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Contatti da capogiro: Harmony Destiny
Contatti da capogiro: Harmony Destiny
Contatti da capogiro: Harmony Destiny
E-book147 pagine2 ore

Contatti da capogiro: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

La giovane Heather si reca in Wyoming per un lavoro temporaneo: accudire il figlio di un ricco proprietario terriero. Nonostante sia impegnato tutto il giorno, Toby non permette a nessuno di interferire con l'educazione di suo figlio, nemmeno all'affascinante Heather. Anche se gli riesce difficile resistere a quel corpo mozzafiato...
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9788830527867
Contatti da capogiro: Harmony Destiny
Autore

Cathleen Galitz

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Contatti da capogiro - Cathleen Galitz

    Copertina. «Contatti da capogiro» di Galitz Cathleen

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Cowboy Crescendo

    Silhouette Desire

    © 2004 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Elisabetta Elefante

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-786-7

    Frontespizio. «Contatti da capogiro» di Galitz Cathleen

    1

    Non credeva ai propri occhi. La scena a cui stava assistendo era qualcosa di terribile.

    Nessuno si era degnato di andare ad aprirle la porta a cui aveva suonato con tanta insistenza, perciò Heather era entrata e si era lasciata guidare dalla voce baritonale che l’aveva condotta fino alla soglia di un ampio soggiorno, dove si era fermata di colpo, inorridita.

    Il viso dell’uomo che stava parlando era affascinante, ma ciò non la consolava: era venuta a lavorare per un mostro!

    Un mostro che ricattava un bambino servendosi di un biscotto. «Dillo, Dylan!» esclamava, impaziente. Talmente intento a imporre la sua volontà al bambino da non accorgersi neppure dell’arrivo di Heather.

    Il piccino teneva una mano tesa verso il biscotto che veniva sventolato sotto il suo naso e poi tirato via non appena lui riusciva a sfiorarlo. Gli occhi enormi dell’identico colore di quelli del suo aguzzino si andavano riempiendo di lacrime.

    «Andiamo, Dylan. Dillo!»

    Heather decise su due piedi che non sarebbe rimasta a guardare mentre il suo nuovo datore di lavoro torturava crudelmente quella creatura. Anche se, intervenendo, rischiava di essere licenziata prima ancora di prendere servizio.

    «Dia qua!»

    Ignorando l’occhiata sorpresa dell’uomo, marciò nella stanza e gli tolse di mano il biscotto. Quindi si chinò, asciugò il viso del bambino e gli consegnò il biscotto. Dylan lo accettò con uno sguardo colmo di gratitudine e lo divorò prima che suo padre avesse il tempo di confiscarglielo.

    «E lei, chi sarebbe?» sbottò Tobias Danforth. Era ancora acquattato davanti al bambino, ma subito si drizzò, ergendosi in tutto il suo metro e ottantacinque di statura. La sovrastava di almeno venti centimetri, calcolò Heather, che quel giorno era in scarpe da tennis.

    Si sentì come Davide al cospetto di Golia. Peccato che non avesse una fionda a portata di mano.

    «Sono la babysitter, mi manda l’agenzia. E vorrei impedirle di maltrattare quel povero piccino, signor Danforth. Ricordi che Dylan è un bambino, non un animale da addomesticare.»

    «Come si permette di...?»

    «Mi permetto per il bene di suo figlio» lo interruppe lei, rendendosi conto così di essersi messa a tu per tu con il suo nuovo principale.

    Gli occhi dell’uomo, di un azzurro trasparente, la inchiodarono come una larva catturata da un esperto di coleotteri intenzionato a studiarla. Ma Heather Burroughs non era una codarda. Aveva avuto a che fare per anni con uno dei più sadici insegnanti di musica del pianeta, perciò ci voleva ben altro per intimidirla.

    «E pensa forse che io non voglia il bene di mio figlio?» ribatté lui, sarcastico.

    Heather si puntò i pugni sui fianchi. «Vogliamo chiamare i servizi sociali e chiedere che cosa ne pensano dei suoi sistemi educativi?»

    «Fuori di qui, signora.»

