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L erede dello sceicco: Harmony Collezione
L erede dello sceicco: Harmony Collezione
L erede dello sceicco: Harmony Collezione
E-book170 pagine3 ore

L erede dello sceicco: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Forti, passionali e tanto sexy quanto spregiudicati. Sono tre indomiti principi del deserto alle prese con le loro ribelli future spose.



Dare un erede alla corona e scegliere a tal fine la moglie perfetta è compito di Tariq al Sayf, principe ereditario del Dubaac. Ma un incredibile scherzo del destino fa sì che sia Madison Whitney, spregiudicata donna in carriera, a concepire il figlio di Tariq. E Madison non è propriamente quella che si suole definire una donna docile e obbediente. Così a Tariq non resta altro da fare che ricorrere a tutte le proprie armi di seduzione per far capitolare la ribelle Madison e, se queste non dovessero bastare, farà ricorso al piano B.
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2018
ISBN9788858977576
L erede dello sceicco: Harmony Collezione
Autore

Sandra Marton

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    L erede dello sceicco - Sandra Marton

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Sheikh’s Defiant Bride

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2008 Sandra Myles

    Traduzione di Velia De Magistris

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-757-6

    Prologo

    Regno di Dubaac, inizio estate.

    Il sole illuminava con il suo sfavillio dorato un cielo privo di nuvole. Sotto i suoi raggi implacabili alcuni uomini aspettavano a cavallo dei propri destrieri, avvolti nel silenzio del deserto. Tutti gli occhi erano puntati sul cavaliere che si teneva a distanza dal gruppo e sul falcone incappucciato che portava al braccio, gli artigli mortali conficcati nel guanto di cuoio.

    Il più anziano del gruppo spronò infine il proprio cavallo per portarsi al fianco dell’uomo in disparte. «È arrivato il momento, Tariq» gli disse.

    Colui che rispondeva al nome di Tariq annuì. «Lo so.» Suo padre aveva ragione, ma in qualche modo il suo ultimo tributo a Sharif, suo fratello, si stava rivelando doloroso quanto il funerale.

    Non aveva immaginato che un rituale potesse essere così penoso da eseguire. Lui era nato nel Dubaac, ma aveva vissuto per anni lontano dal paese. Era un uomo moderno, colto e istruito, e non doveva fare altro che un gesto simbolico.

    «Tariq?»

    Lui annuì e alzò il braccio. Il falcone era irrequieto. Tariq sciolse le sottili cordicelle di cuoio che gli trattenevano le zampe e le lasciò cadere sulla sabbia. Ancora un secondo di esitazione, poi gli tolse anche il cappuccio. Per la prima volta da quando era stato catturato e addestrato, il rapace era completamente libero.

    Tariq alzò il viso verso il cielo. «Sharif, fratello mio» disse, la voce roca, «mando Bashashar da te. Che voi due possiate volare insieme nel cielo della nostra terra!»

    Ancora un breve indugio, poi tese di scatto il braccio in avanti. Il falcone spiegò le enormi ali e spiccò il volo verso il sole infuocato.

    Per qualche istante nessuno parlò. Infine il sultano si schiarì la gola. «È fatta» commentò.

    Tariq annuì. Guardava ancora il cielo, per quanto il falcone fosse ormai scomparso dalla loro vista. «Sì, padre.»

    «Tuo fratello è in pace.»

    Davvero? Tariq avrebbe tanto voluto crederlo, ma la scomparsa di Sharif era ancora troppo recente. Il suo aereo era precipitato durante un volo di addestramento. Erano stati necessari giorni per ritrovare i suoi resti dopo lo schianto e l’incendio che aveva consumato la carlinga del jet.

    «Era un bravo figlio.»

    Di nuovo, Tariq annuì.

    «E sarebbe stato un ottimo sceicco per la nostra gente. Adesso siamo costretti a rivedere i nostri progetti per il futuro.»

    Tariq strinse i denti. Lo aveva previsto, ma non credeva sarebbe accaduto così presto. «Capisco, padre.»

    Il sultano sospirò. «Non c’è tempo da perdere, figliolo.»

    Tariq gli rivolse uno sguardo allarmato. «Sei malato?»

    «Solo se vogliamo considerare la vecchiaia alla stregua di una patologia. Dopo la morte di Sharif, sei tu il mio erede. Tremo al solo pensiero, ma se dovesse accaderti qualcosa...»

    Non era necessario aggiungere altro.

