Arrendersi alla passione: Harmony Destiny
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Shirley Rogers
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Anteprima del libro
Arrendersi alla passione - Shirley Rogers
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Terms Of Surrender
Silhouette Desire
© 2004 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-790-4
Frontespizio. «Arrendersi alla passione» di Rogers Shirley1
«Devi... promettermi... una cosa.»
Parole appena sussurrate, tanto debolmente che temette di aver sentito male. David si inginocchiò accanto al letto e si sporse verso il capezzale dell’uomo che stava per morire. «Che cosa?» Il loro rapporto si era incrinato per sempre, perciò trovava strano che suo padre gli chiedesse qualcosa. Doveva essere davvero importante.
«Tanya... abbi cura di lei.»
Perplesso, David guardò gli occhi azzurri che andavano via via spegnendosi. L’uomo disteso sul letto non aveva più nulla del padre burbero e inflessibile con cui si era scontrato per tutta la vita. Era soltanto l’ombra della figura imponente e minacciosa che aveva visto anni prima, con gli occhi di un bambino. A soli sessant’anni, i capelli di Edward Taylor, un tempo castani, erano tutti bianchi. Aveva il volto emaciato, la pelle avvizzita. Il cancro sembrava averlo consumato rapidamente.
«Papà, io...»
«Me lo devi promettere, David!» esclamò Edward, compiendo un ultimo sforzo per afferrare il braccio del figlio.
«Va bene, te lo prometto.» Non poteva far altro per rassicurarlo, in quegli ultimi istanti di vita. Appoggiò la mano su quella del padre, incoraggiandolo a posare di nuovo il capo sul cuscino. «Penserò io a lei. Hai la mia parola.»
Una promessa difficile da mantenere, pensò David, mentre il padre soccombeva a una spossatezza immane e abbassava le palpebre. Da quando era arrivato alla piantagione, aveva visto Tanya solo per pochi minuti, ma erano stati sufficienti per ridestare in lui vecchi ricordi indesiderati e una sconvolgente consapevolezza. Cinque anni di lontananza non erano bastati a dimenticarla.
Tanya lo aveva accolto con freddezza, con un’indignazione a stento contenuta; segno che nemmeno lei aveva dimenticato il modo in cui si erano salutati cinque anni prima. Ma avrebbero avuto tempo di riparlarne. Ora doveva occuparsi del padre.
Fissò a lungo il corpo immobile, il viso segnato dalla lunga, profonda sofferenza. Era arrivato appena in tempo. Mason Brewer, il medico di famiglia, era accanto alla porta. Poco prima lo aveva informato che Edward non avrebbe superato la notte. Stava morendo. David deglutì per scacciare il grosso nodo di commozione che gli serrava la gola.
«Sarà meglio chiamare Tanya» mormorò il medico.
David annuì e si alzò. Era rimasto solo con suo padre per pochi minuti e si augurava di essere riuscito in qualche modo a riconciliarsi con lui. Non erano mai andati d’accordo e ora non ci sarebbe più stato il tempo di ricucire il rapporto, impostandolo sull’affetto e sulla stima reciproca.
Eloise, sua madre, era morta quando David aveva dieci anni e, da quel giorno, Edward non era più stato lo stesso. Bisognoso di affetto, David aveva cercato in tutti i modi di compiacere suo padre. Da adolescente, aveva capito che niente di ciò che poteva fare o dire sarebbe stato in grado di conquistare la sua approvazione e si era arreso. Terminati gli studi, era andato via di casa. La sua decisione di non restare ad aiutare il padre nella piantagione di arachidi li aveva ulteriormente allontanati, creando tra loro un abisso incolmabile.
Così, aveva detto addio a Cotton Creek, un minuscolo centro abitato a circa un’ora di strada da Savannah, Georgia, deciso a seguire tutt’altra strada. E aveva avuto fortuna. La Taylor Corp., una società che si occupava di acquisizioni e fusioni con sede ad Atlanta, aveva ingranato bene. Si era fatto una posizione e guadagnava fior di quattrini. Ma ancora suo padre non era fiero di lui.
La porta si aprì e Tanya Winters entrò nella stanza. Lo sguardo di David seguì i movimenti naturalmente aggraziati con cui si muoveva. A diciassette anni l’aveva trovata molto carina. A ventidue, era uno splendore di ragazza. Una donna stupenda, non c’era altro modo per descriverla.
Tuttavia, il corpo longilineo sembrava procedere a stento, come se Tanya facesse fatica a sorreggere il peso opprimente della malattia di Edward. I lunghi capelli color del miele erano legati dietro la nuca e lasciavano scoperto l’incarnato di pesca di quel viso perfetto. Gli occhi color ambra, gonfi e rossi di pianto, traboccavano di tristezza.
David indietreggiò, permettendole di raggiungere il letto: l’attenzione della ragazza era tutta rivolta verso l’uomo che vi giaceva in fin di vita. La vide sedersi sulla sponda del materasso e chinarsi sul moribondo.
«Sono qui, Edward.» Le tremava la voce. Tanya prese la mano avvizzita dell’uomo e, con quella libera, gli accarezzò lievemente la fronte.
Gli sussurrò qualcosa in un orecchio e David vide che, per un istante, l’espressione dell’uomo si distese, un sorriso debolissimo si delineò sulle sue labbra aride. Provò un’improvvisa gelosia, quasi del risentimento per quella ragazza.
Si sentiva un estraneo in casa di suo padre; Tanya, invece, sembrava perfettamente a suo agio, come se avesse più diritto di lui di trovarsi lì.
