Una scelta obbligata: Harmony Collezione
Di Susan Napier
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Susan Napier
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Una scelta obbligata - Susan Napier
successivo.
1
«Che cosa diavolo è questa?»
Nonostante se l'aspettasse da un momento all'altro, Kalera Martin trasalì quando la porta dell'ufficio adiacente si spalancò con violenza.
Rimase però seduta alla scrivania, stringendo involontariamente la pila di fogli che stava per mettere a posto. L'uomo apparso sulla porta, sventolando con aria minacciosa un paio di pagine dattiloscritte, era Duncan Royal, proprietario di una società di strumenti ad alta tecnologia, con un giro d'affari di svariati milioni di dollari. Duncan era noto tra i suoi dipendenti per il temperamento infiammabile e impulsivo e, da quello che poteva notare Kalera, era chiaro che la lettera appena ricevuta doveva averlo messo di pessimo umore.
Nella speranza che lui non avesse ancora smaltito tutta la corrispondenza di quella mattina, Kalera inarcò le sopracciglia, fingendosi sorpresa.
«Non lo so... Che cos'è?» chiese lei mostrandosi imperturbabile.
«Dimmelo tu!» sbottò Duncan, gettando sulla scrivania la lettera incriminata.
Kalera riuscì ad afferrarla al volo prima che finisse sul pavimento.
«Allora?» insistette lui, sovrastandola minaccioso dall'alto del suo metro e novanta.
Kalera si schiarì la voce e lo guardò, sostenendo con gli innocenti occhi grigi il suo sguardo carico di rimprovero.
«È la mia lettera di dimissioni...»
«Questo l'avevo capito.»
«E allora perché me lo hai chiesto?» replicò lei in tono pacato. «Pensavo che non fossero necessarie ulteriori spiegazioni.»
Gli restituì la lettera, ma lui la ignorò e, appoggiando le mani ben curate sul bordo della scrivania, si chinò su di lei ancora incredulo.
«Ti sbagli!»
Nei tre anni durante i quali aveva lavorato alla Labyrinth Technology come segretaria personale di Duncan Royal, Kalera lo aveva visto spesso in collera, ma la sua rabbia non era mai stata diretta contro di lei.
Forse perché la corporatura minuta e delicata di Kalera lo rendevano decisamente consapevole della sua indubbia superiorità fisica o forse perché lei, con la sua indole pacata e serafica, era sempre riuscita a smussare il temperamento esplosivo di Duncan. Nelle rare occasioni in cui si era adirato con lei, aveva preferito sfogare la propria rabbia contro gli oggetti inanimati che aveva a portata di mano, piuttosto che contro la sua dolce segretaria dai lunghissimi capelli biondi.
Questo era costato alla compagnia una pianta, un telefono cellulare, due tazze da caffè, un portamatite e una ramanzina da parte di un pompiere dopo che Duncan aveva teatralmente dato fuoco all'agenda di Kalera, provocando un piccolo incendio nel cestino della carta straccia, che aveva attivato l'allarme e causato l'evacuazione dell'intero edificio.
«Allora?» insistette Duncan spazientito.
Kalera si appoggiò allo schienale della sedia girevole nel vano tentativo di frapporre una certa distanza di sicurezza tra sé e il proprio capo.
«Quale punto non ti è chiaro?» mormorò immaginando con qualche timore quale sarebbe stata la sua reazione.
Quella mattina, prima di uscire di casa, aveva provato e riprovato davanti allo specchio la parte che avrebbe dovuto sostenere al cospetto di Duncan. Detestava le scenate e aveva sperato che la sua cauta lettera non l'avrebbe mandato su tutte le furie, ma che al contrario avrebbe aperto la strada alla confessione che ne sarebbe seguita.
Purtroppo, Duncan Royal non temeva i confronti diretti e quella mattina una conversazione civile evidentemente non rientrava nei suoi propositi.
«Tutto! È tutto incomprensibile!»
Duncan Royal possedeva una mente brillante, era abituato a risolvere all'istante problemi complessi, sia reali che astratti. La sua pronta e acuta intelligenza gli consentiva di avere sempre ogni cosa sotto controllo.
Kalera fece ricorso a tutto il suo coraggio.
«Be', io...»
