Follia di una notte: Harmony Collezione
Di Susan Napier
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Info su questo ebook
Non è da lei. Non le era mai successo prima. Sarà stata l'atmosfera di Parigi, l'euforia dei festeggiamenti per il Quattordici luglio, oppure l'accento francese dell'affascinante sconosciuto. Fatto sta che Veronica Bell ha avuto la sua prima storia di una notte. Per fortuna ora deve partire per la Provenza, così esce di soppiatto dall'appartamento dell'uomo e parte per Avignone.
Lucien Ryder tutto si sarebbe aspettato, tranne trovare la bella avventura della notte precedente a casa della propria matrigna. Entrambi rimangono freddi, nonostante sia chiaro che l'attrazione tra loro non è ancora scemata. Ma Luc sospetta che Veronica lo abbia seguito fin lì per scoprire dettagli piccanti di uno scandalo che lo coinvolge. Lei non ne sa niente, ma sarà difficile dimostrarlo.
Susan Napier
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Follia di una notte - Susan Napier
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Public Scandal, Private Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Heat
© 2008 Susan Napier
Traduzione di Silvana Mancuso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-366-6
www.eHarmony.it
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1
Poteva sempre dare la colpa a Parigi.
Città di amanti, dove respirare equivaleva a un’intossicazione romantica: una miscela potente che rapiva i sensi e faceva ribollire il sangue. Il solo essere a Parigi era un invito esplicito a essere temerari.
E Parigi il 14 luglio istigava a spezzare le catene delle convenzioni e ad abbracciare l’audacia e la libertà di osare.
Eh, sì. La colpa era proprio di Parigi.
Veronica Bell aprì piano la porta a vetri e camminò in punta di piedi sul parquet, tenendosi stretti al petto i sandali e lo scialle leggero. Alta quasi un metro e ottanta e dalle proporzioni giunoniche, non era certo fatta per passare inosservata. Sentì il cuore battere nervosamente sotto la seta del corpetto, quando si fermò un attimo per orientarsi ed ebbe il secondo shock della mattina: dov’era la borsa?
Non era più dove credeva di averla lasciata.
Fu costretta ad ammettere che la sua esatta ricapitolazione degli eventi era in qualche modo confusa, dopo il culmine molto eccitante della notte appena trascorsa nella capitale francese. Allontanò dei riccioli rosso mogano dalla fronte sudata, insieme a un’ondata di panico al pensiero dei grossi rischi che aveva corso.
Adesso doveva concentrarsi sul problema più urgente: andarsene via con la dignità intatta.
Era appena l’alba. Raggi di luce pallida si insinuavano tra i tendaggi color crema. Stava considerando l’ipotesi di accendere la luce, quando colse all’improvviso un luccichio rivelatore nel folto tappeto sul pavimento. Si accovacciò e raccolse la borsetta di paillettes mezzo nascosta dietro la gamba squadrata del divano.
Con le dita ansiose tastò la forma rassicurante del passaporto e del portafogli.
Si rimise in piedi e, con la borsa in cima alle altre cose che aveva in mano, cominciò a muoversi in punta di piedi verso la porta.
Un mormorio sussurrato, accompagnato da un suono grave della gola, come le fusa di avvertimento di un pericoloso felino, la agghiacciarono sul posto.
Si guardò indietro con una certa apprensione.
Un raggio di luce filtrava tra le tende e attraversava il pavimento, illuminando la fonte del suono. Attraverso i vetri della porta, Veronica ebbe uno scorcio obliquo del-l’enorme letto e del possente corpo mascolino, slanciato e abbronzato, che sdraiato supino era aggrovigliato tra lenzuola bianche.
Udì di nuovo quel suono e, affascinata in modo peccaminoso, guardò gli arti muscolosi e snelli che si dimenavano per liberarsi dall’intreccio di lenzuola, in un guizzo di bicipiti gonfi e fianchi sodi, imperlati di sudore. Quel bollore non era strano, senza l’aria condizionata quell’appartamento era soffocante, ma la temperatura non fu l’unica ragione che le fece venire in mente quella parola. Nudo, era davvero splendido, notò meravigliata, con un rinnovato senso di sgomento. Perfino più attraente che in jeans e maglietta.
