Sensuali cure (eLit): eLit
Di Leslie Kelly
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Leslie Kelly
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Anteprima del libro
Sensuali cure (eLit) - Leslie Kelly
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Slow Hands
Harlequin Blaze
© 2008 Leslie Kelly
Traduzione di Paola Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-210-6
Prologo
«Oh, mio Dio, è inutile continuare! Non riusciremo a tirarlo fuori.»
Penny Rausch percepì la nota di panico nella voce della collega e cercò di mantenere il controllo. Una di loro doveva restare calma, altrimenti sarebbero impazzite entrambe e avrebbero dovuto dire addio alla loro attività di disegnatrici grafiche.
«Calmati. Ci siamo quasi.»
Janice, sua sorella minore e socia, si infilò le dita nella corta chioma bionda tagliata a ciuffi, scompigliandola ancora di più. Disegnatrice grafica molto ricercata, Janice non aveva alcun senso degli affari, ma in quanto a creatività era insuperabile. I suoi disegni erano fantastici e innovativi.
Peccato che, per tutto il resto, fosse un disastro.
«Ho perso il file e le ultime sei foto sono finite dappertutto. Sparami subito.»
Sembrava sfinita, aveva dei cerchi neri intorno agli occhi e le guance incavate.
Di solito, Janice teneva molto al proprio aspetto, ma in quel momento la sua T-shirt gialla era piena di macchie di pomodoro cadute dalla pizza che aveva mangiato la sera precedente.
Da trentasei ore le due sorelle erano chiuse in ufficio. A un certo punto, il nuovo computer era impazzito, aveva rapito le foto destinate alla documentazione che stavano preparando e minacciava di distruggere la loro carriera.
Se avessero perso il contratto per l’organizzazione di un’asta di beneficenza durante la quale sarebbero stati messi in palio degli scapoli attraenti, avrebbero dovuto chiudere bottega perché sarebbero mancati i soldi per pagare l’affitto, l’elettricità e la stampa dei loro file. Ed erano solo otto mesi che avevano iniziato la loro attività.
«Ma dai... possiamo farcela» insistette Penny. «Non possiamo arrenderci dopo essere arrivate fino a questo punto.»
«Non sarebbe meglio contattare Mrs. Baxter...?»
«No, nel modo più assoluto» replicò Penny. Non voleva che l’altezzosa gran dama della Junior League sapesse che erano incorse in un altro incidente di percorso. Si erano già messe in una situazione critica quando Janice si era presa una brutta influenza e c’era stato un allagamento nell’ufficio. Se avessero confessato di aver avuto dei problemi con il computer, quella donna le avrebbe mandate via a calci.
«Dopo aver guardato per ore decine di uomini belli e attraenti, non riesco più a distinguere l’uno dall’altro» si lamentò Janice, indicando le foto sparse sul tavolo.
«Lavoro massacrante.»
«Non sei divertente. Credevo che fosse tutto risolto quando abbiamo trovato le copie nell’hard disk. Perché non abbiamo inserito anche le informazioni sugli scapoli?»
Le biografie degli scapoli messi all’asta a beneficio dei bambini poveri di Chicago erano sul retro del documento originale. Ma tutti i documenti originali erano stati inviati a Mrs. Baxter dopo essere stati copiati e controllati. Adesso loro avevano le scansioni in memoria nel computer. Avevano perfino la stampa delle biografie. Mancavano solo le foto da abbinare a ciascuna immagine e a quel punto non potevano sapere chi era chi.
Se non fosse stato per alcuni personaggi conosciuti e di facile identificazione e per delle note scritte a mano su Google a cui avevano accesso grazie al portatile di Penny che funzionava ancora, avrebbero dovuto arrendersi. Ma non intendevano farlo.
«Ci sono rimasti gli ultimi sei uomini, Janice» insistette Penny, raccogliendo le foto sparpagliate e unendole alle biografie. «E io ne ho già identificati quattro.»
Gli occhi di Janice si illuminarono. «Davvero?»
Annuendo, Penny spillò le biografie dietro le relative foto. «Ho passato cinque ore a frugare nell’archivio del Trib e ho trovato i nostri ragazzi. A quanto risulta, gli scapoli sono molto seguiti dalla stampa.»
Jenny gettò le braccia al collo di Penny. «Così ci restano solo gli ultimi due.»
Sì. Gli ultimi due. «Ma siamo fuori tempo. Abbiamo solo un’ora per mandare tutto il plico allo stampatore.» Non c’era tempo per fare delle ricerche o... per esitare.
Penny sollevò le due fotografie e studiò con grande attenzione i due volti maschili. Entrambi erano bruni, ma la loro somiglianza finiva lì. Uno aveva gli occhi castani, l’altro azzurri. Uno portava i capelli corti, l’altro li aveva di media lunghezza. Uno aveva un’aria pericolosa, l’altro un sorriso sensuale.