    Il primo in linea di successione al trono era lui. E per assicurare la continuità della stessa famiglia che era iniziata secoli prima era sua responsabilità sposarsi e avere un figlio. Se solo Sharif avesse avuto il tempo di prendere moglie e dare un erede alla corona, pensò Tariq, lacrime di emozione che gli bruciavano gli occhi.

    «Pensa a quanto è accaduto nei paesi confinanti quando la successione è stata messa in dubbio» riprese il sultano. «Vorresti questo per il nostro popolo?»

    «Non ho bisogno di essere persuaso, padre. Farò quel che devo.»

    Un lieve sorriso incurvò le labbra del sultano. «Bene. Adesso andiamo. Torniamo a palazzo e celebriamo la vita di tuo fratello.»

    «Tu vai pure con gli altri» replicò Tariq. «Io preferisco restare solo per un po’.»

    Il sultano indugiò per qualche istante, poi si allontanò al galoppo, seguito dai suoi uomini.

    Tariq smontò di sella. Accarezzò il collo elegante del suo stallone e di nuovo rivolse lo sguardo al cielo. «Una moglie, Sharif. Ecco cosa devo trovare per colpa tua, una moglie.» Sorrise. Suo fratello, se avesse potuto sentirlo, avrebbe capito il senso di quelle parole. Avevano scherzato insieme al riguardo sin da bambini. «E, dimmi, come farò a portare a termine questa missione?»

    Un soffio di vento fu la risposta di Sharif.

    «Devo lasciare che nostro padre e il consiglio degli anziani la scelgano per me?» continuò Tariq. «Sappiamo già chi sarebbe la fortunata. Abra, o magari Lilah, donne di cui mi annoierei in pochi giorni.»

    Il vento soffiò ancora.

    «Un uomo ha il diritto di decidere chi sposare.»

    Lo stallone sbuffò e batté uno zoccolo sulla sabbia.

    «Dove devo cercarla, Sharif? Nel nostro paese? In America? Tu cosa pensi?»

    Non ci fu risposta, naturalmente, ma non era davvero necessaria. Tariq sapeva cosa gli avrebbe detto il fratello: la moglie perfetta non poteva essere americana.

    Le americane, secondo lui, si dividevano solo in due categorie. Quelle superficiali, che cercavano avventure senza significato, e le femministe, che combattevano a spada tratta per l’uguaglianza fra i sessi.

    Nessuna di loro sarebbe stata la donna giusta per lui.

    Sua moglie avrebbe dovuto essere attraente, ma anche di carattere mite, e avrebbe dovuto vantare un’ottima educazione, che le avrebbe permesso di comparire al suo fianco in ogni occasione ufficiale o evento sociale.

    In altre parole, la moglie perfetta doveva capire di essere la sua consorte, ma non la sua pari. Un uomo destinato a salire al trono aveva bisogno di una donna così. In verità, qualsiasi uomo avrebbe voluto una donna così. E il posto giusto per trovarla era lì, fra la sua gente.

    Il vento sollevò un piccolo mulinello di sabbia.

    Tariq aveva studiato negli Stati Uniti. Aveva vissuto e lavorato a New York, ma in futuro il suo stile di vita si sarebbe adeguato ai costumi del Dubaac, dove l’uomo comandava e la moglie gli doveva obbedienza.

    Un grido acuto squarciò il silenzio. Tariq alzò una mano per proteggersi gli occhi dal sole e guardò il falcone Bashashar che volteggiava sopra di lui.

    Un segno, qualcuno avrebbe potuto dire. Non che lui credesse alle premonizioni, tuttavia più pensava alla questione della scelta di una sposa, più si rendeva conto che la donna giusta per il ruolo di principessa doveva essere nata e cresciuta nel deserto.

    Il cavallo gli diede una piccola spinta con il muso. Tariq prese le redini e montò in sella.

    Problema risolto. Sarebbe rimasto nel Dubaac per una settimana, forse due, ma non di più. Dopotutto, quanto poteva essere difficile trovare una moglie?

    1

    New York, due mesi dopo.

    Non succedeva spesso che Sua Altezza Reale lo sceicco Tariq al Sayf, erede al trono del Dubaac, commettesse un errore di giudizio.

    Di certo mai negli affari. Persino chi lo aveva reputato troppo giovane e inesperto quando, quattro anni prima, aveva assunto la direzione della sede newyorkese della Royal Bank di Dubaac era stato costretto ad ammettere che la banca era rifiorita sotto la sua guida.

