Per passione o per vendetta?: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Javier Herrera Ha imparato ormai da tempo a non farsi incantare dalle donne. L'amore non è contemplato nella sua agenda.
Nonostante le proprie convinzioni, Grace farebbe qualsiasi cosa pur di salvare suo padre: anche diventare la moglie di un uomo che non ama. Almeno per il momento.
Chantelle Shaw
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Per passione o per vendetta? - Chantelle Shaw
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Spanish Duke’s Virgin Bride
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2007 Chantelle Shaw
Traduzione di Maura Arduini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-609-1
1
«È uno scherzo?»
Il duca Javier Alejandro Diego Herrera distolse di scatto lo sguardo dalla campagna andalusa che si stendeva oltre la finestra del castello e lo puntò sul suo anziano interlocutore.
«Non mi permetterei mai di scherzare su una questione così delicata» replicò seccamente Ramon Aguilar. I baffi brizzolati tremarono di indignazione, come le carte che teneva tra le mani. «I termini del testamento di tuo nonno sono molto chiari. Se non ti sposerai prima d’aver compiuto trentasei anni, il controllo del Banco Herrera passerà a tuo cugino Lorenzo.»
Javier imprecò tra sé. Le sopracciglia si corrugarono, sulla bella fronte olivastra. «Dios!» sbottò. «Lorenzo ha il fegato di una femminuccia. Non ha grinta, e neanche ambizione. Impossibile che il nonno lo considerasse più adatto di me alla presidenza!» L’incredulità lasciò il passo a un’irritazione che traspariva da ogni singola linea del suo bel corpo scattante. La collera del nuovo duca intimidì anche Aguilar, che si schiarì la voce, nervoso.
«Però lui ha moglie» obiettò sommessamente.
Javier smise di camminare avanti e indietro per la stanza e si fermò. Fissò lo sguardo tagliente sull’avvocato che era stato il più vecchio e fidato confidente di Carlos Herrera.
«Da quando avevo dieci anni il nonno mi ha cresciuto con l’idea che un giorno avrei preso il suo posto come capo della famiglia Herrera, e soprattutto come presidente della banca di famiglia» sibilò, cercando di contenere la collera. «Perché mai avrebbe cambiato idea?»
Il duca è morto, lunga vita al duca!, pensò con un pizzico di cinismo. Del titolo gli importava poco, il suo interesse primario era, invece, quello di ottenere il controllo sugli affari finanziari della famiglia. Suo padre Fernando, figlio di Carlos, era morto da anni, e comunque aveva perso il suo posto in famiglia anche prima che un’overdose lo stroncasse. Come suo unico figlio maschio, alla morte del nonno Javier aveva assunto di diritto il titolo di duca. Ma il controllo della banca gli sfuggiva ancora...
«Stai dicendo che mi si nega quel che è mio solo perché mio cugino è sposato e io no? È questa l’unica ragione?» domandò, cupo. Gli occhi color ambra tradirono un lampo di fuoco, prima che il suo ferreo autocontrollo riprendesse il sopravvento e il viso tornasse a essere una maschera di altera arroganza.
«L’intento del nonno era quello di lasciare la banca a qualcuno che ne garantisse la continuità futura.»
«Infatti, quel qualcuno sono io» ribatté Javier spazientito.
Ramon Aguilar finse di non avere sentito. «Nei mesi scorsi il consiglio ha espresso delle preoccupazioni, che Carlos in larga parte ha condiviso» continuò. Mentre parlava dispose alcune foto sul piano della scrivania, ciascuna ritraeva Javier con una fanciulla diversa, rigorosamente bionda e molto appariscente.
Javier diede un’occhiata alle foto, e fece spallucce per dimostrare suprema indifferenza. Di alcune di quelle ragazze non ricordava neppure il nome: con loro aveva condiviso un certo sano appetito per il sesso, sempre serenamente libero da qualsiasi complicazione emotiva.
«Non pensavo che il nonno pretendesse da me un voto di castità» ribatté, e dall’alto del suo metro e ottantasette guardò sdegnato l’anziano interlocutore.
«Infatti non lo pretendeva. Anzi, con il testamento ti chiede di trovare moglie» ribatté senza scomporsi Ramon Aguilar. Quindi puntò il suo sguardo fermo su Javier. «Hai tempo circa due mesi per riuscirci, altrimenti dovrai cedere il controllo della banca a Lorenzo. Il Banco Herrera è un istituto di credito d’altri tempi, molto tradizionale...»