«Uno è un paramedico, l’altro un playboy internazionale» sussurrò Penny, avendo imparato a memoria le biografie. «Uno si chiama Jake, l’altro Sean.»
Janice si chinò a guardare sulla sua spalla e Penny si accorse che respirava in fretta.
Era venuto il momento. Doveva scegliere. Inspirando, puntò un dito sull’uomo che non sorrideva. «Dev’essere lui l’uomo d’affari.»
Janice annuì e indicò il giovanotto dai capelli di media lunghezza. «E se esiste un soccorritore di gente in pericolo, è quello.»
«Siamo d’accordo?»
«Certo. Sicuro. Non ci sono dubbi.»
Penny attaccò alle foto le rispettive biografie, lieta che sua sorella fosse altrettanto convinta. Fatto questo, si rimise al lavoro con il vecchio computer e, mentre batteva sui tasti il più in fretta possibile, cercò di ignorare i sospiri della sorella.
«Speriamo.»
1
«La nostra adorata matrigna sta per accaparrarsi un gigolo.»
Madeline Turner smise di firmare una pila di fogli e lasciò cadere la penna che produsse una macchia di inchiostro sul registro delle entrate e delle uscite di una azienda locale. Poi sollevò la testa e, avendo già avuto un’avvisaglia dal suo tono, non si stupì vedendo l’espressione furiosa di sua sorella Tabitha.
Furiosa, ma bella come sempre, Tabitha aveva ereditato dalla madre la statura alta, il fisico snello, i capelli biondi e una naturale eleganza, attributi che si confacevano perfettamente al suo stile di vita. Madeline, invece, aveva preso dal padre la statura media, il corpo rotondetto, i capelli neri, gli occhi scuri e ridenti e le fossette sulle guance, aspetto che non si confaceva per niente al suo ruolo di direttrice di banca.
Tabitha gettò su una sedia la sua borsetta di marca e chiuse la porta spingendola con la punta di una scarpa da cinquecento dollari. «Hai sentito quello che ho detto, Maddy?»
«Credo che ti abbiano sentito anche venti piani più in basso» rispose Madeline, chiedendosi perché la sorella fosse sempre tanto melodrammatica.
«Quella strega acchiappasoldi vuole cornificare nostro padre.»
Considerando che Tabitha aveva tradito uno dei suoi mariti e uno dei suoi fidanzati, Maddy pensò che avrebbe fatto bene a non inalberare delle arie da moralista. Tuttavia, la notizia che la quarta moglie di suo padre si stesse già guardando intorno le diede molto fastidio.
Tabby detestava Deborah, mentre Maddy non aveva niente contro di lei. La donna non aveva un carattere affettuoso, soprattutto con le sue figliastre ormai adulte, ma era migliore di molte altre.
Suo padre avrebbe potuto sposare una venticinquenne, più giovane di lei e di sua sorella. Se non altro, Deborah aveva più di quarant’anni, sapeva parlare bene, era aggraziata e piena di iniziativa. Un tempo aveva gestito con successo una scuola di ballo dove aveva conosciuto il loro padre e sembrava che lo avesse reso felice.
«Come fai a saperlo?» domandò, sperando che Tabby si sbagliasse.
«Me lo ha detto Bitsy Wellington.»
Bitsy era la migliore amica della loro matrigna. «Perché lo ha fatto?»
«Conosci Bitsy. Non sa resistere alla tentazione di creare dei problemi. Inoltre, vuole quell’uomo per sé. Lui è una specie di gigolo europeo messo in palio all’asta Date un Natale ai bambini bisognosi che si terrà all’Intercontinental domani sera.»
Un gigolo venduto all’asta a beneficio di bambini bisognosi! Era una bella ironia. Era tipico delle grandi dame di Chicago concepire l’idea di vendere uno stallone per una nobile causa e poi contenderselo tra loro.
Tabitha si sedette su una poltrona davanti alla scrivania e arricciò il naso guardando la pila di fogli che la ingombravano. Amava i soldi che venivano dalla banca fondata diversi decenni prima dal loro bisnonno, ma sdegnava tutto il lavoro che c’era dietro.
Talvolta Maddy si domandava se una di loro fosse stata adottata. O trovata davanti alla porta. Pur essendo sorelle, avevano pochissimo in comune.
A lei avevano detto che per carattere assomigliava alla seconda moglie di suo padre, morta quando lei aveva quattro anni. Benché lui non ne avesse mai parlato, pareva che l’avesse pianta a lungo. Forse questo aveva fatto ingelosire Tabby, che l’accusava spesso di essere la preferita di papà.
