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Il profumo della lavanda: Harmony Destiny
Il profumo della lavanda: Harmony Destiny
Il profumo della lavanda: Harmony Destiny
E-book152 pagine2 ore

Il profumo della lavanda: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

La passione è un balsamo per l'anima.
Camille Campbell torna alla proprietà di famiglia per riprendersi da alcuni avvenimenti che le hanno sconvolto l'esistenza. Vuole stare da sola per crogiolarsi nel proprio dolore. Ma non ha fatto i conti con l'affascinante vicino di casa, che risveglia la sua passione e la fa sbocciare di nuovo alla vita.
Pete McDougal sa cosa significa soffrire e decide di avvicinare Camille come gesto di solidarietà. Ma Camille è bella. E molto sexy. Pete non riesce a frenare l'intenso desiderio che divampa in lui, inaspettato. E mentre cerca di guarire Camille dal suo torpore, riscopre cosa vuol dire amare.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2020
ISBN9788830520899
Il profumo della lavanda: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Il profumo della lavanda - Jennifer Greene

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Wild in the Field

    Silhouette Desire

    © 2003 Alison Hart

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-089-9

    1

    Era arrivato il giorno del mese in cui Pete McDougal doveva scatenare il finimondo in casa sua. Succedeva sempre, e quel giorno non fece eccezione.

    La reazione dei due ragazzini, ormai quattordicenni, era sempre la stessa: uno sguardo ostinato e fiero che gli diceva che non si sarebbero dati per vinti.

    Già lo innervosiva dover avere a che fare con due adolescenti, gemelli oltretutto, però la cosa che lo faceva andare su tutte le furie era che entrambi gli assomigliavano come gocce d’acqua. Non era per niente facile.

    «Ascolta, papà. Perché non capisci? Non riesci a cogliere il senso del vivere senza donne tra i piedi: dovremmo essere liberi

    «Uh-uh!» fece Pete sbattendo lo scopettone e il secchio nelle mani di suo figlio Simon. Sean, che era di fianco al fratello, fece un passo indietro. I due erano uguali in tutto e per tutto a eccezione di un ciuffo di capelli che, sulla testa di Sean, non voleva saperne di stare a posto e gli creava una specie di buffo pennacchio.

    «Avanti, papà. Te la ricordi la libertà? Dovremmo essere liberi di essere noi stessi. Liberi di non mangiare verdura. Liberi di non lavare i piatti fino a quando non rimaniamo senza. Liberi di portare gli stivali anche in casa. Liberi, insomma, di vivere come desideriamo.»

    Il bocchettone dell’aspirapolvere finì immediatamente nelle mani di Sean, non appena ebbe finito di parlare. Simon gli diede di gomito prima di dire: «Ci hai sempre detto che dobbiamo ragionare con la nostra testa, ricordi? Ebbene, finalmente per una volta non dobbiamo andare a scuola per via di una tempesta di neve e tu cosa fai? Vuoi obbligarci a pulire?».

    Sean fece cadere il manico dell’aspirapolvere. «E perché mai, mi chiedo? Non appena hai finito di pulire lo sporco ritorna. E poi che cos’hai contro la sporcizia? A me piace. Anche a Simon piace e pure al nonno. Tu sei il solo...»

    «Lo sporco tiene lontane le donne, non è vero, papà? Come una mela al giorno leva il medico...»

    «Adesso ne ho abbastanza.» Pete sapeva che era sul punto di perdere la pazienza. Era sempre così. La sola incognita ogni mese era quando. «Non voglio sentire un’altra parola. I pavimenti devono essere lavati, i tappeti battuti e i bagni... Ah, diavolo! Gli ispettori d’igiene non oserebbero neanche avvicinarsi al vostro gabinetto al piano di sopra per tanto che puzza! Adesso, muovetevi!»

    «Io non lo faccio il bagno» annunciò Sean al fratello assestandogli uno spintone.

    «Be’, di sicuro non lo faccio io.» Un altro spintone.

    La voce di Pete ruggì improvvisamente: «TUTTI E DUE i bagni di sopra! Ed esigo che tutti gli asciugamani e i vestiti sporchi vengano raccolti per essere lavati...». Pete vide Sean lanciare il secchio sulla testa di Simon e, immediatamente, lo scopettone, che Simon aveva in mano, finire sul capo di Sean. Poi i due presero a spingersi e a tirarsi ceffoni.

