Progetto Genesis (eLit): eLit
Di B.J. Daniels
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Progetto Genesis (eLit) - B.J. Daniels
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Prologo
Halloween
Il dolore. Fu il dolore a sottrarla al buio febbrile, a strapparle un grido angosciato. Le palpebre si sollevarono. Tre ombre si muovevano intorno a lei. Parlavano a bassa voce, in attesa.
«Aiutatemi» cercò di gridare lei, ma invano.
Le ombre si mossero, oscurando la luce. Lei socchiuse gli occhi, riuscì a focalizzare lo sguardo, le riconobbe... Spalancò gli occhi, il cuore in gola per lo spavento, mentre i tre volti grotteschi si muovevano intorno a lei. Non facevano nulla per impedirle di gridare, forse perché nessun altro poteva sentirla.
Allora cercò di alzarsi, si sollevò sui gomiti, ma la nausea la indeboliva. Agonizzava, il dolore era più forte di lei, anche se sapeva che doveva fuggire prima che fosse troppo tardi.
Una delle ombre si avvicinò, il volto nascosto da una maschera odiosa. «Presto sarà tutto finito.»
Il sangue le rombò nelle orecchie. Oh, Dio! Conosceva quella voce!
Diverse paia di mani la trattennero mentre il dolore aumentava, poi i sussurri si fecero di colpo concitati, allarmati. Appellandosi a tutte le sue forze, cercò di non urlare, cercò di combattere contro la paura che la paralizzava e contro il dolore che annientava ogni sua volontà. Purtroppo sapeva che era già troppo tardi.
Le era bastato vedere quelle orrende maschere e sentire quella voce per capire che i mostri erano venuti a prendere il suo bambino.
1
La vigilia di Natale
Slade Rawlins non si accorgeva della neve che gli cadeva addosso, né dell'oscurità sempre più fitta e della gente che si affrettava verso le auto. Pensava soltanto alla lettera che portava in tasca e che pesava sul suo cuore come un macigno.
Camminava in fretta per arrivare in ufficio, quando una figura gli si parò davanti. «Oh! Oh! Oh!» cantilenò un uomo vestito da Babbo Natale, tendendogli un cestino per le offerte. «Buon Natale!»
Sorpreso, Slade s'infilò una mano in tasca, lasciò cadere qualche monetina nel cestino e riprese la corsa verso l'ufficio.
Salì i gradini due alla volta, accompagnato dal suono di musica natalizia, dal rumore del traffico e dal tintinnio delle campane che l'uomo in costume da Babbo Natale agitava per strada.
Aprì la porta di ingresso della Rawlins Investigations e senza neppure accendere la luce, andò dritto, dritto al frigorifero accanto alla finestra. Ne estrasse una bottiglia di birra e ne bevve un lungo sorso mentre guardava il movimento per strada.
Si sarebbe potuto permettere un ufficio nuovo nei condomini che stavano costruendo alla periferia della città, ma non riusciva ad immaginarsi in un luogo diverso da quello. Si sentiva radicato in quell'ufficio, come se vi fosse legato da qualche forza oscura e misteriosa.
E sapeva bene di che forza si trattava.
Un brivido lo scosse nonostante la stanza fosse ben riscaldata, mentre il telefono incominciava a squillare. Era la telefonata che aspettava. «Rawlins» rispose.
«Mi hanno detto che sei stato in centrale a creare guai ai miei uomini» sbottò il capo della polizia, L.T. Curtis.
Slade si rilassò al suono di quella voce. La conosceva da sempre, la collegava ai ricordi dell'infanzia proprio come il profumo del pane che impastava sua madre. Possibile che nulla fosse stato ciò che sembrava?
«Non ti hanno detto che è la vigilia di Natale?» brontolò Curtis. «Perché non sei a casa a decorare l'albero?» Anche il padre di Slade era stato poliziotto, oltre ad essere il migliore amico di Curtis.