Tanya era venuta a vivere a Cottonwood da una comunità che cercava di aiutare ragazzi bisognosi e provenienti da famiglie disastrate. Suo padre si era subito affezionato a lei. E a guardarla adesso, David aveva l’impressione che tra quei due si fosse creato, con il tempo, un legame infinitamente più saldo di quello che lui aveva avuto con l’uomo. Imbarazzato, si sentì di troppo e si voltò.
Un rantolo si levò nella stanza.
David tornò a girarsi. Come al rallentatore, vide il dottor Brewer che si avvicinava al letto, lo stetoscopio in mano. Accorgendosi che Tanya stava per scoppiare in lacrime, istintivamente andò da lei, la cinse per le spalle e la tirò via.
Guardò quindi il dottore, che confermò il peggio: il cuore di suo padre aveva cessato di battere.
Soffocando un singhiozzo, Tanya si girò tra le braccia di David e gli affondò il viso nell’incavo del collo.
Lui la fece uscire dalla stanza. «Non possiamo fare più niente» mormorò. «Vieni.»
Appena furono scesi in soggiorno, lei lasciò scorrere le lacrime che aveva a lungo trattenuto. Era un pianto disperato, il suo. L’unica persona al mondo cui aveva voluto bene non c’era più. Era sola. E adesso, che ne sarebbe stato di lei?
Si appigliò a David, come un naufrago a un relitto, per impedirsi di annegare. Lui la stringeva forte e la esortava a non disperarsi, le ribadiva che sarebbe andato tutto bene.
Oh, avrebbe tanto voluto credergli, ma com’era possibile? L’uomo che le aveva dato una possibilità quando tutti gli altri si erano rifiutati di aiutarla era morto. Certo, ora non era più la fragile, sprovveduta ragazzina che cinque anni prima Edward aveva accolto in casa sua...
Si guardò intorno nella stanza immacolata, cercando conforto negli oggetti familiari che l’arredavano: il divano fiorato, la mensola di legno intagliato sopra il caminetto, il massiccio tavolo ovale. Quella piantagione in Georgia era l’unico posto che avrebbe potuto chiamare casa.
La sua vita prima di arrivare lì era ancora un gran buco nero, nella sua mente. Non ricordava come, a diciassette anni, si fosse ritrovata in una stradina di campagna, con un grave trauma cranico che le aveva procurato un’amnesia.
All’ospedale dove si era risvegliata avevano dovuto dirle persino il suo nome: Tanya Winters, una ragazza senza famiglia, vissuta per strada, di stenti. La sua fortuna era stata che Edward, venuto a sapere del suo caso, aveva acconsentito a prenderla in casa e le aveva offerto un lavoro.
Grazie a lui, aveva imparato tutto quello che c’era da imparare sulla coltivazione delle arachidi. Tuttavia in quel settore, aveva scoperto presto, c’era aria di crisi: i profitti della piantagione continuavano a scendere in modo preoccupante. Tanya si era messa a studiare, a fare approfondite ricerche di mercato, che poi aveva sottoposto a Edward. E lui si era convinto a trasformare la piantagione: ora coltivavano soia e i profitti erano addirittura superiori a quelli delle annate migliori con le arachidi.
Ma ora, dove sarebbe andata?
Amava quella casa, quella terra, la gente che ci lavorava. Si era affezionata a Cotton Creek, la tranquilla cittadina del Sud dove tutti l’avevano accettata senza fare domande. Ora che suo padre non c’era più, David le avrebbe permesso di rimanere a vivere e a lavorare a Cottonwood?
No, non lo riteneva possibile. Non dopo il modo in cui si erano salutati cinque anni prima.
L’estate in cui era arrivata a Cottonwood, David era appena rientrato dal college. Si era subito innamorata del figlio di Edward, che invece la sopportava a malapena.
Con Edward, David litigava in continuazione. Alla fine, aveva annunciato la sua decisione di andarsene. Sperando di fermarlo, stupidamente lei gli si era gettata tra le braccia. Si erano scambiati un bacio appassionato, poi David l’aveva allontanata in malo modo ed era uscito di casa, sbattendo la porta.
Il suo rifiuto l’aveva ferita profondamente.
Ora, però, lei non era più un’adolescente introversa e timida. Edward le aveva insegnato a essere fiera di se stessa. E ora più che mai doveva essere forte.
Si asciugò le guance. David ancora la stringeva a sé, perciò lei alzò il viso e cercò il suo sguardo. «Scusami.» Scivolò adagio fuori dal suo abbraccio.
Tirò su con il naso e di nuovo incrociò lo sguardo di David. Quei penetranti occhi azzurri la scrutavano attenti. In quel momento, la scoperta di sentirsi ancora attratta da David le fece esplodere dentro una rabbia improvvisa. Sapeva che tra padre e figlio non era mai corso buon sangue, ma aveva dato per scontato che David sarebbe tornato di corsa a casa appena avesse saputo della malattia di Edward. «Perché, David? Perché ci hai messo tanto a venire?»
«Quando hai chiamato, ero all’estero. Un viaggio di lavoro. Sono venuto appena ho potuto.»
Tanya lo trapassò con la sua occhiata più implacabile. «Tuo padre ha cominciato a stare male due mesi fa.» Lo vide aggrottare la fronte, incredulo. «Non ne sapevi niente?»
«No.»
«A me, però, Edward ha detto di averti chiamato. Gli ho chiesto diverse volte di contattarti, per cercare di riallacciare con te qualche rapporto.»
«Sarebbe morto, piuttosto che ammettere di aver bisogno di me.» David si ficcò le mani nelle tasche. «Ci siamo sentiti per telefono due mesi fa, ma non mi ha rivelato di essere malato. Da allora, non ho più avuto sue notizie.» Non era sorpreso del fatto che il padre non gli avesse detto della malattia. Se mai, si sarebbe stupito del contrario.
Tanya era pensierosa. «Mi aveva raccontato di averti chiamato, ma in effetti