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La battaglia di Elizabeth: Le sorelle Moore, #3
La battaglia di Elizabeth: Le sorelle Moore, #3
La battaglia di Elizabeth: Le sorelle Moore, #3
E-book341 pagine4 ore

La battaglia di Elizabeth: Le sorelle Moore, #3

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Info su questo ebook

Elizabeth Moore è odiata dalle donne e desiderata dagli uomini per la sua bellezza. Tuttavia, quella bellezza non le aveva portato bene. Al contrario, le aveva causato talmente tanto dolore, da spingerla a voler togliersi la vita.

Un giorno, dopo aver lasciato la sua stanza per partecipare a un incontro famigliare, conosce un uomo che non solo le farà provare una strana pace con la sua voce, ma la incoraggerà a continuare a vivere.

Martin Giesler le farà ricordare il desiderio di essere felice e di amare. Anche se Elizabeth mai avrebbe immaginato che la persona che le aveva ridato la libertà, persa due anni prima, non era nemmeno in grado di abbottonarsi correttamente la sua camicia.

Come farà Martin a salvare l'anima distrutta di Elizabeth? Sarà sufficiente per lei tutte le dimostrazioni di affetto e la fiducia che lui le offre ogni volta che stanno insieme?

LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2023
ISBN9798223907787
La battaglia di Elizabeth: Le sorelle Moore, #3

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    La battaglia di Elizabeth - Dama Beltrán

    PROLOGO

    Imagen que contiene dibujo, animal Descripción generada automáticamente

    Londra, residenza Moore, maggio 1880

    Elizabeth scese le scale di casa trattenendo il respiro per non mettere in allerta la sua famiglia. Non voleva pensare alle conseguenze, se l’avessero scoperta a uscire di notte. Sua madre l'avrebbe senz’altro messa in castigo e suo padre le avrebbe fatto un sermone sulla moralità e l'onore. Mise la mano sulla maniglia della porta e si girò per guardare l'interno del salone. Quando se ne sarebbe andata, avrebbe sentito la mancanza delle sue sorelle, anche se a volte erano troppo chiassose. Ma era il momento di iniziare un nuovo capitolo. Pensò a come i suoi genitori avrebbero reagito alla proposta. Il loro sogno era far sposare le cinque figlie con bravi mariti. E Archie lo sarebbe stato, senza ombra di dubbio. Lo considerava l'uomo perfetto. Era attento, affettuoso e romantico. Inoltre, godeva di una certa posizione sociale, ma non lo amava per questo. A conquistarla era stato l’atteggiamento di riguardo che lui le aveva dedicato sin dal giorno in cui si erano conosciuti, un anno prima. Ogni volta che lo ricordava, il suo cuore tremava dall'emozione. Non avrebbe mai immaginato che un uomo come Archie si interessasse a lei. I suoi genitori insistevano nel dirle che sposare un aristocratico era impossibile. Tuttavia, lei stava per riuscirci. A breve sarebbe diventata contessa e la sposa più felice del mondo.

    Dopo aver chiuso la porta, si alzò le gonne del vestito e corse per il giardino fino a raggiungere quello dei Bohman. Era il luogo dell'incontro scritto sulla lettera. Le pareva così meraviglioso che le proponesse di parlare del futuro di entrambi nello stesso posto dove si erano baciati per la prima volta, che non riusciva a trattenere le lacrime. Emozionata e felice, camminò lentamente lungo il sentiero finché vide una figura maschile conosciuta. Archie, l'uomo che le offriva il futuro che mai avrebbe immaginato, l’aspettava per darle la notizia tanto desiderata. L’aveva pregata di pazientare cinque mesi, per via del suo viaggio. Di non dimenticarlo e di continuare ad amarlo. Elizabeth aveva mantenuto tutte le richieste senza sforzo.

    «Archie?» chiese mentre si avvicinava, anche se era certa che fosse lui.

    «Eli!» rispose, girandosi. «Come stai?»

    Elizabeth rimase ferma, sperando che le tendesse le braccia per riceverla come era solito fare ogni volta che si vedevano in segreto, ma non accadde. Le sue braccia erano immobili.

    «Bene. E tu?» Aveva un nodo in gola.

    «Non bene quanto te», le rispose, sorridendo e osservando la sua figura.

    «Grazie», disse. Quel complimento l’aveva fatta arrossire.

    «E i tuoi genitori? Come stanno le tue sorelle? Anne si è rimessa dopo la morte di Dick?»

