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Il cowboy e la bambina: Harmony Collezione
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E-book152 pagine1 ora

Il cowboy e la bambina: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Eccoli, sono loro!

Jacob "Cub" Goodacre è rimasto senza parole, davanti al volantino che invita a un rodeo che si svolgerà a Sunnit City. Non è stata l'adorabile bambina che lo reclamizzava ad attirarlo, in realtà, bensì un paio di stivali di sua proprietà!

Le prime ricerche gli rivelano che...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2017
ISBN9788858965849
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    Anteprima del libro

    Il cowboy e la bambina - Natalie Patrick

    successivo.

    Prologo

    A Jacob Cub Goodacre

    Indirizzo sconosciuto

    Caro Cub, torna a casa.

    È da tre anni che sei lontano da me, e tutto quello che so di te l'ho letto sui giornali. Sei diventato quasi una leggenda nel mondo dei rodei, il migliore cowboy degli ultimi vent'anni.

    Ora sei famoso, e anche ricco. Non mi avevi detto che un giorno saresti tornato da me? Per dimostrarmi che sbagliavo, che eri tu ad avere ragione?

    Cub, durante il nostro breve matrimonio volevi sempre avere ragione, per questo ci siamo separati. Non mi hai mai trattato come una donna, ma come una ragazzina bisognosa di aiuto e di protezione. Decidevi tutto tu, a me non restava che obbedirti.

    So benissimo che sei fatto così. La tua idea di un uomo è che spetta a lui pensare a tutto. Una donna deve essere solo bella, dolce, disposta a perdonare e a sopportare. Solo che, un bel giorno, mi sono resa conto di avere sopportato anche troppo.

    Ti ho sempre amato, e ti amo ancora. Ma chissà se riusciresti ad amarmi, se mi vedessi come sono ora? Sai che cosa ti devo dire, Cub? Che avevi ragione. Ti farà piacere saperlo. Avevi ragione per ché, in fondo, ero davvero una ragazzina bisognosa di aiuto e di protezione, proprio come pensavi tu. Ma grazie a te, forse te ne stupirai, sono cambiata.

    Adesso sono una donna. Una donna sul serio. Tre anni da sola hanno fatto di me qualcosa di molto diverso dalla ragazza che avevi conosciuto, e che sognava solo il grande amore. Un grande amore che è venuto, ma che non è bastato a renderla felice.

    Forse, Cub, tu non mi hai reso felice perché io non ero ancora in grado di rendere felice te. Chissà se adesso ci riuscirei, se le cose potrebbero cambiare.

    Abbiamo una figlia. Tu non lo sai. Lo sapresti se avessi aperto almeno una delle tante lettere che ti ho inviato, nei tuoi viaggi fra un rodeo e l'altro. Invece sono tornate tutte indietro.

    Abbiamo una figlia bellissima. Si chiama Jayne, ma in famiglia la chiamiamo Jaycie. Per famiglia intendo mio padre e mia madre, perché vivo ancora con loro. Ma non per molto. Presto sarò indipendente e avrò una casa tutta mia. Sai perché, Cub? Perché ho finalmente un lavoro.

    Pensa a come hai reagito quando, una volta, ti ho proposto di cercarmi un lavoro. Non avrei potuto offenderti di più. Un vero cowboy deve bastare a se stesso e a sua moglie, questa era la tua idea. Anche se eravamo in difficoltà, se non ci bastava il denaro per comperare il ranch che avevamo tanto sognato, tu non hai voluto prendere in considerazione la possibilità che tua moglie lavorasse.

    Hai preferito partire, ricominciare a esibirti nei rodei. E tu sapevi quanto soffrivo nel sapere che rischiavi la salute, e forse anche la vita, con un lavoro così pericoloso. Ero stata io a chiederti di smettere. Anzi, era stata una condizione perché accettassi di sposarti. Niente più rodei.

