Dottori nella tempesta: Harmony Bianca
Di Sue Mackay
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Salvare vite è la loro specialità. Ma quando si tratta di mettere in salvo il proprio cuore, nessuna medicina sembra essere efficace.
Non è riuscito a salvare la vita del suo migliore amico, così il chirurgo Chase Barrington ha deciso di dedicarsi anima e corpo a quelle degli altri. Per Chase non esiste nient'altro per cui valga la pena sacrificarsi, ma l'arrivo della dottoressa Kristina Morton a bordo della nave impegnata a salvare i naufraghi nelle acque del Mediterraneo cambia radicalmente la situazione. Nessuno dei due ha intenzione di lasciarsi coinvolgere in una relazione, e sembra così facile abbandonarsi alla passione sapendo che presto partiranno per una nuova, coinvolgente missione umanitaria. Ma la felicità è lì, a portata di mano. Troppo vicina per lasciarsela scappare.
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Anteprima del libro
Dottori nella tempesta - Sue Mackay
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Prologo
Cigolio acuto. Schianto violento. Stridore metallico.
Urla strazianti.
«Accident!»
«Quelqu'un est blessé!»
«Aidez-moi!»
Una grossa catena di acciaio oscillò ruotando dall'alto della gru a cui era attaccata. Ancora grida, voci concitate. «Cherchez le médecin!»
Kristina Morton si girò di scatto. Un incidente; c'era un ferito precipitato dall'alto di una gru sul molo del porto di Marsiglia, durante le operazioni di carico di una nave. Un uomo chiedeva aiuto, altri gridavano di cercare un dottore.
Senza esitare, corse verso il clamore; lo zaino pesante le ballonzolava dolorosamente sulla schiena, la gamba guarita da poco le faceva male. «Sono un dottore» gridò alla guardia accanto al cancello del molo. «Io, sono un dottore» aggiunse, indicando se stessa.
L'altro scosse il capo. Non voleva farla passare, ma accennò a un'altra nave in rada. «Docteur» ripeté, come a dire che i dottori erano soltanto là.
«Oui.» Nelle poche parole che sapeva in francese, anche Kristina additava quella nave, cercando di spiegare di essere uno dei dottori di bordo e che stava giusto per salirvi. Niente da fare. Allora si tolse lo zaino, frugò in una tasca laterale e prese il pass per il molo, scritto in francese; era uno dei documenti a suo nome trovati nell'albergo di Marsiglia, al momento dell'arrivo, la sera prima.
Su quel pezzo di carta doveva esserci scritto che lei era un dottore.
In quel momento il cancello si spalancò, e un uomo in tuta dalle strisce fluorescenti lo oltrepassò di corsa, diretto alla SOS Poseidon, la nave dell'organizzazione umanitaria Medicina per Tutti, che aveva appena assunto Kristina come medico di bordo.
Mentre la guardia gridava in fretta qualcosa alle spalle dell'uomo in tuta, Kristina scivolò rapida nell'area proibita; lo zaino portato a mano le intralciava i passi, ma alla piena luce del mattino estivo era subito chiaro che cosa era accaduto.
Per un buon tratto, il molo era cosparso di pezzi della pesante gabbia sganciatasi dalla gru; da sotto una grata, già parte della gabbia precipitata a terra, spuntavano le gambe di un uomo, il cui capo, protetto dall'elmetto, era bloccato dalla sbarra laterale della grata.
Un gruppo di uomini si mosse intorno alla scena, agitando le mani e discutendo tra loro, con grande concitazione.
«Bel guaio» si disse Kristina. Gettò a terra il bagaglio e corse in fretta verso il gruppo, e quando fu vicino al ferito si lasciò cadere in ginocchio ignorando il dolore alla gamba. «Sono un dottore!» aveva già gridato forte, sperando che la parola detta in inglese, dal suono abbastanza simile al francese, fosse comprensibile. Intanto osservava il ferito, notando che alcune parti di acciaio della gabbia, destinate a tenerla insieme, erano saltate via al momento dell'impatto al suolo. «Come si chiama?» chiese, e qualcuno le rispose in inglese.