    Quelle parole, appena sibilate tra i denti, trapassarono Heather come proiettili.

    Dopo aver piegato la testa per venticinque anni, aveva scoperto da poco di avere anche lei una spina dorsale. Una scoperta che aveva sconvolto i suoi genitori: l’avevano quasi diseredata per aver voltato le spalle ai sogni di tutta la loro vita.

    Ma per quanto avesse imparato a puntare i piedi, Heather non aveva ancora messo a punto la capacità di temperare con una giusta dose di prudenza la propria risolutezza. E in quel particolare momento della sua vita non poteva permettersi di perdere quel lavoro: l’alternativa sarebbe stata dover tornare da suo padre con la coda tra le gambe e strisciare ai suoi piedi, come lui stesso aveva predetto, caustico.

    Tuttavia, non intendeva lavorare alle dipendenze di un uomo che aveva appena dimostrato di comportarsi come un inflessibile sergente maggiore dei marine con un bambino di soli tre anni. Perciò raddrizzò le spalle e si voltò, avviandosi verso la porta d’ingresso.

    Una flebile voce la bloccò sui suoi passi.

    «‘cotto!»

    L’espressione severa di Tobias mutò di colpo. Gli occhi, che soltanto un istante prima erano stati freddi come il ghiaccio, si sciolsero all’istante. L’uomo cadde in ginocchio davanti al bambino e lo prese per le spalle. «Che cosa hai detto?» Le sue mani grandi e forti serravano le spalle del bambino con tenerezza, altrimenti lei sarebbe giunta alla conclusione che stesse tentando di scuoterlo per ottenere un’altra risposta.

    «Credo che abbia detto biscotto. Immagino che ne voglia un altro.»

    «Per me, può mangiarsi anche tutto il pacchetto!» esclamò Tobias, euforico. Sollevò Dylan e lo fece volare per aria, strappandogli un grido di esultanza.

    «‘cotto!» ripeté il piccolo, sorpreso che l’aver pronunciato quella mezza parola avesse causato in suo padre una reazione così entusiastica.

    L’atteggiamento critico di Heather si ammorbidì subito mentre vedeva che gli occhi di Tobias Danforth si velavano di lacrime. Quell’uomo, a detta di tutti ricco sfondato, era guardato con sospetto dagli abitanti della zona. La sua scelta di trasferirsi nel Wyoming a dirigere un ranch, quando avrebbe potuto godersi i milioni dei genitori, era considerata un capriccio da chi invece sudava sangue da generazioni su quella terra.

    Che poi un uomo del genere fosse capace di commuoversi per una cosa da poco come quella sorprendeva Heather oltre ogni dire.

    Posato il bambino per terra, Tobias gli consegnò l’intera busta dei biscotti; Dylan gli volò al collo e gli tempestò il viso di baci. Una scena talmente diversa da quelle che ricordava della propria infanzia, che Heather si sentì un groppo alla gola al pensiero di doversene andare senza aver avuto la possibilità di conoscere meglio padre e figlio. Tornò a girarsi verso l’uscita.

    «Scusi, ma dove sta andando, adesso?»

    Heather si fermò ancora e si voltò adagio. Sul viso spigoloso di Tobias era apparsa l’ombra di un sorriso, che rendeva la sua espressione molto meno minacciosa.

    «Mi ha appena licenziato o sbaglio?»

    Tobias si sfilò un fazzoletto da una tasca e se lo passò sugli occhi. «Si consideri riassunta.»

    Heather sentì che il cuore le esplodeva nel petto. Si costrinse a contraccambiare il sorriso e ad assumere un tono conciliante mentre raggiungeva Tobias e gli toglieva di mano il fazzoletto. «Le do una mano» si offrì, passandoglielo sulla bocca per togliere alcune tracce di cioccolato che gli erano rimaste dopo i baci del bambino.

    Un gesto automatico, fatto senza pensare, che divenne improvvisamente intimo quando Tobias la fissò negli occhi. Heather sentì un lungo brivido lungo la schiena. E il tremito che la percorse tramutò il fazzoletto che aveva ancora in mano in una sorta di bandiera bianca, sventolata in cenno di resa.

