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Che la pace sia con te
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E-book197 pagine3 ore

Che la pace sia con te

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Info su questo ebook

La guerra non è mai inevitabile: l’irrinunciabile invito del papa a perseguire le parole del Vangelo

In un mondo che corre verso la guerra, la voce di Papa Francesco, a costo di apparire stonata, continua a richiamare l’umanità a un solo dovere: quello di lavorare per la pace. In questi anni di azione e predicazione è andato ripetendolo in ogni occasione, tentando di curare così la miopia dei politici e dei popoli.
Tutto il pontificato di Papa Francesco può essere letto in questa prospettiva: “giustizia”, “fratellanza”, “economia integrale”, “umanità”, “tenerezza” – tutti concetti cardine della sua attività pastorale – richiamano al dovere verso la pace, al rifiuto della guerra che è, nelle parole di Bergo­glio, semplicemente “una pazzia”. Oggi che la guerra è arrivata in Europa, dove si credeva di averla ormai scacciata per sempre, quest’uomo saggio è divenuto un riferimento imprescindibile per la nostra epoca incerta e dolorosa, il protagonista di un pacifismo che non è di maniera, che distingue tra vittime e carnefici, ma non smette di richiamare a tutto ciò che, giorno dopo giorno, deve essere fatto, detto e pensato per costruire un mondo di pace, nella politica così come nella vita di ciascuno.

Non si arriva alla pace una volta per tutte bisogna conquistarla giorno per giorno

«C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!»
Papa Francesco
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2022
ISBN9788822773449
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    Anteprima del libro

    Che la pace sia con te - Papa Francesco

    1. La follia della guerra

    Il grido della Terra

    Vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della Terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! È il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato.

    Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra. Rivolgo un forte appello per la pace, un appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! […] C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!

    Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la comunità internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace […] basate sul dialogo e sul negoziato.

    Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr. Lett. enc. Pacem in terris, 301-302).

    Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! È un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre confessioni, agli uomini e donne di ogni religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità.

    Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace.

    Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall’anelito di pace.

    La follia della guerra alle porte

    In questi giorni notizie e immagini di morte continuano a entrare nelle nostre case, mentre le bombe distruggono le case di tanti nostri fratelli e sorelle ucraini inermi. L’efferata guerra, che si è abbattuta su tanti e fa soffrire tutti, provoca in ciascuno paura e sgomento. Avvertiamo dentro un senso di impotenza e di inadeguatezza. Abbiamo bisogno di sentirci dire: «Non temere». Ma non bastano le rassicurazioni umane, occorre la presenza di Dio, la certezza del perdono divino, il solo che cancella il male, disinnesca il rancore, restituisce la pace al cuore. Ritorniamo a Dio, ritorniamo al suo perdono.

    […] In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini. In quel Paese martoriato cresce drammaticamente di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria.

    Rivolgo il mio accorato appello perché si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura.

    Ringrazio tutti coloro che stanno accogliendo i profughi. Soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato – e prevalga pure il buon senso. E si torni a rispettare il diritto internazionale!

    E vorrei ringraziare anche le giornaliste e i giornalisti che per garantire l’informazione mettono a rischio la propria vita. Grazie, fratelli e sorelle, per questo vostro servizio! Un servizio che ci permette di essere vicini al dramma di quella popolazione e ci permette di valutare la crudeltà di una guerra.

    La Santa Sede è disposta a fare di tutto, a mettersi al servizio per questa pace. In questi giorni, sono andati in Ucraina due cardinali, per servire il popolo, per aiutare. […] Questa presenza dei due cardinali è la presenza non solo del papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!.

    A me che importa?

    La guerra è una follia.

    Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!

    La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: A me che importa?. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… A me che importa?.

    […] Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: A me che importa?. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

    Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: A me che importa?, rimane fuori.

    […] Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!

    E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: A me che importa?.

    È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere. Con quel A me che importa? che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. […]

    Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da A me che importa? al pianto. Per tutti i caduti della inutile strage, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto.

