nella roulotte di merda di papà con i miei fratelli minori. Non le è mai fregato niente di queste cazzate.
Per questo l’amo.
Per questo voglio sposarla.
Una macchina accosta di fronte al ristorante davanti a cui cammino e il cuore comincia a battermi forte nel petto. Stasera dobbiamo cenare insieme, Nat, suo padre e io. Incontrerò il signor Weston e farò del mio meglio per ammaliarlo; e poi, domani, andrò a casa sua e gli dirò che voglio chiedere la mano di sua figlia.
Gli dirò che amo Natalie Weston con tutto il cuore e che sì, adesso sono povero, ma ho tutta l’intenzione di offrirle una bella vita. Cazzo, la tratterò come fosse d’oro.
Guardo con la gola secca la berlina arrestarsi, poi un autista che ne esce d’un balzo e corre ad aprire la portiera dall’altro lato. Un attimo dopo, ne scende Chap Weston. Lo riconosco; chiunque capirebbe che è lui. È famoso più di quanto potranno mai sperare molti attori di Hollywood. Negli anni Cinquanta e Sessanta, tra la monarchia di Hollywood c’erano nomi importanti: Marilyn Monroe, Clark Gable, John Wayne, Jimmy Stewart… e Chap Weston. Anche se ha il doppio degli anni di quando recitava, il suo famoso sorriso e le spalle alte e forti sono rimasti. Il completo costoso gli calza a pennello e mi fa sentire un po’ a disagio, perché io sono in jeans e indosso una camicia troppo larga; ha i capelli pettinati alla perfezione. Merda. Io non ci ho nemmeno pensato a quelli. Scommetto che sono tutti ritti e pieni di quelle vertigini per cui Natalie mi prende sempre in giro. Adesso non posso farci niente, però.
E nonostante ciò, mi sento avvizzire un po’ dentro quando il signor Weston si avvicina a passo tranquillo e mi punta addosso uno sguardo scrutatore. «Sei tu Clay Price?»
«Sissignore». Tendo subito la mano, sorpreso dalla potenza della sua voce. Ha una bella cera per un ottantenne. Mi fa ancora strano che sia il padre della mia fidanzata diciassettenne, ma sono cose che capitano, a Hollywood. Nat mi ha detto che l’ha avuta con la moglie numero quattro e adesso è alla sesta. «Mi fa molto piacere conoscerla…».
«Risparmiami i convenevoli», esclama Weston in tono freddo. «Non ci metteremo molto». Guarda l’autista e gli fa un cenno con la mano. «Aspetta in macchina».
Quello annuisce, chiude la portiera e si rimette al volante.
Cerco di nascondere un cipiglio istintivo. «Natalie non viene stasera?»
«Non la vedrai più». Ha un sorriso educato sulla faccia. I denti immacolati e perfetti nel volto abbronzato.
Sento la schiena irrigidirsi. I muscoli sono contratti, tutto il mio corpo è in allarme. «Prego?»
«Non sono un idiota, ragazzo. Ho capito tutto di questa storia». Quel sorriso ammaliatore non scompare, nonostante l’odio che trasudano le sue parole. «Ti piace mia figlia. Sono venuto a dirti che a lei non piaci. Cerco di attutire il colpo».
Eh? Ho parlato al telefono con Natalie poche ore fa. E dopo ancora ci siamo messaggiati. «Non capisco cosa intende…».
Solleva una mano affusolata per impormi il silenzio. «Sei venuto per incontrarmi. Per conoscermi un po’ meglio. Nel migliore dei casi, vuoi andare a vivere con mia figlia. Nel peggiore, l’hai messa incinta e devo intervenire». Mi guarda, sospettoso.
Andare a stare…? «Signore, voglio sposare Natalie. Io l’amo…».
Chap Weston mi interrompe di nuovo, scuotendo la testa. Sono agitato e non riesco a pensare con lucidità, nemmeno quando lo sento proseguire. «Un bel pensiero, ma cos’hai da offrirle?»
«Che vuol dire?»
«Voglio dire che ho fatto ricerche sulla tua famiglia, ragazzo. Non sono proprio quello che chiunque sognerebbe in un genero». Ha l’aria di compatirmi.
Digrigno i denti. Non è un segreto: i Price sono spazzatura. Siamo in cinque – tutti figli di madri diverse –, abitiamo in una schifosa roulotte mentre papà lavora su una piattaforma petrolifera a ovest. Mio fratello Boone l’ha raggiunto l’anno scorso e io sto per fare altrettanto. «Ho un lavoro che mi aspetta. Mi impegnerò al massimo».
«E poi cosa, farai traslocare la mia Natalie in un container? Non credi che meriti di meglio?».
Mi mordo la lingua, perché ha ragione. Natalie merita di meglio, senza dubbio.
«Figliolo». Comincio a odiare quel tono irritante. «Mia figlia è intelligente. Ha conoscenze di prima qualità. Voglio che vada a Stanford, proprio come me. Sai che l’hanno ammessa, vero?».