Il ritorno del magnate ribelle: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Il ritorno del magnate ribelle - Janice Maynard
successivo.
1
Hartley Tarleton aveva commesso molti errori nella sua vita, ma allontanarsi per ben due volte da Fiona James era stato il peggiore. Aveva avuto i suoi motivi. Circostanze attenuanti. Obblighi familiari. Tuttavia aveva comunque gestito malissimo la cosa. La donna in questione non sarebbe stata in vena di essere conciliante. E, cosa ancora peggiore, Hartley era lì per chiederle un favore.
Nonostante i mille dubbi parcheggiò sull'altro lato della strada rispetto alla casa di lei, un cottage ben tenuto. Quel quartiere borghese di Charleston era invecchiato con garbo. Fiona era una pittrice, dipingeva paesaggi. Aveva molto talento, e si stava facendo un nome. Sperava che i giorni da artista squattrinata fossero giunti al termine.
Hartley picchiettò le dita sul volante e ripeté il discorso che voleva farle. Quella casa e quella donna lo attiravano, procurandogli un dolore al petto. Aveva trascorso due notti in quella casa, anche se non consecutivamente. Ne ricordava ogni dettaglio, per ragioni che non voleva esaminare troppo da vicino.
Nell'ultimo anno, quando aveva avuto dei giorni difficili, si era rasserenato ricordando il tavolino vintage nell'angolo per la colazione in casa di Fiona. L'aveva immaginata, con i suoi ricci capelli rossi e gli enormi occhi grigio azzurri, seduta a una delle sedie dalle gambe cromate, con un album da disegno sulle ginocchia.
Scese piano dalla macchina e si stiracchiò. Non era da lui temporeggiare. Anzi, propendeva più per l'impulsività. Quando era adolescente le persone criticavano quella sua tendenza come un segno d'immaturità. Per lui invece significava prendere il toro per le corna. Gli piaceva avere il controllo sul proprio destino.
Un rivolo di sudore gli scese lungo la schiena. Quel giorno faceva molto caldo, ed era anche umido. Forse era stato via troppo a lungo. Charleston era casa sua. Allora perché si sentiva un intruso?
Il cuore gli martellava in petto mentre attraversava la strada e percorreva il viale. Aveva temuto che Fiona fosse fuori, ma il suo maggiolone rosa confetto con dei piccoli cavallucci marini blu sul tettuccio era parcheggiato fuori casa. Era un'auto bizzarra, e si addiceva perfettamente al suo spirito d'artista.
Una volta raggiunto il portico Hartley allentò la cravatta e si disse che ce l'avrebbe fatta. Era assalito da una miriade di emozioni. Aveva la gola secca. Allungò la mano e suonò il campanello.
Fiona sentì suonare alla porta e sospirò sollevata. Aveva ordinato colori a olio e acrilici per centinaia di dollari. L'aumento dei prezzi da un giorno all'altro non era una buona notizia, in realtà era colpa sua se non si era resa conto prima di non avere quello che le serviva per iniziare il nuovo progetto che le avevano commissionato.
Indossava una T-shirt chiazzata di colore e jeans sdruciti con buchi sulle ginocchia, però il ragazzo delle consegne l'aveva vista anche in condizioni peggiori. Quando scattò in piedi sentì una fitta alla schiena. Stare seduta nella stessa posizione troppo a lungo era uno dei rischi del mestiere. Se era intenta a lavorare poteva dipingere per ore, senza accorgersi del tempo che passava.
Impiegò pochi secondi ad attraversare la piccola casa fino alla porta. Doveva sbrigarsi, perché il fattorino necessitava della sua firma.
Spalancò la porta, ansimante e momentaneamente accecata dai luminosi raggi del sole.
L'uomo in piedi sul portico non era affatto un fattorino. E nemmeno uno sconosciuto.
Impiegò cinque secondi per comprendere cosa stava succedendo.
«Hartley?» Lo shock si tramutò presto in rabbia. «Oh, cavolo, no.» Quell'uomo le aveva spezzato il cuore.
Richiuse la porta d'istinto. O almeno ci provò. Un piede si frappose tra lei e lo stipite. Hartley grugnì per il dolore, ma non si arrese.
«Per favore, Fiona. Ho bisogno del tuo aiuto.»
Rieccolo. Il punto debole di Fiona. Il suo tallone d'Achille. Crescere in svariate famiglie affidatarie le aveva insegnato che diventare indispensabile per ciascuna di esse le avrebbe assicurato un tetto sulla testa.
Erano ormai dieci anni che se la cavava da sola, fin dal momento in cui era diventata maggiorenne. Aveva un conto in banca e aveva quasi finito di pagare la sua casetta. Adesso compiacere le persone era un'abitudine, non più una necessità. Un'abitudine che si era ripromessa di eliminare.
