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La solitudine del predatore: Un'avventura di Alex Carter
La solitudine del predatore: Un'avventura di Alex Carter
La solitudine del predatore: Un'avventura di Alex Carter
E-book380 pagine5 ore

La solitudine del predatore: Un'avventura di Alex Carter

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Info su questo ebook

Uno sbalorditivo thriller d’esordio... È così fitto di azione e colpi di scena, ma anche di straordinari dettagli, che bisognerebbe leggerlo tutto d’un fiato e poi riassaporarlo con calma in seguito. Non perdetevelo.JAMES ROLLINS

Un thriller con un’anima, una storia avvincente di intrighi, omicidi e sopravvivenza nella natura selvaggia che vi terrà incollati alle pagine.DOUGLAS PRESTON

Alex Carter sta studiando i ghiottoni in un santuario naturalistico in Montana, ma viene minacciata dagli abitanti locali che la vogliono cacciare dalla loro terra. Alex non si ferma e continua a sorvegliare gli animali in pericolo attraverso delle fotocamere posizionate sul territorio. Mentre sta controllando le foto si accorge di un animale di specie diversa: un uomo gravemente ferito che si aggira nei boschi… Chiama i soccorsi, tuttavia le ricerche cadono nel vuoto e le forze dell’ordine sembrano stranamente disinteressate. Ma quando un nuovo predatore travalica i confini della riserva, diventa chiaro che la preda è Alex stessa. La biologa ha visto troppo, e il cacciatore che la bracca è decisamente un essere umano...

Adesso la sua sopravvivenza dipende dalla capacità di stare sempre un passo avanti a lui, usando tutto ciò che sa sul mondo animale.

PRIMO THRILLER DELLA SERIE DEDICATA AD ALEX CARTER, INTREPIDA BIOLOGA ESPERTA DI FAUNA SELVATICA E SPECIE IN PERICOLO.

LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2023
ISBN9788830592780
La solitudine del predatore: Un'avventura di Alex Carter
Autore

Alice Henderson

Oltre a essere una scrittrice è anche una specialista in ricerca e tracciamento della fauna selvatica. Ha partecipato a molte spedizioni per localizzare e osservare grizzly, lupi, giaguari e molti altri animali in pericolo.

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    Anteprima del libro

    La solitudine del predatore - Alice Henderson

    1

    La cerimonia per festeggiare la destinazione a uso pubblico dell’area palustre fu un enorme successo, finché non comparve l’uomo armato. Alex Carter si era sentita felice, mentre batteva le palpebre nella brillante luce del sole e fissava quei verdeggianti terreni acquitrinosi. L’oro e il rosso scarlatto dell’autunno tingevano una manciata di alberi. Là dove il cielo celeste si rifletteva in pozze d’acqua era appostato un airone azzurro maggiore, che scrutava la superficie cercando di intravedere il guizzare di un pesce. Splendeva il sole, ma all’orizzonte si stavano ammassando enormi cumuli e lei sapeva che prima di sera sarebbe scoppiato un temporale.

    Sul palco appositamente allestito, Mike Stevens, un consigliere comunale di Boston, stava tenendo un discorso agli appassionati di vita all’aria aperta intenti ad assaggiare allegramente il vino e i formaggi offerti. In un angolo della piattaforma, una reporter televisiva con i capelli biondi perfettamente acconciati che le scintillavano intorno al volto roseo e un immacolato tailleur bianco indicò al proprio cameraman di registrare qualche battuta a effetto. Più tardi avrebbe intervistato Alex, che aveva lo stomaco sottosopra per il nervosismo.

    Abbassò lo sguardo sulla propria tenuta: jeans logori, maglia termica nera sotto una giacca di pile dello stesso colore e scarponi infangati. Aveva raccolto i lunghi capelli castani in una frettolosa coda di cavallo; non ricordava se li aveva spazzolati quella mattina, ma sospettava di non averlo fatto. Anche se la sua migliore amica, Zoe, sosteneva che l’eyeliner le metteva in risalto gli occhi azzurri, quel giorno non se l’era passato, così come non si era spalmata la crema idratante colorata sul viso, che temeva apparisse particolarmente pallido e nervoso.