«Antoine. Ha perso conoscenza?»
«Non ne sono sicura.» Impossibile sentire il polso, che era infilato sotto la grata. Kristina gli toccò la carotide. «Antoine, può sentirmi?» Ma forse non comprende, pensò. Si rivolse all'uomo che le aveva risposto. «Per favore, parli con lui, sentiamo se risponde...» chiese, mentre il battito cardiaco, al controllo, era normale. Bene, ma c'era ancora molto da sapere sull'entità delle ferite.
Kristina non comprese cosa quell'uomo avesse detto ad Antoine, però ne vide il debole tentativo di riaprire gli occhi. Il casco lo aveva protetto ottimamente, ma oltre il tessuto dei pantaloni, molto sangue spillava dalla ferita alla gamba, vicino all'inguine, dove era conficcata una sottile barra di metallo, forse parte della grata che lo ricopriva.
Al ricordo di un incidente analogo, subìto qualche tempo prima, Kristina sfiorò d'istinto il punto della cicatrice sulla gamba, che ancora le faceva un po' male.
«Gli ho detto che lei è un dottore, ora cercherò aiuto per sollevare la grata» disse l'uomo accanto a lei.
«Cerchi qualcuno, ma per ora è meglio aspettare. Antoine perde sangue, e togliere la pressione del peso sulla ferita potrebbe aggravare l'emorragia» avvertì, per prudenza, e anche perché il costante senso di colpa per non aver impedito la morte del Caporale Higgs le pesava ancora, per quanto, ferita a sua volta, Kristina non aveva potuto davvero aiutarlo. Ma i dottori dovevano salvare le vite degli altri a qualunque prezzo, no? «Adesso avrei bisogno di qualcosa per tamponare la ferita...»
Un attimo dopo le porsero parecchi pezzi di tessuto, ripiegati più volte, mentre un altro uomo riduceva a strisce la propria camicia per tenere insieme i tamponi improvvisati. Kristina sorvolò sugli aspetti igienici di quel soccorso: bloccare l'emorragia era più importante.
«Grazie. Merci» mormorò. La gamba di Antoine, piegata in modo innaturale, indicava una frattura sopra il ginocchio. «Attenzione, non colpite la barra conficcata all'inguine quando sollevate la grata» avvertì, indicandola.
«Verrà via facilmente, è saldata al resto.»
Lei non l'aveva notato. Era meglio, allora, se Antoine fosse stato incosciente. Però occorreva morfina, e subito. «Qualcuno può andare alla Poseidon e chiedere di far venire un dottore con farmaci antidolore e ossigeno?»
«Forse sta arrivando; porta una borsa e una piccola bombola, era questo che voleva?»
«Spero di sì...»
«Sono un dottore» disse il nuovo arrivato, piegato su Antoine dalla parte opposta.
Lei tese la mano. «Anch'io. Kristina Morton. Ero diretta alla Poseidon, quando è accaduto l'incidente.»
L'altro le strinse la mano brevemente, ma con una tale fermezza da causarle una scossa dalla testa ai piedi. Kristina si sfiorò un braccio, fissandolo. Possibile? Fuoco nelle vene per una stretta di mano? Era meglio tornare alla realtà, pensò subito. C'era un ferito a cui pensare, non a quel tipo dal volto più intrigante che avesse mai visto, lo sguardo scuro e sorpreso. Che avesse sentito anche lui la scossa?
«Chase Barrington, responsabile della Poseidon» scandì lui, asciutto.
Kristina avvertì una seconda scossa, di natura diversa, questa volta. Allora costui era proprio quel Chase... Il tipo che causava alla sua famiglia ansia e trepidazione a intervalli regolari? Non le avevano detto che era così attraente... «Ho conosciuto Libby, tua sorella, ero supplente al Centro Medico di Merrywood, due settimane fa.»
Chase annuì. Jarrod, suo cognato, era uno dei soci, laggiù. Lanciò a Kristina un'occhiata fredda «Sì, Libby me l'ha detto. Adesso cerchiamo di fare presto.»