«Ho trovato nuove prove sul caso di mia madre» aggiunse lui senza perdersi in chiacchiere. Non era riuscito a pensare ad altro sin da quando aveva trovato la lettera. «Credo di sapere chi l'ha uccisa.»
Curtis emise un brontolio sordo. «Quante volte abbiamo affrontato l'argomento, Slade? Non riesco a capire perché insisti. Il caso è chiuso, lo è da vent'anni. L'assassino ha confessato.»
«Non è stato Roy Vogel a ucciderla» obiettò lui. «Ho trovato una lettera che mia madre scrisse a zia Ethel prima di morire.»
«Zia Ethel? Quella che è morta a Townsend un paio di settimane fa?»
«Sì, proprio lei. Mi ha lasciato tutto il suo patrimonio, che ammonta a diversi scatoloni pieni zeppi di vecchie lettere. Lo sapevi che mia madre frequentava un altro uomo?» Quelle parole gli risultarono ostili. Perfino mentre le pronunciava, ebbe difficoltà ad accettarle.
«Che diavolo di idee ti stai facendo?» lo rimproverò Curtis.
«Lo ha scritto lei stessa in questa lettera.»
«Idiozie. Chiunque, ma non tua madre. Adorava tuo padre, e lo sai bene.»
«Ero convinto di saperlo, ma a quanto pare mia madre aveva una vita segreta che tutti noi ignoravamo.»
«In un paese come Dry Creek, nel Montana? Impossibile.»
Sollevato dal fatto che Curtis nutrisse ancora tanta stima nella madre, Slade non poteva tuttavia ignorare ciò che aveva appena scoperto.
L'assassinio della madre era una delle ragioni per cui aveva deciso di diventare investigatore privato. Era stato lui a trovarla. A dodici anni, tornando da scuola. Era toccato a lui chiamare il padre alla centrale di polizia per dirglielo. Quel giorno aveva promesso a se stesso - e a lei - che avrebbe trovato l'assassinio, indipendentemente da ciò che diceva il padre. Joe Rawlins temeva che l'assassino di Marcella potesse fare del male anche ai figli e aveva ordinato a Slade di lasciare fare a lui.
Quel giorno stesso, la polizia aveva ritrovato il cadavere di Roy Vogel, un giovane disadattato che viveva lungo la stessa strada e che si era impiccato nel suo garage, lasciando un biglietto in cui confessava di avere ucciso Marcella Rawlins. Slade non aveva mai creduto alla sua colpevolezza. Lo avevano sempre insospettito i casi risolti con eccessiva facilità, ma non aveva mai avuto altre piste da seguire. Fino a oggi.
«È come se avessi una premonizione» mormorò in quel momento.
«È una premonizione sbagliata» lo corresse Curtis. «Dammi ascolto, va' avanti con la tua vita e lascia riposare in pace tua madre.»
«Non mi sarà possibile finché non avrò consegnato il suo assassino alla giustizia.»
Questa volta Curtis rispose con una bestemmia. «Sei un vero rompiscatole.»
«Ma questo non ti impedirà di dare un'occhiata alla lettera. Stasera da Shelley?» Avevano sempre trascorso insieme la vigilia del Natale. L.T. e Norma Curtis erano i migliori amici dei suoi genitori e avevano allevato Slade e la sorella Shelley come se fossero figli loro.
«Non ne hai ancora parlato con Shelley?» gli chiese Curtis.
«E non conto di farlo, a meno che non vi sia costretto.»
«Non si arriverà mai a questo, lo sai bene. Hai torto marcio.»
Slade si augurava che L.T. avesse ragione, ma non poteva ignorare la lettera. L.T. sapeva certamente chi frequentava Marcella Rawlins vent'anni prima, e se non lo sapeva lui, sicuramente lo avrebbe saputo la moglie Norma.
«Va' a fare compere per Natale» insistette Curtis. «Decora l'albero. Fa' qualcosa, insomma, ma lascia perdere questa faccenda fino alla fine delle vacanze.»