A parte assomigliare molto di più al padre di sua sorella, Maddy era stata dotata di una mente sveglia e di un profondo interesse per il mondo finanziario. Inoltre possedeva la giusta mentalità per gestire la banca che apparteneva da generazioni alla loro famiglia.
Tabitha aveva ereditato dal padre la volubilità in amore e passava da un uomo all’altro con la facilità con cui si cambiava il reggiseno.
«Dobbiamo fare qualcosa?»
«A quale proposito?»
«A proposito di quella fedifraga!»
Sospirando, Maddy si appoggiò contro lo schienale della poltrona. «Perché parli così? In fondo, non lo ha ancora tradito, no?»
«No, e noi faremo in modo che non lo faccia.»
Maddy si stupì. Sapendo quanto la sorella odiasse Deborah, si sarebbe aspettata che si augurasse un tradimento da parte della matrigna e che la donna venisse scoperta. Suo padre era sempre stato tollerante con le sue mogli, aveva elargito doni e denaro a tutte, ma non avrebbe mai sopportato l’infedeltà e alcune di loro avrebbero potuto attestarlo, compresa la madre di Tabitha.
«Mi meraviglio che tu non abbia assunto un investigatore perché la pedinasse.»
La sorella si guardò le unghie curatissime.
«Lo hai fatto? Gesù, Tabitha!»
«Senti, ho commesso una stupidaggine e me ne sono pentita subito. Non voglio scoprire che quella strega tradisce papà.»
«Non vuoi?»
La sorella si decise a guardarla e Maddy vide sul suo volto un’emozione genuina, un turbamento che di norma sapeva nascondere molto bene. «Lui l’ama davvero, profondamente, e lei lo ha reso felice. Sembra ringiovanito di vent’anni.» Deglutì a fatica. «Non voglio che debba soffrire ancora.»
Maddy rimase così sbalordita da non riuscire a parlare. Anche lei provava gli stessi sentimenti, ma non pensava che fossero comuni anche a Tabitha.
Tuttavia, se c’era una cosa che lei e la sorella condividevano in pieno, era l’affetto per il loro padre.
«Va bene» mormorò. «Che cosa proponi di fare?»
Tabitha guardò il profilo dei grattacieli di Chicago oltre la finestra, succhiandosi le labbra. La sua espressione era identica a quando, da ragazzine, le aveva proposto di prendere dall’armadio della loro matrigna tre modelli di Dior per giocare a fare le signore. Maddy si rese conto di avere le mani sudate.
«Tabby?»
«È semplice» asserì la sorella.
«Davvero?»
«Certo. Non potrà tradire nostro padre con quello scapolo aitante se qualcuno offre un prezzo più alto del suo per acquistarlo.» Poi, con un sorriso da ventimila dollari, dono del padre, spiegò: «Dovrai comprarlo tu.»
Il paramedico Jake Wallace aveva visto in faccia la morte molte volte da quando, cinque anni prima, aveva cominciato a lavorare con il IV Battaglione dei Vigili del Fuoco di Chicago. Aveva sedato delle risse, risposto a numerose chiamate di emergenza da parte di donne maltrattate dal marito, partecipato a sparatorie, alla liberazione di ostaggi, aveva soccorso degli infartuati, chi aveva rischiato di annegare, e persone in punto di morte che, miracolosamente, erano sopravvissute.
Una volta era riuscito a convincere un drogato a permettergli di portare all’ospedale la sua ragazza in overdose e dopo era stato redarguito dal suo tenente per non aver seguito il protocollo, aspettando l’intervento della polizia. Già, come se avesse potuto far morire la ragazza.
Nessuna di quelle situazioni lo aveva intimidito.
Ma quella? Gli metteva addosso una paura del diavolo.
«Perché mai ho accettato di farlo?» borbottò.
Il motivo era uno solo. Era in debito con il suo tenente, il quale era in debito con il capo, la cui moglie teneva in modo particolare a quell’asta a favore dei bambini bisognosi. Per la stessa ragione, due compagni del suo battaglione si erano già messi sotto i riflettori.
«Me lo sono domandato anch’io» affermò una voce sconosciuta.
Jake si allentò la cravatta che lo stava strangolando e guardò lo scapolo Numero Diciotto che era davanti a lui, notando che aveva l’aria più infelice della sua. Tutto dire, perché lui avrebbe preferito praticare la respirazione bocca a bocca a un ottuagenario afflitto da alitosi, piuttosto che esibirsi davanti a un mucchio di donne sfaccendate e spesso prive di controllo.
«In fondo, si tratta di una giusta causa, no?» replicò, cercando di convincere se stesso. «Mi sentirò in imbarazzo, dovrò stare in compagnia di una persona poco gradevole, ma ne varrà