    Il nodo divenne più grande, quasi le impediva di respirare. Qualcosa dentro di lei la avvertiva che la sua vita era sul punto di cambiare, non nel modo in cui sperava. Tuttavia, mantenne la calma. Non desiderava mostrarsi impaziente.

    «Si riprende lentamente. Non è facile perdere la persona che si ama», sottolineò guardandolo negli occhi per cercare di scoprire i suoi pensieri.

    «Lo so», mormorò, abbassando lo sguardo.

    «Com’è andata? Hai raggiunto il tuo proposito?» insistette senza muoversi dal suo posto. Pregò che quel cambio di conversazione lo rilassasse e lo animasse a chiederle quello che anelava sentire.

    «Sì. Come ben sai, mia madre ottiene sempre ciò che desidera», sottolineò con un velo di tristezza.

    Sì, lo sapeva. La contessa di Gharster riusciva in tutto quello che si prefiggeva. Ma non li aveva ancora separati, nonostante i milioni di tentativi.

    «Che succede, Archie? Perché sei tanto freddo con me? Perché mi hai chiesto di vederci di nascosto? Pensavo saresti venuto direttamente a casa mia, quando sei tornato. Tuttavia, sono passati tre giorni dal tuo ritorno e non ho saputo niente di te fino a questo momento», disse lei, alla fine.

    «Volevo parlare con te, ma mi è servito del tempo per cercare le parole adeguate. Eli, è imprescindibile che ascolti la verità dalla mia bocca prima che la notizia si estenda per tutta Londra», dichiarò solenne, usando il tono di voce che si addiceva a un nobile che vantava un titolo degno di nota.

    Le gambe iniziarono a tremarle, come le mani e il mento. Il nodo alla gola sparì, cancellato dai battiti accelerati del cuore. Era agitata, ma si impose di mantenere la calma. Molte coppie, al momento di fidanzarsi, avevano dei dubbi. Doveva mostrarsi tranquilla, per fargli capire che le cose sarebbero andate bene, che se si fossero amati non sarebbe successo niente di brutto. I suoi genitori, per esempio, avevano affrontato e superato tanti problemi, potendo contare sull’amore e sul rispetto reciproco. Lei stessa definiva il loro come il matrimonio perfetto.

    «Che notizia?» gli domandò fregandosi le mani, in modo da allontanare la tensione.

    «Non è per niente facile per me. Ti amo e ti assicuro che nessuna donna occuperà il mio cuore, ma...»

    «Ma...» lo interruppe alzando il mento e trattenendo le lacrime sul punto di sgorgare.

    «Mia madre ha deciso che mi devo sposare con lady Ripher, la figlia del barone di Wesberny», ammise, guardandola negli occhi.

    «Insomma, entrambi siamo consapevoli che non è mai stata favorevole alla nostra relazione. Ha sempre considerato la mia famiglia non all’altezza», commentò lei. «Immagino che ti sia rifiutato, vero?»

    Archie si avvicinò e le prese le mani.

    «Non posso contraddirla. È molto malata, il medico che l’ha visitata consiglia di non agitarla. A quanto pare, qualsiasi sussulto potrebbe causarle una veloce morte», disse con tristezza dopo un attimo di silenzio che a Elizabeth sembrò eterno.

    «Mio padre può confermare quella diagnosi», si offrì con rapidità. «Sai che è uno dei migliori medici della città. Immagino che il signor Flatman potrebbe accompagnarlo. Sono sicura che insieme troveranno la medicina adeguata per eliminare quella strana e terribile malattia. Non c’è niente di meglio che avere un medico in famiglia per lottare contro la morte», concluse. Desiderava gridargli che era un idiota se credeva a sua madre. Quella donna sarebbe morta pur di impedirgli di fare una cosa che lei non approvava. Non era consapevole che si trattava di un’astuzia per avere quello che desiderava?

    «Sei così buona», disse Archie, baciandole le mani. «So che non mi merito la tua amicizia e la tua comprensione, dopotutto.»

    «Dopotutto cosa?» volle sapere. «Sono passati cinque mesi e ho mantenuto le mie promesse. Sei tornato, sei diventato conte e ora possiamo avere la vita che entrambi sogniamo da quando ci conosciamo.»

    «Eli… Non rendere le cose più difficili, ti supplico.»

    «Non è difficile, si tratta solo di essere determinati. Se scegli di farmi diventare tua moglie, niente e nessuno deve intromettersi nella decisione che prendi», sottolineò con vigore.

