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Tre occasioni machiavelliane
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E-book118 pagine1 ora

Tre occasioni machiavelliane

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Info su questo ebook

Con la forza di un pensiero che porta la politica nella modernità Machiavelli è, da cinquecento anni, autore attuale e controverso. Questo libro offre però una triplice occasione (parola-chiave del lessico intellettuale del Principe) per conoscere meglio il letterato: tra commedia, novellistica, epistolografia, lettura di poeti e loro spregiudicata appropriazione. Anche a paragone di un contemporaneo come Francesco Vettori, compagno di una missione diplomatica presso l’Imperatore nel 1507-8, la forza della personalità di Machiavelli si sente; e così la scrittura, di suggestivo effetto rappresentativo e di grande intensità argomentativa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2013
ISBN9788878534247
Tre occasioni machiavelliane

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    Anteprima del libro

    Tre occasioni machiavelliane - Filippo Grazzini

    www.settecitta.eu

    Premessa

    Ripubblico, grazie alla cortese disponibilità di Sette Città, editore viterbese fattivamente collaborante con l'Università della Tuscia dove svolgo il mio lavoro, tre studi su aspetti diversi di Machiavelli: scrittore, più che pensatore politico o Segretario e diplomatico della Repubblica di Firenze. Sono comparsi in anni più o meno recenti. Nel primo cerco di fare luce sul trattamento a cui nell'ultimo capitolo del Principe sono sottoposti versi famosi del Petrarca patriottico: all'atto di riprenderli, nel vivo dell'illustrazione di un progetto politico-militare, l'autore della celebre Exhortatio ad capessendam Italiam ne modifica spregiudicatamente i presupposti etico-ideologici, a tratti contraddicendoli: un'appropriazione meritevole di attenzione. Nel secondo propongo un esame della valenza teatrale di pagine non intenzionalmente scritte per la comunicazione scenica. Certe lettere familiari, alcuni brani dello scandaloso opuscolo De principatibus, la novella di Belfagor hanno avuto origine evidentemente diversa da fabulae sceniche quali il volgarizzamento di Terenzio, la Clizia (con la sua parziale ascendenza plautina) e –straordinariamente bella- la Mandragola; tuttavia in tali occasioni mi pare si possa parlare di teatralità indiretta, la parola trovando nel gesto e nella figurazione la compiutezza di senso. Nel terzo saggio, dedicato peraltro più a Francesco Vettori che al suo grande concittadino, nonché amico, esamino l'esperienza umana, diplomatico-politica e letteraria costituita dalla trasferta alla corte di Massimiliano I d'Asburgo (1507-09), con il Viaggio in Alamagna che ne consegue. Più precisamente, è nel modo di derivazione della singolare operetta vettoriana dalla missione, svolta per un tratto insieme al sodale, che mi pare possibile cogliere almeno qualche aspetto della 'presenza' di Machiavelli. Il Segretario, come ben sappiamo, fu per un tratto della missione accanto al rappresentante ufficiale di Firenze presso l'imperatore. Insieme a quella della Francia (e al suo specchio), l'esperienza della Magna -con lo scritto che a sua volta egli ne trasse- rappresenta per Niccolò una delle circostanze di più approfondita meditazione sulla situazione politica internazionale, e di riflesso italiana e fiorentina: uno degli snodi intellettuali di chi si avvia a proporre, per i suoi concittadini come per gli europei, un inedito modo di concepire la biologia di repubbliche e principati. La circostanza ha raccomandato anche un esame del Viaggio sotto profili specifici. Uno è costituito dalla solida tradizione delle forme narrative: con le quali la machiavelliana Favola, ossia la novella di Belfagor, intrattiene a sua volta rapporti, abbastanza particolari. Un altro riguarda l'odeporica, genere –invece- di assai problematica definizione, ma campo di esperienze compositive vasto e suggestivo, ricco di presupposti e d'implicazioni anche fuori dall'ambito precisamente letterario. Non sarà fuori luogo, d'altro canto, considerare quanto Machiavelli viaggiò, in specie ante res perditas. Si vorrebbe in proposito ricordare che l'Università della Tuscia si è fruttuosamente adoperata in anni recenti per rinnovare e motivare gli studi di Letteratura di viaggio; è il caso in questo senso di sottolineare la competenza di Vincenzo De Caprio.