«Che io intendo trascinare a pieno titolo nel ventunesimo secolo» lo anticipò Javier, cupo.
«Carlos apprezzava molto il tuo spirito innovativo, ed è vero che la banca ha davvero bisogno di idee fresche, ma non potrai mai attuarle senza l’appoggio di tutto il consiglio» gli ricordò Ramon. «I consiglieri sono prudenti, e diffidano dei cambiamenti. Vogliono un presidente che condivida i loro valori morali e l’amore per la famiglia, e che non compaia tutti i giorni sulle pagine della cronaca rosa con una donna diversa.»
Ramon fece una pausa prima di continuare. «Carlos temeva che la vita sociale così... attiva che conduci finisse per danneggiare le tue capacità di giudizio. Per esempio, so che ci sono stati dei problemi con la filiale britannica della banca. Il direttore designato da te, Angus Beresford, non si è dimostrato all’altezza.»
Il suo primo errore di giudizio. Non gli era mai successo prima di sbagliarsi tanto sul carattere di un uomo. Era stato soprattutto questo a far infuriare Javier, fin da quando aveva scoperto l’entità dei danni causati da Angus Beresford. Non c’era bisogno che Ramon glielo ricordasse. «Ora la questione è risolta, e Beresford avrà quello che si merita» ringhiò, minaccioso.
Poi serrò la mascella, raggiunse la finestra e passò lo sguardo sui vasti possedimenti degli Herrera. Era il padrone di tutto, pensò, eppure si sentiva come un re a cui fosse stata negata la corona. Il Banco Herrera era suo. Aveva passato gli ultimi venticinque anni ad aspettare questo momento, e ora provava una grande amarezza al pensiero che il nonno dubitasse delle sue capacità.
«Sono l’uomo giusto per la presidenza» sillabò, stentoreo. «È ridicolo che Carlos ne dubitasse per colpa di qualche paparazzo. E dovrei sposarmi? Madre de Dios, per mio padre il matrimonio è stato la rovina! Mia madre era una ballerina di flamenco che girava con un circo, e una puttana a ore che ha distrutto Fernando con i suoi traffici. Ci puoi scommettere che io non darò mai a una donna un potere simile su di me. Di sicuro» concluse in tono sarcastico, «l’unione dei miei genitori non fa una grande pubblicità alla sacra istituzione del matrimonio. Perché diavolo Carlos ha voluto impormi di provarci?»
«Naturalmente, tuo nonno sperava che scegliessi una sposa di pari livello sociale, una donna capace di capire le responsabilità legate al ruolo di moglie di un duca» mormorò Ramon. «Fino all’ultimo ha sperato che avresti sposato Lucita Vasquez.»
«E io gli avevo detto più volte che non avevo alcuna intenzione di sposare una ragazzina di diciassette anni. Lucita va ancora a scuola!» esplose Javier.
«È giovane, certo, ma sarebbe stata un’eccellente duchessa. E, in più, il matrimonio avrebbe unito due grandi dinastie bancarie» continuò Ramon in tono persuasivo. «Pensaci, l’istituto finanziario degli Herrera e quello dei Vasquez uniti, con te da solo al timone.»
L’ultima conversazione di Javier con il nonno era stata più o meno dello stesso tenore, e la tentazione di unire le due maggiori banche private spagnole era stata forte anche per un uomo ambizioso come Javier. Ma gli era sembrato che con quel matrimonio il nonno volesse controllarlo perfino dalla tomba, mettendogli alle costole Miguel Vasquez, il suo più vecchio amico, e rifilandogli per moglie un’adolescente viziata che non faceva mistero di avere una cotta per lui.
Carlos non si era lasciato minimamente impressionare dal suo rifiuto, ma forse era stato proprio in seguito a quella conversazione che aveva preso in mano il telefono per chiedere a Ramon di cambiare il testamento. Forse pensava che, con così poco tempo a disposizione, lui avrebbe finito per sposare Lucita. Si era dimenticato che il nipote aveva ereditato la sua stessa ostinata determinazione. Se proprio doveva sposarsi, l’avrebbe fatto con la donna che voleva lui.