    «Ma non c’è via di scampo», sospirò. Poi, si spostò e guardò il cielo. «Prima di tornare a Londra, ho chiesto in moglie Penelope e lei ha accettato. Tra venti giorni ci saranno le nozze. È questa la notizia che volevo darti.»

    «Archie!» esclamò, inorridita. «Come sei stato capace di farmi questo? Hai dimenticato il nostro giuramento d’amore? Che succederà con i nostri sogni? Che succederà a me?»

    «Lo so, Eli. Se potessi tornare indietro nel tempo, non ti avrei toccata», disse, con apparente tristezza.

    Toccata? Riassumeva tutte le volte che avevano fatto l’amore solo con quel termine? Le aveva parlato con sincerità, quando aveva usato tenere parole nei suoi confronti? In quale luogo del suo cuore erano chiuse le promesse che le faceva ogni volta che erano insieme? Elizabeth sentì le forze venirle meno. Doveva trovare un appoggio, altrimenti sarebbe caduta a terra e si sarebbe sentita ancora più umiliata.

    «Io ti amo, Eli. Ti prometto che...» cercò di insistere. Ma si fermò, non appena vide che lei aveva alzato una mano per farlo tacere e si appoggiava al tronco di un albero con l’altra.

    «Se veramente mi ami, andiamocene. Non saremo la prima coppia che fugge a Gretna Green¹ per sposarsi in segreto.»

    «Ho dato la mia parola», si giustificò l’uomo, alzando le spalle e tirando fuori il petto.

    «Anche a me l’hai data», gli ricordò, guardandolo attentamente.

    «Ma non è lo stesso. Se me ne vado con te, umilierei la figlia di un barone e diventerei un reietto», aggiunse, solenne.

    «Come dici?» chiese, spalancando gli occhi. «Ti preoccupi della sua umiliazione e non della mia?»

    «Eli, comprendimi. La tua famiglia non è nobile e sono sicuro che...»

    «La mia famiglia? Credi che accetteranno la notizia con piacere? Li umilierai, Archie! Li condurrai alla rovina!» proseguì, alterata.

    «Ma loro non hanno motivo di saperlo. Sono sicuro che se manterrai il segreto nessuno lo scoprirà e potrai trovare un buon marito. La tua bellezza ti farà superare questo leggero contrattempo», insistette.

    «Leggero contrattempo? Così riassumi il mio concederti a te?» gridò, in preda all’ira.

    «Non ti arrabbiare. Devi rilassarti. Da quando ci conosciamo, sappiamo che sarebbe potuto succedere.»

    «Ma mai ho pensato che ti saresti arreso senza lottare», rispose, guardandolo con fierezza.

    «Ho lottato, ma non ne sono uscito vittorioso», spiegò.

    «Se mi amassi veramente, non diresti queste stupidaggini.»

    «Ti ho detto che ti amo e che il mio cuore apparterrà sempre a te. Questo non vuol dire niente?»

    «No, niente.»

    Si guardarono in silenzio per qualche istante. Eli vide la rassegnazione negli occhi di Archie. Aveva accettato il destino che gli aveva imposto sua madre senza lottare per il loro amore. Forse non la amava, altrimenti sarebbero già partiti per Gretna Green per sposarsi. Ricordò che i suoi genitori avevano vissuto un’esperienza simile quando Jovenka si era opposto alle nozze della nipote con un plebeo. Ma né suo padre né sua madre si erano arresi. Quella riflessione la fece arrabbiare ancora di più. Per tanto tempo aveva pensato che fosse l’uomo della sua vita, che sarebbe stato capace di scontrarsi con qualsiasi problema pur di averla al suo fianco. Invece, aveva scoperto la dura e terribile verità.

    «Questa è la tua ultima parola?» gli chiese, inspirando.

    «L’unica che posso darti, perché non mi sembra corretto offrirti il posto di amante. Non mi pare adeguato. Ti amo troppo per umiliarti in questo modo», disse per accontentarla.

    Era così arrabbiata, che tutto intorno si fece rosso per l’ira che provava. Amante? Era diventata questo? Elizabeth sentì che le accadeva qualcosa di strano, qualcosa che nemmeno lei sapeva definire. Un’immensa forza si era impossessata di lei, provava caldo, come se dentro avesse un fuoco. Vide persino le fiamme! Era come se la terra si fosse aperta sotto i suoi piedi e il fuoco dell’inferno l’avvolgesse e la proteggesse.

