L'ospite misterioso: Harmony Collezione
Di Jane Toombs
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Info su questo ebook
Domande sottili, sguardo penetrante, occhio attento... Sono anni che Rachel Hill vive nel terrore che suo padre, un uomo violento, possa trovarla e vendicarsi del passato. Perciò non riesce a non sospettare di Mikel Starzov, il turista di passaggio che ha soccorso suo zio durante una crisi di cuore. La scintilla che è scoccata fra loro, però, sta per diventare fuoco ardente, e lei vuole una prova della sincerità di Mikel. Durante una gita insieme scopre che...
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Anteprima del libro
L'ospite misterioso - Jane Toombs
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Mysterious Houseguest
Silhouette Special Edition
© 2001 Jane Toombs
Traduzione di Maria Elena Giusti
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-133-1
www.harlequinmondadori.it
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1
Mikel Starzof guardò la strada attraverso la fitta cortina di pioggia che sferzava il parabrezza e sbuffò. L’acqua non gli aveva lasciato un attimo di tregua durante il viaggio che lo aveva portato nella Upper Peninsula del Michigan, mentre il pensiero di aver preso la decisione sbagliata si era fatto sempre più insistente.
Forse non era stata una buona idea decidere di trascorrere i due mesi di ferie sotto la pioggia e per di più in un posto che, a parte pochi centri abitati, non sembrava offrire altro che distese selvagge di boschi e pascoli.
Nato e cresciuto a New York non poteva dire di trovarsi a suo agio lontano dalle comodità della metropoli, così ricca di vita e di persone.
Non che si fosse pentito della promessa fatta, questo no. Era molto affezionato a Steve Henderson, che oltre a essere un valido collega era anche un prezioso amico, e il giorno del suo matrimonio gli aveva assicurato che lo avrebbe aiutato a ritrovare la sorella della moglie, scomparsa quattordici anni prima.
Per Victoria era molto importante, ma lui doveva ammettere che quando si era accollato quell’impegno non aveva immaginato di trovarsi a condurre indagini in un luogo così fuori del mondo.
Si strinse nelle spalle. Ormai era tardi per tirarsi indietro e non voleva certo rovinarsi la reputazione che si era guadagnato riuscendo sempre a stanare le sue prede. Una caratteristica che gli aveva procurato il soprannome di Nemesi, la famosa dea della giustizia.
L’unica foto di Renee Reynard risaliva a quando la ragazza aveva tredici anni. Era magra, con una folta chioma di capelli rossi, gli occhi color ambra e la pelle chiara. L’identikit che gli avevano fatto gli esperti non lo aveva aiutato molto perché, come gli avevano anticipato, le trasformazioni fisiche a quell’età potevano essere imprevedibili. Sempre ammesso che fosse ancora viva, cosa di cui nessuno aveva la certezza.
Le sue sensazioni però lo portavano a credere che fosse viva e, benché fosse un agente segreto e come tale dovesse attenersi ai fatti, non aveva mai smesso di fare assegnamento su ciò che l’istinto gli suggeriva.
Sia lui sia Steve erano ancora vivi proprio perché più di una volta aveva prestato fede alle sue sensazioni, ma in quel momento avrebbe fatto bene a concentrarsi esclusivamente sulla strada che stava percorrendo.
Il segnale che era appena superato indicava proprio Ojibway, il paese che stava cercando.
Quando si fermò al distributore di benzina prima di arrivare in centro, la pioggia si era trasformata in una fitta nebbiolina. Prima di chiedere informazioni fece il pieno. Per esperienza sapeva che la gente era più disponibile se prima di fare domande si acquistava qualcosa.
«Aino Saari?» ripeté l’uomo dietro il bancone. «È facile, se prosegue questa strada arriva a un ponte. Attraversa il fiume e dopo circa quattro chilometri incontrerà un fienile nero sulla sinistra. È l’unico di quel colore e non può sbagliare.»
