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Una lady da proteggere
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Una lady da proteggere
E-book293 pagine5 ore

Una lady da proteggere

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815. Ellie Lytton è consapevole del fatto che le ragazze semplici, intelligenti e non particolarmente ricche come lei non sono destinate al matrimonio, e le va benissimo così; le basta poter continuare a fare la scrittrice mentre si occupa della casa del fratellastro. Ma un giorno bussa alla sua porta Blake Pencarrow, Conte di Hainford, portandole una notizia che cambierà la sua vita per sempre. Il fratello è morto lasciandola in gravi difficoltà economiche e l'unico responsabile, agli occhi di Ellie, è proprio Blake. Ora il minimo che lui possa fare è scortarla fino a una fattoria del Lancashire, la sola proprietà che le sia rimasta. Durante il viaggio Blake scopre di essere attratto da quella ragazza fragile ma combattiva e decide di volerla proteggere, anche a costo di fare di lei la sua contessa.
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788858974681
Una lady da proteggere
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Una lady da proteggere - Louise Allen

    successivo.

    1

    Londra, maggio 1816

    Mentre la sfera infuocata del sole si inabissa nelle scintillanti acque azzurre del Mediterraneo e la dolce brezza dissolve il calore della giornata, io giaccio all'ombra della tenda, in attesa del ritorno del signore del deserto. Oltre allo sciabordio delle onde e allo stormire delle palme, l'unico suono è il sussurro dei granelli di sabbia smossi dal vento, simile al fruscio della seta sulle membra nude del...

    «Sussurro dei granelli di sabbia... Maledizione!» Ellie Lytton ficcò la penna nel calamaio e fissò in cagnesco le parole che sembravano essersi scritte da sole. Aprì il cassetto della scrivania e lasciò cadere la pagina su un fascio di fogli assai simili, alcuni che contenevano un paio di paragrafi, altri solo alcune frasi. Estrasse un foglio pulito, scosse l'eccesso di inchiostro dalla punta del calamo e ricominciò.

    Sono incapace di esprimere, mia cara sorella, quanto siano affascinanti le piantagioni di palme da dattero lungo questo tratto della costa nordafricana. È stato con il più grande entusiasmo che ho trascorso la giornata a osservare i braccianti locali che indossavano le loro vesti variopinte...

    «Che diavolo mi ha preso?» borbottò, alzando lo sguardo sulla mensola posta al di sopra della scrivania.

    Conteneva cinque volumi rilegati in marocchino rosso, i titoli in caratteri dorati che spiccavano sulle costole: Il giovane viaggiatore in Svizzera, L'imberbe esploratore delle Terre Alte dell'Inghilterra, Oscar e Miranda scoprono Londra, Una guida per bambini di tutti i Paesi del mondo e Un viaggio lungo la costa inglese. Tutti usciti dalla penna di Mrs. Bundock.

    I titolari della sua casa editrice, Broderick & Alleyn, specializzati nelle Opere istruttive e edificanti per giovinetti, avevano suggerito che nel volume successivo Oscar e Miranda dovessero esplorare i Paesi Bassi. Il formaggio Edam, i canali, la coltivazione dei tulipani e la sconfitta del Mostro Francese avrebbero costituito una combinazione edificante.

    Ellie, nota nel mondo della letteratura per ragazzi come la formidabile Mrs. Bundock, si era ribellata. Anelava a descrivere l'intenso calore, le tonalità abbaglianti e l'esotismo, anche se si trattava di un'esperienza di seconda mano, di nozioni che aveva appreso dai libri e dalle illustrazioni che usava per le sue ricerche. Avrebbe mandato il giovane Oscar nell'Africa settentrionale, aveva deciso, sperando che i predoni berberi riservassero una sorte orribile a quell'indisponente, piccolo moralista.

    Ciò che avrebbe voluto in realtà era scrivere un romanzo intriso di amore e di passione da vendere alla Minerva Press. Tuttavia, separare i due testi nella mente per il tempo sufficiente a portare a termine la spedizione di Oscar, e guadagnare quanto bastava per tirare avanti durante i mesi che le occorrevano per scrivere il romanzo, si stava rivelando una specie di incubo. Non appena quel ragazzino infernale cominciava a pontificare sulle saline e sulle palme, la sua mente veniva occupata dall'immagine di un cavaliere dai capelli scuri e gli occhi grigi in sella a un nero destriero, la tunica bianca gonfiata dal vento del deserto.