    Anche nella vita privata Tariq non si sbagliava quasi mai. Vero, una sua ex amante lo aveva accusato di crudeltà quando lui aveva messo fine alla loro relazione, ma la colpa non era stata sua. Era sempre sincero con le sue compagne occasionali, anche troppo. Il per sempre non lo interessava. Perché implicava un matrimonio e dei figli, tutte cose che sapeva avrebbe dovuto avere, ma solo in un futuro molto lontano.

    Poi, all’improvviso, quel futuro era diventato il presente. Così aveva prolungato una visita nel suo paese natale, certo di riuscire a trovare la donna giusta da sposare nel giro di una settimana, due al massimo.

    Grave errore.

    Tariq si portò davanti alla grande finestra che dava sul fiume Hudson e scosse la testa.

    No, l’impresa non era difficile. Era impossibile.

    «Idiota!» borbottò fra i denti.

    Le due settimane erano diventare tre, poi quattro. Suo padre aveva organizzato un sontuoso banchetto al quale erano state invitate tutte le famiglie nobili del Dubaac che avevano una figlia con i requisiti necessari per diventare la moglie di un futuro re.

    Lui aveva trovato un difetto in tutte.

    Quindi suo padre aveva organizzato un altro sontuoso banchetto al quale erano state invitate tutte le famiglie nobili dei paesi confinanti che avevano una figlia con i requisiti necessari per diventare la moglie di un futuro re.

    Una ruga gli solcò la fronte al ricordo. Tutte quelle giovani donne in fila per essere presentate a lui e tutte consapevoli del perché si trovavano lì.

    Lui le aveva salutate e baciato loro le mani, aveva inventato conversazioni senza senso e le aveva osservate arrossire e sorridere, ma nessuna lo aveva mai guardato negli occhi, perché una ragazza di buona estrazione sociale non avrebbe osato fare una cosa simile.

    Quel banchetto gli era sembrato una fiera, dove dolci e obbedienti giumente aspettavano di essere scelte dallo stallone di turno.

    «Ebbene, quale ti piace?» gli aveva chiesto suo padre con impazienza al termine del secondo banchetto.

    Nessuna.

    Erano troppo alte. Troppo basse. Troppo magre. Troppo rotonde. Parlavano troppo. Non parlavano abbastanza. Erano introverse, estroverse.

    Frustrato e irritato con se stesso per il suo fallimento, era tornato a New York il mese precedente. Senza una moglie.

    Forse si era sbagliato riguardo alle donne americane. Forse era fra loro che doveva cercare la sposa giusta. Ogni volta che ci pensava, si rendeva conto di aver trascurato un buon numero di dettagli a loro favore.

    Le donne americane erano attraenti. Abbronzate, attente all’alimentazione, sportive... Certe cose hanno il loro peso. Si sapevano muovere bene in società, alle feste, intrattenevano conversazioni interessanti ma non pericolose. E poi, dettaglio più importante, adoravano i titoli nobiliari. Quelle che aveva conosciuto negli anni non avevano esitato a chiarire che avrebbero fatto di tutto pur di procurarsi un marito di sangue blu.

    Ovviamente in passato quell’atteggiamento lo aveva indotto a fuggire a gambe levate, ma ora... Ora una candidata con la voglia di entrare a far parte dell’aristocrazia era qualcosa di desiderabile. Un vantaggio.

    Del resto, che male avrebbe fatto estendere la sua ricerca a New York? Nessuno, se si fosse guardato in giro per vedere cosa poteva trovare.

    Ovvero nulla.

    Aveva accettato inviti a crociere, feste estive nel Connecticut ed eventi di beneficenza negli Hamptons. Aveva portato un’infinità di donne a cena, a teatro e a concerti a Central Park che tutte, apparentemente, avevano adorato nonostante la pessima acustica e l’afa soffocante tipica di Manhattan.

    Aveva frequentato così tante donne in così poco tempo da correre il rischio di chiamarle con il nome sbagliato, e cosa aveva risolto?

    «Niente» disse ad alta voce.

    Non era più vicino a risolvere il suo problema di quanto lo fosse stato due mesi prima, cioè quando aveva ristretto la sua ricerca ai confini del suo paese, dove le donne erano troppo tutto, incluso troppo ansiose di piacergli.

    Negli Stati Uniti nessuna teneva gli occhi bassi al suo cospetto, ma avevano cercato tutte di compiacerlo. Sì, Sua Altezza. Naturalmente, Sua Altezza. Oh, sono completamente d’accordo, Sua Altezza.

    Non che una moglie

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