La cucina romana e ebraico-romanesca
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Il meglio di un’antica tradizione culinaria che ha conservato la semplicità e la genuinità originarie
Oltre duecento gustosissime ricette che vanno dagli antipasti ai dolci; il meglio di un’antica tradizione culinaria viene offerto e messo a disposizione, in modo completo e ragionato, affinché ogni lettore possa concedersi il piacere e la felicità conviviale che solo una buona tavola può dare. Se c’è un campo in cui è giusto e opportuno conservare e difendere la tradizione, questo è il campo della gastronomia. Ciò vale in particolar modo per la cucina romana, le cui origini vengono fatte risalire da alcuni studiosi addirittura alla Roma imperiale: cucina semplice e non ricercata per eccellenza, realizzata con ingredienti facili da reperire e sempre a portata di mano (pur nel rispetto dei cicli stagionali). Il volume raccoglie inoltre le principali ricette della cucina ebraico-romanesca: dai notissimi carciofi alla giudia al risotto di Shabbat, dal pane a forma di treccia agli aliciotti con l’indivia, il lettore trova qui elencate e commentate gustosissime pietanze nate dalla semplicità e soprattutto in seno all’ambiente familiare. Infatti è proprio nella casa che la cucina ebraica ha avuto sempre la sua base, seguendo i dettami di un’arte culinaria tramandata oralmente da madre in figlia, da suocera a nuora. E grazie alla sua genuinità la cucina ebraico-romanesca si affianca benissimo a quella romana e ambedue si completano scambievolmente per la delizia e il piacere dei buongustai romani e non romani.
Giuliano Malizia
nato a Roma nel 1929, ha cominciato a occuparsi di cultura romana dal 1950. Da allora ha vinto numerosi premi per le sue opere in prosa e in versi, tra le quali ricordiamo Cara Roma, ti scrivo questa mia. Per la Newton Compton ha pubblicato La cucina romana e ebraico-romanesca, Le statue di Roma, Gli archi di Roma, I ponti di Roma, Testaccio e Proverbi, modi di dire e dizionario romanesco.
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Anteprima del libro
La cucina romana e ebraico-romanesca - Giuliano Malizia
109
Titolo originale: La cucina romana ed ebraico-romanesca
di Giuliano Malizia
Prima edizione ebook: agosto 2012
© 2012 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-4610-5
www.newtoncompton.com
Edizione digitale a cura di geco srl
Giuliano Malizia
La cucina romana ed ebraico-romanesca
Oltre duecento ricette per gustare il meglio
di un' antica tradizione culinaria che ha saputo conservare
nel tempo la semplicità e la genuinità originarie
La cucina romana
Suggestivo scorcio di Roma in un'antica incisione.
Introduzione
La prima fondamentale caratteristica che attribuisce alla cucina romana una personalità tutta sua, è dovuta alla preferenza delle cose genuine e semplici, per cui ogni tentativo di complicazioni culinarie internazionali viene allontanato con netto rifiuto. Genuinità e semplicità quindi hanno permesso alla cucina romana di rimanere fedele alle proprie origini, guidandola il più possibile verso l'intelligente uso dei meravigliosi doni offerti dalla natura.
Chiunque desideri manipolare tra fornelli e pentole ha bisogno soprattutto di amore e pazienza, gli ingredienti fondamentali e indispensabili capaci di rendere palpitante soave e gagliarda ogni pietanza, curandola minuto per minuto secondo le norme e gli accorgimenti tramandati dalla tradizione culinaria romana.
Il difficile sta nell'evitare con ogni sforzo di cadere nella rete della miriade di ricette fantasiose e accattivanti, «ma», dice L. Jannattoni, «sempre più intricata in gioco di combinazioni che sfida spesso l'assurdo e tende all'infinito», con la complicità dei mass-media costantemente impegnati a stringere d'assedio la nostra attenzione.
Il ritorno in seno alla natura più schietta nasce dal vivo desiderio sempre crescente di puntare più verso la tradizione che verso la novità. E allora tutto quello che un tempo rientrava nei menù della povera gente, oggi fa bella mostra di sé nelle guarnitissime e allettanti tavolate poste agli ingressi dei migliori ristoranti. Eppure quei cibi così semplici erano un tempo i padroni delle mense dei meno abbienti e nascevano dai pochi ingredienti che una madre saggia ed esperta sapeva sfruttare con amore e pazienza seguendo un ricettario ereditato da chi l'aveva preceduta. Insomma la cucina romana, casalinga e casareccia, non è quella delle salse manipolate e delle mescolanze inventate in maniera strana, ma è la cucina in grado di offrire solo quello di cui si può disporre in casa e che, magari con un certo sforzo economico, non si fa mai mancare: strutto, guanciale, ventresca, grasso di prosciutto, olio di oliva, sale, pepe, peperoncino.