    Christine Mendoza, la fondatrice di Save Our Wetlands Now, le si avvicinò sorridendo, mentre si sistemava dietro le orecchie alcune ciocche di capelli arruffati dal vento. Le toccò un gomito con affetto e sussurrò: «Grazie di essere venuta».

    «È un piacere.»

    L’anno precedente Christine l’aveva contattata per chiederle di effettuare gratuitamente una valutazione di impatto ambientale relativa alla zona. Una società immobiliare aveva annunciato l’intenzione di costruirvi condomini di lusso e spazi commerciali, il che avrebbe cacciato dall’area più di cento diverse specie di uccelli. Alex viveva da un anno nel centro di Boston, tutt’altra cosa rispetto alla natura selvaggia che bramava, ed era stata ben contenta di contribuire a salvare un angolino di terre ancora incontaminate.

    Dopo che aveva consegnato il rapporto, la comunità ambientalista si era fatta sentire, partecipando alle riunioni del consiglio comunale e inviando petizioni. Alla fine la città aveva decretato l’habitat spazio protetto e la società immobiliare aveva ritirato la proposta.

    E quello era il giorno destinato all’inaugurazione.

    Alex e Christine guardarono verso il microfono, dove Stevens pontificava sulla responsabilità civile, sottolineando in tono monocorde l’estrema importanza di fornire spazi aperti per garantire il benessere della gente. In realtà era stato una delle forze propulsive dietro il progetto edilizio, dopo avere ricevuto una sostanziosa bustarella dalla società immobiliare. Adesso tentava disperatamente di salvare la faccia, fingendo di essere sempre stato un sostenitore della tutela di quei terreni paludosi.

    «Non è incredibile, questo buffone?» bisbigliò Christine ad Alex, indicandolo con un cenno del capo. «Ci ha ostacolato sin dall’inizio, mi ha persino inviato lettere minatorie, e ora spaccia per suo il piano per salvaguardare quest’area.» Scosse la testa. «Cavoli, so chi non voterò di sicuro alle prossime elezioni.»

    Alex guardò il sorriso stampato dell’uomo. «Chissà se ha dovuto restituire tutti quei soldi.»

    Christine incrociò le braccia, gli ondulati capelli castani che le incorniciavano il volto abbronzato, mentre strizzava gli occhi per ripararli dal sole brillante. «Si è incavolato parecchio, quando il progetto è andato a monte.»

    Anche altre persone, fra cui i rappresentanti dell’impresa edile che si era aggiudicata l’appalto per i condomini, si erano infuriate.

    Ma adesso quel luogo magnifico sarebbe stato tutelato, rappresentando un rifugio sicuro per la fauna selvatica e uno spazio tranquillo e rilassante per i residenti. Non capitava spesso che le questioni ambientali giungessero a un simile risultato e Alex era al settimo cielo.

    Dopo che Stevens ebbe blaterato per dieci minuti, Christine lo raggiunse e lo guardò con aria eloquente per sollecitarlo a concludere il discorso. «Godetevi il vostro nuovo parco!» esclamò lui, salutato da una manciata di applausi, che si fecero più entusiasti non appena gli spettatori capirono che aveva finito di parlare.

    Mentre il consigliere comunale lasciava il palco, la reporter fece cenno a Christine di raggiungerla. «È lei la biologa? Devo intervistare una biologa.»

    Christine indicò Alex. «È lei.»

    Magnifico, pensò Alex. Gettata in pasto ai lupi. Si costrinse a sorridere, intanto che la giornalista le rivolgeva un gesto impaziente. «È lei la Carter? Venga quassù, non voglio che i miei tacchi affondino nel fango.»

    Alex salì sul palco.

    «Perfetto. Comincia a girare, Fred.» L’operatore premette il pulsante per registrare e Alex si ritrovò a fissare la telecamera con sguardo spento. Alcune persone si trattennero nei paraggi per ascoltare l’intervista.

    La reporter subì una totale metamorfosi, passando da imbronciata a spumeggiante. «Sono Michelle Kramer e vi parlo dalla cerimonia di inaugurazione del nuovo parco nei terreni palustri.» Indicò la zona circostante. «Quest’area verrà tutelata in quanto prezioso habitat della fauna selvatica.» Si rivolse ad Alex. «Dottoressa Carter, il suo studio è stato fondamentale per ottenere la salvaguardia della zona. Quale tipo di animali selvatici utilizzerà questo spazio?»