    Se vorrà coglierle, il lettore di questo breve libro ha dunque tre occasioni (la terza, ripeto, comporta un gioco di sponda) per cogliere la forza di una personalità, la vivacità di una scrittura di necessità simbiotica con un modo anticonvenzionale di pensare il mondo, in specie sub specie rei publicae. Mi auguro di poter ripresentare prossimamente, riveduti e aggiornati, anche altri miei contributi sul Segretario fiorentino, e con essi i risultati delle ricerche condotte, per la parte di mia competenza, per il volume degli Scritti in poesia e in prosa, previsto all'interno della Edizione Nazionale delle Opere di Machiavelli in corso di pubblicazione presso la Salerno Editrice. Questo in particolare è un Machiavelli certo minore e non necessariamente rilevante sotto lo stretto profilo letterario, ma sin qui troppo poco noto, e capace a tratti di sorprendere: con operette quali il Libro della persecutione d'Africa, volgarizzamento-rifacimento di uno scrittore cristiano del V-VI secolo, Vittore di Vita, di cui è possibile intendere la funzionalità alla pratica storiografica; o le Sentenze diverse, raccolta di pensieri rivelanti, pur nella esiguità del testo, la conoscenza di autori classici e anch'esse indicative di un interesse sempre vivo per l' Antico, tra politica e prassi militare; o ancora i Capitoli per una Compagnia di piacere, regolamento di una brigata di sodali che, parodizzando gli statuti di confraternite devote e di associazioni profane, arricchisce di particolari il profilo di un Machiavelli scrittore comico, incline a paradossali e carnevaleschi rovesciamenti di gerarchie di valori.

    Anche ricerche del genere fanno meglio conoscere, in ultima analisi, una figura tra le più affascinanti, anche controverse, dell'intera storia culturale italiana, e non solo italiana. Chi scrive è consapevole che, a suo modo, la questione di Machiavelli non si risolverà mai. Non per questo è vano alimentarla di nuovi dati. Del resto, su questo conviene conclusivamente tornare, la qualità della prosa del Segretario e poi del quondam segretario, così spesso libera da qualunque (…) lenocinio e ornamento estrinseco (così in un passo ben noto della dedica del Principe), sembra pacificare nel comune apprezzamento studiosi di orientamenti anche molto diversi.

    I tre saggi qui riproposti sono stati per l'occasione riveduti e aggiornati nelle referenze bibliografiche; anche più degli altri Teatralità indiretta è stato arricchito di nuove riflessioni, e porta ora un titolo leggermente modificato, come anche Patriottismo umanistico. Per averne consentito la ripubblicazione ringrazio le case editrici presso le quali i testi originariamente uscirono. Per l'allestimento dei medesimi testi in vista della stampa sono anche riconoscente a Pamela Michelis.

    Patriottismo umanistico e strumentalizzazione ideologica: come Machiavelli adatta le canzoni petrarchesche è comparso in L'identità nazionale nella cultura letteraria italiana. Atti del III Convegno ADI, Lecce-Otranto 20-22 settembre 1999, a c. di G. Rizzo, Galatina, Congedo, 2001, t. I, pp. 115-123;

    Teatralità indiretta di Machiavelli. Le Lettere e la novella di Belfagor si è già letto in Il Teatro di Machiavelli. Atti del Convegno di Gargnano del Garda, 30 settembre - 2 ottobre 2004, a c. di G. Barbarisi e A. M. Cabrini, Milano, Cisalpino, 2005, pp. 67-98;

    Per le strade di Alamagna con e senza Machiavelli: viaggio, scrittura e motivazione in Francesco Vettori è stato incluso in Compagni di viaggio. Atti del Convegno CIRIV, Università della Tuscia, Viterbo, 29 novembre - 1 dicembre 2007, a c. di V. De Caprio, Viterbo, Sette Città, 2008, pp. 13-38.