Abbiamo detto fino adesso «cucina romana» per un'indicazione generica. In realtà però bisogna essere maggiormente precisi, perché gli storici della cucina ci tengono molto a sottolineare una netta distinzione con la pignoleria che li distingue: la cucina romana è quella della Roma imperiale e la cucina romanesca è la successiva giunta fino ai nostri giorni. Ai fini di una spiegazione più ampia è bene aggiungere che la cucina romanesca si divide a sua volta in «cardinalizia» e «popolare»: nella prima rientrano i cibi più costosi e nella seconda le povere cose a base di frattaglie e ortaggi. È interessante anche sapere che la cucina offre piatti deliziosi e paradisiaci come ad esempio la stracciatella, gli involtini di manzo, il fritto, i carciofi, la cicoria «strascinata» in padella, l'insalata di pomodori. Alla cucina romanesca appartengono invece le pietanze più alla buona, ma di gran gusto come i rigatoni con la pajata, le minestre di pasta e ceci, pasta e patate, pasta e fagioli, pasta e lenticchie, pasta e broccoli, la coda alla vaccinara, la trippa alla romana, i fagioli con le cotiche, i carciofi alla romana e alla giudia e... l'elenco non si esaurisce qui. Insomma la cucina romana, qualunque veste indossi, rimane sempre la cucina più vera, più genuina, più appetitosa, dai profumi e dai sapori capaci di risuscitare un morto. È il caso di dire che davanti a un piatto romano è come sentirsi invitati a entrare in un mondo di favola, dove le preoccupazioni e le amarezze hanno divieto di accesso, perché l'anfitrione ufficiale è la gioia di vivere. Coloro che non sono d'accordo si lascino adescare almeno una volta dall'atmosfera pantagruelica dei buongustai romani. Forse a cavallo dell'eco il proverbio tornerà a ripetere: «a magnà e a grattà tutto sta a incomincià».
In questo nostro lavoro ci permettiamo, nei limiti concessici, di suggerire il meglio della cucina di Roma, ossia quello che maggiormente ha acquistato considerazione, simpatia e fama nel mondo dell'arte culinaria. Le leccornie quindi che hanno conquistato i veri buongustai sono trattate nel rispetto della loro genuinità in obbedienza ad una tradizione che, grazie a Dio, continua a mantenersi viva, nonostante i continui mutamenti storici e la sempre più crescente internazionalità di Roma.
Antipasti
Tanto per stuzzicare l'appetito cominciamo con gli antipasti, senza però soffermarci troppo sull'argomento di cui il buongustaio farebbe volentieri a meno. Tuttavia una «svojatura» potrebbe servire a superare le smanie dell'attesa e a predisporre lo stomaco al godimento di ben altri succulenti piaceri. Così sono ben gradite un paio di fette di prosciutto di montagna accompagnato, secondo la stagione, da una fetta di melone sbucciata o da qualche fico bruciotto. Accanto si potrebbe dare posto nel piatto a un fiocco di burro, un'acciuga sott'olio e un carciofino. Ma, ripetiamo, niente di impegnativo. Se si vuole andare poi incontro a qualcosa di appetitoso, diamo spazio ad una bella fetta di pane casareccio, tolta dalla brace o dal forno appena «bruscata» e senza bruciacchiature, e vi si strofini sopra l'aglio, tanto quanto piace. Poi, fattovi piovere un po' di sale, vi si cosparga l'olio puro di frantoio in maniera che penetri lentamente nei pori del pane. Ecco come nasce la «bruschettà». Certo dopo la degustazione di un bocconcino di tal fatta, bisogna stare attenti nel tirar fuori le parole, perché in bocca non sono spuntati purtroppo i fiori. «Ma l'alito», diceva Aldo Fabrizi, «profuma de salute» e aggiungeva concludendo «l'ajo è contro l'infezione, / l'ojo, pe chi va duro, è toccasana». E in tal modo, da saggio quirite, univa l'utile al dilettevole.