Dominava la situazione, quel Chase. Era tipico, pensò lei: aveva lavorato con dottori in ambienti prevalentemente maschili, sapeva riconoscere i segni del comando. «Una barra di metallo, parte della grata, è conficcata nell'inguine di Antoine. Spero che tu abbia portato la morfina.»
«Sì, e i tamponi per la comprimere l'emorragia» replicò Chase, concentrandosi sul ferito. Perché confondersi per quella stretta di mano e per l'aria di superiorità del dottor Barrington, pensò Kristina. I tamponi poteva prenderseli da solo, no? Ma non era certo il suo orgoglio, l'essenziale, in quel momento. Prese la fiala di morfina, lesse la data ad alta voce, e riempì la siringa. Subito dopo l'iniezione, preparò i tamponi, pronti per il sollevamento della grata e di conseguenza della barra dentro l'inguine di Antoine. Frattanto Chase continuava a esaminare le ferite del paziente, senza smuovere la grata, con gesti attenti e misurati di quel corpo muscoloso ma non pesante, perfetta immagine di equilibrio e bellezza... Era così distraente dal dovere professionale, che Kristina si impose di riprendersi: chiuse gli occhi per un attimo, e li riaprì subito.
«Costole danneggiate, frattura di un femore, frattura scomposta a un braccio con sanguinamento dove emerge l'omero, e probabile morso alla lingua.» Chase elencò a Kristina le lesioni riportate da Antoine sfiorando il corpo dell'uomo con le sue lunghe e abili dita.
Lei annuì, impressionata per la precisa diagnosi, oltre che per il magnifico aspetto di Chase. «Bene, andiamo avanti. Prima lo sottraiamo a questa scomoda condizione, meglio è» dichiarò, imponendosi di non sbirciare i muscoli di Chase, sotto la maglietta ampia. Guardò gli uomini alle sue spalle, pronti a dare a una mano. «Al tre, sollevate la grata, molto lentamente.»
Appena liberato Antoine, Kristina tamponò la ferita all'inguine. «L'arteria femorale è danneggiata, non hai un catetere per mantenere il flusso normale?»
«Purtroppo no.» Chase rimosse gentilmente il casco di Antoine per mettergli la maschera di ossigeno. «E non ho neanche un collare per immobilizzare il collo.»
Kristina continuò ad arginare l'emorragia con quanto aveva a disposizione, sperando nell'arrivo di un valido aiuto. «Qualcuno ha chiamato un'ambulanza?»
«Oui» rispose un uomo alle sue spalle. E subito, il suono di una sirena riempì l'aria.
Kristina non si rilassò. Il paziente non era ancora fuori pericolo. Osservò Chase, attento alla respirazione di Antoine; lo sguardo determinato diceva che non lo avrebbe lasciato morire. Qualcosa che senza dubbio aveva in comune con lui, pensò. D'accordo, ma per il resto? Quel poco che aveva sentito da Libby e suo marito Jarrod suggeriva che lei e Chase erano diversi come il giorno e la notte.
Kristina cercava un luogo dove appartenere, fermarsi, dove chiunque non poteva ordinarle di andare via, mentre Chase sembrava non avere tempo e voglia di smettere di muoversi, di viaggiare in giro per il mondo, sempre concentrato nella sua attività con Medicina per Tutti. Mai un attimo di sosta, una vacanza. E nessuno le aveva spiegato perché.
L'ambulanza frenò accanto a loro. I paramedici agirono rapidi, chiedendo informazioni in francese. Kristina, che non comprendeva la lingua, lasciò che a rispondere fosse Chase. «Com'è l'emorragia, sempre grave?» le domandò a un certo punto.
«Sì» rispose lei, cogliendo il sollievo degli astanti, che vedevano Antoine in partenza per l'ospedale.
«Noi abbiamo fatto il possibile. Ora tocca a loro» disse Chase, fissando accigliato, i pugni stretti, i due uomini sistemare il collare ad Antoine e bloccargli con una imbragatura la gamba fratturata. Voleva continuare a controllare la situazione, era evidente. Conosco quella sensazione, pensò lei, arretrando. Il loro lavoro era finito; i paramedici sapevano bene cosa fare per arrivare rapidamente dove erano chiamati, e raggiungere poi un vero Pronto Soccorso. Lo sguardo degli occhi verdi di Chase esprimeva lo stesso pensiero.