Tuttavia guardando il viso di Hartley quella risolutezza le venne meno. «Hai un aspetto orribile» gli sussurrò, continuando a tenere una mano sulla maniglia per impedirgli di entrare. Non era del tutto vero. Anche così smunto e con le occhiaie Hartley Tarleton era l'uomo più bello che avesse mai visto. Spalle muscolose, bacino stretto e un sorriso che faceva girare la testa.
Si erano conosciuti più di un anno prima al matrimonio di amici comuni, dove facevano entrambi da testimoni. Più tardi quella sera, alla fine di una festa a base di vino e balli, lui le aveva sfilato l'orribile vestito fucsia da damigella. Era accaduto nella stanza di Fiona, dove lei l'aveva invitato a trascorrere la notte.
Avevano avuto un'intesa fisica ed emotiva immediata, alla quale non avevano saputo resistere.
Quando il mattino dopo si era svegliata Hartley se n'era andato.
Oggi gli occhi di quell'uomo rilucevano per l'emozione. «Per favore, Fee» la supplicò. Aveva una voce roca. «Solo cinque minuti.»
Come faceva Hartley a far crollare ogni sua barriera protettiva? L'aveva piantata in asso non una, bensì due volte. Era una masochista? Di solito non cedeva di fronte a stupide lusinghe maschili. Eppure aveva creduto che lui fosse stato attratto quanto lei.
Fiona sospirò per come si stava dimostrando debole e aprì maggiormente la porta. «Va bene. Solo cinque minuti. Ho da fare.»
Non le riusciva molto bene dimostrarsi disinteressata. Quando lui entrò il familiare profumo del suo dopobarba le riportò alla mente un paio di notti che aveva disperatamente cercato di dimenticare.
Hartley attraversò la stanza e si sedette sul divano. Lei rimase in piedi, le braccia conserte. Si erano conosciuti che Hartley indossava uno smoking, poi, dopo essere sparito per nove mesi senza dare alcuna spiegazione, si era presentato alla sua porta in jeans sbiaditi e una camicia giallo tenue con le maniche arrotolate.
Adesso era fasciato in un completo costosissimo confezionato su misura. Nonostante la palpabile disperazione aveva l'aspetto di un riccone. In altre parole non era il tipo di uomo con cui sarebbe dovuta uscire. Né con cui sarebbe dovuta andare a letto. Né includere in programmi futuri.
Seguì un lungo silenzio. Hartley si sporse in avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la testa china. Era un uomo che sapeva sempre cosa dire. Il tipo di uomo che sapeva suscitare l'interesse di una donna con un solo battere di ciglia.
Adesso, invece, che Fiona lo aveva lasciato entrare in casa si era ammutolito.
Alla fine fu lei a rompere quel silenzio interminabile. «Cosa vuoi, Hartley?»
Avrebbe dovuto infondere impazienza e disinteresse in quelle tre parole, invece le tremava la voce. Sperò che lui non l'avesse notato. Era quello il momento di assumere il controllo della situazione e volgerla a suo favore.
Hartley non meritava la sua compassione.
Alla fine lui si mise a sedere eretto e la guardò, i pugni sulle cosce. Il suo viso era più scavato di un tempo. Si vedeva che stava soffrendo.
«Mio padre è morto» annunciò con voce roca.
«Oddio. Mi dispiace tanto.» Nonostante la rabbia il cuore le si strinse per la compassione. «È successo all'improvviso?»
«Sì. Un infarto.»
«Eri a Charleston?» Al matrimonio avevano scoperto che vivevano entrambi in quella bellissima cittadina della Carolina, era chiaro, però, che frequentavano cerchie diverse.
«No. Tuttavia non avrebbe fatto differenza. Se n'è andato in poco tempo.»
«Non so che dire, a parte che mi dispiace tanto, Hartley.»
«Non era così avanti con gli anni. Non ho mai pensato che non avrei avuto la possibilità di dirgli addio.»
Fiona sentiva il desiderio di sedersi accanto a lui e abbracciarlo, però conosceva i propri limiti. Era meglio mantenere una distanza di sicurezza. Le braccia di Hartley Tarleton le facevano perdere la lucidità.
Lui serrò la mascella. «Ho bisogno che tu venga al funerale con me. Per favore.» Si alzò. «Non te lo chiederei se non fosse importante.» Deglutì vistosamente. Aveva bisogno di una spuntatina ai capelli... Una ciocca gli ricadde sulla fronte e la scostò con impazienza.
