3 regole per innamorarsi: Harmony Bianca
Di Tina Beckett
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Regola N.2: applica il repellente per zanzare in grande quantità. Questa sembra facile da seguire, ma non la proteggerà dai pensieri peccaminosi che continua a fare su Matt.
Regola N.3: ultima ma non meno importante. Non innamorarti mai di un uomo che ha sepolto il suo cuore nella foresta Amazzonica!
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Anteprima del libro
3 regole per innamorarsi - Tina Beckett
1
«Ciò che stiamo facendo è applicare un bendaggio su una ferita aperta.»
Il dottor Matt Palermo, nel bel mezzo di una recisione di un’arteria femorale, ignorò l’esasperato brontolio del medico accanto a lui. Sulla barella con le ruote si trovava un paziente con una ferita grave tanto quanto quella di cui si stava occupando Matt. A parte il fatto che il piede del suo paziente era andato perso da molto tempo, da qualche parte nelle profondità della foresta pluviale.
Alzò velocemente una spalla per asciugarsi il sudore che gli imperlava la fronte, e che minacciava di contaminare l’ambiente chirurgico. Il caldo appiccicoso e le mosche che ronzavano lì attorno rischiavano già di comprometterlo.
Cercò di scacciare la frustrazione che sentì crescere in lui. Sapeva esattamente cosa stesse passando il dottore alla sua sinistra. Forse non aveva provato anche lui quella terribile sensazione di impotenza e disperazione quando era andato per la prima parte in quella parte del Rio delle Amazzoni? Si sentiva ancora così, a volte. Tuttavia, quello stato d’animo non aveva nulla a che fare con il Brasile, ma con il fatto che aveva lasciato una grande parte del suo cuore nel Tennessee. Persino il suo attacco di febbre spaccaossa, un paio di anni prima, non era nulla paragonato alla straziante frase che aveva cambiato la sua vita per sempre: Mi dispiace, abbiamo fatto tutto il possibile.
Scacciò via quel ricordo e osservò l’arteria appena chiusa. Soddisfatto del proprio lavoro, si preparò a suturare il tutto.
«Hai bisogno di aiuto?» chiese Matt, rivolgendo un rapido sguardo all’altro dottore. Quest’ultimo, nel frattempo, si era abbandonato su una sedia, mentre il suo paziente continuava a dormire, ignaro del fatto che la vita così come la conosceva lui prima era finita.
Proprio come quella di Matt.
«Non ce la faccio più.» Con lo sguardo perso nel vuoto e passandosi una mano tra i capelli, appesantiti per il sudore e il gel, pronunciò quella frase che sarebbe risultata profetica. Una volta terminate le due settimane di lavoro sul battello adibito a studio medico, il ragazzo di città avrebbe preso il primo volo per tornare a casa a Chicago. Sarebbe tornato al suo studio medico nella grande metropoli, arredato con eleganza e con musica di sottofondo. Non sarebbe più tornato in Brasile.
Mai più.
E Matt sarebbe di nuovo rimasto a combattere l’impossibile battaglia dell’uomo contro la natura.
Da solo.
Una folata di calore colpì in maniera violenta Stevie Wilson, non appena uscita dal confortevole aeroplano. Wow. La città di Coari era ancora più calda di quanto si aspettasse.
Con un colpetto della mano fece scendere sul naso gli occhiali da sole che aveva in testa, in modo da contrastare la luce accecante del sole. Si diresse verso la persona addetta a scaricare valigie e scatoloni dalla stiva del vecchio aeromobile.
«Oi, Senhor! Cuidado com a mala vermelha, por favor.»
L’uomo sorrise e le fece il segno dell’okay con il pollice, e poi, nonostante lei gli avesse chiesto di fare il contrario, lanciò la sua borsa con il kit medico sopra la crescente montagna di valigie.
Stevie fece una smorfia. «Le cose non possono che migliorare, giusto?»
Percorrendo per alcuni metri la parte esterna del terminal dell’aeroporto, pregò di trovare qualcuno all’interno ad accoglierla. Aveva parlato solo con il direttore del Projeto Vida, e anche se la donna si era mostrata cordiale, l’aveva liquidata in modo sbrigativo. «Il candidato deve allegare all’e-mail il suo curriculum vitae completo, incluse le qualifiche e una copia della licenza medica. Ci metteremo in contatto con lui» le aveva comunicato. Aveva riattaccato prima di dare a Stevie la possibilità di ammettere che l’amico per cui aveva chiamato era in realtà lei.