    «Sei l’uomo più abominevole che ho incontrato in vita mia. Non ho mai pensato che il mio amore per te potesse diventare odio in un solo secondo», disse furiosa, con un tono di voce quasi terrificante. «Puoi andartene. La notizia l’ho ricevuta, spero solo che il sangue che fluisce nelle mie vene distrugga tutto quello che ti fa felice», lo maledisse nel bel mezzo di una voragine di sconvolgenti sentimenti. «Verrai da me. Di questo sono sicura, ma io amerò un altro uomo. Per me sarai solo Archie Whatson, conte di Gharster. Vivrai amareggiato nella più totale solitudine», aggiunse prima di girarsi e di tornare a casa.

    Non aveva mai provato tanto odio per una persona. Non si era mai servita del maligno potere del suo sangue zingaro per usarlo contro qualcuno. Non aveva mai pensato di essere una vera Arany finché non sentì come sgorgava da dentro la stessa malvagità che riversava Jovenka verso la sua stessa famiglia. Ma lui si meritava tutta la cattiveria del mondo. E anche sua madre…

    Elizabeth si fermò in mezzo al giardino di casa sua, si asciugò le lacrime e guardò il cielo.

    «So che mi osservi e che mi chiedi di arrendermi all’evidenza. Eccomi!» gridò. Si inginocchiò, prese un ramo secco da terra e si graffiò le mani. Appena uscì il sangue, le appoggiò sulla terra e disegnò un cerchio. «Baderò alle tue figlie e alle figlie delle tue figlie. Riempirò il mondo di colori mentre il mio cuore e la mia anima saranno nere come la notte.» Respirò e lasciò che altre lacrime le scivolassero sul volto. «Invoco il mio sangue, quello che ora scorre nelle mie vene. Ne ho bisogno per distruggere chi mi ha distrutto, per uccidere chi mi ha ucciso, per mandare nelle tenebre chi mi ha messo in esse. Lotterò per raggiungere il mio proposito, calpesterò tutte le persone che si intromettono nel mio cammino e assaporerò le mie vittorie. Che viva in me il sangue che ha rifiutato mille volte e l’unica verità che serve al mio scopo. Lascialo fluire nel mio interno, ti do il mio corpo e la mia anima che mai mi sono appartenuti.» Prese due pugni di terra e li lanciò in aria. «La tua volontà è la mia.»

    Elizabeth rimase in ginocchio finché terminò la preghiera. Poi si alzò, si pulì il viso con i lembi del vestito e si incamminò verso l’entrata con una postura sovrannaturale. Non appena chiuse la porta, si sentì un tuono e immediatamente iniziò a piovere. Per sette giorni, gli abitanti di Londra non videro la luce del sole.

    I

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    Londra, 15 dicembre 1883

    «Sono arrivati?» chiese Josh dalle scale.

    «No», rispose Madeleine dopo aver guardato di nuovo dalla finestra.

    Erano ansiose per la visita di Mary. La seconda delle sorelle Moore si era trasferita in Germania ad aprile dell'anno precedente ed era tornata per presentare a tutti Kerstin, la figlia avuta dal matrimonio con Philip, nata a fine giugno. Tutti erano desiderosi di conoscere la piccola e di ascoltare i racconti della neomamma. Mary in una lettera aveva spiegato che la bambina assomigliava a suo marito, ma che aveva il carattere delle Moore. Appena finito di leggerla, Randall, il padre delle ragazze, aveva pianto, mentre sua moglie Sophia era rimasta seduta su una poltrona a pregare Morgana per ringraziarla della felice nascita.

    «L'attesa mi sta uccidendo!» esclamò Josephine, grattandosi la guancia. «Avrò tempo per prendere una pistola? Sicuramente mi calmerei di più se uscissi in giardino e iniziassi a sparare a tutto ciò che incontro.»

    «Sei in castigo», rispose Madeleine, spalancando gli occhi. «Nel caso non ricordassi, i nostri genitori non si sono ripresi del tutto dal tuo ultimo incidente.»