    Patriottismo umanistico e strumentalizzazione politica: come Machiavelli adatta le canzoni petrarchesche nell’epilogo del Principe

    Quando riprende i versi della canzone petrarchesca ai signori d'Italia, R.V.F. CXXVIII, nell'epilogo del Principe, Machiavelli segna uno dei momenti di più grande rilievo nella storia plurisecolare della fortuna di quel testo famoso, ma insieme lo fa oggetto di sottile contestazione. L'Exhortatio ai Medici affinché riscattino la penisola, vittima della propria conflittualità interna e degli stranieri, riprende un luogo ormai comune (e destinato a ricorrere per altri tre secoli nella nostra letteratura). È degno di attenzione tuttavia come e perché il cap. XXVI del libello non scambi con quell'insigne avantesto, in segno di pace, rime baciate, opponendogli invece una prosa armatissima.

    Il commosso, magniloquente messaggio del poeta trecentesco ai potenti del suo tempo si compendia nella richiesta di cessare le lotte intestine per amore della concordia e di volgersi manu militari alla cacciata dei barbari, che assicuri pienezza a quella pace. La perorazione non oppone un rifiuto di principio all'uso delle armi. Dopo il memento della superiorità bellica di Roma antica rispetto alle genti nordiche (Mario che aperse sì 'l fianco dei Teutoni e non più bevve del fiume acqua che sangue, Cesare che fece l'erbe sanguigne/di lor vene, ove 'l nostro ferro mise, vv. 45 e 48, 50-51¹) e la sollecitazione a che il Latin sangue gentile apra gli occhi sulla creduta invincibilità dei popoli nordici (vv. 74-77), il Petrarca si fa mallevadore, solo che quanti hanno in mano il freno/de le belle contrade (vv. 17-18) mostrino segno alcun di pietate (v. 92) per il popol doloroso, di un suo pronto arruolamento e di un'agevole vittoria: vertù contra furore/prenderà l'arme, et fia 'l combatter corto:/ché l'antiquo valore/ne l'italici cor' non è anchor morto (vv. 93-96).

    Il tracciato della linea tematica guerresca – che attraversa la canzone – manca tuttavia di nettezza. Col movimento retorico di retrospezione di Roma belligerante (e vincente) il poeta cerca una sorta di garanzia per le armi italiane, destinate al successo in quanto eredi di quelle glorie, e per questa via tende a sottrarre il gesto grave della scesa in campo all'urgenza e alla trepidazione di un momento definito; piuttosto portandolo nella sfera di un agire che, per essere idealizzato, meno risente dell'asprezza dello scontro hic et nunc. Calcolabile in quindici versi, lo spazio assegnato alle ragioni della guerra in Italia mia è, se vogliamo, esiguo anche in termini quantitativi, quando si consideri che un opposto valore domina in tutti gli altri versi (il componimento ne totalizza centoventidue). L'aspirazione a bandire il conflitto dall'esistenza, confidata alla canzone all'atto di congedarla – I' vo gridando: Pace, pace, pace (v. 122) – è coerente nel Petrarca con un sentimento del vivere terreno, commisurato all'Eterno, in cui idealità politiche, principi etico-religiosi, otia umanistici coesistono². In Italia mia tale coesistenza si coglie nel compenetrarsi del lamento per lo strazio dei nostri dolci campi, di quella che è del mondo la più bella parte, dove assalti fratricidi (cfr. in specie vv. 55-60) e truppe mercenarie di continuo affluenti portano rovina e dolore,

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