Con sua grande sorpresa, dopo avere inviato le informazioni richieste, Stevie aveva ricevuto una risposta positiva, insieme a una lista di vaccinazioni e visti necessari. Dopo un mese, eccola lì.
Completamente libera.
Libera dal fidanzato bugiardo, che era anche direttore dell’ospedale in cui lavorava, e dal vespaio politico che si era venuto a creare in seguito alla rottura del loro fidanzamento.
Era libera di fare ciò per cui era entrata nel mondo della medicina, curare le persone che ne avevano bisogno. E se viaggiare lungo il Rio delle Amazzoni su un ospedale galleggiante era l’unico modo per raggiungere il suo scopo, allora non si sarebbe tirata indietro.
La superò il veicolo addetto al trasporto dei bagagli, che si avvicinò alla montagna di valigie. Bene, almeno non avrebbe dovuto preoccuparsi di dissotterrare il resto delle sue borse da quel mucchio. Tuttavia, se il suo kit medico si trovava adesso in cima, presto si sarebbe ritrovato...
Si voltò e si diresse di corsa verso la pila di bagagli, e fece, con grande agitazione, segno con le mani ai due uomini. Questi si fermarono, di certo chiedendosi cosa avesse da lamentarsi stavolta quella folle forestiera. Stevie si fermò e si mosse verso la sua borsa, spiegando loro in portoghese che cosa volesse. Be’, in portoghese del continente europeo, che le avevano detto fosse diverso dalla versione brasiliana della stessa lingua, ma era tutto ciò che aveva.
I due uomini avevano evidentemente capito, perché le fecero di nuovo il segno dell’okay con i pollici, prima di estrarre le sue valigie dal mucchio e depositarle giù, invece che lanciarle, questa volta.
«Obrigada.» Stevie estrasse dal portafogli un paio di banconote di piccolo taglio e le porse ai due uomini, chiedendo loro se erano disposti a portare le sue valigie fino al terminal. Annuirono, mentre lei prendeva il trolley in modo da poterselo trascinare dietro.
Un minuto dopo, la ragazza era all’interno dell’edificio principale, dove la mancanza di aria condizionata, e persino di un ventilatore, rendeva lo spazio chiuso più opprimente dell’esterno. Dando un’occhiata in giro, non vide nessuno, a parte gli impiegati e gli altri passeggeri che erano saliti a bordo dell’aerotaxi insieme a lei a Manaus.
Andò al banco a chiedere se qualcuno avesse avvisato quel giorno dell’arrivo di un dottore.
«Ninguém, Senhora, desculpa.»
Non era la risposta che aveva sperato di sentire. Si allontanò dal bancone e rimase in piedi al centro della stanza, in preda al panico. Nonostante avesse dei sandali bassi e comodi, le tremarono le gambe. Rimise a posto il manico telescopico della valigia e vi si lasciò cadere sopra. Si sistemò in modo da potere poggiare i gomiti sulle cosce e sprofondare il mento sui palmi delle mani.
Respiri lenti, profondi. Basta questo.
Di certo, non potevano averla abbandonata lì.
Una porta dall’altra parte dell’edificio si aprì all’improvviso e comparve un uomo che ispezionò l’interno del terminal mentre si dirigeva a grandi passi verso il bancone della biglietteria. La sua statura e i pantaloni sportivi aderenti color cachi, in contrasto con l’abbigliamento degli impiegati dell’aeroporto, lo facevano spiccare rispetto all’ambiente circostante. Lei non riuscì a vedere i suoi occhi, ma si mise lo stesso a sedere con la schiena dritta e accennò un sorriso, pregando che fosse venuto a prendere lei. Ma lo sguardo dell’uomo si soffermò a mala pena sulla ragazza, aggrottando le sopracciglia folte e scure che risaltavano sulla pelle abbronzata. Si avvicinò al bancone e parlò sottovoce, chinandosi in avanti e facendo aderire la polo nera alle spalle larghe. Quando la donna dall’altra parte indicò nella sua direzione, lei sentì il cuore fermarsi e iniziò a fare cenni con la mano, per poi interrompersi all’improvviso quando l’uomo guardò oltre.