Slade, però, era fatto così: una volta che si metteva qualcosa in testa, era impossibile farlo desistere. «Ci vediamo stasera da Shelley. Voglio mostrarti la lettera. Non posso aspettare che finiscano le vacanze natalizie.»
«Allora buon Natale» brontolò Curtis e riappese.
Slade depose la cornetta e tornò a guardare dalla finestra. Conosceva quella città come le sue tasche, conosceva tutti coloro che vi abitavano. E questo cosa significava? Che conosceva anche l'assassino di sua madre? Che lo aveva sempre conosciuto? Forse quell'uomo era ancora in circolazione, sicuro di averla fatta franca, ma non sapeva ancora che Slade lo stava cercando. Che lo avrebbe trovato.
Di colpo gli tornarono alla mente le parole che tante volte gli aveva ripetuto Curtis a proposito della gente che restava intrappolata nella propria illusione della realtà, incapace di venirne fuori. Che fosse anche lui uno di quelli? si domandò nel guardare la neve che continuava a cadere.
Nevicava anche il giorno in cui aveva trovato la madre. Non l'aveva vista subito, aveva fatto caso soltanto all'albero di Natale che era riverso sul pavimento. Pensando che fosse stato il gatto a farlo cadere, si era avvicinato per raddrizzarlo. Era stato allora che si era accorto di lei. Era stesa sotto i rami dell'abete, una sciarpa rossa stretta intorno al collo, una decorazione dell'albero stretta in una mano.
Alle sue spalle, il rumore di tacchi sul parquet lo riscosse dai suoi pensieri. Si era dimenticato di chiudere la porta dell'ufficio, maledizione.
«Siamo chiusi!» gridò senza preoccuparsi di guardarsi alle spalle, certo che presto i passi si sarebbero ritirati. Non accadde, così si girò verso la porta, un'imprecazione sulle labbra.
Una donna era ferma sulla porta, sottile e sinuosa. Non si mosse, non disse una parola, e per lui andava bene così.
Gli ricordava un'altra donna che aveva conosciuto, e alla luce fioca che proveniva dal pianerottolo, si stava quasi convincendo che fosse lei.
«Il signor Rawlins?» Aveva una voce seducente... una voce vagamente familiare.
Slade aggrottò la fronte, annuì.
«Le dispiace se accendo la luce?»
Certo che gli dispiaceva. Perché quella donna non se ne stava ferma dov'era? O meglio ancora, perché non se ne andava? Era pronto a scommettere il fuoristrada che alla luce non sarebbe stata tanto bella come al buio. E dopo averla vista, neppure lui avrebbe potuto continuare a sognare.
Lei premette l'interruttore.
E Slade trasalì. Si era sbagliato. Alla luce era ancora più bella che nella penombra. Piena di curve pericolose, gambe lunghe un chilometro, capelli neri e ricci che incorniciavano un viso da favola. Labbra carnose, occhi azzurri, ciglia lunghissime.
Un corpo e un volto che aveva cercato di dimenticare per mesi.
Per un anno intero aveva continuato a cercarla, temendo che fosse morta, incolpandosi per quello.
«Ho bisogno del suo aiuto» supplicò con voce rotta. «So che è la vigilia di Natale, ma...»
Lui scosse la testa, incredulo. Mille domande gli si affollarono nella mente. Dov'era stata, cos'aveva fatto, cosa faceva lì adesso, perché lo aveva lasciato?
«Ma cosa credi di...» esordì andandole incontro, poi si fermò di colpo. Sul viso di lei non aveva scorto neppure un lampo. Niente. Non lo aveva riconosciuto!
Una bestemmia colorita gli salì alle labbra.
«Mi scusi, non avrei dovuto disturbarla» disse lei, girandosi per andarsene.