    «Oltre alle specie stanziali, numerosi uccelli migratori lo usano come area di sosta, dopo avere volato per centinaia di chilometri.»

    Michelle scoppiò in una risatina che suonò estremamente falsa. «Centinaia di chilometri! Spero che i loro figli non si trovino sul sedile posteriore a chiedere di continuo: Quando arriviamo?

    Alex, colta alla sprovvista, fu momentaneamente distratta e riuscì a emettere solo un risolino fiacco.

    La giornalista abbassò lo sguardo su alcuni appunti presi sul cellulare. «Quindi, dottoressa Carter, ci sembra di capire che, oltre a salvaguardare aree come questa, possiamo fare altre cose per aiutare i nostri uccelli locali.»

    Alex sorrise e annuì, sentendosi stordita dal nervosismo, ma proseguendo con coraggio. «Molti non sanno che gli uccelli migratori usano le stelle per orientarsi.»

    «Oooh! Io adoro le stelle. Gli uccelli devono avere una app per osservarle come quella che ho scaricato sul cellulare.» La donna ridacchiò di nuovo.

    Altri spettatori si erano avvicinati al palco per seguire l’intervista.

    «Sono sicura che sarebbe molto comoda, ma purtroppo loro contano sui cieli bui, per riuscire a vedere la stella polare» replicò debolmente Alex, cercando di non perdere di vista l’obiettivo. «Dato l’inquinamento luminoso nelle nostre città, tuttavia, gli uccelli hanno parecchi problemi. Potete aiutarli spegnendo la luce sulla veranda durante la notte o installando un semplice sensore di movimento che la faccia accendere solo in caso di bisogno. Inoltre, una lampada che si accende quando si avvicina qualcuno rappresenta un sistema d’allarme più efficace di una che rimane sempre accesa.»

    Michelle scoppiò a ridere. «Be’, perché non ristrutturare un po’ e rifare l’impianto elettrico, già che ci siamo?» Sorrise alla telecamera e tagliò fuori Alex. «E questo è tutto per la nostra cronaca in loco. Cercate di venire a godervi il vostro nuovo parco, bostoniani.» Abbassò il microfono e Fred spense la telecamera.

    Un brusio si diffuse fra la folla e Alex notò che quasi tutti gli astanti si erano voltati a guardare nella direzione opposta rispetto al palco. Cominciarono a indietreggiare, fissando qualcuno che avanzava in mezzo a loro, poi una donna urlò e un uomo corse via con aria spaventata, lasciò il terreno solido e prese a sciaguattare nell’acqua, prima di incespicare cadendo nel fango.

    Tutti si zittirono in maniera inquietante e si allontanarono dal palco, camminando a ritroso. Un uomo si fece avanti e spinse via due persone sbalordite, la mano che brandiva una pistola protesa verso Alex.

    Gliela puntò addosso, fermandosi sul bordo del palco, e lei rimase impietrita. Lo riconobbe, l’aveva visto ad alcune delle riunioni della comunità: la sua impresa edilizia si era aggiudicata l’appalto per costruire i condomini. Alex passò rapidamente in rassegna le varie possibilità. Doveva gettarsi a terra? Scappare via? Cercare di placcarlo? Lui agitò l’arma, puntandola contro il consigliere comunale, poi contro Christine e infine nuovamente contro di lei.

    «Mi avete rovinato la vita!» gridò, ruotando su se stesso per mirare verso gli spettatori, che urlarono e fuggirono infilandosi nella ressa. «E siete qui a festeggiare?»

    Si voltò di nuovo, minacciando Alex. Quando la reporter indicò al cameraman di fargli un primo piano, si girò verso di lei con gli occhi che brillavano di rabbia. «State riprendendo la scena? Pensate che questo sia intrattenimento?» tuonò.

    La pistola sparò così all’improvviso che Alex balzò all’indietro, le orecchie che fischiavano. Il rosso sbocciò al centro dell’immacolato tailleur della giornalista, che per un attimo rimase sotto shock e a bocca aperta, poi cadde in avanti. Il cameraman gettò a terra l’attrezzatura, la raggiunse di corsa e si chinò su di lei, poi estrasse il cellulare e chiamò il 911.