    Josh sorrise ricordando l’episodio. Qualche tempo prima, aveva sparato contro un albero nel giardino di casa con l’intenzione di spaventare un uomo che lei conosceva molto bene: si trattava, infatti, di Cooper. Era andata così. Dopo aver puntato alla testa dell’intruso, aveva diretto l'arma verso il tronco e aveva sparato. Non aveva previsto di mandare in frantumi la corteccia e che una dozzina di piccole schegge gli si sarebbero conficcate nella guancia destra. Il malcapitato urlò per il dolore causato dalle ferite. Appena sentirono i terribili lamenti, i suoi genitori si precipitarono sul posto per scoprire l’accaduto. Sophia si era spaventata a tal punto che sentì le ginocchia cederle e suo padre, che era medico, lo condusse subito in casa per curarlo. Mentre tutto questo accadeva sotto i suoi occhi, Josephine era rimasta sulla porta, guardando la scena e sperando che la sua vittima fosse in preda all’ira. Al contrario, notò un senso di piacere impossessarsi dello sguardo di Cooper, mentre suo padre lo rassicurava promettendogli che gli avrebbe fatto visita ogni giorno per controllare l’evoluzione delle ferite. Questo la fece infuriare, perché quell’uomo aveva raggiunto il suo scopo: avvicinarsi di più a lei.

    «Non era colpa mia», si difese. «Lui era nascosto.»

    «Per amor di Morgana, Josh! Stavi per accecare il figlio del barone Sheiton! Sai quali conseguenze avresti potuto causargli?»

    «Nostro padre lo ha curato e, da quello che so, i suoi occhi vedono perfettamente», rispose con sdegno.

    «Certo...» sospirò, stanca, Madeleine. «Ma se gli avessi sparato in testa, lo avresti ucciso e nostro padre non conosce una medicina che faccia resuscitare i morti», insistette.

    «La prossima volta, che bussi alla porta, come fanno tutti», disse, arrabbiata.

    «Stava solo passando per la strada!», esclamò.

    Josephine non rispose. Rimase in silenzio per non continuare a discutere con la sua gemella. Non voleva spiegarle che Eric la spiava da quando si erano conosciuti a Brighton. Le avrebbe fatto mille domande alle quali non avrebbe risposto, sperava solo che il suo interesse per lei sparisse. In caso contrario, il senno e la severa prudenza che tutti gli attribuivano, erano falsi.

    «Dov’è Eli?» chiese Josh, per cambiare argomento.

    «Non è ancora uscita dal letto», rispose Madeleine, triste. «Sembra che il mal di testa perduri.»

    «Un corno!» esclamò Josh, girandosi verso il corridoio. «Non permetterò che mi rovini anche questo momento!» aggiunse correndo verso la porta della stanza.

    Madeleine guardò sua sorella. Se l’avesse tirata fuori dalla camera con la forza, la giornata sarebbe peggiorata. La loro madre le aveva avvertite di lasciare Elizabeth tranquilla, sottolineando che era diventata una crisalide e che quando avesse deciso di uscire, lo avrebbe fatto come una farfalla. Ma Josephine voleva impegnarsi ad accelerare quella metamorfosi.

    «No!» gridò Madeleine, salendo le scale di corsa. «Non farle niente!»

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    Elizabeth si stava sistemando l’acconciatura quando sentì dei passi avvicinarsi alla sua stanza. Capì subito che si trattava di Josh: era l’unica sorella che non camminava per casa, ma correva. Si diresse alla porta, mise una mano sul pomolo e appena aprì, se la trovò di fronte.

    «Venivo da te», disse.

    Dopo aver controllato il sobrio vestito che indossava sua sorella, Josephine corrugò la fronte. Perché sceglieva abiti così brutti? Lei almeno portava bei colori con il suo abbigliamento maschile. Ma Eli, da due anni a quella parte, sembrava un’amareggiata istitutrice e guardava il mondo con un senso di depressione.

    «Ho finito», rispose Elizabeth, chiudendo la porta.

    Niente altro. Non aggiunse nulla che spiegasse il ritardo. Josh avrebbe dovuto accontentarsi di quelle due parole. Si comportava così da quando era successo il fattaccio alla residenza del conte di Burkes. Dopo aver deglutito per cercare di cancellare un senso di oppressione alla gola, cominciò a camminare con la sorella lungo il corridoio. Improvvisamente apparve Madeleine. Il suo viso mostrava paura e incertezza. Stava così male? Ebbe la risposta guardandosi allo specchio a metà corridoio. Sotto gli occhi campeggiavano due ombre scure. I capelli biondi brillavano, ma il vestito marrone che aveva scelto non era adatto a una donna come lei, con la pelle così bianca. Tuttavia, non le importava di presentare quell’orribile aspetto. Inoltre, vestirsi in quel modo accentuava il suo rifiuto a voler vivere.

    «Credo siano arrivati», disse Madeleine dopo aver guardato al piano inferiore. «Shira è alla porta e sento la voce di nostro padre.»

    «Finalmente!» esclamò Josephine, scendendo le scale velocemente, come sempre.