Slade sapeva che se solo avesse avuto un briciolo di buon senso, l'avrebbe lasciata andare. Avrebbe dovuto lasciarla andare sin dalla prima volta. «Soltanto un istante» la trattenne, invece, prendendola per una mano.
Lei si voltò a osservarlo, gli occhi annebbiati dalle lacrime. Restò dov'era, non scomparve come un miraggio. E dopo averla toccata, Slade capì che quella che gli stava di fronte non era la donna che conosceva. Era soltanto l'ombra di quella donna, e non poté fare a meno di domandarsi cosa l'avesse ridotta in quello stato.
«Mi scusi, mi ha solo colto di sorpresa» ammise, guardandola negli occhi. Gli stessi occhi azzurri in cui aveva guardato un anno prima, quando lei era uscita correndo in strada sotto la neve. Slade aveva cercato di frenare, ma la neve e il ghiaccio glielo avevano impedito. Quando era sceso dal pick-up per correrle accanto, l'aveva vista stesa a pochi centimetri dal paraurti. Aveva aperto gli occhi, quegli occhi di un azzurro incredibile, e l'aveva fissato senza vederlo. C'era qualcosa nel suo sguardo che lo aveva incatenato sin dal primo momento.
«Venga» le disse offrendole una sedia e andando a chiudere la porta dell'ufficio. «Cosa posso fare per lei?»
Lei parve esitare, ma accettò la sedia e vi prese posto. Stringeva nervosa le dita intorno alla borsa.
Slade si sedette dietro la scrivania. La ragione gli gridava di lasciarla perdere, ma la curiosità era più forte.
L'anno prima, quando si era quasi gettata per strada sotto il pick-up, l'aveva soccorsa pensando di portarla in ospedale. Lei, però, lo aveva implorato di portarla altrove. Non ricordava niente, né il suo nome, né il suo passato, eppure era certa che qualcuno stesse cercando di ucciderla. E lo aveva supplicato di non chiamare la polizia.
«Ho bisogno del suo aiuto» gli confessò in quel momento.
«Del mio aiuto?» ripeté lui senza capire. «Perché proprio del mio?»
Lei scosse la testa, strinse più forte la borsa. «È tutto un errore» mormorò alzandosi, ma ancora una volta lui si precipitò a trattenerla.
«No» la fermò. «Almeno mi metta alla prova.»
Lei tornò a sedersi. Sembrava ansiosa, apprensiva. Di certo non fiduciosa come lo era stata quella prima volta...
L'ultima volta Slade l'aveva accolta, aveva cercato di aiutarla a ricordare il passato, credendo fosse vittima di un trauma. Due mesi dopo, però, proprio quando incominciava a fare progressi, lei era scomparsa senza lasciare traccia di sé, insieme a un paio di centinaia di dollari e una mezza dozzina di fascicoli dei casi cui Slade stava lavorando all'epoca. Aveva impiegato dei mesi per cercarla, temendo che qualcuno l'avesse uccisa.
E adesso era tornata. Era viva. E di nuovo nei guai.
«Crederà che abbia perso la ragione» continuò la donna con voce morbida come la seta.
«Perché dovrei pensare una cosa del genere?»
«L'aiuto di cui ho bisogno è piuttosto insolito.»
«Mi metta alla prova» la incoraggiò lui.
A quelle parole la donna parve rilassarsi, anche se continuò a serrare la borsa tra le mani, come se fosse pronta a dileguarsi senza preavviso. Era quello che era accaduto l'ultima volta? Aveva avuto paura di ciò che avrebbe scoperto su se stessa? Oppure aveva progettato di farlo a pezzi sin dal primo momento? Per tutti quei mesi, Slade aveva tentato di convincersi che fosse fuggita perché aveva paura di ciò che stava accadendo tra loro.
«Credo che qualcuno mi abbia sottratto mio figlio.»
Slade la fissò sbigottito. Aveva un figlio? «Crede? Non lo sa di sicuro?»
«So che sembra una pazzia, ma è proprio così. Non ne sono sicura.»
Ecco