    Mentre la gente gridava e fuggiva in tutte le direzioni, l’uomo armato ruotò su se stesso, sparando vari colpi sulla folla, che si sparpagliò senza che Alex riuscisse a capire se qualcuno fosse stato colpito. Alcune persone si buttarono a terra, poi guardarono freneticamente dietro di sé. Un uomo con un cappuccio nero corse fino alla macchia di alberi più vicina.

    Il consigliere comunale, rimasto impietrito accanto a Christine, osservò la scena con gli occhi sgranati e senza mai sbattere le palpebre. «David» disse poi, «mi spiace che il progetto non sia andato in porto, ma ci saranno altri lavori.»«Che differenza farebbe?» replicò sprezzante l’altro. «Ho già perso la mia ditta! Ho dovuto dichiarare fallimento, quando è andato tutto a monte. Mia moglie mi ha lasciato per un golfista ricco sfondato.»

    «Mi dispiace tanto» ribatté Stevens, «ma queste brave persone non ti hanno fatto niente.»

    Alex desiderava solo stendersi a terra e sgattaiolare via per rifugiarsi dietro il palco, ma temeva che l’improvviso movimento potesse indurre l’uomo a sparare. Cominciava però a rivalutare quel politico ipocrita, almeno era abbastanza coraggioso per affrontare il tizio.

    «Mi stai prendendo in giro, cazzo?» chiese David, furibondo. «Queste sono proprio le persone responsabili di ciò che mi è successo. Si sono agitate per una manica di fottuti uccelli. La mia azienda è andata in rovina!» La mano che stringeva la pistola tremò per la collera.

    «Io no» gli assicurò il consigliere. «Io volevo che il progetto andasse in porto, mi sono battuto strenuamente per appoggiarlo.»

    Ed eccolo tornare al tentativo di salvare le chiappe, pensò Alex.

    «Non abbastanza.» David si girò di scatto puntando l’arma contro la folla. «E adesso eliminerò il maggior numero possibile di voi stronzi.»

    Si voltò per sparare all’interlocutore, che saltò giù dal palco e fuggì. Christine rimase impietrita dal terrore mentre, con un boato cacofonico, la pistola faceva fuoco contro il politico che batteva in ritirata. Stevens trasalì e cadde a terra, poi si rialzò e riprese a correre: il colpo l’aveva mancato. Christine tremò, fissò Alex con una smorfia e si lanciò verso di lei. David ne seguì il movimento e puntò l’arma contro di loro.

    Alex si tuffò dietro il palco, trascinando con sé Christine. Piombarono a terra con violenza, rannicchiandosi sotto la minuscola copertura di cinquanta centimetri fornita dall’altezza del piccolo palco. Lei sentì gli scarponi dell’uomo picchiare sull’assito: si stava avvicinando e ben presto si sarebbe ritrovato direttamente sopra di loro, a sparare dall’alto.

    Alex, stesa bocconi, afferrò la mano di Christine e sussurrò: «Corri!». Si alzò e si lanciò a testa bassa verso gli alberi più vicini, che distavano almeno un centinaio di metri. I suoi scarponi fecero cic ciac sul terreno umido, mentre zigzagava per essere un bersaglio difficile da colpire. Dure zolle d’erba minacciarono di farla incespicare e il terreno le risucchiava i piedi ogni volta che li posava sul suolo. Christine rimase insieme a lei e avevano percorso un terzo del tragitto fino agli alberi quando risuonò un altro boato assordante.

    Alex si preparò mentalmente al dolore, ma non sentì nulla e vide che anche la compagna, che stava correndo alla sua sinistra con un’espressione di puro panico sul viso, era rimasta illesa. Un altro colpo era andato a vuoto.

    Azzardò un’occhiata dietro di sé. David le stava inseguendo di corsa, la mano protesa in avanti, la rivoltella che sussultava su e giù. Ma era puntata su di lei, così Alex scartò sulla destra e si costrinse ad accelerare, mentre rimbombava un altro sparo. Preparandosi di nuovo a sentirsi trafiggere da un proiettile, si rese conto che la detonazione era risuonata ben più lontana rispetto a dove si trovava l’uomo armato.