    Ellie si scostò dal viso le ciocche che erano sfuggite alla crocchia appuntata alla bell'e meglio sulla sommità del capo e vi conficcò altre forcine.

    Dopo pranzo, si ripromise. Inizierò dalla pesca delle sardine quando la casa è silenziosa.

    Francis, il suo fratellastro, che non era rientrato la sera prima, era senza dubbio ospite di un socio del suo club, il che significava che lei poteva godere di una quiete assoluta. Non essendoci che Polly, la domestica, equivaleva a essere sola.

    I colpi del batacchio della porta di ingresso minacciarono di mandare in fumo le sue speranze di trascorrere una mattinata senza interruzioni. Ellie imprecò – un'imprecazione ancor meno signorile di maledizione – e tentò di ignorare quel suono. Purtroppo i colpi si ripeterono e Polly non dava segno di emergere dal seminterrato per andare ad aprire. Doveva essersi recata al mercato senza disturbare la sua padrona.

    Scoccò un'occhiata all'orologio. Le nove, troppo presto per una visita di carattere mondano. In effetti, con ogni probabilità si trattava di Francis, che aveva di nuovo dimenticato la chiave.

    Si alzò, si pulì le mani macchiate di inchiostro sull'ampio grembiule che usava quando scriveva, si ficcò un paio di altre forcine nella crocchia che stava minacciando di crollare e uscì nel corridoio, trasalendo allorché la gamba menomata protestò a causa della lunga immobilità. Aprì la porta con un gesto risoluto... e si ritrovò quasi a faccia a faccia non con Francis, bensì con un gentiluomo alto, dalla carnagione olivastra e dagli occhi grigi, che indossava un malconcio completo da sera.

    «Miss Lytton?»

    «Ehm... Sì?»

    Sto sognando. Senza dubbio aveva perduto la capacità di parlare in modo coerente.

    «Sono Hainford.»

    «Lo... so» farfugliò Ellie, consapevole di apparire goffa e brusca allo stesso tempo. Dove sono la tunica bianca e lo stallone nero? «Vi ho già visto, Lord Hainford. Insieme al mio fratellastro, Francis.»

    Non in questo modo, però. Non con quelle ombre scure sotto gli occhi iniettati di sangue. Non con le labbra così pallide. Non con un abito dal taglio impeccabile che dà l'impressione di essere stato usato come la cuccia di un cane. Non con il sangue che vi macchia...

    «La vostra camicia... State sanguinando.»

    Ellie spalancò la porta e scese il gradino per prendergli il braccio. Solo quando lo toccò si rese conto di essere sola in casa. Comunque, sola o non sola, non poteva lasciare un uomo lì fuori, chiunque egli fosse. Con una emorragia del genere, sarebbe potuto crollare da un momento all'altro.

    «Siete stato aggredito dai briganti? Entrate!» Quando lui non si mosse, rafforzò la stretta attorno al braccio. «Lasciate che vi aiuti, appoggiatevi a me. Andiamo in salotto, lì la luce è migliore. Vi medicherò la ferita e non appena la mia cameriera sarà tornata, la manderò a chiamare il dottor Garnett.»

    Tanto valeva che avesse tentato di smuovere uno dei lampioni a gas che avevano installato lungo Pall Mall.

    «Sto bene, Miss Lytton, è soltanto un graffio. Devo parlarvi.» Il Conte di Hainford, che perdeva sangue sulla sua soglia, aveva tutta l'aria di un uomo diretto al patibolo. Non avrebbe tardato a cadere a faccia in giù, ed Ellie non sarebbe mai stata in grado di rialzarlo. Tale prospettiva la rese brusca.

    «Sciocchezze. Entrate.»

    Stavolta, quando gli afferrò il braccio, lui le permise di trascinarlo al di là della soglia senza opporre resistenza. Lei chiuse la porta con la spalla e lo guidò attraverso il vestibolo, tentando di evitare che la sua andatura claudicante lo scuotesse.

    «Siamo arrivati. Se occupate quella sedia dallo schienale rigido, sarà più semplice.»