Mentre seguiva le indicazioni, Mikel pensò che in effetti non aveva mai visto fienili neri. Quello di Saari sarebbe stato il primo e c’era da sperare che rappresentasse anche la fine della sua ricerca.
Quando il pick up blu che aveva davanti mise la freccia a sinistra e svoltò proprio nella strada dove era situato il fienile, lui lo seguì e parcheggiò a poca distanza.
Il conducente, un uomo piuttosto anziano, aprì la portiera e scese barcollando, per appoggiarsi poi al pick up.
Mikel non aspettò di scoprire se fosse ubriaco o solo in difficoltà e corse ad aiutarlo.
«Tutto bene, signore?» gli chiese raggiungendolo.
«Non riesco a far funzionare le gambe come dovrebbero» rispose l’uomo dai capelli grigi, che aveva perso il cappello.
Mikel gli circondò le spalle con un braccio e la distanza ravvicinata gli permise di costatare che non aveva bevuto. Pareva molto debole e non era il caso di ritardare soccorsi più appropriati.
«Riesce ad arrivare alla mia auto, se l’aiuto?» gli chiese. «Credo che sia meglio andare in ospedale.»
Mentre lo portava all’auto quasi di peso, una ragazza dai capelli scuri uscì dalla casa vicina gridando: «Aino cosa ti succede?».
«Aiutami a farlo salire in macchina» le chiese Mikel. «Ha bisogno di un medico.»
Lei obbedì senza chiedere spiegazioni e dopo averlo fatto accomodare nel sedile posteriore si sedette accanto al vecchio.
«Spero che abbiate un ospedale qui a Ojibway» disse Mikel avviando il motore.
Lei annuì. «Torna sulla superstrada in direzione della città. Ti dirò io dove voltare al momento opportuno.»
Mentre guidava lui la sentì mormorare a Aino parole di incoraggiamento mentre gli teneva la testa sulla spalla.
Una volta in ospedale Mikel aiutò il personale paramedico a caricare l’uomo sulla barella mentre la ragazza compilava i moduli necessari al ricovero.
«Fortuna che c’era lei ad aiutarlo!» gli disse poi raggiungendolo in sala d’attesa. «Sono Rachel Hill, cugina di Aino. Speriamo che vada tutto bene.»
«Certo che andrà bene.» Mikel lo sperava davvero anche perché quell’uomo era l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo a rintracciare Renee.
«Io sono Mikel Starzov.»
«Era venuto per Aino?»
Lui annuì. «A dire la verità avrei voluto parlargli di suo figlio Leo.» Per esperienza, sapeva che era bene mostrare di non essere totalmente estraneo alla persona da cui si volevano avere informazioni.
«Leo è morto da sette anni» rispose lei.
«Capisco. Lo conosceva?»
«Certo.» Non era però Leo che le interessava in quel momento. «Crede che mi diranno come sta Aino? Non sono per niente tranquilla.» La ragazza fece per allontanarsi.
«Vengo con lei» si offrì Mikel cercando di attirare l’attenzione di una infermiera che stava passando in quel momento nel corridoio.
«Aino Saari?» ripeté la ragazza. «I medici pensano che si sia trattato di un infarto, ma si pronunceranno solo dopo avere ottenuto il risultato degli esami.»
«Come sta?» chiese Rachel con tono preoccupato.
L’infermiera le sfiorò un braccio con una mano. «Si difende bene. La lasceremo entrare appena possibile. So che non è facile aspettare qui fuori, ma non c’è altra scelta.» Detto questo se ne andò.
Colpito dall’espressione scoraggiata di Rachel, Mikel le passò un braccio attorno alle spalle e la ricondusse in sala d’attesa. Lei non oppose resistenza e, appoggiando la testa alla sua spalla, pianse sommessamente contro di lui.
Solo dopo qualche minuto Rachel si raddrizzò, come colpita da un pensiero improvviso. «Eva» mormorò.
«Eva?» ripeté lui, sapendo che si trattava della figlia di Leo.