    Così ci siamo lasciati, e sono trascorsi tre anni. Cub, tu non immagini nemmeno quanto è bella nostra figlia. Fra non molto avrà l'età in cui chiederà di suo padre. E allora, che cosa potrò risponderle? Le farò vedere un ritaglio di giornale, una fotografia mentre ritiri il premio per il miglior cowboy dell'anno?

    Non le basterà. I figli non si accontentano di questo. Un padre è molto di più. Jaycie hai bisogno di un padre, e io di un marito. Perché ti amo ancora, Cub, non ho mai smesso di amarti. Ogni sera vado a dormire pensando a te, ogni mattino mi sveglio e sento la tua mancanza.

    Torna a casa, Cub. Non posso più vivere senza di te.

    Alyssa finì di scrivere la lettera a suo marito, che non avrebbe mai spedito, con gli occhi pieni di lacrime. Posò la penna e la rilesse, ma si fermò solo dopo poche righe.

    Non voleva piangere. In tre anni aveva pianto anche troppo.

    Girò il foglio, per non vedere quello che aveva scritto. Era un foglio giallo, un volantino pubblicitario. Alyssa avrebbe dovuto essere fiera di quel volantino, di cui aveva usato il retro per scrivere la sua lettera d'amore. Era stata lei a idearlo e a realizzarlo e, infatti, sul bordo inferiore si poteva leggere Studio di Pubblicità Crowder e Cartwright. Cartwright era lei. Alyssa Cartwright, con quel volantino, era entrata ufficialmente nel mondo della pubblicità. Tutti avevano detto che era formidabile.

    D'accordo, erano stati i suoi genitori a commissionarglielo, ma questo non cambiava le cose. Il manifesto era bello davvero e non era colpa sua se i suoi primi clienti erano stati suo padre e sua madre. Si fidavano di lei, ma dopo avere visto quel volantino molti altri clienti sarebbero venuti. Sperava di fare buoni affari e di diventare finalmente indipendente.

    I suoi genitori la capivano. Erano ricchi, a loro non pesava affatto di avere in casa la figlia e la nipotina. Anzi, ne erano felici. Ma comprendevano che una donna della sua età volesse bastare a se stessa. Cub non lo aveva mai capito.

    Il volantino, appeso in tutte le vetrine della città, era l'invito alla grigliata all'aperto che i suoi genitori, Yip e Dolly Cartwright, organizzavano ogni anno durante il rodeo di Summit City. Un tempo erano stati anche loro grandi divi dei rodei, e suo padre era un nome rispettato nell'ambiente. Proprio per questo le aveva ripetuto, fin da bambina: «Sposa chi vuoi, ma non un uomo che si guadagna da vivere come me».

    Alyssa aveva deluso le sue speranze. Si era innamorata e aveva sposato un cowboy che viveva esibendosi nei rodei, come aveva fatto sua madre. Doveva essere scritta nel patrimonio genetico delle donne della sua famiglia l'attrazione per i cowboy.

    All'inizio tutto era andato bene. Appena tornati dal viaggio di nozze, Cub le aveva detto che aveva una sorpresa per lei. Con il denaro che aveva messo da parte in anni di lavoro, in giro per i rodei del Dakota e del Texas, avrebbe comperato un bel ranch.

    «Price Wellman me l'ha fatto vedere prima che ci sposassimo. E io gli ho detto che per me andava bene.»

    Ma non si era nemmeno sognato di chiedere se andasse bene a lei. Né gliene aveva mai parlato prima. Una donna non aveva voce in capitolo, pensava Cub. Era lui che decideva tutto.

    Poi c'erano state delle difficoltà. Price Wellman non aveva più voluto vendere il ranch a quel prezzo, e tutti gli altri nei dintorni costavano troppo. A Cub non passava neppure per la testa di accettare un prestito dai suoceri. Era troppo orgoglioso, voleva fare tutto con le proprie forze.

    «Che cosa vuoi? Che la gente dica che ho appeso il cappello al chiodo, sposando te? Che hai un marito che non vale nulla, che approfitta dei soldi dei suoceri?»