    Lui si lasciò condurre abbastanza docilmente attraverso il salotto e quando batté le palpebre, Ellie si rese conto che era esausto, oltre che ferito, e probabilmente anche ubriaco. O in preda ai postumi di una sbornia.

    «Siete Miss Lytton?»

    No, non era ubriaco. Sembrava perfettamente sobrio.

    Qualcosa le cadde dai capelli mentre inclinava la testa per studiarlo, e lei lo prese al volo. Non era una forcina, era la penna che aveva cercato per tutta la mattina.

    «Sì, sono Eleanor Lytton. Vi prego di perdonare il mio aspetto. Stavo lavorando.»

    E perché mai dovrei scusarmi per il mio vecchio abito e le macchie di inchiostro? Quest'uomo si presenta a un'ora indecente, mi interrompe mentre sto scrivendo, perde sangue sul mio tappeto migliore... Altro che fantasie! Gli uomini non ne sono mai all'altezza, nella realtà.

    «Aspettate qui. Vado a prendere dell'acqua e delle bende.»

    Il conte si era sfilato la redingote quando Ellie ricomparve. Le condizioni dell'indumento non migliorarono nel momento in cui lei vi rovesciò sopra dell'acqua, a causa dell'agitazione che l'aveva assalita mentre lui si stava togliendo la camicia.

    È ferito. Non è il momento di mostrarsi troppo pudica per toccare degli abiti maschili, tanto meno un uomo.

    «Lasciate che vi aiuti.»

    Con ogni probabilità era un indizio delle condizioni in cui si trovava, il fatto che lui si lasciasse cadere di colpo sulla sedia e le permettesse di sfilargli la camicia dalla testa. Ellie trattenne il fiato alla vista del lungo solco che partiva da sotto la cintura dei calzoni e raggiungeva l'ascella destra. Benché non fosse profonda, la ferita sanguinava copiosamente ed era eccessivamente infiammata.

    Ellie lasciò cadere la camicia, poi la raccolse e la scosse, tendendo il tessuto mentre lo sollevava verso la luce. «Avete una ferita di arma da fuoco al fianco.»

    Lui annuì, emettendo una sorta di sibilo mentre lei la percorreva con i polpastrelli.

    «Però non c'è un foro nella vostra camicia. E la ferita inizia da sotto la cintura dei vostri altrettanto intatti calzoni. Vi hanno forse sparato quando eravate... nudo

    Hainford la fissò con le sopracciglia inarcate, certo scandalizzato dal fatto che una gentildonna pronunciasse le parole nudo e calzoni senza perdere i sensi. «Lo ero. Vi dispiacerebbe passarmi alcune di quelle bende e poi lasciare la stanza, in modo che possa provvedere io stesso?»

    La pallottola doveva avergli sfiorato l'anca, e il contatto con le brache, anche se di seta, doveva rendere ancor più dolorosa la ferita. Non poteva fare a meno di togliersele per medicarla. Era già in mostra una porzione fin troppo abbondante del corpo del conte, e lei si rese conto che stava fissando sbalordita la peluria scura che gli copriva il petto e si assottigliava a mano a mano che scendeva fino a...

    «Tenete.» Ellie spinse la bacinella e le bende nella sua direzione. «Chiamatemi quando sarete presentabile... Intendo dire, pronto. Vi porterò una camicia pulita.»

    Sebbene la vista del sangue non la impressionasse, non aveva la benché minima intenzione di avvicinarsi più di tanto a quel corpo nudo, e tanto meno di toccarlo, anche se una romanziera avrebbe dovuto avere una certa esperienza di faccende del genere. Descriverle sulla carta era una cosa, e fantasticare un'altra, ma sperimentarle nella vita reale...

    Chiuse la porta dietro di sé e si appoggiò al battente mentre tentava di riportare il respiro sotto controllo. L'uomo che aveva visto di sfuggita con Francis in un'unica occasione, l'uomo che era diventato l'eroe del suo futuro romanzo e colui che turbava i suoi sonni, si trovava nel suo salotto. Si corresse: si trovava mezzo nudo e ferito nel suo salotto.

    Come aveva fatto a restare ferito? Era stato un marito tradito che lo aveva sorpreso a letto con la propria moglie a sparargli? Non le veniva in mente un'altra situazione che spiegasse per quale motivo era stato nudo. Il suo signore del deserto era, in realtà, un adultero in preda ai postumi di una sbornia.