A questo punto è d'obbligo introdurre nel nostro discorso un'altra leccornia non appartenente però alla serie degli antipasti come vogliono lasciar credere molti ristoratori di oggi. La «panzanella» rientra nella merenda che le nostre nonne ci preparavano a metà pomeriggio.
Presi alcuni pezzi di pane raffermo, li ammollavano nell'acqua fredda per pochi secondi, poi, spremutili appena appena con le palme delle mani, li spruzzavano d'olio e di un goccio di aceto. Condivano poi il tutto con un pizzico di sale e alcune foglioline di basilico ridotte a pezzetti. Il basilico, qualora dovesse mancare, potrebbe essere sostituito dalla maggiorana o dalla salvia. Volendo, il condimento della panzanella permette di essere arricchito anche con piccoli cubetti di pomodoro e con un pizzico di pepe. In tal caso però viene annullata la tradizionale semplicità di questo cibo unitamente allo scopo per cui, le nostre nonne, vi mettevano mano.
«Trasteverina, ballando il saltarello», incisione di Bartolomeo Pinelli.
Primi piatti
La minestra
Come si fa a rinunciare a un' abbondante scodella di minestra, elaborata con paziente cura?
Il buongustaio romano non tradisce mai il proprio palato privandolo delle gustose cucchiaiate gocciolanti di saporoso condimento nato dalla felice unione della pasta o del riso coi sempre benedetti legumi e particolari verdure.
Connubio meraviglioso facilitato dalla ruffianesca complicità di un fondo di cottura in cui entrano in azione «gli odori», ossia le spezie e le erbe richieste per la preparazione delle varie minestre, con l'unione dell'olio di oliva, in obbedienza agli usi del tempo in cui attualmente viviamo. Ma negli anni passati, fino al periodo del primo dopoguerra, ossia fino a quando ci si poteva ancora fidare della genuinità dei grassi animali, in particolare di quello di maiale, al mattino presto da una cucina all'altra dei vari caseggiati prendeva il via il canto delle «battilonte», un coro, potremmo dire, a più voci che tra le pareti domestiche segnava l'inizio di un lavoro culinario da concludere all'incirca durante il festoso canto delle campane di mezzogiorno.
La battilonta, caduta ormai in disuso, non era altro che una tavoletta rettangolare di legno piuttosto spessa, immancabile nell'arredo della cucina.
Le massaie se ne servivano per preparare il «battuto», ossia la base di cottura, senza olio, per la preparazione delle minestre. Sotto i colpi di un coltellone bene affilato un pezzo di lardo in compagnia del sedano, della cipolla o dell'aglio (o di ambedue insieme), della carota o radica gialla, del prezzemolo, veniva ridotto in una poltiglia pastosa da versare nella pentola, possibilmente di coccio.
In poco tempo in tutta la casa l'aria si impregnava del profumo fragrante di un «soffritto» che ormai, e non crediamo per molto tempo ancora, rimane un nostalgico ricordo di chi ebbe modo di gustarlo e apprezzarlo.
Pasta e fagioli
Cominciamo col dare la precedenza alla minestra regina delle minestre, che, nonostante la perdita del battuto, ha sempre qualcosa in grado di cavarla d'impaccio: le cotiche e l'osso di prosciutto. In quanto ai fagioli, se si usano quelli secchi, si deve avere l'avvertenza di metterli a bagno la sera prima, per lasciarli cuocere poi a fuoco lento in una pentola di coccio con una mezza costola di sedano, una carota e mezza cipolla. Ma l'ideale sono e restano i fagioli freschi che, una volta sgranati, vanno cotti come i precedenti.
In una pentola a parte si fa sciogliere il battuto, oppure si crea un soffritto con olio, carota e cipolla, o aglio se si preferisce. Appena la cipolla s'indora, si versa 1/3 di bicchiere di vino rosso asciutto e lo si lascia evaporare. Poi si aggiunge qualche pomodoro ridotto a pezzetti e quando il sugo comincia ad addensarsi, si versano i fagioli insieme all'acqua, quanto basta, in cui sono stati lessati. Se si preferisce una minestra più densa e «legata», è sufficiente «passare» una parte dei fagioli. Un'altra combinazione si ottiene lessando insieme i fagioli, cannellini o borlotti, alcune listelle di cotiche sgrassate e sbollentate per bene, oppure un osso di prosciutto pulito a dovere.