    Non c'era stato verso di fargli capire che non c'era niente di male ad accettare un prestito che poi avrebbe restituito, poco per volta. Tuttavia che lavoro poteva fare, un cowboy da rodeo, se non aveva un ranch? Poteva farsi assumere come sorvegliante o come uomo di fatica in qualche fattoria delle vicinanze, ma con uno stipendio che non gli avrebbe mai consentito di mantenere se stesso e la moglie, e anche di mettere da parte il denaro sufficiente per comperare un ranch.

    Così Alyssa gli aveva proposto di cercare un impiego per contribuire al bilancio familiare. Era stato come se gli avesse dato uno schiaffo sul viso.

    «Mia moglie? La moglie di Cub Goodacre che lavora? Credi che mi sia sposato per farmi mantenere da te?»

    E il fatto che Alyssa volesse aiutare un'amica, proprietaria di una tavola calda, aveva solo peggiorato le cose.

    «In una tavola calda? Mia moglie? In mezzo ai cowboy che le guardano le gambe e che le fanno l'occhiolino?» Era stato tutto inutile. Cub aveva già deciso, e ancora una volta da solo.

    «Tornerò a gareggiare nei rodei. È l'unico modo. Ancora un anno o due nel mondo dello spettacolo, e avrò il denaro sufficiente per comperare un ranch molto più grande di quello che mi aveva proposto Price Wellman. Si morderà le mani per non avermi venduto il suo.»

    Non aveva ascoltato le preghiere di Alyssa, e nemmeno le sue minacce. Aveva fatto solo di testa sua, come sempre. Certo, lei avrebbe potuto dirgli che sospettava di essere incinta, ma non ne era affatto sicura. E poi sarebbe servito a qualcosa? Niente poteva fermarlo, nel momento in cui aveva preso una decisione.

    Così Cub era partito. Sapeva benissimo i rischi che correva. Quanti cowboy di rodeo, che avevano sognato di fare soldi, erano finiti in ospedale? O su una sedia a rotelle? O al cimitero?

    Ma anche Alyssa aveva preso la sua decisione. Non sarebbe rimasta ad aspettarlo per un anno o due, morendo di ansia, temendo ogni volta che si esibiva di vederlo finire nella polvere, con le ossa rotte. Era stata chiara, la prima volta che lui le aveva telefonato.

    «O torni a casa o non sei più mio marito, Cub.»

    «È stato tuo padre a metterti in testa una simile idea?» le aveva chiesto furioso.

    «No, è un'idea mia. Non credi che sia capace di pensare con la mia testa? Se non torni a casa, non avrai più una moglie. Ho deciso di chiedere la separazione» aveva ripetuto lei, ed era stata irremovibile.

    Da allora, lui non si era più fatto sentire. Aveva rimandato indietro tutte le sue lettere, senza mai aprirle. E, il giorno in cui era nata la loro figlia Jaycie, Alyssa aveva giurato a se stessa che non gli avrebbe mai più scritto una sola parola. Doveva smettere di piangere per un marito come lui, e pensare solo alla loro bambina.

    La piccola Jaycie le sorrideva dal volantino che aveva davanti. Era lei la modella pubblicitaria dell'annuncio. Vestita solo di un pannolone bianco, con il succhiotto rosa in bocca, portava in testa il grande cappello da cowboy del nonno, troppo grande per lei. E, in ognuna delle manine, stringeva uno stivale.

    Gli stivali di suo padre, che Cub aveva lasciato a casa prima di partire, perché uno aveva un tacco scheggiato.

    «Portalo a riparare» aveva detto alla moglie.

    Lei non lo aveva mai portato a riparare, naturalmente. Aveva chiuso gli stivali in un ripostiglio e li aveva dimenticati, come aveva cercato di dimenticarne il proprietario.

    Ma li aveva tirati fuori, per la fotografia. Perché?

    Accarezzò con la punta delle dita il viso paffuto della sua bellissima bambina. Poi il suo pancino, poi gli stivali di suo padre. Un padre che non avrebbe mai conosciuto.

    Perché, ne era sicura, Jacob Cub Goodacre

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