    Sconcertata, si guardò ancora alle spalle: era immobile e curvo in avanti, intento a stringersi con forza il braccio destro. Il sangue gli colava fra le dita e la pistola era per terra, accanto ai suoi piedi. Qualcuno tra la folla gli aveva sparato? Il boato era sembrato troppo lontano, il colpo era arrivato da un punto ben più distante del palco.

    Christine si fermò e si voltò, confusa, e Alex corse da lei per sollecitarla a proseguire. David si guardò intorno, furibondo, raccolse l’arma con la mano sinistra e riprese a correre verso di loro.

    Il cuore di Alex martellava dolorosamente nel petto. Adesso che era più vicina agli alberi, si accorse che erano troppo radi perché fornissero un riparo sufficiente. Sarebbe stato facile centrarle, là. Sentì montare il panico, mentre cercava un nascondiglio.

    «Cosa facciamo?» gridò Christine, consapevole del suo dilemma.

    Dietro di loro David guadagnava rapidamente terreno e snudò i denti in una smorfia di dolore, mentre il sangue fuoriusciva copioso dal braccio destro, che ciondolava mollemente accanto al fianco. La mano sinistra tremava intorno alla pistola, ma lei sapeva che lui non avrebbe avuto alcuna difficoltà a ucciderle a distanza ravvicinata. Avanzò barcollando, spronato dalla furia.

    Alex si lanciò sulla destra, indicando a Christine di correre nella direzione opposta. Aveva quasi raggiunto gli alberi e, sguazzando nei pochi centimetri di acqua stagnante alla loro base, si infilò fra i tronchi.

    David si fermò al limitare della macchia di vegetazione e sollevò la pistola, prendendo lentamente la mira. Alex distava pochissimo da lui e gli scarponi le affondavano nella fanghiglia, rallentandola. Soltanto un tronco del diametro di quindici centimetri la separava da un proiettile.

    Udì risuonare in lontananza un colpo d’arma da fuoco e, inorridita, vide un foro grande come un pompelmo aprirsi sulla fronte di David, che stramazzò in avanti piombando con uno splash sul terreno fradicio e rimase immobile, il sangue che macchiava l’acqua marrone.

    Lei si costrinse a muoversi e, sforzandosi affannosamente di riprendere fiato, raggiunse Christine, rannicchiata dietro alcuni alberi a una dozzina di metri di distanza.

    Controllò dietro di sé. David era riverso a terra e non si muoveva. Era stato colpito alla nuca, il foro d’uscita era impressionante. Non poteva certo essere sopravvissuto, ma lei non aveva intenzione di andare a verificare. Si accovacciò accanto a Christine e sussurrò: «C’è un altro cecchino là fuori». Osservando l’angolazione della ferita, immaginava che il colpo fosse arrivato dal boschetto sul lato opposto del palco, là dove era scomparso l’uomo con il cappuccio nero. «Credo che ci convenga addentrarci ancor più fra le piante e stenderci a terra.»

    Proseguirono finché non riuscirono più a distinguere l’altro folto d’alberi, poi aspettarono. Alex notò che la folla si era sparpagliata, fuggendo verso la strada sul versante opposto dell’area palustre. Il cameraman, sdraiato accanto alla reporter, si guardava intorno, gli occhi sgranati per la paura.

    Lei aveva il respiro accelerato e il cervello che lavorava a pieno ritmo. Chi aveva sparato? Un secondo cecchino? Poteva trattarsi della polizia? Era riuscita a reagire in modo così repentino, facendo entrare in azione un tiratore scelto?

    Pochi minuti dopo ne sentì le sirene in lontananza e, allungando il collo, vide il consigliere comunale che, sulla strada, sventolava le braccia per chiamare a sé le autopattuglie. Quando due vetture gli si fermarono accanto, indicò il corpo di David, poi gli agenti corsero con cautela verso il cadavere, mentre parlavano nella ricetrasmittente fissata alla propria spalla. Un uomo e una donna andarono loro incontro e indicarono gli alberi fra i quali, secondo Alex, aveva fatto fuoco il secondo cecchino. I poliziotti comunicarono qualche altra informazione alla centrale, poi ripresero ad avanzare. Due di loro riaccompagnarono l’uomo e la donna sulla strada.