Era incredibile che fosse riuscita ad accalappiare un esemplare simile per un ruolo importante nella sua fantasia romantica di una relazione amorosa a Parigi. Però, era stata la lussuria a guidare il copione, e non l’amore, ricordò a se stessa, severa. La commedia romantica e frivola si era trasformata in un’avventura piena di azione alimentata dall’adrenalina... e il suo eroe era stato pienamente all’altezza del primo piano sulla locandina!
La testa nera dell’uomo si mosse di scatto sul cuscino e il cuore di Veronica sussultò. Il calore prese a scorrerle nelle vene, il corpo teso in difesa, la bocca secca, intanto che cercava di pensare a qualcosa da dire che fosse in linea con la donna brillante che aveva finto di essere, e che fosse appropriato all’occasione...
Ma cosa?
Tutta l’audacia l’aveva abbandonata al risveglio, e le sue fantasie non avevano mai contemplato le questioni pratiche del mattino dopo.
Il panico svanì appena si rese conto che quei movimenti irrequieti erano solo un preludio per girarsi, rotolando e stiracchiando il corpo possente, finché Veronica si ritrovò ad ammirarne la schiena nuda e il borbottio assonnato si smorzò nel silenzio, mentre un braccio scivolava sotto il cuscino vuoto accanto a sé, che aveva ancora l’impronta indistinta della testa di lei, e se lo portava al petto, sprofondandovi la faccia. I capelli lisci e neri si sparsero sulle spalle, la possente muscolatura si increspò sotto la pelle bruna, poi il corpo rimase immobile come quello di un leone pigro e sazio, assolutamente sicuro della propria innata superiorità.
Veronica si mosse in fretta verso la porta, sussultando al rumore metallico del chiavistello, appena lo tirò con forza per aprire.
Non poté resistere però a un ultimo, fugace sguardo, portandosi via un’immagine vivida di natiche mascoline nude ed eroticamente incorniciate da un groviglio di lenzuola, i muscoli tonici e vibranti per le ginocchia tese, una sensuale peluria scura sotto le rotondità lisce e scolpite, laddove queste curvavano verso cosce forti coperte di peli arruffati.
Distratta, lasciò andare troppo presto la porta che sbatté con un tonfo che risuonò per le scale.
Il suono fu amplificato dai suoi nervi tesi in un rimbombo fragoroso, e Veronica si tuffò giù per le scale a piedi nudi. Giunta al secondo piano, infilò la mano alla cieca nella borsetta ed estrasse miracolosamente la chiave con la targhetta, ma le dita le tremavano tanto che riuscì a stento a inserirla nella toppa. Imprecò col fiato corto, le orecchie tese all’ascolto di eventuali passi dal piano superiore.
Non voleva correre il rischio di fargli sapere dove alloggiava. Lui non aveva idea che l’appartamento nel Marais, al quale aveva fatto riferimento in modo vago all’inizio della serata, fosse proprio sotto il suo naso.
Ancora in balia degli effetti dello champagne ed eccitata per la fuga da una mezza rivolta a qualche isolato da lì, Veronica aveva avvertito quella meravigliosa coincidenza come un segno... un fortunatissimo segno del destino che li voleva uniti.
Certo, alla luce del giorno, la coincidenza le sembrò meno affascinante, visto che si erano incontrati nel piccolo bar sull’altro lato della strada.
Le ginocchia le cedettero appena entrò nell’appartamento e si lasciò andare contro la porta, sospirando mezzo sollevata e toccandosi istintivamente alla ricerca del piccolo ciondolo di giada della Nuova Zelanda, che aveva la forma stilizzata di un amo da pesca Maori, e che portava sempre al collo. Con suo disappunto il tocco rassicurante di casa non c’era più. Allargò le dita sullo sterno, appena si rese conto con una fitta che doveva essere da qualche parte nell’appartamento di Luc, perso per sempre, perché non sarebbe mai tornata indietro a riprenderselo.
Certo che stava mettendo insieme un sacco di memorabili prime volte, già nella prima settimana di viaggio: prima volta su un aereo, prima volta a Londra, prima volta che si trovava ammalata e sola in un paese di cui non conosceva la lingua...
Prima volta che si svegliava accanto a un estraneo.
Mise subito da parte quel pensiero allarmante. Nessun rimpianto, si era detta nel fuoco della passione, e intendeva tenere fede a quel proposito.