A fine cottura si versano le cotiche, o i brandelli di carne staccati dall'osso, e i fagioli nella pentola dove, al momento giusto, dovrà cuocere anche la pasta. In quanto a quest'ultima si può scegliere tra quella fatta in casa e tagliata a pezzi, i cannolicchi pesanti, gli spaghetti spezzati e i resti delle diverse qualità di pasta, detti «minuzzaglia» e presentemente messi in commercio dagli stessi pastifici con la denominazione di pasta mista.
Per quattro commensali occorrono: 500/600 g di fagioli freschi, o 350 g di quelli secchi, quattro o cinque cotichelle di maiale oppure un osso di prosciutto, 1/2 di di olio di oliva, 1/3 di bicchiere di vino rosso asciutto, aglio, 1/2 cipolla, una costa di sedano, 250 g di pomodori, sale e pepe, 50 g di lardo o di grasso di prosciutto per il battuto, 300 g di pasta, preferibilmente mista.
Pasta e patate
Si fa soffriggere in una cucchiaiata di strutto o di olio un battuto di 50 g di guanciale, mezza cipolla e un ciuffo di prezzemolo. Poi, aggiunta dell'acqua insieme a quattro o cinque patate tagliate a piccoli dadi, si lascia che il tutto insaporisca con sale e pepe. Appena le patate hanno raggiunto la cottura, si allunga con altra acqua, se necessario, e al primo bollore si buttano giù 300 g di cannolicchi o di spaghetti a pezzi. La minestra è pronta per essere servita, dopo aver fatto piovere su ciascuna scodella del pecorino grattugiato.
Pasta e broccoli
È la minestra maggiormente celebrata dai buongustai romani, a condizione che il broccolo sia autenticamente romanesco, ossia che abbia i fiori verdi e la cupola a punta. Questo è bene sottolinearlo per evitare confusione con il cavolfiore, che è decisamente tutta un'altra cosa.
Per sei commensali occorrono 50 g di prosciutto grasso e magro ridotto a pezzetti e due spicchi d'aglio per preparare il battuto da far soffriggere con un cucchiaio di strutto o di olio d'oliva. All'indorarsi del tutto si versano i fiori del broccolo romanesco ben puliti e tagliati a tocchetti e si lascia insaporire il tutto. Subito dopo si aggiungono circa 30 g di passata di pomodoro, un po' di sale, un pizzico di pepe e 150 g di cotiche ben raschiate e già cotte, insieme allo stesso brodo, bene sgrassato, dove hanno bollito tagliate a listelli. La pentola deve bollire fino alla cottura del broccolo, poi vi si buttano giù 300 g di pasta: spaghetti a pezzi o, preferibilmente, bucatini anch'essi a pezzi. Attenzione: la cottura deve essere al dente. Appena pronta, la minestra va servita con un' abbondante pioggia di pecorino.
La pasta e broccoli può diventare anche minestra di magro. È sufficiente sostituire il prosciutto, le cotiche e la loro acqua, con brodo di arzilla, o merluzzo, e con l'aggiunta di un'acciuga salata a pezzetti.
Pasta e ceci (per sei persone)
Se si usano i ceci secchi, è necessario metterli a bagno la sera precedente in acqua tiepida con l'aggiunta di una puntina appena di bicarbonato (oppure un cucchiaio di farina). In una pentola di coccio si fanno soffriggere, con una cucchiaiata di strutto o di olio d'oliva, tre o quattro spicchi d'aglio, poi si aggiungono 250 g di ceci, sale, pepe e un rametto o due di rosmarino; da ultimo si copre il tutto con acqua. In un altro pentolino si fanno intanto soffriggere altri due spicchi d'aglio, quattro o cinque pomodori pelati ridotti a pezzetti e i filetti di quattro acciughe salate bene tritati. Appena pronto, il soffritto va versato nella pentola dove sono stati lessati i ceci e, se necessario, si allunga con dell'acqua e si lascia quindi che il tutto raggiunga l'ebollizione. Al momento giusto si toglie l'aglio e il rosmarino e si buttano giù 300 g di cannolicchietti. A cottura ultimata si aggiunge un po' di olio d'oliva crudo e il pepe secondo i gusti.
«Esterno di una Osterìa di Campagna», incisione di Bartolomeo Pinelli.
Quadrucci all'uovo con piselli
Per il rispetto dovuto alla tradizione della cucina romana, questa minestra non può fare a meno del battuto in compagnia dello strutto. Ma i tempi sono