    Un abuso perverso del potere

    La tragedia della guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa ci lascia attoniti; mai avremmo pensato di rivedere simili scene che ricordano i grandi conflitti bellici del secolo scorso.

    Il grido straziante d’aiuto dei nostri fratelli ucraini ci spinge come comunità di credenti non solo a una seria riflessione, ma a piangere con loro e a darci da fare per loro; a condividere l’angoscia di un popolo ferito nella sua identità, nella sua storia e tradizione.

    Il sangue e le lacrime dei bambini, le sofferenze di donne e uomini che stanno difendendo la propria terra o scappando dalle bombe scuotono la nostra coscienza. Ancora una volta l’umanità è minacciata da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire ogni forma di brutale violenza.

    […] Oggi più che mai urge rivedere lo stile e l’efficacia dell’ars politica. Davanti ai tanti mutamenti a cui stiamo assistendo a livello internazionale, è doveroso «rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale» (Lett. enc. Fratelli tutti, 154).

    […] Questo tempo, ancora condizionato dalla pandemia, ha provocato notevoli cambiamenti sociali, economici, culturali e anche ecclesiali. In questa situazione segnata dalla sofferenza sono cresciute le paure, è aumentata la povertà e si sono moltiplicate le solitudini; mentre tanti hanno perso il lavoro e vivono in modo precario, per tutti è mutato il modo di relazionarsi con gli altri. In tale contesto, anche la vita ecclesiale non è stata risparmiata da molteplici difficoltà, specialmente dovute alla limitazione delle attività pastorali.

    Non possiamo starcene con le mani in mano; come cristiani e come cittadini europei, siamo chiamati ad attuare con coraggio quanto disse uno dei grandi padri fondatori della Comunità europea, Alcide De Gasperi, parlando «del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra patria Europa».

    Sì, l’Europa e le nazioni che la compongono non si oppongono tra loro e costruire il futuro non significa uniformarsi, ma unirsi ancora di più nel rispetto delle diversità. Per i cristiani ricostruire la casa comune vuol dire «farsi artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello: non per strategia, ma per Vangelo» (Omelia, 23 settembre 2021). In altre parole occorre ripartire dal cuore stesso del Vangelo: Gesù Cristo e il suo amore che salva. Questo è l’annuncio sempre nuovo da portare al mondo, anzitutto attraverso la testimonianza di vite che mostrino la bellezza dell’incontro con Dio e dell’amore per il prossimo.

    […] Chi ama supera la paura e la diffidenza nei confronti di quanti si affacciano alle nostre frontiere in cerca di una vita migliore: se accogliere, proteggere, accompagnare e integrare tanti fratelli e sorelle che scappano da conflitti, carestie e povertà è doveroso e umano, ancor più è cristiano. Si trasformino i muri ancora presenti in Europa in porte di accesso al suo patrimonio di storia, di fede, di arte e cultura; si promuovano il dialogo e l’amicizia sociale, perché cresca una convivenza umana fondata sulla fraternità.

    Il mondo che vogliamo

    «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.21.25). Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall’intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio.

    Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?

    Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la casa dell’armonia e della pace ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi a casa, perché è cosa buona. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti a immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con Dio che è amore, fedeltà, bontà, si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione.

    Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. […] Pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?

    Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà e si chiude nel proprio egoismo.

    Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con sé stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura (Gen 3,10), ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (Gen 3,12); rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo.

    Possiamo dire che dall’armonia si passa alla disarmonia? No, non esiste la disarmonia: o c’è armonia o si cade nel caos, dove è violenza, contesa, scontro, paura…

    Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele, tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere.

    Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti!

    Anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza e la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!

    Dopo il caos del Diluvio, ha smesso di piovere, si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell’ulivo che i rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Plaza de Mayo, nel 2000, chiedendo che non ci sia più il caos, chiedendo che non ci sia più guerra, chiedendo pace.

    E a questo punto mi domando: è possibile percorrere la strada della pace? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo

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