    Alex guardò i primi due agenti mettersi a correre a testa bassa, l’uno verso il corpo di David e l’altro verso lei e Christine, costeggiando il filare di alberi. Dopo meno di un minuto l’agente era accovacciato accanto a loro due, una mano posata con fare consolatorio sulla schiena di Alex. Il nome scritto sulla sua targhetta era Scott. Le esaminò. «Siete ferite?»

    Lei scosse il capo e Christine riuscì a sussurrare: «No».

    L’altro poliziotto raggiunse David e gli appoggiò due dita sulla carotide, poi si voltò verso il collega e scosse il capo.

    Per un lasso di tempo impossibile da determinare Alex rimase stesa bocconi sul fango, con la sensazione che da un momento all’altro il proiettile di un cecchino potesse trapassarla. Alla fine gli agenti annunciarono che era tutto a posto, così lei e Christine si alzarono a fatica, tremando a causa del freddo umido.

    I paramedici corsero ad aiutare la reporter, la adagiarono su una lettiga e la portarono rapidamente verso l’ambulanza, il cameraman correva accanto a loro. Gli agenti accompagnarono Alex e Christine verso il palco. Alex non poté fare a meno di osservare il morto, un tizio dall’aspetto così ordinario, con i capelli radi e la pancetta, la maglietta rossa e i jeans stinti. Non riusciva a smettere di fissarlo. Intorno a lei i poliziotti sembravano muoversi al rallentatore. I suoi pensieri erano nebulosi e i suoni le parevano smorzati, come se avesse la testa piena di bambagia. Arrivarono altri agenti e rimase lì impalata, tremando, il cuore che batteva ancora all’impazzata.

    Christine la raggiunse e le prese la mano, poi rimasero sedute vicine sul palco per qualche minuto, tentando di assimilare il tutto. In fondo all’area lacustre la vita cittadina proseguiva come di consueto: le auto suonavano il clacson, la gente si urlava contro. Aerei ed elicotteri ronzavano nel cielo. Il tanfo dei gas di scarico delle vetture la raggiunse persino lì.

    Mentre restava seduta tenendo per mano Christine, che conosceva a malapena, ma con la quale aveva appena sperimentato un evento traumatico, si chiese cosa ci faceva ancora in quella città. Una volta conseguito il dottorato in Biologia della fauna selvatica, era andata lì con il suo ragazzo per dedicarsi a una ricerca sulla parula americana, un uccellino canoro migratore. Ma lei e Brad avevano rotto ormai da due mesi e il suo lavoro come ricercatrice era già finito da tempo.

    Prima della cerimonia aveva contemplato l’ipotesi di rimanere a Boston, però adesso, sconvolta e inorridita in quella minuscola sacca di natura selvatica circondata da una città brulicante di esseri umani in attesa di farsi del male a vicenda, capì che era arrivato il momento di voltare pagina.

    Rilasciarono entrambe una dichiarazione alla polizia. I tecnici della scientifica arrivarono insieme alla stampa e Alex guardò i poliziotti isolare la zona con l’apposito nastro. Alla fine i primi due giunti sul posto riaccompagnarono lei e Christine alle rispettive auto, promettendo di contattarle, nel caso avessero avuto ulteriori domande. Mentre Alex saliva in macchina, alzò gli occhi sull’agente Scott. «Si sa cosa è successo?» gli chiese. «Chi è l’altro cecchino?»

    Lui scosse il capo. «Mi spiace, non posso parlarne, ma sono sicuro che, non appena lo scopriremo, sarà su tutti i giornali.»

    Lei mise in moto l’auto. Desiderava solo tornare a casa, bere una tazza di tè bollente e raggomitolarsi sul divano, ma quando ebbe attraversato la città e raggiunto il suo palazzo si rese conto che Scott non stava affatto scherzando: uno stuolo di giornalisti la aspettava lì davanti e si assiepò intorno alla sua macchina, prima ancora che lei parcheggiasse.

    Sopra di loro il temporale scatenò infine tutta la propria furia, flagellando la città con la pioggia.

    2

    I reporter si ammassarono contro la portiera dell’auto di Alex, urlando domande e impedendole di aprirla. «Il cecchino l’ha minacciata?»; «Cosa ha provato, assistendo alla sparatoria?»; «Si è sentita in pericolo?»