    Lei preferiva gli uomini rasati di fresco, ma il suo sguardo indugiò per alcuni istanti sul contorno di quella mascella ispida e decise che poteva anche fare uno strappo alla regola.

    Ti è dato di volta il cervello?, si chiese, stranita.

    «Forse è il caso di precisare i termini del mio contratto, prima che accetti di lavorare per lei. Specie se intende continuare a trattare suo figlio come l’ho vista fare poco fa.»

    Tobias allungò una mano per prendere la sua. Un contatto che folgorò Heather al punto da farla scattare all’indietro.

    «Non ho nessuna intenzione di attentare alla sua virtù, se è questo che la preoccupa, signorina Burroughs» puntualizzò Tobias, divertito da quella reazione. «E sono perfettamente in grado di ripulirmi la faccia da solo, perciò tra le sue mansioni non ci sarà anche quella di occuparsi del sottoscritto. Si dà il caso che sia ancora capace di badare a me stesso. L’aiuto di cui ho disperatamente bisogno riguarda Dylan, soprattutto con gli esercizi che mi ha suggerito la sua logopedista. Come appunto quello che ha interrotto poco fa.»

    Heather rimase interdetta. Non si sarebbe mai aspettata che certi metodi da Gestapo potessero essere parte di un programma terapeutico suggerito da una professionista. Che fosse lei, allora, a non essere all’altezza di quell’impiego? Se voleva laurearsi in pedagogia, doveva smetterla di saltare a certe conclusioni e di proiettare sugli altri i traumi della propria infanzia.

    «Mi scusi. Sono davvero desolata» mormorò.

    Tobias si passò una mano tra i folti capelli. Castani alla radice, erano schiariti dal sole sulle punte. «Non deve scusarsi. Ha ottenuto più lei con Dylan in cinque minuti di quanto non abbia ottenuto io da quando è andata via sua madre.»

    Parole venate dall’amarezza, ma anche da una profonda disperazione, che Heather percepì subito. Che cosa era successo alla madre del bambino? Era scappata perché non aveva retto all’isolamento di quel ranch? O più semplicemente non andava d’accordo con un marito che la trattava come trattava suo figlio, pretendendo che si piegasse alla sua volontà mettendole davanti un biscottino?

    Comunque fossero andate le cose, Heather provò una gran pena per quel bambino abbandonato dalla madre.

    Allontanata da casa per poter mettere a frutto un talento artistico fuori del comune, lei comprendeva bene che cosa si provasse a essere abbandonati dalle persone che dicevano di amarti. E quanto fosse dura riuscire a ottenere la loro approvazione.

    «Nel caso non glielo abbiano detto all’agenzia, Dylan è... ritardato.» Quell’ultima parola sembrò serrare la gola di Tobias, che dovette schiarirsi la voce prima di continuare. «Ho letto il suo curriculum e ho pensato che potesse legare con lui anche grazie al fatto che avete un talento in comune.»

    Così dicendo, indicò il pianoforte che occupava l’angolo in fondo alla stanza. La superficie di ebano scuro dello strumento evocava in Heather emozioni contrastanti: da un lato, era tentata di lasciar scorrere le dita su quei tasti d’avorio scintillanti. Dall’altra, però, sapeva di aver messo per sempre una pietra sopra a quel capitolo della sua vita.

    «Sul suo curriculum c’era scritto che è diplomata al conservatorio. Dylan è molto portato per la musica. Ha solo tre anni e non ha mai preso lezioni, eppure suona a orecchio e riesce a strimpellare diverse musichette.»

    Heather si accigliò. «Spero non stia pensando di iscriverlo in qualche scuola speciale per giovani talenti, come hanno fatto i miei con me. Io di anni ne avevo sei, ma bisognerebbe averne molti di più per essere in grado di reggere le pressioni di una scuola impegnativa che mira a risultati clamorosi.»

    Tobias scosse il capo. «No, Dylan non va da nessuna parte. Mio figlio per me non è mai stato una palla al piede, come invece lo è stato per sua madre. Pensi quello che vuole dei miei metodi educativi, ma io

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