    «NIENTE vi distoglierà dai vostri doveri, mi avete sentito? E non me ne importa un fico secco se ci metterete fino a mezzanotte, la casa dev’essere pulita. O preferite che sbatta insieme le vostre due zucche vuote per vedere se c’è dentro qualcosa?»

    Entrambi i ragazzini sapevano perfettamente che non lo avrebbe mai fatto ma, di solito, quella minaccia destava la loro attenzione. Non quel pomeriggio, però.

    Sfortunatamente per Pete, il più anziano dei McDougal decise di sbucare dalle scale proprio in quel momento. Ian si trascinò pesantemente verso i gradini. Ogni settimana che passava, il vecchio sembrava più fragile. Eppure mostrava sempre una tempra tenace e non esitava a dare manforte ai ragazzi sulla questione dello sporco e dell’odio verso le donne. Ian McDougal era di certo il nonno più strambo di quella parte di Poughkeepsie. Forse gli mancava qualche venerdì... ma era molto popolare. In men che non si dica i ragazzini stavano chiedendo al vecchio di schierarsi dalla loro contro il crudele e irragionevole aguzzino che si ritrovavano come padre.

    «Sono veramente stufo di sentire la solita solfa tutti i mesi! Questo posto sembra una stalla. Non c’è niente da discutere... non azzardarti nemmeno tu, papà. E, adesso, al lavoro!»

    Be’, alla fine i due si diedero per vinti, ma il rumore che si misero a fare per riassettare indusse Pete a chiedersi se la vecchia fattoria dei McDougal sarebbe stata pulita o distrutta. I gemelli spostavano gli oggetti e gli arnesi per pulire cercando di fare più baccano possibile. Lo stereo venne acceso al massimo del volume, seguito dalla televisione, che si poteva sentire distintamente sotto il rombo dell’aspirapolvere.

    Pete si voltò verso la porta. Era riuscito a distinguere il timido suono del campanello, anche se non lo aveva riconosciuto immediatamente. Nessuno suonava il campanello a White Hills, nel Vermont o, perlomeno, non in casa dei McDougal. E in modo particolare non in un giorno di marzo, durante una tempesta di neve che avrebbe tenuto anche il più temerario degli agricoltori rintanato in casa.

    Quando andò ad aprire, raffiche di neve lo colpirono in piena faccia ma ciò che lo fece trasalire fu la persona che si trovò davanti.

    «Pete? Ho bisogno di chiederti un favore.»

    «Be’, sicuro. Vieni dentro.» I Campbell erano proprietari dell’appezzamento di fianco. Probabilmente, i Campbell e i McDougal erano arrivati con la stessa nave di pellegrini scozzesi qualche centinaio di generazioni addietro. Molto prima della Rivoluzione Americana, certamente. I McDougal, solitamente, avevano figli maschi, mentre nella famiglia Campbell le femmine nascevano in maggioranza. Pete, per l’appunto, era cresciuto con tre sorelle Campbell ed era andato a scuola con Violet, la persona che gli stava dinanzi.

    «Ehi, pa’! Chi è alla po...?» iniziò a chiedere Sean gridando dalle scale ma ritirandosi subito dopo aver visto chi era il loro ospite. «Ehi, miss Campbell» aggiunse con un tono più timido.

    «Ehi, Sean» replicò la donna.

    Sean scomparve. L’aspirapolvere venne spento. Anche il televisore. E pure lo stereo. Immediatamente ci fu silenzio. Entrambi i gemelli avevano il sacro terrore di Violet Campbell. Violet era... be’, Pete non sapeva bene da che parte incominciare per spiegare Violet ai suoi ragazzi. Era sempre sembrata normale, durante la scuola, ma alcuni anni prima, quando aveva fatto ritorno a White Hills dopo il divorzio, sembrava essersi bevuta il cervello. Il fatto che fosse lì, davanti a lui, in uno dei giorni più freddi dell’anno, con i capelli sciolti sulle spalle e degli orecchini enormi, tanto che Pete si domandava come facesse a passare attraverso la porta, e con solo uno scialle colorato avvolto intorno alle spalle ne era la prova. Aveva preso a vestirsi in modo veramente eccentrico, molto lezioso e la sola vista di tutti quei fronzoli che si era messa sarebbe bastata a terrorizzare qualsiasi uomo.