«Un foglio!» la interruppe lui indignato, puntando l'indice sulla lettera. «Dopo tutto questo tempo, pensi che meriti solo un misero foglio per sapere che una delle mie più fidate collaboratrici ha deciso di piantarmi in asso?»
Kalera si scostò nervosamente una ciocca di capelli dal viso. Sapeva bene quanto fosse importante la fiducia per Duncan. Era il principio su cui lui aveva basato il suo enorme successo. Nell'industria dei computer regnava un'assurda paranoia. Duncan doveva la sua fortuna allo sviluppo di software sempre più elaborati che non temevano concorrenza e per potersi fidare ciecamente di tutti i suoi collaboratori, provvedeva ad addossarsi tutti i colloqui per la scelta del personale. Poteva così vantare di avere intorno a sé un gruppo di uomini e donne ambiziosi e fedeli, che venivano generosamente ripagati per la loro totale devozione al loro eccentrico capo.
Per quanto avesse immaginato che Duncan non avrebbe accettato di buon grado la sua decisione di dimettersi, Kalera rimase comunque stupita dalla violenza della sua reazione. Sapeva di essere in gamba nel proprio lavoro, perché Duncan, per quanto esigente, era prodigo di lodi, ma di certo non si riteneva insostituibile. Non era un genio dell'informatica, ma una semplice segretaria senza particolari competenze.
Possibile che Duncan già sapesse che...?
«Non ho nessuna intenzione di lasciarti nei guai. Come ti ho scritto nella lettera, continuerò a lavorare qui ancora per quattro settimane, come stabilito dal contratto.»
«Al diavolo il contratto! Sai che non mi riferisco a questo!» tuonò Duncan.
Kalera s'irrigidì. Detestava le scenate, ma non era disposta per questo a farsi mettere i piedi in testa.
«Non c'è bisogno di alzare la voce, Duncan» lo redarguì freddamente, «non sono sorda.»
«No, sei solo stupida!» Duncan batté con forza il pugno sulla scrivania.
«Se sono tanto stupida, sarai felice di vedermi andare via» replicò Kalera, sentendosi in realtà in colpa per quello che stava per fare.
Dopo aver saputo perché aveva dato le dimissioni, Duncan non avrebbe più voluto sentir nemmeno pronunciare il suo nome.
«Non sei affatto stupida... Insomma, non avresti potuto parlarne prima con me? Oppure pensi che sia così inaccessibile... Che fosse impossibile dirmi che stavi pensando di dimetterti?»
Duncan si fermò di nuovo davanti alla scrivania di Kalera. Lui era solito adottare con i suoi dipendenti un atteggiamento aperto e confidenziale e tutti si sentivano liberi di esprimere le loro opinioni senza timore.
«Mi dispiace ma, del resto, è una decisione che riguarda unicamente me; non ha nulla a che vedere con te che...»
Kalera si rese immediatamente conto di aver commesso un errore tattico.
«Stai cercando di dirmi che non sono affari miei se una mia dipendente decide di punto in bianco di andarsene, senza nemmeno fornirmi una spiegazione?» sbottò Duncan. «No, mi correggo, non una dipendente qualsiasi ma un'amica. Kalera...»
Mentre lei veniva assalita da un profondo senso di colpa, una cascata di treccine color ebano fece capolino nel suo ufficio.
«Ehi, si può sapere che cosa sta succedendo qui dentro? Oh, salve, capo, avrei dovuto immaginare che fossi tu.»
Duncan lanciò un'occhiataccia in direzione della giovane e irriverente assistente. «Ti dispiace, Anna... Hai interrotto una conversazione privata.»
«Ah, davvero?» Anna Ihaka entrò nell'ufficio di Kalera spostando lo sguardo dall'uno all'altro. «Di che cosa state discutendo?»
«Te lo spiegherò più tardi» si affrettò a rispondere Kalera, per non irritare maggiormente Duncan.
«Ah, d'accordo, fammi un fischio quando ha finito di ruggire e ti porterò una tazza di caffè. Nel frattempo chiudo la porta in modo che la vostra conversazione privata non diventi di dominio pubblico» aggiunse Anna, sempre col sorriso sulle labbra. «Dal corridoio si sente tutto, ma proprio tutto!» concluse, chiudendo la porta, prima che Duncan potesse avere l'ultima parola.
«Una volta o l'altra la strozzo» sibilò Duncan. «Cos'hai da sorridere?» aggiunse, notando l'espressione divertita di Kalera.