Fiona lo aveva visto senza vestiti. Aveva sentito le gentili carezze di quelle mani grandi e leggermente ruvide su ogni centimetro della sua pelle. Hartley le faceva vibrare il corpo di piacere, faceva sì che il suo stupido cuore romantico costruisse castelli in aria. Ma non lo conosceva. Non del tutto.
«Non credo sia una buona idea, Hartley. Non siamo niente l'uno per l'altra. Me l'hai fatto capire. Non voglio venire al funerale con te» gli disse decisa, cercando di sembrare pratica, non il tipo di donna che permette a un uomo di sparire per giorni e settimane senza alcuna spiegazione per poi riaccoglierlo nel proprio letto dopo tre mesi.
«Non capisci.» Hartley fece un passo verso di lei, ma Fiona lo bloccò.
«Non avvicinarti» gli disse, intuendo la sua strategia. Non gli avrebbe permesso di ammorbidirla.
«Bene. Non ti sfioro. Tuttavia ho bisogno che tu venga al funerale con me, perché ho paura, maledizione. È più di un anno che non vedo mio fratello e mia sorella. Ci siamo allontanati. Ho bisogno di uno scudo.»
«Bello, proprio quello che vuole sentirsi dire una donna.»
«Santo cielo, non fare storie, Fee.»
Quel cipiglio sarebbe stato comico se non avesse avuto un atteggiamento così brutale. «Sono razionale, signor Tarleton. Sei tu quello che sembra aver perso la testa.»
Lui si passò una mano sul collo, stranito. «Forse è così» mormorò. Cominciò a camminare avanti e indietro, fermandosi per prendere in mano una conchiglia che le aveva portato un'amica dall'Australia. Hartley ne tracciò il contorno con le dita, in un gesto quasi sensuale. «È bellissima» le disse.
«L'ho appena portata qui dal mio studio. Sto lavorando a una serie di quattro acquerelli... una galassia, un uragano, e questa conchiglia perfetta. Uno schema simile si ripete in natura più spesso di quanto pensi.»
Hartley racchiuse quella meraviglia opalescente nel palmo della mano e guardò Fiona. «E il quarto?»
Lei arrossì. «Ti sembrerà strano, però è una specie di broccolo... Romanesco.»
Per la prima volta la tensione nelle ampie spalle di Hartley si attenuò, e lo vide sfoggiare il suo tipico sorriso. «Non ho mai conosciuto una come te, Fiona.»
Lei si stizzì. «Che significa?»
«Sei speciale. Vedi il mondo in modo diverso da noi comuni mortali. Ti invidio per questo.»
La sincerità nella sua voce e quel complimento genuino le ricordarono tutti i motivi per i quali si era innamorata di lui. Per ben due volte. Il sorriso di Hartley era un'inspiegabile combinazione di dolcezza e sensualità. Per un uomo alto un metro e novanta con un fisico da atleta quel pizzico di candore infantile la coglieva sempre di sorpresa.
Cosa ci sarebbe stato di male se l'avesse accompagnato al funerale? Era un'ora della sua vita, forse meno. Fiona inspirò, già conscia di aver perso la battaglia.
«Che giorno è il funerale?»
Adesso Hartley sembrava davvero sentirsi in colpa.
«Oggi.»
Lo guardò sbalordita. «Oggi oggi?»
«Tra un'ora e mezza.»
«E tu credevi davvero di poterti presentare qui, chiedere il mio aiuto e ottenere quello che vuoi?»
«No» le rispose con enfasi. «No.» Il secondo no fu meno energico. «Lo speravo, Fee. Lo speravo e basta.»
Infilò le mani in tasca, e rimase immobile. Questo gli fece acquistare dei punti. Tutto nei loro scambi precedenti le faceva capire che in realtà Hartley avrebbe potuto ottenere quello che voleva anche solo con un bacio. Invece lui non ci provò nemmeno. Si limitava a chiedere.
Prima che Fiona potesse formulare una risposta lui fece una smorfia. «So che ti devo delle spiegazioni per il mio comportamento. Se mi farai il favore di rimanermi accanto questo pomeriggio giuro che poi ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Non scapperò. Non questa volta.»
Fiona lo scrutò in viso per capire se fosse vero. «Perché le cose vanno male con i tuoi fratelli? Tu e tuo fratello non siete gemelli? Mi sembra che me l'avessi detto. I gemelli non dovrebbero essere uniti?»
«Ho fatto una cosa che ha infastidito mio padre e Jonathan, mio fratello. Mi hanno estromesso dal testamento. E a dire la verità forse me lo sono meritato. Però amo la mia famiglia. sono tutto per me. Vorrei rimediare, se mai fosse possibile.»
Avrebbe potuto lusingarla. Flirtare. O anche farle pressione. Invece se ne stava semplicemente lì, a