    Lei strisciò fino alla portiera del passeggero e poté uscire. I flash delle macchine fotografiche la abbagliarono, i giornalisti la spintonarono fino alla porta dell’edificio. «Vi prego» disse, «no comment. Voglio solo andare a casa.» Le tremavano le gambe, mentre si creava un varco nella calca a forza di spintoni.

    I reporter le si affollarono intorno, continuando a gridare domande. «Crede che la vittima sopravvivrà?»; «Ha visto il secondo cecchino?»

    Alex riuscì ad aprire il portone del palazzo e a infilarsi all’interno, mentre i cronisti continuavano a filmarla e a urlare interrogativi attraverso il vetro. Cominciò a salire stancamente le scale per raggiungere il suo appartamento all’ultimo piano.

    Mentre girava la chiave nella toppa, sentì squillare il telefono fisso, così lo raggiunse di corsa, sperando che a chiamarla fosse Zoe: aveva un gran bisogno di sentire una voce amica.

    Invece era un reporter ostinato. «Ha filmato la sparatoria con il cellulare e sarebbe disposta a vendere le riprese?» le chiese.

    Lei riagganciò, ma l’apparecchio riprese subito a squillare. Quando sollevò il ricevitore udì una voce querula dire: «Qui è la stazione radio WBSR. Vorremmo invitarla al nostro notiziario di stasera, perché descriva la sparatoria».

    Chiuse subito la comunicazione, però gli squilli ricominciarono dopo un attimo. «Lasciatemi in pace, accidenti!» gridò nel ricevitore.

    «Stai bene?» domandò Zoe.

    Fece un sospiro di sollievo. «Zoe! Che bello sentire la tua voce. La stampa non mi dà pace. Sì, sto bene. Un po’ scossa, tutto considerato.»

    «Lo immagino!» ribatté l’altra con uno sbuffo. «Ho continuato a controllare i feed di Boston per avere notizie sulla tua intervista e quando ho saputo della comparsa di un uomo armato ho rischiato un infarto. Ho provato a chiamarti sul cellulare, ma scattava sempre la segreteria.»

    Alex recuperò il telefonino dalla tasca. «Ho dimenticato di averlo spento subito prima dell’intervista.» Lo accese. Le bastava ascoltare la voce di Zoe Lindquist per sentirsi meno stressata e consapevole di avere un’amica estremamente fidata. L’aveva conosciuta al college, quando aveva rispolverato l’oboe suonato alle superiori per prendere parte a una rappresentazione di L’uomo della Mancha, in cui Zoe interpretava il ruolo di Dulcinea. Tra le feste del cast e le prove disastrose che si protraevano fino a tarda notte erano diventate amiche, per poi rimanere in contatto persino quando Alex si era iscritta alla scuola di specializzazione e Zoe invece era andata a Hollywood per farsi un nome.

    «È stato terrificante» le confessò Alex.

    «Quindi eri là? Proprio quando è successo, intendo.»

    «Sì. Ed è stata un’esperienza che vorrei tanto cancellare dalla mente.»

    «Lo credo. Stai bene? Hanno preso il secondo cecchino?»

    Lei tirò verso di sé uno sgabello della cucina e si sedette. Attraverso la finestra aperta udiva la stampa schiamazzare davanti all’edificio. «Non lo so.» Un tuono terribilmente fragoroso fece tintinnare le finestre.

    «Io avrei avuto una fifa del diavolo.»

    Alex sentì attenuarsi il senso di torpore che la pervadeva sin dalla sparatoria e spostò il peso del corpo sullo sgabello, appoggiando un gomito sul piano di lavoro e passandosi una mano sul viso. Era esausta. «L’ho avuta anch’io. È stato pazzesco.» Buttò fuori il fiato. «Zoe, non so nemmeno cosa ci faccio ancora in questa città.»

    «Le cose con Brad non si sono ancora sistemate?» chiese l’amica.

    «Sono arrivate a un punto morto.» Lei e Brad l’avevano definita una separazione temporanea, intanto che risolvevano la situazione. Da allora cercavano inutilmente di telefonarsi a vicenda e si mandavano messaggi saltuari, ma Alex aveva la sensazione che sapessero entrambi che era finita. Avevano già rotto una volta, dopo un’esperienza sgradevole durante il suo primo impiego post-dottorato, ma in quel caso erano riusciti a riconciliarsi. Dubitava che sarebbe successo di nuovo.