    E ovviamente, poiché la vita era quella che era, le fantasie non avevano né il buongusto né il tempismo di presentarsi quando una donna appariva al meglio delle sue possibilità. Non che, ammise con una smorfia alla propria immagine riflessa nello specchio, il meglio delle sue possibilità fosse molto esaltante, e non che lei intendesse davvero catturare l'attenzione di un uomo.

    Ellie non si faceva illusioni. Dopotutto, all'età di venticinque anni, si era sentita ripetere spesso che era insignificante, goffa e difficile da notare. E adesso era pure zoppa. Una delusione per tutti, considerato quanto fosse stata attraente sua madre, con i folti capelli scuri e la corporatura minuta, fragile. Lei aveva preso dalla famiglia del padre, commentava la gente con un sospiro di compatimento.

    Il suo abito migliore era vecchio di tre anni, i suoi cappellini era stati rimodernati ripetutamente, al punto che i nastri e i fiori che vi aveva aggiunto coprivano quasi per intero la paglia originale. La sua rendita annuale, per quella che era, veniva spesa in carta, inchiostro e abbonamenti a biblioteche circolanti, e quello che guadagnava alla Broderick & Alleyn veniva inghiottito dalla conduzione della casa.

    Non che avesse importanza, dal momento che non frequentava il bel mondo e aveva una cerchia di amici composta da donne che la pensavano e si vestivano come lei, dal vicario e diversi bibliotecari. Rinunciare alla fatica che comportava la vita mondana era riposante, essere invisibile infondeva sicurezza.

    Era Francis quello che conduceva una vita mondana, e aveva una rendita notevolmente più cospicua, la maggior parte della quale veniva impiegata per pagare le quote di iscrizione a vari circoli, il calzolaio, e per tentare di imitare il suo idolo, Lord Hainford, sia nell'abbigliamento sia negli svaghi.

    Ellie era giunta a quel punto delle sue elucubrazioni quando la porta a cui stava appoggiata si aprì e lei indietreggiò vacillando, atterrando con un tonfo contro il torace nudo del nobiluomo in questione. Lui emise un grido di dolore mentre lei si contorceva, annaspando per tenersi in equilibrio, e si ritrovava con una mano sulla sua spalla e l'altra sul suo petto. Fu allora che fece una scoperta interessante, ossia che i capezzoli di un uomo si inturgidivano quando venivano toccati.

    Tornò ad arretrare verso la soglia, le mani dietro la schiena. «Vado a prendervi una camicia.»

    «Grazie, ma non è necessario. Indosserò la mia. Ascoltatemi, vi prego, Miss Lytton. Devo parlarvi...»

    «Con una camicia indosso. E di certo non macchiata di sangue» lo interruppe lei, a un tratto furiosa. Presumibilmente con se stessa.

    Mentre saliva nella camera da letto di Francis, si chiese di cosa diavolo volesse parlarle Lord Hainford. Certo, le doveva delle scuse per essersi presentato in quelle condizioni, anche se era probabile che si fosse aspettato di trovare a casa il suo fratellastro, non che la porta gli fosse aperta da una stupida femmina, ridotta in uno stato confusionale dalla vista di un torace nudo.

    Prelevò una camicia da un cassetto e tornò in salotto. Hainford si mise in piedi quando lei entrò, le candide bende che spiccavano sulla pelle olivastra, i capelli che si arricciavano sulla nuca e attorno alle orecchie.

    «Questa dovrebbe andar bene.» Ellie gli ficcò in mano la camicia e gli volse le spalle, chiudendo gli occhi per maggior precauzione.

    «Sono di nuovo presentabile» annunciò lui dopo diversi minuti di sibili e fruscii.

    Lei si voltò. Il conte era di nuovo vestito da capo a piedi, il fazzoletto da collo annodato, la redingote spiegazzata sulla camicia pulita. L'altra giaceva appallottolata sul pavimento, il sangue celato alla vista. «Grazie» aggiunse. «La vostra domestica...»

    «Non è ancora tornata. Non dovrebbe tardare a lungo ormai, e subito dopo la manderò a chiamare il medico.»