    Ma non Pete. Come si può essere spaventati da qualcuno con cui si è andati a scuola? Sarebbe come rinnegare una sorella. Che fosse bizzarra o no aveva poca rilevanza. Automaticamente la tirò dentro e chiuse la porta, riservandole uno sguardo condiscendente. «Togliti quell’affare dalle spalle, sarà fradicio. Vuoi del caffè? A quest’ora del giorno sarà più melmoso del fango, ma dovrebbe essere ancora caldo.» Nell’istante in cui le vide quella strana espressione negli occhi, Pete cambiò immediatamente direzione. «È successo qualcosa?»

    «Grazie, niente caffè. Non mi tratterrò a lungo.» Si tolse i guanti rivelando quattro anelli su ogni mano. Subito le mani presero ad agitarsi per aria all’impazzata. «Sì, purtroppo è successo qualcosa, Pete. Si tratta di mia sorella. Camille. Devo andare a Boston per alcuni giorni.»

    Un minuto prima Pete stava bene e un minuto dopo si sentiva come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. Solo il sentire il nome di Camille gli faceva quell’effetto. Violet poteva anche essere una specie di sorella onoraria per lui, ma sicuramente Camille non lo era. «Diavolo. Tutti mi dicevano che ormai Camille stava bene. È malata? Ferita? Che cosa posso fare?»

    Violet scosse la testa. «Magari tu potessi fare qualcosa. Sono terrorizzata all’idea di dover guidare con tutto il ghiaccio che c’è in giro, ma lo devo fare. Devo riportarla a casa. Mi ci vorranno un paio di giorni, magari qualcuno di più. Ma il punto è che devo lasciare il mio negozio, la casa, i miei gatti...»

    «Non ti preoccupare, penso a tutto io.»

    «La temperatura della serra deve...»

    «Violet, l’ho già fatto altre volte per conto tuo.» Non voleva che lei avesse il minimo dubbio sulla sua disponibilità. I McDougal e i Campbell si erano sempre dati una mano per generazioni. Era così che funzionava a White Hills. Anche se tutti quanti litigavano per questioni di sesso, politica o religione, erano sempre disposti a darsi una mano e ad aiutare il proprio vicino. E poi, c’era un argomento che gli interessava molto di più che la temperatura della serra. «Che cos’è successo a Camille? Pensavo che stesse meglio. Voglio dire, è ovvio che abbia passato un momento terribile. Ma sono passati mesi da quando suo marito è morto.»

    Violet si tolse lo scialle e fece un respiro profondo. «Lo so. Tutti noi pensavamo che i primi tempi sarebbero stati i peggiori. Perdere Robert in quel modo... Non era neanche un anno che erano sposati. Ed erano così innamorati. E ha perso tutto in una stupida rapina.» Gli occhi di Violet si riempirono di lacrime. «Lo amava così tanto.»

    «Sì, me lo avevano detto.» Pete si accorse delle lacrime e decise che doveva fare qualcosa di repentino e di drastico prima che Violet si mettesse veramente a frignare sulla sua spalla. Ma una moltitudine di immagini si affastellava nella sua mente. E tutte erano di Camille.

    Cam era di quattro anni più giovane di lui, il che stava a significare che, quando erano a scuola, non l’aveva degnata neanche di uno sguardo. Ma si ricordava del suo matrimonio. Allora non era stata più troppo giovane per lui. Gli era apparsa come un dono del cielo che Dio aveva fatto al suo sposo per una lussuriosa prima notte di nozze. Erano stati così innamorati, lei e suo marito. Avevano continuato a sorridersi e a parlarsi sottovoce per tutto il tempo mentre i loro occhi brillavano pieni d’amore.

    Pete aveva sempre avuto un occhio di riguardo per lei. E va bene, aveva sempre avuto un debole nei suoi confronti. Ma quei sentimenti lo avevano fatto sentire colpevole, prima perché Camille era troppo giovane e poi perché era diventata la moglie di un brav’uomo e non era giusto avere certi pensieri sulla donna di un altro. Eppure, quando l’anno precedente aveva avuto la notizia della loro aggressione, Pete ricordava di aver sentito un certo sollievo nell’apprendere che non era stata Camille a essere rimasta uccisa.

    «Tutto il vicinato diceva che si stava riprendendo» incalzò di nuovo.

    «E questo è già stato un miracolo. Ci sono voluti mesi prima che si ristabilisse fisicamente. È stata in ospedale per una vita. Il suo bel visino... l’avevano riempita di botte... le avevano rotto delle costole e una gamba...»

    «Appunto, ora tutti dicevano che era in piedi... Che cos’è successo,

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