E poi, non era proprio un estraneo, si corresse, contravvenendo all’istante al divieto che si era imposta. Nonostante la barriera della lingua, erano riusciti a trovare un modo per comunicare.
Lucien.
Luc.
L’abbreviazione intima la fece rabbrividire. Si ricordò di averlo chiamato così, quando l’aveva baciata la prima volta, mentre guardavano tra la folla i fuochi d’artificio al Trocadéro, e di averlo sussurrato in un abbraccio appassionato dietro una colonna di Place des Vosges.
Gli occhi grigi sognanti colsero all’improvviso l’ora sul microonde, emise un grido rauco quando ebbe conferma guardando inorridita l’orologio al polso.
Si affrettò per il monolocale, ficcando nella valigia le sue cose sparse qua e là. Si rese conto che non aveva neanche il tempo per una doccia, intanto che si cambiava veloce e afferrava tutti i suoi articoli da toeletta in bagno.
Un’ora dopo si affrettava sul lungo binario alla Gare de Lyon, per prendere il primo treno ad alta velocità della giornata diretto ad Avignone, che sarebbe partito nel giro di qualche minuto, con la valigia a rotelle che sobbalzava dietro di lei e la tracolla della borsa pesante che le affondò nella spalla quando porse il biglietto al controllore.
Il treno era già colmo, l’esodo estivo dei parigini era iniziato, e le fu difficile trovare spazio per la valigia che si era trascinata su per gli scalini stretti, raggiungendo infine il suo scompartimento. Viaggiare da sola poteva essere estremamente stressante, scoprì, anche se si è determinati a godersi ogni momento. Sfortunatamente non aveva nessuno con cui condividere gli alti e i bassi del viaggio, l’eccitazione e il timore di essere fuori nel grande mondo dopo averlo sognato per anni.
Guardò il sedile vuoto e vi si spostò. Se Karen fosse stata lì, come programmato, adesso starebbero ridendo insieme del loro ritardo anziché preoccuparsene.
Una parte di lei era ancora furiosa con la sorella più giovane per aver rovinato i progetti per le vacanze.
Quando la settimana prima era giunta a Heathrow da Auckland, Veronica era certa che la ventenne Karen sarebbe stata lì ad accoglierla, piena di progetti per un weekend divertente a Londra, prima di partire per Parigi e dare inizio alla loro vacanza francese.
Invece si era aggirata ansiosa per quaranta minuti all’aeroporto, quando infine, abituata ai ritardi cronici di Karen, aveva acceso il cellulare per mandarle uno speranzoso dove sei?, nel caso in cui non riuscissero a trovarsi nel viavai dell’aeroporto.
La risposta, quando arrivò, la fece passare da uno stato di attesa entusiasta a uno di fastidioso disappunto.
Scusa puoi prendere un taxi? Ti spiego quando arrivi.
Faceva meglio ad avere una buona spiegazione, rimuginò tra sé Veronica.
Dopo un volo interminabile in classe economica era proprio a terra. A ogni modo aveva raccolto le ultime energie e, ignorando il suggerimento di Karen, che era abituata a spendere più di quanto guadagnava, aveva raggiunto con la metropolitana l’appartamento di Kensington, dove Melanie, la datrice di lavoro della sorella, l’aveva lasciata a godersi l’ultimo weekend di affitto.
Quando la sorella aprì la porta e l’accolse con un abbraccio di parecchio ritardato, tutti i piccoli fastidi svanirono... per un attimo.
Seguirono un paio di battute pungenti sul volo estenuante e scomodo, che l’aveva ridotta uno straccio, e Veronica sprofondò nel divano del soggiorno e accettò una tazza di tè.
Karen era bella come sempre. La minigonna e il top aderente accentuavano la forma concava dell’ombelico e le gambe lunghe, mentre chiacchierava muovendosi in cucina. Veronica si chiese quando la sorella fosse diventata così sofisticata, a guardarla nessuno avrebbe detto che fosse nata in campagna.
Sebbene fossero della stessa altezza, la formosa Veronica si era sempre sentita una sorta di gigante sgraziato accanto alla sorella. Karen era filiforme e armoniosa, non aveva una sola lentiggine, e i capelli le ricadevano sulle spalle in una cascata bionda liscia e lucente. L’ovale del viso sembrava venir fuori da un ritratto di