Come se fosse stata invisibile.
Quel barlume di speranza si dissolse e rabbrividì per l’imbarazzo al pensiero di quanto potesse essere sembrato disperato il suo tentativo di richiamare l’attenzione.
«Onde?» chiese lui alla donna dietro al bancone, questa volta a voce abbastanza alta, tanto che Stevie poté sentirlo.
«A loira sentada na mala, senhor.»
La bionda seduta sulla valigia? Stevie si voltò tanto per essere sicura. Non c’era nessuno seduto su una valigia, tranne...
Pian piano lui recepì quelle parole. Oh, no. Non poteva essere.
Se l’espressione di Stevie era sbigottita, quella dell’uomo lo era molto di più.
Lui le si avvicinò a grandi passi, come lottando contro la sua volontà, ma determinato ad avere la meglio. Una volta arrivato di fronte a lei si fermò. «È una specie di scherzo?»
«Scusami?» Stevie dovette reclinare il collo per poterlo guardare in quei gelidi occhi blu.
«Dovevo incontrare il dottor Stefan Wilson» disse lui, storpiando il suo nome di battesimo.
Stevie si morse il labbro quando si rese conto quanto lui fosse alto. «È Stefani, non Stefan. Dottoressa Stefani Wilson. Ma la maggior parte delle persone mi chiama Stevie.»
Lui si passò una mano tra i capelli e imprecò, prima di estrarre un insieme di fogli ripiegati da una delle tasche posteriori dei pantaloni. Li aprì e li lesse. «C’è scritto Stefan sulla domanda. Aspettavo un uomo.»
Stevie restò senza fiato. Forse la stava davvero rifiutando.
Lei prese i fogli che le porse e li esaminò attentamente, aggrottando le sopracciglia quando vide la i mancante sulla domanda. Quindi era per questo che prima l’aveva ignorata. «Non capisco. Ho compilato il modulo online e l’ho mandato personalmente al direttore del Projeto Vida.»
Stevie scorse le pagine finché trovò la sua licenza. «Qui. Vedi? C’è scritto Stefani, proprio qui sulla mia licenza medica. Ho allegato anche una copia della foto del mio passaporto... mmh, che a quanto pare non c’è.»
«Fantastico.» Prese i fogli e se li rimise in tasca, guardando lontano. «Sembra che lo scherzo fosse rivolto a me.»
Una donna.
Matt non riusciva a credere che Tracy avesse avuto quel coraggio, quando lui aveva chiesto espressamente un medico uomo. Sapeva com’era quel lavoro. Fino a quel momento, nessuno, neppure gli ultimi tre dottori che avevano accettato la posizione, erano stati in grado di resistere alle dure condizioni. E Tracy pensava che quella ragazza minuta invece ce l’avrebbe fatta? Che sarebbe stata capace di tagliare una gamba in putrefazione, se la situazione l’avesse richiesto?
Matt osservò la camicia bianca di Stevie, che aderiva alle sue curve laddove era più sudata, diventando quasi trasparente in alcuni punti.
A un certo punto, notò una goccia di sudore dietro una ciocca di capelli. Mentre guardava, scivolò lungo il collo, acquistando velocità fino ad arrivare alla clavicola. Esitò come se non fosse sicura della direzione da prendere, poi scese ancora. Più giù. Lui deglutì e distolse lo sguardo.
«Non se ne parla. Non puoi rimanere.» Le rivolse uno sguardo che sperava l’avrebbe indotta a ritornare di corsa in qualsiasi confortevole ospedale dal quale proveniva. Se era in cerca di avventura, era arrivata nel posto sbagliato. E di certo, Matt non aveva bisogno che la sua mente vagasse...
«Non se ne parla? Starai scherzando! Ho appena viaggiato per sei mila chilometri per venire fino qui.» I suoi occhi scintillarono. «Ci tengo a farti presente che sono un qualificato chirurgo vascolare...»
«Che avrebbe poca utilità nella giungla.» Ignorò quella vocina che gli ricordava che avrebbero potuto sfruttare le sue capacità per la