Lei si fece improvvisamente seria. Forse non era ancora troppo tardi per salvare la situazione.
«Senti, ho un'ottima ragione per andarmene» iniziò, titubante.
«Davvero? Strano che non l'abbia percepita leggendo la tua lettera.»
Duncan le tolse la lettera di mano e iniziò a leggere con evidente sarcasmo. «...A causa di imprevisti cambiamenti avvenuti nella mia vita privata, mi vedo costretta a presentare le mie dimissioni dalla Labyrinth Technology. Si può sapere che cosa dia volo vuol dire? Quali cambiamenti?»
Kalera s'inumidì le labbra aride. Meglio dirglielo subito, brutalmente, oppure cercare di ricorrere alla diplomazia? Non sapeva proprio come agire.
«Non puoi aver trovato un posto migliore» stava dicendo Duncan, approfittando della sua esitazione. «Questo lavoro è fatto su misura per te. Sei molto di più di una semplice segretaria, in pratica gestisci l'intero ufficio. Ho sempre avuto l'impressione che ti piacesse lavorare insieme a me. È un problema di denaro? Ritieni di non guadagnare abbastanza?»
La domanda non aveva senso. Duncan era notoriamente molto generoso con i dipendenti. Insisteva infatti nel dividere i profitti con i suoi impiegati per mezzo di bonus, regali e percentuali sui software che avevano contribuito a ideare. Trattava talmente bene i suoi collaboratori che fino a quel momento nessuno tra i suoi concorrenti era mai riuscito a convincerne qualcuno a tradire la Labyrinth Techonology.
«No, affatto, è che io...»
«Non sei felice qui?»
Se avesse smesso di mitragliarla di domande, forse sarebbe riuscita a rispondere.
«Sono stata molto felice qui, ma...»
«Ma cosa?» la interruppe Duncan in tono brusco. «C'è qualche problema di cui non mi hai parlato? Sei stata molestata da qualcuno?»
«Molestata?»
«Sessualmente. Ti hanno importunata con commenti pesanti, toccata... quel genere di cose?»
Kalera aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse quasi subito, arrossendo mortificata.
«Oh, mio Dio, è così?» Duncan girò intorno alla scrivania, si abbassò verso di lei e le prese la mano sinistra. «Chi è stato? Ti hanno minacciata? Dimmelo, Kalera, e chiunque sia, lo siluro all'istante!»
Gli occhi azzurri di Duncan la squadrarono da capo a piedi, ispezionando le morbide pieghe della camicetta di seta color limone e della gonna di lino blu, come se si aspettasse di vedere le impronte digitali del colpevole stampate sul tessuto. C'era qualcosa di possessivo nel suo sguardo e un'ondata di calore arrossò il viso di Kalera quando gli occhi di Duncan indugiarono sul suo seno.
«Santo cielo, Duncan, se la smetti di parlare, potrò spiegarti tutto! Nessuno mi ha molestata» disse cercando di ritrarre la mano.
«E allora perché sei arrossita?»
«Perché mi imbarazza il fatto che tu possa aver pensato che non sono in grado di gestire un semplice caso di molestie sessuali senza il tuo aiuto.»
«Non avresti dovuto gestirlo da sola, è questo il punto.»
«D'accordo. Però, come ti ho già detto, nessuno mi ha molestata...»
Kalera s'interruppe sconcertata, notando l'espressione gelida di Duncan.
Pensava che avesse mentito? La considerava così irresistibile da essere inevitabilmente presa di mira dai maniaci sessuali? Benché fosse una ragazza attraente, non era il tipo da far perdere la testa agli uomini. In ufficio, in particolare, i colleghi uomini l'avevano sempre trattata con gentilezza e rispetto.
«Perché me lo chiedi? Hai ricevuto delle lamentele su qualcuno?»
Ma Duncan non la stava ascoltando, il suo sguardo era fisso sulla sua mano sinistra.
«Hai tolto la fede e l'anello di fidanzamento!» esclamò incredulo, accarezzandole con il pollice la sottile linea bianca che contrastava con il resto della mano abbronzata. «Perché non porti più gli anelli di Harry?»
«Sono in un cassetto, a casa... ho pensato fosse arrivato il momento di toglierli.»
Duncan posò le mani sui braccioli della sedia girevole su cui era