    «Ti fa ancora male la testa?» le chiese, quando furono da sole.

    «Sì», rispose Eli.

    «Vuoi darmi la mano? Posso aiutarti a scendere», si offrì Madeleine.

    «No!» disse Elizabeth.

    Non voleva che nessuno la toccasse, tantomeno lei. Madeleine era nata con due abilità Arany: prevedeva gli avvenimenti e riusciva a controllare gli stati d’animo. Il primo potere divertiva tutte, tanto che non perdevano occasione di chiederle che cosa sarebbe accaduto in futuro. Il secondo, invece, non era sempre piacevole, perché se la persona che incontrava aveva emozioni contrastanti, spesso provava anche lei gli stessi sentimenti. Per proteggere se stessa e gli altri da quella dote, da tempo adottava uno stratagemma: usciva sempre con i guanti e cercava di restare lontana da tutti. Non volendo in alcun modo mettere in pericolo la sorella, Elizabeth mantenne le distanze. Non intendeva certo che diventasse disperata quanto lei.

    «Va bene», mormorò. Ma non se ne andò dal suo fianco. Scesero lentamente, in silenzio, senza distogliere gli occhi dall’ingresso di casa.

    Per primo videro il padre, poi arrivò Philip. Elizabeth ricordava il momento in cui il cognato aveva conosciuto Mary. La sua inattesa presenza in casa aveva provocato un subbuglio tra le sorelle. Josephine gli aveva puntato contro la pistola. Ma lui non aveva avuto modo di preoccuparsene: era troppo preso a difendersi dai tubi metallici che Mary gli lanciava mentre lo insultava in tedesco. Lei non aveva presenziato alla cena, perché stava piantando dei nuovi fiori, ma in seguito le avevano riferito che gli occhi di quell’uomo non si spostavano dal corpo di Mary.

    «Buongiorno, signorine», disse Giesler. «Come state?» chiese avvicinandosi a Madeleine, la prima a scendere.

    «Spostati! Lasciami entrare!» esclamò Mary, spingendo suo marito verso destra.

    Madeleine si lanciò tra le sue braccia e la strinse con forza. Le raccontò che aveva imparato a preparare nuovi dolci, che era migliorata a lezione di piano e che usciva spesso da casa in compagnia di Shira. Dopo averle riservato dolci parole, Mary si spostò e guardò verso le scale. I suoi occhi cercarono con ansia Elizabeth, aveva bisogno di verificare come stesse. Ma non le piacque quello che vide.

    «Elizabeth?» le chiese, avvicinandosi. «Come stai?»

    «Sopravvivo», rispose.

    «Identica a suo padre!» disse Randall dopo aver ammirato la nipotina. «Ma dal modo in cui piange, non c’è il minimo dubbio che sia un’autentica Moore.» Pronunciate queste parole, si tolse gli occhiali e si asciugò le lacrime con un fazzoletto preso dalla tasca della giacca.

    «Vieni, cara sorella. Voglio farti conoscere mia figlia», disse Mary prendendole la mano e portandola vicino alla piccola.

    Quando si mise davanti alla bambina, Elizabeth la contemplò per qualche secondo, soffermandosi sul visetto, sul colore degli occhi e dei capelli e sulle labbra a forma di cuore. Effettivamente assomigliava molto a Philip.

    «È bellissima», mormorò.

    Quando distolse lo sguardo dalla nipotina, si accorse che tutti la tenevano d’occhio. Perché la scrutavano in quel modo? Provavano pena per lei o avevano paura che potesse fare del male alla bimba?

    «Andiamo verso il soggiorno», disse Sophia, rompendo il silenzio. «Lì staremo più tranquilli.»

    Si fece ciò che aveva consigliato la signora. Entrati in sala, scoprirono che Shira aveva acceso il caminetto. Si accomodarono intorno al fuoco e iniziarono a parlare della bambina e di Edgar, il nonno di Philip. Nel frattempo, Elizabeth decise di sedersi sulla sedia a dondolo vicino alla finestra per poter superare il putiferio al quale doveva assistere.

    «Il lupo è diventato un agnellino mansueto», disse Mary, riferendosi al vecchio barone. «Nessuno può immaginare quante volte gli abbiamo promesso che saremmo tornati presto a Londra.»

    «Comunque sia, non mi stupirei se si presentasse in qualsiasi momento», sottolineò Philip, divertito. «Da quando Kerstin è nata, passa tutte le ore del giorno a guardarla. Per colpa sua se ne sono andate tre bambinaie. Rimproverava tutte e diceva

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