    «Questo ti fa sentire felice o triste?»

    «Soprattutto stanca, credo» rispose lei.

    Zoe rimase in silenzio per qualche istante e Alex udì il rumore di una sega in sottofondo, poi qualcuno che urlava qualcosa in merito alle luci. «Sei sul set?»

    «Sì, perennemente in ozio, mentre le persone fanno aggiustamenti, dimenticano le proprie battute e mangiano decisamente troppi minibagel presi dal tavolo del catering.»

    Zoe si stava lamentando, ma Alex sapeva che adorava fare l’attrice.

    «Di cosa si tratta, stavolta?» domandò.

    «È un thriller, una specie di noir, in costume e tutto il resto. Dovresti vedere i miei capelli. Se dovrò scassinare una serratura, avrò sicuramente abbastanza forcine a disposizione. E questo tailleur di tweed! Non ti dico quanto pizzica!»

    «Un film in costume? Suona divertente, puoi metterti in ghingheri.»

    «È vero, però significa anche che le cose che possono andare storte sul set sono cinque volte di più. Non facciamo che sbrigarci e aspettare. Il regista continua a urlare cose tipo: Oh, quella ripresa era magnifica, a parte la Corolla che è appena passata sullo sfondo. Oppure: Credevo di averti detto di toglierti quell’orologio digitale!. Sono qui dalle sei di stamattina e non ho ancora pronunciato nemmeno una battuta.»

    «La vita è dura.»

    Zoe rise. «Eccome! Due ore fa è finito il formaggio cremoso ai mirtilli.»

    «Mio Dio, come fai a sopportare simili stenti? E poi non pensavo che tu mangiassi i frutti di bosco.» Zoe stava sempre seguendo questa o quella dieta strampalata, mentre cercava il modo di tenersi aggrappata alla gioventù, che a trent’anni temeva stesse già svanendo.

    «Ho ripreso a mangiarli. Sto provando questa dieta in cui bevo due bicchieri d’acqua e mangio un uovo, poi aspetto quattro ore prima di mandare giù una manciata di arachidi non salate e mirtilli.»

    «Un autentico banchetto.» Doveva essere una vera tortura per Zoe, perché adorava mangiare, a differenza di Alex che la considerava invece una mera necessità, qualcosa da fare quando richiesto, preferibilmente senza troppo trambusto.

    «Dovrebbe servire a rassodare la pelle intorno al mento» spiegò Zoe. «Non capisco come, ma vale comunque la pena di tentare.»

    Ad Alex dispiaceva per l’amica, per l’enorme pressione a cui Hollywood sottoponeva le attrici perché restassero giovani in eterno, uno standard che non applicava invece agli attori; quindi, quando le donne invecchiavano, molte di loro lavoravano sempre meno. Zoe viveva nel costante timore che accadesse anche a lei, pur continuando a vedersi assegnare ruoli fantastici, in larga parte grazie alla sua straordinaria abilità nel crearsi una rete di contatti e alla sua capacità quasi sovrannaturale di lusingare le persone giuste, persino quando le giudicava insopportabilmente ruffiane.

    «Allora, come ti senti, in realtà?» chiese in tono leggermente più pacato. «In merito al cecchino, intendo.»

    «Terrorizzata» le rispose con sincerità Alex. «Frastornata.»

    «Hai avuto paura che stesse per spararti?»

    «Eccome. Si è anche avvicinato. Se non fosse stato per quel secondo cecchino, probabilmente in questo momento non staremmo parlando.»

    «Gesù, Alex. C’è qualcuno con cui potresti bere un drink?»

    «Vuoi dire che dovrei chiamare Brad?»

    «Voglio dire che dovresti chiamare qualcuno

    «Sto bene» le assicurò lei. «Ho solo bisogno di raggomitolarmi sul divano a tremare ancora per un po’.»

    In quell’istante un automobilista premette energicamente il clacson, facendola sussultare, e in strada qualcuno imprecò. Sentì sbattere il portello di un furgone, doveva essere arrivata un’altra troupe televisiva.

    «E forse ho bisogno di fuggire da questa città.»

    «Com’è andata l’intervista tv prima della sparatoria?» si informò Zoe. «Insomma, credi che sia servita?»

    «Non

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