    Qualcosa in lei scattò sulla difensiva quando lui le si avvicinò. Non essere sciocca!, si ammonì. Lord Hainford era un gentiluomo, e come tale affidabile. Ed era ferito, perciò avrebbe dovuto dimostrargli un minimo di compassione tipicamente femminile.

    Tuttavia, benché decisamente femminili, i suoi sentimenti non tendevano alla compassione.

    «Non è necessario» ribatté lui. «La ferita non sanguina più. Sono preoccupato per il fatto che siate sola in casa con me.»

    Lui era preoccupato?

    «Siete convinto che abbia bisogno di uno chaperon, Lord Hainford?» Ellie sedette su una poltrona e gli indicò quella di fronte. «O siete voi ad averne bisogno?» La miglior difesa era pur sempre l'attacco.

    «No a entrambe le cose.» Lui si ficcò le mani nei capelli, dando l'impressione che si stesse frugando nella mente in cerca delle parole adatte. «Ho una brutta notizia da darvi, e temo che vi occorrerà l'aiuto di un'altra donna.»

    «La mia cameriera non tarderà a lungo» ripeté lei. Poi, a un tratto, assimilò finalmente le sue parole. «Una brutta notizia?» Poteva significare una cosa sola. I suoi genitori e il suo patrigno erano deceduti, e non le restava che il fratellastro. «Francis?» La sua voce suonò calma, controllata.

    «Sir Francis... c'è stato un incidente. Al circolo.»

    «È ferito?»

    No, se lo fosse stato, l'avrebbe mandata a chiamare o lo avrebbero portato lì.

    Ragionava con la massima lucidità, come se non si trattasse di un evento reale, solo di un rompicapo che doveva ricomporre. «È morto, non è vero? Come? Lo avete ucciso voi? In un duello?»

    Per una donna?

    Era l'unica cosa che le veniva in mente, dato che lo stesso Hainford era stato nudo quando era rimasto ferito.

    «No, non l'ho ucciso io. Si è trattato di un incidente. Qualcuno ha sparato a me, e Francis era in piedi alle mie spalle.»

    «E non avevate indosso neppure uno straccio» puntualizzò lei in tono neutro.

    Doveva essersi addormentata mentre scriveva, dal momento che quella faccenda aveva tutte le caratteristiche di un brutto sogno. Non aveva alcun senso. «Di quale circolo si trattava?»

    Poteva darsi che circolo fosse un eufemismo per il termine postribolo. O per qualche altro posto, qualcosa di illegale. Ellie leggeva i giornali, aveva un'idea piuttosto precisa di ciò che accadeva fra certi uomini, benché ignorasse come formulare una simile domanda.

    «Del Circolo degli avventurieri, a Piccadilly.»

    Un club perfettamente rispettabile, dunque. Non un... Come li chiamavano? Ah, sì, ritrovi per pederasti. Non si sarebbe stupita se Francis ne avesse visitato uno – per curiosità, se non altro – ma... quell'uomo? Certamente no.

    Sebbene il suo silenzio lo rendesse perplesso, a giudicare dall'espressione del viso e dal modo in cui si sporgeva in avanti per guardarla in faccia, Ellie non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi, di cosa avrebbe dovuto provare. Poteva darsi che fosse a causa dello sbigottimento.

    «Lasciate che vada prendervi del brandy. È una notizia spaventosa da assimilare.» Hainford si era già alzato a mezzo dalla poltrona quando la porta si aprì.

    «Miss Lytton, sono tornata! Oh!» Polly si immobilizzò, le braccia cariche di pacchetti incartati alla meno peggio. Una cipolla scivolò sul pavimento e rotolò fino ai piedi di Ellie.

    «Polly, credo che Lord Hainford abbia bisogno di un bicchiere di brandy.»

    «Non io

    Blake era in procinto di dare in escandescenze, si sentiva giunto al limite della sopportazione. Quella donna avrebbe dovuto scoppiare a piangere e cadere in deliquio. Allora avrebbe estratto un fazzoletto, le avrebbe dato un buffetto sulla mano, avrebbe mormorato un insulso: su, su. Si sarebbe sentito più a suo agio se lei si fosse comportata in quel modo, ne era certa.

    «Porta una tazza di tè alla tua padrona» ordinò lui.