Rachel si asciugò gli occhi. «Sì, la nipote di Aino. È in Finlandia, ospite di parenti. Dovrei chiamarla, ma...»
«Non credi che sarebbe meglio aspettare di saperne di più?» Più che una domanda era un consiglio.
«Dici?»
Ovviamente sarebbe stato stupendo se Eva fosse tornata al più presto, così avrebbe potuto parlare con lei di suo padre e di Renee, ma era inutile voler affrettare i tempi. Sono certo che presto ti lasceranno vedere Aino» disse.
Lo sforzo che Rachel fece per sorridere lo commosse. Quella ragazza aveva uno strano effetto su di lui, ma c’era una regola da osservare. Non lasciarsi mai coinvolgere da donne collegate a un caso. Anche se al momento non lavorava per l’agenzia, la regola era ugualmente valida. Quando si era permesso di violarla, infatti, aveva messo in pericolo non sono il suo lavoro, ma anche la sua vita.
Se solo i capelli di Rachel non fossero stati così morbidi e se i suoi grandi occhi scuri non fossero stati così dolci...
«Vuoi che chiami qualcuno?» le chiese.
Rachel scosse la testa. «No, a parte Eva e me c’è solo Aino.»
Il primo pensiero che gli attraversò la mente fu che era felice che non ci fossero mariti né fidanzati, ma questo non lo fece sentire meglio.
«Un infarto può essere grave, vero?» gli chiese lei aggrottando la fronte.
«Sì, può essere grave.»
«Aino è molto in gamba, non se lo merita.»
«Nessuno si merita di essere malato» affermò Mikel.
«Già, ma lui per me è davvero speciale. Mi prese con sé quando rimasi orfana. A parte Eva, è il mio unico parente» confessò Rachel.
Pensando di poterla distrarre dalla preoccupazione per Aino, lui le chiese: «Tu hai conosciuto Leo, vero? Viveva a Ojibway?».
«Non proprio. Insegnava in vari centri dell’Upper Peninsula» rispose lei.
«Dal momento che aveva una figlia immagino che fosse sposato.»
«Sua moglie morì dopo poco che erano tornati in questa zona.»
«Allora prima vivevano altrove.»
«Credo di sì, ma non lo conoscevo.»
Le risposte, benché brevi, gli parvero sincere.
«E tu?» gli chiese lei.
«Io?»
«Sì. Ti ho parlato dei miei parenti, ora tocca a te.»
«Ho una nonna.» Si sentiva in colpa per non essere passato a salutarla durante il viaggio. Benché fosse ancora in gamba, da quando era rimasta vedova soffriva un po’ di solitudine e questo lo rattristava. Ma la sua vita frenetica a volte finiva per avere la meglio sui sentimenti.
«Solo una nonna?»
«Già.»
L’infermiera con cui avevano parlato apparve sulla porta. «Suo zio è stato trasferito nell’unità di Terapia Intensiva» disse rivolgendosi a Rachel. «Può andare da lui, ma la prego di non trattenersi troppo a lungo.»
«Va’ pure, io aspetto qui» le propose Mikel.
Mentre si allontanava, Rachel pensò con stupore che avrebbe voluto che lui l’accompagnasse.
Quando ebbe raggiunto la stanza che le avevano indicato, trovò Aino collegato a un monitor e con l’ago della flebo nel braccio.
«Guarda cosa ha combinato questa vecchia ciabatta» le disse lui accogliendola con un sorriso.
Lei si chinò a baciarlo sulla fronte. «Mi hai spaventata da morire.»
«Quel giovane che mi ha aiutato a venire qui... chi è?»
«So solo che si chiama Mikel Starzov.»
Ovviamente non era necessario scendere in particolari dicendogli quanto fosse stata bene in sua compagnia, anche se le domande su Leo l’avevano messa a disagio.
«Il medico mi ha confessato che se non fossi arrivato qui subito avrei rischiato molto. Dice che me la