I suoi avvocati avrebbero riletto ogni singola parola del testamento per cercare qualche cavillo a cui appigliarsi, ma lui sapeva già che era tempo sprecato. Carlos era un uomo astuto, da vivo e anche da morto. Primo punto per lui, pensò Javier, amaro. Ma era così determinato a vincere la partita che niente lo avrebbe fermato, neanche l’ordine di trovarsi una moglie.
«Così, ho due mesi per trovarmi una duchessa» mormorò freddamente. Scivolò nella poltroncina di pelle dietro la scrivania e guardò l’avvocato sedersi di fronte a lui. Ramon Aguilar aveva l’aria stanca e tirata. Certo, la scomparsa dell’amico di sempre lo aveva segnato. Dopotutto, pensò Javier, la clausola del testamento non era opera sua, e non aveva senso prendersela con lui. «Ti assicuro che ce la farò, Ramon.» Le labbra tradirono un guizzo di determinazione, il che la diceva lunga sulla fiducia che il giovane duca riponeva in se stesso.
«Lo spero, ragazzo» rispose Ramon. «Non hai scelta, se vuoi diventare il prossimo presidente.»
«È l’unica cosa che abbia mai desiderato davvero, e non mi fermerò davanti a niente pur di ottenerla.» D’un tratto il bel viso di Javier sembrò scolpito nel marmo. Divenne duro, implacabile e quasi crudele. Ramon riconobbe nello sguardo la stessa natura indomita del nonno e provò un fremito di simpatia per la sconosciuta che sarebbe diventata presto la duchessa Herrera. Avrebbe capitolato davanti al fascino incantatore di Javier senza sapere che, nei secoli, i matrimoni degli Herrera erano stati segnati dalle fiamme dell’inferno, più che dall’azzurro dei cieli.
Javier si alzò e gli tese la mano. «Tra due mesi ti presenterò la mia sposa» assicurò, facendo già mentalmente una selezione delle candidate alle quali proporre un matrimonio lampo. Non voleva correre il rischio che qualcuna sperasse in un lieto fine.
Ramon Aguilar si alzò lentamente in piedi. «Non vedo l’ora» dichiarò. «E allo scadere del primo anno di matrimonio sarò felice di assegnarti il pieno controllo sul Banco Herrera. Fino a quel momento, e ammesso che ti sposi prima della data stabilita, farai le funzioni di presidente, ma ogni tua decisione sarà sottoposta al giudizio del mio collegio di legali...»
«Un anno?» esplose Javier. Strappò il foglio del testamento dalle mani dell’avvocato, lo scorse in fretta e infine lo gettò sulla scrivania.
«Tuo nonno era sicuro di agire nell’interesse del Banco...» incominciò a dire Ramon, ma si fermò sotto lo sguardo gelido di Javier.
Il nuovo duca raddrizzò la testa e curvò le labbra in una smorfia che sembrava la cattiva parodia di un sorriso. «Non farti illusioni, Ramon» ringhiò. «Mi riprenderò ciò che è mio. E niente, neppure le minacce di un fantasma, potranno fermarmi.»
2
Sulla guida, El Castillo de Leon era definito uno splendido esemplare di architettura moresca del XII secolo incastonato tra le montagne della Sierra Nevada, proprio sopra la città di Granada. La strada si inerpicava su per il pendio, e Grace fu costretta a scalare la marcia prima di affrontare l’ennesimo tornante. Ancora un po’, si disse, e si sarebbe ritrovata tra le nuvole. Il castello incombeva su di lei dallo sperone di roccia sul quale era stato costruito.
In lontananza, le montagne sembravano ancora più alte, con la cima imbiancata dalla neve. Ma a quell’altezza il paesaggio era verde e rigoglioso. Pioveva. Un tempo grigio come il suo umore.
«Da tre giorni non fa che piovere» le aveva spiegato il direttore dell’albergo al suo arrivo a Granada. «È insolito in questa stagione. Ma vedrà che domani splenderà il sole e a lei tornerà il sorriso.»
Grace sapeva che ci sarebbe voluto ben altro. Per un attimo ripensò a suo padre, affranto e con la barba lunga, accasciato sulla poltrona. L’immagine del direttore di banca elegante e orgoglioso si era sgretolata davanti ai suoi occhi, e al suo posto era rimasto un uomo ormai al limite delle proprie forze.
«Non puoi fare niente, tesoro» le aveva detto Angus, tentando invano di sorridere. Anche nella sua ora più buia cercava