    «E un brandy per Lord Hainford. Pare sia un rimedio efficace, dopo una sbornia» aggiunse Miss Lytton.

    La vide chiudere gli occhi e trarre un profondo respiro. A quanto pareva, non sarebbe svenuta, dopotutto. Quando tornò a sollevare le palpebre, Blake non smise di fissarla.

    «Non si tratta di un sogno, vero?» gli domandò.

    «No. Temo di no.» Solo di un incubo.

    Con suo sommo sollievo, Blake notò che le guance di Miss Lytton stavano riacquistando un colorito normale. La situazione era già abbastanza terribile senza che una donna perdesse i sensi in sua presenza e, per quanto scortese potesse apparire, non aveva la benché minima voglia di tirar su quella spilungona dal pavimento. Il fianco gli doleva già fin troppo e la prospettiva di sollevare fra le braccia una donna insignificante non era affatto allettante.

    Studiò il pallido ovale del suo viso, spruzzato da una quantità esorbitante di lentiggini che nessuna dose di lozione danese, o di succo di limone, sarebbe riuscita a cancellare. La sua capigliatura assomigliava al nido di un uccello, una massa di scomposti riccioli castani appuntati malamente con delle forcine. Probabilmente gli occhi color nocciola, con le pupille dilatate dalla violenta emozione di cui era preda, erano il suo tratto migliore. Il naso era troppo lungo, e c'era quell'andatura claudicante... Se non altro, però, era riuscita a rimanere cosciente.

    Quando la ragazza ricomparve con il vassoio del tè, le fece cenno di versarlo. «Metti molto zucchero nella tazza della tua padrona.»

    «Io non metto mai lo zucchero nel tè.»

    «È salutare per i nervi scossi.» Lui prese da solo la sua tazza, senza aggiungervi dello zucchero, ringraziando il cielo per il liquido caldo che agiva come un balsamo sul suo stomaco in subbuglio.

    La domestica andò a sedersi in un angolo della stanza, le mani giunte in grembo.

    Miss Lytton si portò la tazza alle labbra con una mano un tantino tremante, la vuotò e tornò a posarla sul piattino con un sonoro tintinnio, quindi appuntò lo sguardo su di lui. «Raccontatemi che cosa è successo» lo esortò.

    Per fortuna non era una di quelle marmocchie viziate che tendevano a cadere in deliquio, benché avesse ancora il tempo per farlo.

    «Mi trovavo al circolo, ieri sera, e stavo giocando a carte con Lord Anterton, Sir Peter Carew e un certo Crosse. Stavo vincendo, molto, soprattutto contro Crosse, che non è un buon perdente e non è nemmeno mio amico. Stavamo tutti bevendo.»

    Blake tentò di modificare un tantino il racconto via via che proseguiva, di renderlo più adatto alle orecchie di una signora, senza mentirle. Non poteva rivelarle che la stanza era stata impregnata dall'odore del sudore, dell'alcol, della cera delle candele e della tensione. Che Anterton aveva avuto il morale alle stelle perché un suo anziano congiunto era morto e gli aveva lasciato una somma ingente, che lui e Carew avevano punzecchiato Crosse per tutta la sera a causa di un incidente che si era verificato alla French House, un bordello di lusso in cui tutti e tre erano stati la sera prima.

    Lui era stato di pessimo umore, ricordò, e aveva desiderato che si concentrassero nella partita.

    Aveva appena tirato verso di sé una montagna di gettoni, banconote e pagherò, e aveva chiesto un nuovo mazzo di carte e un'altra bottiglia di vino, quando Francis Lytton gli era arrivato alle spalle, intensificando la sua irritazione.

    «Il vostro fratellastro appariva alquanto nervoso e ha detto che voleva parlarmi immediatamente. Io stavo vincendo e non intendevo smettere. Gli ho risposto che poi avrebbe potuto accompagnarmi a casa e parlarmi finché avesse voluto.»

    Miss Lytton aggrottò la fronte e si morse il labbro. «Nervoso?»

    «O preoccupato, non so quale delle due cose. Temo di non avergli prestato molta attenzione.»

    «Eravate ubriaco» lo accusò lei in tono glaciale.

    Blake sobbalzò, non riuscendo a credere che una donna si permettesse di rivolgergli una simile accusa e, nonostante il

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