L'ambulanza partì, rilassando la tensione di tutti. Kristina stava per muoversi, ma si fermò a guardare il molo, ormai tranquillo, e la SOS Poseidon, la nave in rada dove avrebbe lavorato per i prossimi tre mesi, accanto a un uomo che aveva già reso effervescenti i suoi ormoni.
Sarà un sollievo, la fine del mio turno a bordo, pensò sospirando.
Era stato Jarrod, il cognato di Chase, a suggerirle di proporsi a Medicina per Tutti invece di accettare, a malincuore, una nuova supplenza nell'estremo Nord della Scozia. Intanto, uomini e donne carichi di bagagli cominciavano a salire sulla passerella della nave, per iniziare il turno di tre settimane. All'improvviso, Kristina si sentì stanca di continuare a spostarsi da una supplenza all'altra, senza avere un luogo tutto suo dove tornare, alla fine di ogni contratto. Questa nave non le offriva niente di diverso. Difficile trovarvi finalmente ciò che cercava da tempo.
Merrywood, pittoresca città inglese nel Somerset, dalla gente amichevole e accogliente, l'aveva conquistata, offrendole quel tipo di calore e sicurezza perduti all'età di dieci anni, quando la sua famiglia si era disgregata, lasciandola sola e confusa. Sarebbe rimasta volentieri, per sempre, nel Centro Medico, magari riuscendo a comprarsi un cottage sulla riva del fiume, ma purtroppo il dottore che sostituiva era rientrato. In ogni caso, Jarrod le aveva detto di non dimenticarsi di loro, di tornare a Merrywood alla fine dei tre mesi previsti, perché le avrebbe trovato un altro posto di lavoro. Incrociando le dita, era il massimo che Kristina potesse sperare.
«È il momento di salire a bordo e incontrare gli altri» disse Chase, lo sguardo attento al movimento sul molo.
«Non vedo l'ora» commentò lei. L'organizzazione svolgeva azioni notevoli a favore di rifugiati, migranti, e gente bisognosa che proveniva da orribili zone del mondo. Era molto gratificante essere parte di tutto questo. E se Jarrod non le avesse dato buone notizie, Kristina aveva già pensato di tornare in qualche piccola città nel Sud dell'Inghilterra, nella speranza di trovarvi la stessa atmosfera familiare di Merrywood. Ma perché mai adesso guardava l'uomo che le era accanto? Non era certo la risposta alle sue intenzioni, se lui, per carattere vagabondo, si fermava in qualunque luogo il tempo minimo richiesto.
«Cosa ti ha convinto a scegliere Medicina per Tutti?» le chiese, mentre avanzavano verso la nave.
«Cominciavo a stancarmi delle continue supplenze, di ripartire quando iniziavo ad ambientarmi. Jarrod mi ha suggerito di unirmi a questa organizzazione, dove secondo lui mi sarei inserita bene. Così, dopo aver approfondito le ricerche, ho contattato Liam per provare.» E il direttore l'aveva accolta con entusiasmo, in quanto volontaria, anche se per poco tempo.
Ben inserita, pensò Chase, osservando la donna snella accanto a lui. Diciamo pure che la trovo anche molto attraente. Jarrod, suo cognato, gli aveva assicurato, ridendo piano, che Kristina Morton era perfetta per le operazioni estive nel Mediterraneo. E di certo, conoscendo Jarrod, Chase pensava che l'avesse convinta a parteciparvi. Finora, nessun problema. Ogni dottore era il benvenuto su una nave come la sua. Adesso, però, si chiedeva quale destino avesse mandato proprio quel dottore in quella missione. «Vorresti lasciare l'attività di medico di famiglia?»
La leggera risata di Kristina lo colpì gradevolmente. Strano, di solito le donne non lo emozionavano in quel modo. Le aveva relegate tutte fuori della sua